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Lo stile di partito

 

Lo stile di partito
Sulla disciplina di partito
 
La forza del nostro partito comunista si basa in primo luogo sulla giustezza della linea, in secondo luogo sulla disciplina nella sua attuazione. La disciplina di partito riguarda sia i rapporti tra i collettivi (le organizzazioni) del partito e la sua direzione, sia i rapporti tra gli indivdui e il collettivo a cui ogni membro del partito appartiene. Vi è una disciplina generale di partito e una disciplina di ogni singolo collettivo. Lo spirito e la concezione piccolo-borghese rendono gli individui particolarmente restii alla disciplina di partito. In ogni campo di lavoro, in ogni collettivo, ogni membro del partito deve contribuire con consapevole disciplina alla realizzazione della linea che in ogni collettivo è impersonata dalla direzione. Linea giusta e consapevole disciplina formano una unità di opposti. A lungo andare l’uno non può esistere senza l’altro. Tuttavia si tratta di due elementi distinti della vita del partito. In generale la linea giusta è l’elemento principale e la consapevole disciplina il secondario. Ma in situazioni concrete il ruolo può invertirsi.
Quando si tratta di decidere la linea da seguire, ogni compagno ha il diritto ma anche il dovere di esprimere la sua opinine e di conferire al collettivo la sua esperienza. Il collettivo nella sua elaborazione deve tenere conto dell’esperienza di ogni suo membro. Una volta decisa a maggioranza la linea da seguire, tutto il collettivo e ogni suo singolo membro devono responsabilizzarsi perché la linea sia attuata. La disciplina del partito comunista è adesione volontaria, attiva, creativa dell’individuo all’attuazione della linea dell’organizzazione. La disciplina di partito comporta che ogni suo membro lavori con creatività e iniziativa all’attuazione della linea, che impegni nell’attuazione tutte le sue doti e le sue risorse, fatta salva la divisione dei compiti.
Ad esempio, se la linea decisa è che un locale deve essere mantenuto pulito, la direzione dispone e deve disporre che (nell’ambito della divisione del lavoro) qualcuno si occupi della pulizia espressamente, con metodo e con gli strumenti professionalmente idonei della pulizia. Ma ogni compagno che frequenta il locale deve individualmente e spontaneamente non solo evitare di sporcare, ma anche provvedere a rimuovere lo sporco che può essere rimosso alla buona, individualmente e far notare a chi di dovere (all’incaricato della pulizia o al suo dirigente) le lacune nella pulizia e nell’organizzazione della pulizia o nel comportamento collettivo o individuale rispetto alla pulizia del locale che è obiettivo e linea di comportamento comune.
Per questo la direzione deve far conoscere a ogni compagano coinvolto nella questione la linea di comportamento, le motivazioni per cui quella linea è adottata e gli obiettivi che attraverso quel comportamento del collettivo la direzione si proprone di raggiungere. In questo modo si fa anche formazione di ogni compagno a dirigere gli affari pubblici e si stimola ogni compagno a partecipare alla gestione della cosa pubblica. Nella valutazione di ogni singolo compagno non bisogna mai omettere la valutazione del suo comportamento rispetto a compiti e linee comuni, della cui attuazione non è espressamente e individualmente incaricato, ma alla cui realizzazione inevitabilmente partecipa semplicemente perché membro del collettivo.
Finché il singolo compagno o collettivo deve ricorrere al dirigente o all’organismo superiore per decidere come comportarsi nella situazione concreta, ciò significa che c’è la buona volontà di marciare uniti (per questo si chiedono istruzioni e direttive), ma non c’è ancora la capacità di orientarsi da soli, di decidere autonomamente. Ciò significa che non c’è ancora una unità profonda, una comune concezione del mondo, un metodo di conoscenza e analisi comune, per cui autonomamente si decide la linea da seguire nel caso concreto e si trova che è la linea che anche l’organismo dirigente avrebbe indicato.
La minoranza deve attuare la linea della maggioranza, come se fosse convinta che la maggioranza ha ragione e che la divergenza verrà risolta (chiarita nei suoi vari aspetti, ogni particolare assumerà i suoi connotati reali, superata) nel corso dell’azione. Così si risponde alla questione: ma la minoranza può mantenere e continuare a difendere la sua opinione? In sostanza no. La minoranza deve accettare che si è sbagliata o che il collettivo non aveva elementi sufficienti per decidere una linea diversa da quella che ha deciso. Solo una accresciuta esperienza comune eventualmente li fornirà. Solo in sede di bilancio dell’esperienza è possibile e doveroso riprendere in esame la questione, ricchi dell’esperienza compiuta e dei suoi risultati e verificare se la divergenza è superata. A quel punto l’intero collettivo ha più elementi per raggiungere una comprensione superiore della questione, per decidere una linea più giusta e raggiungere un’unità superiore alla semplice sottomissione per disciplina della minoranza alla maggioranza. 
Questo obbliga ogni compagno e tutto il collettivo a impegnarsi nella formazione ideologica e politica di ogni membro del collettivo. Il buon livello ideologico e politico di ogni membro del collettivo è la condizione perché le decisioni del collettivo siano il meglio che esso può decidere. I membri di un collettivo non devono avere livelli troppo diversi di adesione ideologica e politica al partito. Se ci sono nello stesso collettivo compagni di livelli troppo diversi, non ci può essere una effettiva democrazia e una effettiva disciplina comuniste. Compagni di livelli molto diversi devono far parte di collettivi diversi, di distinte organizzazioni del partito.
Di fatto il rapporto minoranza-maggioranza che vige nel partito e in ogni suo collettivo, diventa difficile fino a diventare impossibile più la divergenza coinvolge non diversi risultati dell’inchiesta sulla situazione concreta, ma divergenze di concezione del mondo, di punti di vista. Ma proprio il vincolo disciplinare (e la sua rottura che di fatto si avrà) serve a distinguere le divergenze che si riassorbono (dovute al contrasto tra il vecchio e il nuovo, tra il vero e il falso) da quelle inconciliabili, perché facenti capo a due concezioni del mondo opposte (dovute al contrasto di classe). A sua volta una direzione e  una maggioranza avveduta deve fare attenzione alle ragioni della minoranza: non per concedere e conciliare, ma  come allarme e indizio della parzialità delle proprie posizioni, di errori (eventualmente secondari), di limiti delle proprie vedute e inchieste o dell’inizio di una lotta tra due linee. Insomma non deve trascurare le divergenze né accontentarsi di aver vinto nello scontro.
Uno degli aspetti della disciplina di partito è la divisione del lavoro tra i collettivi e, in ogni collettivo, tra i suoi membri. Il lavoro particolare di cui ogni compagno è incaricato è un apporto particolare ma determinante al lavoro generale. Lo scritto di Mao Tse-tung Al servizio del popolo (vol. 9 di Opere di Mao Tse-tung) illustra lo spirito della divisione del lavoro tra i membri del partito.