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Appello ai comunisti e ai lavoratori avanzati, a tutte le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista
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Costituire liste comuniste che partecipino alle elezioni regionali del 2005 e alle elezioni politiche del 2006

Manchette


La borghesia imperialista sta concentrando l’attenzione di vaste masse del nostro paese sulle prossime scadenze elettorali che essa organizza nel 2005 (elezioni amministrative e regionali) e nel 2006 (elezioni politiche nazionali) e sulla lotta tra le sue due coalizioni politiche raccolte rispettivamente attorno a Berlusconi e attorno a Prodi. Le due coalizioni hanno volti e modi di fare diversi, ma entrambe cercheranno di realizzare la stessa politica antipopolare delle borghesia imperialista, quella che il governo Berlusconi ha cercato e cerca di realizzare. Con la loro mobilitazione le masse popolari hanno resistito con una certa efficacia al governo Berlusconi. La mobilitazione delle masse popolari oggi ha raggiunto una certa ampiezza, ma non è ancora ideologicamente, politicamente e organizzativamente abbastanza autonoma dalla borghesia imperialista da poter prescindere dall’operazione che la classe dominante sta montando. O la volge a suo vantaggio o quell’operazione la indebolirà, quale che sia l’esito della contesa tra le due coalizioni politiche della borghesia imperialista. La vittoria della “armata Brancaleone” di Prodi la priverà di puntelli che le sono stati indispensabili. La vittoria della banda Berlusconi genererà demoralizzazione nelle sue fila. La mobilitazione delle masse popolari quindi non può prescindere dall’operazione che la borghesia imperialista sta montando, neanche se noi comunisti ci impegnassimo con tutte le nostre forze in questo senso. Noi siamo ancora nella fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie, siamo ancora nella prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che si concluderà solo con la conquista del potere da parte delle masse popolari dirette dalla classe operaia e dal suo partito comunista e con l’instaurazione del socialismo. Oggi la classe operaia non ha ancora accumulato forze sufficienti per instaurare il suo potere, attuare le Dieci Misure Immediate e guidare le masse popolari a realizzare la loro politica. Può però mantenere e anche rendere più efficace la loro resistenza alla politica antipopolare della borghesia imperialista, quale che sia la coalizione politica che cercherà di applicarla. Ma per contrastare con qualche efficacia la politica antipopolare della borghesia imperialista quale che sia l’esito della contesa tra le sue due coalizioni politiche, bisogna rafforzare l’autonomia ideologica, politica e organizzativa delle masse popolari dalla borghesia imperialista. Quindi noi comunisti dobbiamo approfittare dell’operazione che la borghesia imperialista, con tutta la potenza dei suoi mezzi e della sua influenza sociale, sta mettendo in piedi, dobbiamo volgerla a favore della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Dobbiamo usarla 1. per rafforzare l’aggregazione delle masse popolari sotto la bandiera del comunismo, cioè sia per estendere la loro mobilitazione sia, e questo oggi è l’anello principale della catena, per  rafforzare la loro autonomia ideologica, politica e organizzativa dalla borghesia, 2. per creare condizioni più favorevoli a uno sviluppo ancora maggiore della mobilitazione e della sua autonomia dopo le elezioni, contro il prossimo governo borghese.
I movimentisti e gli opportunisti si accontentano che la mobilitazione delle masse popolari cresca quantitativamente: non si preoccupano della sua autonomia dalla borghesia, non si preoccupano di quale classe ne ha la direzione.
Gli estremisti di sinistra sostengono la famigerata concezione della “sostituzione, a tempo determinato o a tempo indeterminato, della classe operaia da parte di questo o quel gruppo nel fare la rivoluzione”. Loro si accontentano dell’autonomia del proprio gruppo. Quella concezione sciagurata li esime dal lavorare per la mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione della classe operaia e del suo partito, ossia per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
Noi comunisti dobbiamo occuparci dell’ampiezza della  mobilitazione delle masse popolari e quindi oggi principalmente della sua autonomia dalla borghesia imperialista. Solo una mobilitazione delle masse popolari più  autonoma dalla borghesia imperialista, cioè diretta dalla classe operaia e dal suo partito comunista, riuscirà ad ampliarsi e rafforzarsi fino ad essere in grado di instaurare un nuovo superiore ordinamento sociale. Approfittare dell’azione della borghesia per rafforzare l’autonomia della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia e creare condizioni più favorevoli al suo ulteriore sviluppo è il senso e l’obiettivo principale della presentazione di liste comuniste alle prossime elezioni. Nell’attuale situazione la presentazione di liste comuniste è anche quanto possiamo fare di meglio sul piano elettorale per la difesa delle conquiste di civiltà e di benessere, per l’ampliamento dei diritti e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, per acuire i contrasti tra quei gruppi imperialisti che puntano sul blandire le masse popolari, imbrogliare le carte, indorare le pillole e servirsi della collaborazione dell’aristocrazia operaia e quelli che puntano semplicemente sulla forza e l’arroganza.
 
A che punto è la mobilitazione delle masse popolari nel nostro paese? Quanto è vasta e quanto è autonoma dalla borghesia imperialista?
 
Nei mesi che abbiamo alle spalle la mobilitazione delle masse popolari si è estesa ed è stata tale da riuscire a far esaurire l’attacco che tutta la borghesia imperialista aveva lanciato contro gli operai e le masse popolari quattro anni fa, quando aveva affidato il governo del paese a Berlusconi e alla sua banda di fascisti, mafiosi, razzisti, speculatori, clericali e avventurieri. Berlusconi aveva convinto la borghesia che sotto la sua guida sarebbe riuscita a imporre molto rapidamente agli operai e al resto delle masse popolari quello che i governi del centro-sinistra imponevano a piccoli passi. Che sotto la sua guida avrebbe ridotto gli operai e il resto delle masse popolari ad ingoiare senza fare storie la liquidazione di quanto ancora restava dei contratti collettivi nazionali di lavoro, delle pensioni pubbliche, delle imposte dirette e proporzionali al reddito, dei diritti sul posto di lavoro (vedasi ad es. l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori), dei diritti e pratiche sindacali, dei diritti delle donne, delle liquidazioni (TFR), della scuola pubblica, della sanità pubblica, dei servizi pubblici, dei diritti delle minoranze, di tutte le altre conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato alla borghesia imperialista nella prima parte del secolo scorso, nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria. Per dirla con le parole del dirigente sindacale venduto ai padroni, Giorgio Benvenuto (UIL), gli operai e il resto delle masse popolari avrebbero infine restituito completamente, rapidamente e senza fare storie alla borghesia quello che le avevano strappato quando il movimento comunista era una potenza mondiale. Berlusconi aveva inoltre convinto la borghesia italiana che sotto la sua guida avrebbe partecipato su scala più vasta e con una quota maggiore al saccheggio del resto mondo, in particolare dei paesi oppressi e  degli ex paesi socialisti.
Le agitazioni condotte dalle varie classi delle masse popolari nelle aziende, nelle scuole, nelle strade e nelle piazze; il rafforzamento del nuovo partito comunista, delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista e delle organizzazioni autonome dalla borghesia; la resistenza opposta dai popoli oppressi, in primo luogo dai popoli iracheno e palestinese all’aggressione imperialista: ecco i tre fattori principali che hanno impedito a Berlusconi e alla sua banda di mantenere le promesse che avevano fatto agli altri gruppi imperialisti. Invano, appena insediati al governo, Berlusconi e il suo “camerata” Fini hanno imitato e superato le imprese compiute dal governo del centro-sinistra (Amato presidente del Consiglio, Bianco ministro degli Interni, Diliberto ministro della Giustizia) con la Polizia e i Carabinieri a Napoli nel marzo 2001. Nel luglio 2001 essi hanno lanciato Polizia e Carabinieri contro quanti a Genova manifestavano contro il G8, hanno maltrattato selvaggiamente centinaia di manifestanti e hanno ucciso Carlo Giuliani. Con questo colpo volevano creare nel paese un clima di terrore, volevano intimidire le masse popolari, volevano indurre tutti ad obbedire docilmente. Ma hanno fallito: è stato il loro primo fallimento. Non dovuto a chi (Bertinotti & C) si è affrettato a predicare alle masse popolari la calma e a proporre una Commissione Parlamentare di inchiesta, ma dovuto a chi ha chiamato le masse popolari a manifestare nelle strade e nelle piazze. La risposta al colpo di Genova è stata la maggiore mobilitazione che si è sviluppata da allora a oggi nelle strade, nelle piazze, nelle scuole e nelle aziende: da Mirafiori a Termini Imerese, dall’AlfaRomeo a Melfi, dagli autoferrotranvieri di Milano, ai metallurgici di Terni, alla popolazione di Montecorvino e di Acerra. In queste lotte la mobilitazione delle masse popolari si è estesa ed è diventata più autonoma dalla borghesia: il movimento comunista si è rafforzato, la ricostruzione del partito comunista ha fatto passi in avanti. Per tre anni i padroni non hanno avuto tregua. Sono falliti i ripetuti tentativi degli “oppositori” di Berlusconi, da Ciampi, a Cofferati, a Bertinotti, di calmare gli animi delle masse popolari, di chiamare “tutti” alla concertazione tra i padroni, il loro governo e le organizzazioni sindacali e politiche sotto la loro influenza, alla loro “unità nazionale” (per le delocalizzazioni e le aggressioni), di ridurre lo scontro tra le classi a un “civile confronto” nel Parlamento dove per di più Berlusconi aveva una comoda maggioranza. Berlusconi riusciva abbastanza facilmente a far passare alcune parti importanti della sua controriforma in Parlamento, ma produceva agitazione e resistenza nel paese. Gli Agnelli hanno dovuto (per il momento) persino rinunciare a chiudere le fabbriche d’auto e a vendere la loro quota di mercato a General Motors, come già avevano pattuito con la copertura della banda Berlusconi e dei suoi “oppositori”, da Prodi a Bertinotti. Lo scoppio della lotta e la vittoria degli operai a Melfi sono l’espressione concentrata del fallimento dell’attacco lanciato quattro anni fa dalla borghesia imperialista sotto la guida di Berlusconi.
Nel frattempo, grazie alla resistenza dei popoli oppressi e aggrediti, le spedizioni in Afganistan e in Iraq si sono trasformate in un pantano senza fine e senza vantaggi che si è sommato all’impresa disperata di colonizzare la Palestina. Per di più i gruppi imperialisti USA hanno continuato a monopolizzare per se stessi il bottino del saccheggio del mondo. Questo bottino è del resto una base importante della tenuta del loro regime negli USA, anche per loro è veramente un problema della loro “sicurezza nazionale”.
Questi risultati del governo Berlusconi hanno indotto la borghesia a togliere la fiducia a Berlusconi e alla sua banda. Il Vaticano, la Confindustria, gli Agnelli, i gruppi imperialisti franco-tedeschi hanno via via preso le distanze dal suo governo. Persino la Mafia ha preso le distanze da Berlusconi e si è ricompattata con il Vaticano: l’assoluzione di Andreotti è l’espressione della pace fatta. Solo i gruppi imperialisti sionisti e USA continuano ancora ad appoggiare Berlusconi e la sua banda. Questi infatti li sostengono con mercenari, soldi e mezzi logistici nella loro aggressione ai paesi arabi, in particolare in Palestina e in Iraq, che è oggi la principale espressione della lotta dei gruppi imperialisti USA per conservare la loro egemonia nel mondo. Ma Berlusconi è oramai talmente legato alla contraddizione tra gruppi imperialisti USA e gruppi imperialisti franco-tedeschi che un’eventuale e probabile tregua tra questi toglierebbe a Berlusconi anche l’ultima potente sponda che gli resta. Tanto più che i suoi oppositori, da Prodi a Bertinotti, sono disposti a subentrare nell’impresa, salvo travestire mercenari e bombardieri con le bandiere dell’ONU. Gli orientamenti della classe dominante si ripercuotono già anche all’interno della banda Berlusconi: i suoi soci sono sempre più inquieti. Ognuno cerca di assicurarsi un futuro oltre il governo Berlusconi. Prodi sta mettendo assieme la sua “armata Brancaleone” che dovrebbe ricevere dalla borghesia l’investitura per succedere a Berlusconi e alla sua banda. Le elezioni europee del 13 giugno 2004 hanno mostrato che Berlusconi non domina la macchina elettorale come la dominava il regime DC. Se la banda Berlusconi e i gruppi imperialisti USA e sionisti non ricorreranno ai mezzi estremi della strategia della tensione, i passaggi della successione dovrebbero realizzarsi tramite le elezioni regionali del 2005 e le elezioni politiche del 2006. Queste quindi sono un importante passaggio della crisi politica del nostro paese, della putrefazione del regime democristiano che dura oramai da quindici anni. La mobilitazione delle masse popolari ha sconfitto probabilmente in modo definitivo la banda Berlusconi, ma se questa cadrà la sua successione sarà presa da un altro governo della borghesia imperialista: la mobilitazione delle masse popolari non è ancora abbastanza autonoma dalla borghesia imperialista per imporre il proprio potere e attuare le Dieci Misure Immediate.
 
Cosa ricaveranno dalla vittoria ottenuta sul campo gli operai e le altre classi delle masse popolari che hanno resistito all’attacco della borghesia fino a farla desistere?
 
Il programma con cui la Grande Alleanza Democratica (GAD) di Prodi si presenterà alle elezioni è il programma di un governo per conto della borghesia imperialista. In sostanza è analogo a quello che la banda Berlusconi ha cercato di attuare. Cambia la combinazione delle forze politiche che comporranno il governo, ma per quanto riguarda direttamente le masse popolari i punti su cui il suo programma si differenzia sono pochi e anche quei pochi non avranno alcuna attuazione pratica. Si tratta di buoni propositi senza conseguenze pratiche, di promesse che contrastano con gli interessi dei mandanti di Prodi e che quindi non saranno attuate, di parole buone per accaparrarsi voti a tradimento, di puri e semplici imbrogli elettorali che le società di marketing hanno elaborato studiando ciò che “alla gente più piace sentirsi dire” come ce n’erano anche nel programma del governo Berlusconi. Non c’è nulla nella classe dominante e nella nuova coalizione messa insieme da Prodi che faccia ragionevolmente credere che un eventuale nuovo governo Prodi-Bertinotti farà nella pratica una politica diversa da quella che ha fatto negli anni 1996-1998. La politica antipopolare fatta dal governo Berlusconi è stata la continuazione della politica antipopolare fatta negli anni 1995-2001 dai precedenti governi di centro-sinistra presieduti da Dini, Prodi, D’Alema e Amato. Berlusconi e la sua banda si erano solo impegnati ad attuarla più rapidamente e drasticamente: quello che la mobilitazione delle masse popolari ha impedito. Questa politica non è frutto di errori e di equivoci. Al contrario corrisponde a precise e reali necessità della borghesia imperialista. È la versione italiana della politica che la borghesia imperialista ha imposto e sta imponendo in tutti gli altri paesi imperialisti: privatizzazioni, riduzione dei servizi pubblici veramente a disposizione della massa della popolazione, la scuola ridotta ad azienda che insegna mestieri a chi può pagare, gli ospedali ridotti ad aziende che somministrano cure a chi può pagare, abbassamento della qualità dei servizi che restano ancora, eliminazione dei diritti sindacali e politici dei lavoratori, rapporti di lavoro più precari, sfruttamento e persecuzione degli immigrati, disoccupazione  cronica, devastazione dell’ambiente, militarizzazione della vita quotidiana, crescenti restrizioni di ogni genere per la gente comune, ogni libertà per i capitalisti e i ricchi, emarginazione e abbrutimento di parti crescenti della popolazione, criminalità e prostituzione dilaganti, delocalizzazioni, esternalizzazioni, i lavoratori e la massa della popolazione ridotti sempre più a “variabile dipendente” dai profitti, mobilitazione crescente di parti della popolazione contro altre, ricolonizzazione dei paesi oppressi, aggressione e occupazione dei paesi i cui governi oppongono resistenza al saccheggio dei maggiori gruppi imperialisti. Di fronte alla crisi del loro ordinamento sociale i capitalisti non concepiscono altra risposta che una violenza maggiore per imporlo. Ogni governo investito dalla borghesia imperialista cercherà di attuare questa politica. È la sola politica che la borghesia imperialista può attuare. I due poli raccolti rispettivamente attorno a Berlusconi e a Prodi si disputano l’”onore” di essere più capaci di attuarla, sono zuppa e pan bagnato. Proprio perché i due poli non sono sostanzialmente differenti, essi possono alternarsi. Può addirittura avvenire che nelle prossime elezioni Berlusconi e la sua banda recuperino consensi e voti e si mantengano al potere, nonostante l’ostilità crescente di una parte importante della borghesia imperialista. Come avvenne nel 1994 col primo governo Berlusconi.
Solo una forte mobilitazione delle masse popolari sempre più autonoma dalla borghesia può da subito imporre limiti all’attuazione di simile politica. Il rafforzamento del movimento comunista e la solidarietà con la resistenza dei popoli oppressi all’aggressione imperialista e sionista sono un aspetto indispensabile di essa. Sono la fonte della sua autonomia dalla borghesia, l’indice della misura della sua autonomia e la garanzia della sua possibilità di allargamento a masse più vaste. La mobilitazione delle masse popolari può crescere oltre un certo limite solo se è autonoma dalla borghesia, cioè se è diretta dalla classe operaia e dal suo partito comunista. In caso contrario si impantana nelle contraddizioni tra frazioni delle masse popolari. La borghesia imperialista trasforma programmaticamente e anche spontaneamente la contraddizione tra sé e le masse popolari in mille contraddizioni tra parti delle masse popolari, le divide, suscita tra le masse popolari la contesa su chi subirà i colpi peggiori della crisi del suo ordinamento sociale, su chi sarà licenziato per primo, se patire la disoccupazione o ammalarsi d’inquinamento, ecc. Finché l’influenza della borghesia è determinante e non esce per i suoi obiettivi dall’orizzonte dell’ordinamento borghese della società, la mobilitazione delle masse popolari non riesce ad estendersi oltre certi limiti; per restare nell’ambito dell’ordinamento sociale borghese essa sostiene gli interessi di una parte delle masse popolari contrapponendoli agli interessi di altre parti; crea divisioni tra le masse popolari: lo si è visto anche recentemente nel “movimento dei girotondi” e nel “movimento altermondialista”. La crescita quantitativa della mobilitazione delle masse popolari dipende dalla sua trasformazione qualitativa. Bisogna quindi rafforzare l’autonomia dalla borghesia della mobilitazione delle masse popolari. Questo è il principale problema politico del momento sul terreno del lavoro di massa. Il rafforzamento della mobilitazione delle masse popolari contro la borghesia imperialista e contro il suo ordinamento sociale che essa cerca di mantenere in vita a ogni costo è il migliore ostacolo sia a un rinnovo del mandato di governo a Berlusconi e alla sua banda sia alla continuazione della sua politica antipopolare da parte del governo di Prodi e della sua “armata Brancaleone”.
Ma nella lotta contro il governo di Berlusconi e della sua banda la mobilitazione delle masse popolari si è fatta forte politicamente e soprattutto organizzativamente anche della confluenza con l’opposizione borghese alla banda Berlusconi, con chi voleva un’alternativa borghese alla banda Berlusconi, con chi era solo preoccupato perché l’azione della banda Berlusconi rafforzava il particolare gruppo finanziario e la particolare rete criminale di Berlusconi contro gli altri e suscitava fermento tra le masse popolari. L’aristocrazia operaia ideologicamente e politicamente dipendente dalla borghesia (i cui capi sono i Cofferati, gli Epifani, i Bertinotti, i Salvi) domina nei sindacati di regime e in alcuni partiti di regime. Anch’essa era nel bersaglio della banda Berlusconi. Contro l’attacco lanciato dalla borghesia sotto la guida di Berlusconi, la mobilitazione delle masse popolari si è giustamente avvalsa anche di questi concorrenti e “oppositori” di Berlusconi. Stante la sua debolezza non poteva essere diversamente. In particolare si è avvalsa della CGIL, della FIOM, del PRC e della sinistra DS. I capi di questi organismi sono stati ideologicamente e politicamente un freno all’autonomia della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia imperialista. Hanno fatto il massimo sforzo per mantenerla nell’ambito delle compatibilità dell’ordinamento sociale borghese che soffoca le masse popolari. Quindi ne hanno anche limitato lo slancio e la forza. Ma organizzativamente sono stati, certo per i loro interessi ben distinti da quelli delle masse popolari, il puntello principale della mobilitazione delle masse popolari. Quindi sono stati contemporaneamente causa dei limiti di essa e strumento della sua forza.
I capi di quegli organismi rientrano in pieno nella coalizione guidata da Prodi e quindi probabilmente nel prossimo governo della borghesia imperialista che succederà al governo Berlusconi. La borghesia sta mettendo a punto una nuova manovra che si basa anche sul maggiore coinvolgimento e una maggiore responsabilizzazione dell’aristocrazia operaia: sulla collaborazione dei sindacati di regime, in particolare della CGIL e della FIOM che la banda Berlusconi invece mirava a ridimensionare e sulla collaborazione del PRC di Bertinotti.
Se l’operazione Prodi ha successo, la mobilitazione delle masse popolari contro il nuovo governo non potrà più giovarsi di questi organismi, e tanto meno degli altri sindacati e di altri partiti di regime. Senza una crescita dell’autonomia, contro il governo Prodi l’opposizione alla politica antipopolare della borghesia sarà meno efficace di quanto lo è stata contro il governo Berlusconi. Le masse popolari riusciranno a contrastare la politica antipopolare della borghesia con tanta più efficacia quanto più si renderanno autonome dalla borghesia; quanto più avranno un vertice politico deciso a sostenere in ogni modo, anche dalle assemblee elettive, la mobilitazione nelle piazze, nelle strade, nelle scuole e nelle aziende; quanto più i comunisti e i lavoratori avanzati faranno fronte alla direzione della borghesia nei sindacati di regime e nel movimento sindacale; quanto più porteranno la lotta o almeno il dubbio anche tra gli elettori e i militanti dei partiti di regime che sono membri delle masse popolari.
Se l’operazione Prodi non avrà successo e la banda Berlusconi rafforzerà la sua presa di possesso dello Stato, l’opposizione alla politica antipopolare della borghesia imperialista riuscirà a mantenersi al livello attuale, a non cedere alla delusione e allo scoraggiamento che invaderà quelli che avevano riposto tutte i loro obiettivi in Prodi e nella sua “armata Brancaleone”, solo se la mobilitazione delle masse popolari diventa più autonoma dalla borghesia e predominano in essa obiettivi e prospettive che vanno oltre l’alternativa a Berlusconi. In questo caso essa può diventare anche più efficace di quanto lo è stata finora, valorizzando anche quelli che il rafforzamento del potere della banda Berlusconi indurrà a lottare con più forza, ad abbandonare le loro illusioni.
Ogni sviluppo positivo per le masse popolari della crisi politica richiede quindi anzitutto il rafforzamento della autonomia ideologica, politica e organizzativa della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia imperialista. Cioè richiede il rafforzamento del ruolo dei comunisti.
 
Cosa dobbiamo fare noi comunisti per rafforzare la causa degli operai e delle masse popolari nella situazione attuale? Come usare le elezioni dei prossimi mesi per allargare la mobilitazione delle masse popolari e anzitutto rafforzare la sua autonomia dalla borghesia?
 
Possiamo e dobbiamo presentare liste comuniste nel numero più alto di località concentrando le forze dove esistono le condizioni più favorevoli e condurre un’energica campagna di agitazione e organizzazione a loro favore.
Per liste comuniste intendiamo coalizioni elettorali che hanno il programma
1. di favorire la mobilitazione e organizzazione delle masse popolari contro la borghesia imperialista per difendere con intransigenza e onestà tutte le conquiste strappate nel passato da ogni gruppo delle masse popolari deciso a battersi per difenderle, per ampliare i propri diritti e migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, per portare solidarietà alla resistenza dei popoli oppressi all’aggressione dei gruppi imperialisti e ostacolare la partecipazione della borghesia italiana all’aggressione e la sua collaborazione con gli aggressori (in particolare in Iraq e in Palestina);
2. di favorire l’accumulazione delle forze per la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, quindi favorire ogni forma di aggregazione e di organizzazione delle masse popolari autonoma dalla borghesia imperialista e il rafforzamento dell’orientamento comunista nella mobilitazione delle masse popolari.
Quindi in particolare coalizioni che programmaticamente escludono ogni forma di concertazione con la borghesia: nelle attuali condizioni ogni concertazione è certamente a danno degli interessi delle masse popolari. Coalizioni programmaticamente contrarie ai tentativi di scaricare, con la scusa della compatibilità, sulle masse popolari responsabilità da cui l’ordinamento sociale borghese le esclude. Le singole aziende sono in dissesto perché il sistema non funziona più. Ogni crisi aziendale è la particolare manifestazione di un problema politico, di un problema di ordinamento sociale. La società attuale non può reggersi su un ordinamento sociale che è l’estrema produzione di un mondo di trogloditi che erano costretti a strappare alla natura di che vivere, incerti del proprio domani; su un ordinamento sociale che rispecchia ancora la loro condizione e la loro mentalità. Le crisi aziendali non si risolvono nell’ambito delle singole aziende, con ristrutturazioni aziendali: si risolvono temporaneamente in sede politica e fondamentalmente in sede di ordinamento sociale. Non è un caso che le crisi aziendali si succedono l’una all’altra; che colpiscono indifferentemente aziende private e pubbliche, in ogni settore; che dopo ogni ristrutturazione aziendale, a distanza di qualche anno o mese ne occorre un’altra; che si presentano in tutti i paesi imperialisti. Le finanze pubbliche sono in dissesto perché l’ordinamento borghese non è più adatto all’attuale società. I sistemi previdenziali sono in preda alla crisi finanziaria, quelli pubblici come quelli privati, in Italia e negli altri paesi imperialisti, perché il sistema finanziario, ingrandito dalla borghesia per sfuggire alla conseguenze immediate della crisi del suo ordinamento sociale, è diventato una camicia di forza, che soffoca la produzione, la circolazione e la distribuzione della ricchezza reale; che impedisce la produzione pressoché illimitata di ricchezza oggi possibile; che crea occlusioni nei canali di distribuzione della ricchezza prodotta. In ogni particolare problema, la pressione politica delle masse popolari sulla borghesia imperialista è la condizione principale per una soluzione temporanea favorevole alle masse popolari o almeno per limitare i danni per le masse popolari. Nello scontro quotidiano e caso per caso tra borghesia imperialista e una frazione delle masse popolari non si tratta di trovare “una giusta ripartizione dei sacrifici e dei vantaggi”. Si tratta di rapporti di forza per costringere la borghesia, contro la sua natura, a usare a vantaggio delle masse popolari le risorse praticamente illimitate che le attuali forze produttive consentono e per contrastare lo spreco e la distruzione di risorse, il marasma sociale e la disgregazione della società causati dalla sopravvivenza dell’ordinamento sociale capitalista. La soluzione definitiva e complessiva di tutto questo immane, multiforme e continuo conflitto di classe, la libera produzione di tutte le ricchezze necessarie e il loro universale godimento possono iniziare solo con l’instaurazione del socialismo. Oggi ogni soluzione favorevole a una parte delle masse popolari o avviene a spese di altre parti delle masse popolari o è incompatibile con l’ordinamento sociale attuale: perché questo è obsoleto, è un residuo del passato, è di per se stesso in preda ad una crisi che non può risolvere con i suoi mezzi e meccanismi ordinari. L’imposizione caso per caso alla borghesia di soluzioni temporanee, contrarie alla sua natura e favorevoli all’insieme delle masse popolari, non è una questione puramente sindacale, puramente rivendicativa. È una questione politica, può risultare solo dallo scontro politico e da rapporti di forza generali. L’imposizione di tali misure aggraverà certamente la crisi generale del suo ordinamento sociale, esse finiranno col diventare insopportabili e intollerabili per la borghesia. L’accumulazione e la moltiplicazione di queste soluzioni non porta direttamente al socialismo: porta alla guerra civile che la borghesia non mancherà di scatenare piuttosto che lasciare il potere, accettare la scomparsa dei suoi privilegi, del suo mondo, della civiltà per come il capitalista può concepirla con la sua mentalità da “ultimo dei trogloditi”. Ma facendo fronte passo dopo passo a questa situazione la mobilitazione delle masse popolare avrà raggiunto l’autonomia dalla borghesia e la forza necessarie per instaurare un nuovo ordinamento sociale. Solo instaurando un nuovo superiore ordinamento sociale le masse popolari possono risolvere i problemi che l’ordinamento sociale borghese crea. Ma allora le masse popolari gestiranno tutta l’economia nazionale e l’intera vita del paese per soddisfare i loro stessi bisogni. Il profitto non sarà più l’obiettivo delle aziende né la misura della bontà del loro funzionamento. Le Dieci Misure Immediate sono le linee guida del nuovo superiore ordinamento sociale di cui la nostra società ha bisogno.
La presenza diffusa di liste comuniste nelle elezioni amministrative, regionali e politiche dei prossimi mesi è quanto di meglio oggi i comunisti possono fare sul terreno delle elezioni indette dalla borghesia imperialista e nell’ambito della lotta politica borghese 1. per creare condizioni più favorevoli per mobilitare le masse popolari a lottare per i loro interessi strategici e 2. per mobilitare su più grande scala le masse popolari a difesa dei loro interessi immediati.
Quale che sia il polo borghese che prenderà in mano il governo, la presentazione di liste comuniste obbliga da subito i due poli a una maggiore demagogia o a una maggiore esibizione d’arroganza, li obbliga a sbilanciarsi in maggiori promesse o in maggiori minacce. Nel prossimo futuro la libertà di manovra del polo vincente sarà tanto minore quanto maggiore sarà la mobilitazione delle masse popolari che con queste liste riusciremo a realizzare nelle campagne elettorali e dopo. La mobilitazione delle masse popolari attorno ai comunisti sul terreno elettorale e nella lotta parlamentare è, nel nostro paese nella fase attuale, uno strumento indispensabile per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Diventa quindi importante che i comunisti creino da subito, anche nell’ambito della politica borghese, centri che operino a favore dell’aggregazione e della mobilitazione delle masse popolari. Bisogna dare rappresentanza anche sul terreno della lotta politica borghese alla lotta degli operai e delle altre classi delle masse popolari. Bisogna usare anche la lotta politica borghese per coalizzare gli operai e le altre classi delle masse popolari sotto le bandiere del comunismo. Dobbiamo rovesciare contro la borghesia imperialista la sua attività elettorale e parlamentare.
L’iniziativa che noi proponiamo ai comunisti, ai lavoratori avanzati, alle FSRS è possibile, è realistica. La borghesia imperialista deve fare convalidare il suo governo con elezioni a suffragio universale. Il suffragio universale è una conquista strappata dalle masse popolari e completata alla fine della Resistenza, nel 1946, dopo che il Fascismo aveva soppresso anche il suffragio limitato che le masse popolari avevano strappato negli anni ‘20. Grazie anche ai revisionisti moderni la borghesia ha stravolto questa conquista e ha imbrogliato le carte: con la disinformazione e l’intossicazione dell’opinione pubblica, col voto di scambio, con ricatti morali ed economici di ogni genere, con le minacce e con la corruzione, in mille modi la borghesia ha aggiunto forza alla forza sociale che essa già possiede stante il suo ruolo nella società. Ma non ha ancora eliminato il suffragio universale. In mancanza di un movimento realmente comunista il suffragio universale è principalmente un elemento di forza per la borghesia che rafforza l’oppressione del suo Stato con l’aureola di un’autorità legittimata dal consenso della maggioranza delle masse popolari che essa opprime e sfrutta. Ma in presenza di un movimento realmente comunista il suffragio universale è principalmente un elemento di debolezza per la borghesia che deve strappare il consenso della maggioranza delle masse popolari per le sue autorità. Ogni volta che un vero partito comunista si è misurato con le forze borghesi nella mobilitazione elettorale, esso ha dato tanto filo da torcere alla borghesia che, se ha persistito, la borghesia ha finito per abolire il suffragio universale. In Italia è avvenuto nel 1926 ad opera del Fascismo. In altri paesi è avvenuto in date diverse. Gli avversari di principio della partecipazione dei comunisti alla mobilitazione elettorale, possono solo appellarsi al triste precedente dei partiti riformisti e revisionisti, all’inglorioso ruolo che i revisionisti moderni hanno fatto svolgere al vecchio PCI. Senza dirlo e forse anche senza capirlo, essi semplicemente cancellano la differenza tra un vero partito comunista e un partito revisionista. I loro ragionamenti si possono applicare pari pari anche al campo della lotta sindacale e a ogni campo dell’attività delle masse popolari. Ogni cosa che il partito comunista aveva costruito e usato per rafforzare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, dalla lotta rivendicativa al centralismo democratico, i revisionisti moderni l’hanno stravolta e usata per promuovere e ribadire la soggezione delle masse popolari alla borghesia. Gli astensionisti di principio “buttano via il bambino con l’acqua sporca”. Essi attenuano le responsabilità del revisionismo moderno nella sconfitta del movimento comunista, lo assolvono da ogni responsabilità, lo rivalutano e contemporaneamente denigrano il movimento comunista: senza dirlo e forse anche senza capirlo.  Dato il ruolo che essa ha nella vita sociale, è vero che la borghesia dispone di mezzi tali che la partita elettorale è comunque sostanzialmente una partita truccata. Ma il numero organizzato dà alla classe operaia la forza sociale che il capitale dà al borghese. Sappiamo inoltre bene che se dovesse perdere la partita elettorale, la borghesia non accetterebbe il risultato e ricorrerebbe ad altri mezzi. Lo ha già mostrato centinaia di volte, in paesi di ogni genere. Ma oggi non è questo il problema che dobbiamo risolvere. Noi comunisti dobbiamo tenere fin da oggi conto in modo adeguato che certamente arriveremo a quel punto. Dobbiamo fin da oggi prepararci a farvi fronte. Ma non dobbiamo rinunciare già ora a crescere e ad avanzare per non arrivare a quel punto. Non dobbiamo né oggi né domani rinunciare alla lotta per il comunismo, dobbiamo avanzare oggi e attrezzarci adeguatamente ai compiti di domani. Per arrivare ad una fase più avanzata della lotta con la borghesia, noi comunisti oggi dobbiamo anzitutto promuovere una più vasta aggregazione delle masse popolari sotto la bandiera del comunismo; dobbiamo rompere tra le masse popolari la sfiducia nella possibilità di vittoria del movimento comunista; dobbiamo infondere nelle masse popolari, con la parole e con l’esperienza pratica della loro stessa mobilitazione, una maggiore fiducia nella loro forza. La mobilitazione delle masse popolari contro la borghesia oggi è principalmente limitata dal fatto che noi comunisti non portiamo con forza tra le masse popolari un orientamento comunista e non ci presentiamo tra le masse popolari come centro di aggregazione, di organizzazione e di direzione. Nella nostra situazione concreta non sono principalmente la forza economica e politica della borghesia né la repressione che essa esercita quello che limita il nostro ruolo tra le masse popolari. Il limite principale al nostro ruolo come centro di aggregazione, organizzazione e direzione delle masse popolari oggi è costituito proprio dalla nostra esitazione ad assumere questo compito. La nostra assenza dal terreno della lotta politica borghese è una conferma di questa esitazione. Gli astensionisti di principio sono i portabandiera di questa esitazione, come lo furono i bordighisti negli anni 20 del secolo scorso, anche se si dichiarano e magari davvero si credono dei grandi rivoluzionari. La lotta politica borghese presenta un terreno per così dire ideale, particolarmente facile e semplice, per esercitare il nostro ruolo e per imparare a farlo. Dobbiamo occupare risolutamente questo terreno e far tesoro degli insegnamenti che, per la lotta su questo terreno, il vecchio movimento comunista internazionale e italiano ci ha lasciato.
 
Per fare la rivoluzione bisogna capire che, a partire dalla situazione attuale quale essa è, occorre compiere una trasformazione quantitativa. Si arriva al salto qualitativo (la rivoluzione) solo compiendo una trasformazione quantitativa (evoluzione). Senza questa evoluzione (trasformazione quantitativa) la rivoluzione (il salto di qualità) è impossibile. Esso ci appare un obiettivo necessario ma impossibile da raggiungere, finché non capiamo la semplice trasformazione quantitativa che dobbiamo compiere. Solo compiendo questa evoluzione (trasformazione quantitativa) raggiungeremo il salto qualitativo (la rivoluzione). La rivoluzione si fa con l’evoluzione, l’evoluzione porta alla rivoluzione. Se parliamo solo di rivoluzione senza evoluzione, restiamo paralizzati. Ogni meta si raggiunge compiendo piccoli passi.
 
L’astensione dalle elezioni di una parte ragguardevole delle masse popolari, tra il 20 e il 30%, è una sana reazione spontanea delle masse popolari alla condotta dei partiti borghesi, riformisti e revisionisti. Da quando un partito revisionista ha preso il posto del vero partito comunista, la borghesia ha dato libero corso alla sua necessità di nascondere la sua vera attività politica alle masse popolari. I partiti borghesi, con la complicità dei revisionisti moderni,  hanno ridotto la loro azione politica svolta sotto gli occhi delle masse e tra le masse all’imbroglio sistematico, a un “teatrino della politica” per dirla con Berlusconi, a “politica spettacolo” per dirla con le teste d’uovo della sinistra borghese. L’astensione delle masse popolari è una sana reazione spontanea all’azione dei partiti borghesi. La borghesia imperialista ha spostato altrove la sede della propria azione politica e ha ridotto le elezioni e l’azione parlamentare dei suoi partiti a spettacolo, schermaglie, imbroglio, teatro. Una parte importante delle masse popolari ha voltato le spalle disgustata a questo sconcio spettacolo. Ciò è verissimo. Ma ciò vale appunto per l’azione dei partiti borghesi. Non ha nulla a che vedere col fatto che noi comunisti dobbiamo usare e volgere a nostro favore la lotta politica borghese, aggregare e mobilitare le masse popolari in questa lotta per rafforzare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Noi rifiutiamo di confonderci con i partiti borghesi, riformisti o revisionisti. Gli astensionisti di principio coinvolgono comunisti, revisionisti, riformisti e borghesi, lotta per il socialismo e lotta per conservare il capitalismo in un’unica condanna interclassista. Le masse popolari non confonderanno noi comunisti con revisionisti, riformisti e borghesi, se noi svilupperemo con dedizione, costanza e da comunisti il nostro lavoro per l’emancipazione della classe operaia e del resto delle masse popolari dalla borghesia, per la difesa delle conquiste di civiltà e di benessere, per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutte le masse popolari, per l’ampliamento dei loro diritti.
L’astensionismo che alcuni comunisti hanno elevato a concezione e linea politica è nient’altro che codismo e opportunismo. Che non è possibile instaurare il socialismo, instaurare il potere della classe operaia tramite le elezioni, è un’obiezione giusta contro quanti si illudono o comunque propongono di farlo. Ma ciò non ha nulla a che fare con l’intervento dei comunisti nella lotta politica borghese per rafforzare la mobilitazione rivoluzionaria e l’organizzazione della classe operaia e delle masse popolari. Che per portare a compimento la lotta per l’emancipazione della classe operaia e del resto delle masse popolari dalla borghesia non basti aggregare e mobilitare le masse popolari sul terreno elettorale e parlamentare è verissimo. La storia del movimento comunista l’ha più volte amaramente e sanguinosamente mostrato ogni volta che i comunisti lo avevano dimenticato. In Italia avvenne negli anni ‘20 del secolo scorso. In altri paesi è avvenuto in altri momenti. I comunisti si propongono di aggregare e mobilitare le masse popolari in una rivoluzione politica e sociale. Ma che essi non riescano ad aggregare e mobilitare in una certa misura le masse popolari anche sul terreno elettorale e parlamentare governato dalla borghesia e fatto su sua misura, sarebbe una dimostrazione ben strana della loro capacità di riportare il successo nell’impresa ben maggiore che si propongono di realizzare. Cosa dire di chi si propone di spostare le montagne, ma si dichiara incapace di muovere un macigno? Che essi non riescano a farlo senza farsi corrompere dalla borghesia, sarebbe una confessione di impotenza altrettanto conclusiva. La realtà è che dovunque i comunisti hanno sfruttato la lotta politica borghese per accumulare forze rivoluzionarie, essi hanno ottenuto successi importanti, tanto da indurre la borghesia ad eliminare le elezioni e a ricorrere ad altri mezzi di governo. Tanto cioè da precipitare la crisi del regime politico borghese creando le condizioni più favorevoli che mai si siano date in un paese imperialista al successo della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Temere l’intervento dei comunisti nella lotta politica borghese è, in definitiva e a ben guardare, temere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari; temere la rivoluzione; optare per la conservazione dell’attuale tran tran in cui “si fa l’opposizione” che serve a temperare il sistema più o meno come i lamenti biascicati da Woityla attenuano le malefatte dei gruppi imperialisti, anziché fare l’opposizione che porta le masse popolari a sovvertire l’attuale tran tran e le porta alla rivoluzione. È una scelta rinunciataria. È anche un’illusione perché l’attuale tran tran avrà comunque fine.
 
Come una fonte luminosa che solo innalzandosi a un livello superiore riesce a illuminare di sé una zona più ampia. Così la mobilitazione delle masse popolari riesce a coinvolgere masse più vaste solo se cresce di livello, se diventa più autonoma ideologicamente, politicamente e organizzativamente dalla borghesia imperialista, se la direzione della classe operaia e del suo partito comunista assume un ruolo maggiore.
 
La presentazione di liste comuniste è un argine alla mobilitazione reazionaria e un contributo alla mobilitazione rivoluzionaria, unica via d’uscita positiva per le masse popolari dall’attuale crisi generale del capitalismo
 
Forse che la presentazione di liste comuniste costituisce una dispersione di voti, la promozione di “voti inutili”, un aiuto dato alla parte più arrogante e violenta della borghesia? È l’obiezione che certamente i sostenitori della borghesia di sinistra e molti compagni del PRC muoveranno alla nostra proposta. La risposta sarà chiara per chi considera ragionevolmente anche solo come sono andate le cose nel nostro paese nel passato prossimo e come vanno. Dopo il 1994 la sinistra borghese ha continuato la politica antipopolare di Berlusconi: clamoroso il caso della “riforma” delle pensioni del governo Dini. La sinistra borghese ha aperto la strada alla banda Berlusconi. Con la sua politica antipopolare ha spento lo slancio che aveva portato milioni di lavoratori a manifestare contro il primo governo Berlusconi e ha alienato il loro consenso. Con l’aggressione dell’Jugoslavia ha violato la Costituzione che vieta il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere conflitti internazionali, senza neanche avere il coraggio di proporne l’emendamento e perfino senza il consenso dell’ONU. Ha lasciato intatto l’impero finanziario e mediatico e la rete di criminalità organizzata che Berlusconi aveva costruito con i soldi della Mafia, con l’evasione fiscale e con altre attività criminali. Ha evitato di affrontare il “conflitto di interessi”.
Il sistema parlamentare, anche il più democratico, non può essere né la via al socialismo né il regime politico della società socialista. Non solo e non tanto perché la borghesia non consente la vittoria elettorale dei comunisti e nemmeno perché non rispetterebbe un’eventuale vittoria. Cosa più e più volte dimostrata nella pratica. Ma anche e principalmente perché il sistema parlamentare non è adatto a promuovere l’emancipazione del proletariato dalla borghesia. E senza emancipazione del proletariato niente è stabilmente acquisito. Il naufragio di tutti i governi di sinistra hanno più volte confermato questa verità. Per comprendere meglio cosa significa “emancipazione del proletariato dalla borghesia”  studiare l’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo (Edizioni Rapporti Sociali) (nella seziuone EiLE del sito il testo in francese e spagnolo).
Ha concesso l’ingresso in Borsa a Mediaset carica di debiti consentendo a Berlusconi di disporre di una massa ingente di denaro e di legare al suo successo politico centinaia di migliaia di risparmiatori e piccoli capitalisti diventati azionisti delle sue aziende: cosa che a suo tempo perfino La Malfa aveva negato al più illustre dei predecessori di Berlusconi, Michele Sindona. Ha trattato con Berlusconi la riforma costituzionale, facendosi per di più beffare. Ora nel migliore dei casi il governo Prodi-Bertinotti prenderà il posto del governo Berlusconi, sfruttando la mobilitazione delle masse popolari, ma per continuare con altre facce e con altri modi la sua politica antipopolare. Dare fiducia alla sinistra borghese vuol dire votare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari al fallimento e aprire la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Proprio in questi giorni General Motors ha annunciato 12.000 espulsioni dai suoi stabilimenti Opel solo in Germania. Ecco quello che GM avrebbe fatto con le fabbriche FIAT se gli operai non avessero impedito l’indecente mercato che Giovanni e Umberto Agnelli avevano già stipulato con GM e che tutta la classe dirigente italiana (dal Vaticano a Berlusconi, da Prodi a Bertinotti, da Ciampi a Cofferati, da Pezzotta a Fini) conosceva, ha approvato e ha tenuto nascosto ai lavoratori fino all’ultimo momento. Che fiducia può riscuotere dalle masse popolari simile classe dirigente? Per sua natura, al di là della coscienza e della sorte dei singoli suoi esponenti, essa aprirà la strada a ogni disgrazia e alla peggiore mobilitazione reazionaria, come l’ha già aperta alla guerra e all’aggressione, se non sarà la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari a sbarrarle la strada. Il meno peggio apre la strada al peggio. Solo nel rafforzamento della mobilitazione rivoluzionaria sta la nostra salvezza. È a questo che devono servire anche le elezioni, non a dare qualche seggio in più al PRC, al PDCI o ai Verdi. Quanto maggiore sarà il successo elettorale delle liste comuniste, tanto minore sarà la libertà dell’uno e dell’altro polo di colpire gli interessi delle masse popolari. Anche se nell’immediato non avessimo alcun eletto, la sola presenza delle nostre liste limiterebbe la libertà d’azione dei due poli contro le masse popolari, li costringerebbe a fare quello che in nostra assenza non farebbero: perché sarebbe l’inizio di una contestazione al loro consenso elettorale di cui pure hanno bisogno. E sarebbe inoltre e soprattutto il segno della decisione dei comunisti di costruire il terzo polo, il polo comunista, senza del quale a livello nazionale come a livello internazionale non c’è salvezza dalla barbarie in cui la borghesia imperialista ci sta riportando. Insomma non ci sono buone ragioni per astenerci dallo sfruttare le prossime elezioni per aumentare l’aggregazione delle masse popolari sotto le bandiere del comunismo, per temprare le nostre forze, per imparare a svolgere il nostro ruolo di orientamento, mobilitazione, aggregazione, organizzazione e direzione delle masse popolari. La presentazione di liste comuniste è in ogni caso un argine immediato ai cedimenti e allo scivolamento a destra e l’inizio della costruzione di una prospettiva realistica di uscire dal marasma sociale prodotto dagli sforzi disperati della borghesia di mantenere in vita l’ordinamento capitalista della società.
 
Avanti dunque, compagni, nella lotta per far dell’Italia un nuovo paese socialista!
Approfittiamo dell’azione della borghesia per rafforzare l’autonomia della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia e creare condizioni più favorevoli al suo ulteriore sviluppo!
Formiamo ovunque coalizioni elettorali comuniste e buttiamoci nella lotta!
Uniamo le forze per presentare ovunque liste comuniste!
Superiamo il settarismo! Osiamo pensare in grande!
Che ogni comunista abbia fiducia nella giustezza della nostra causa!
Il comunismo vincerà grazie alla lotta dei comunisti e alla mobilitazione delle masse popolari!
Il comunismo è il futuro dell’umanità!