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La seconda fase dei primi paesi socialisti

Le lezioni che traiamo dalla decadenza dei primi paesi socialisti

Nel Manifesto del partito comunista (1848) i fondatori del movimento comunista avevano dato una risposta teorica a quanti obiettavano che, togliendo la spinta dell’arricchimento personale da un lato e il pungolo della miseria dall’altro, ogni creatività, attivismo e iniziativa in campo produttivo e sociale sarebbero venuti meno: quindi una società comunista non sarebbe stata in piedi perché l’uguaglianza nella distribuzione avrebbe soffocato la produzione.(7) A questo i comunisti avevano risposto che l’obiezione era in realtà un sofisma. Esaminata in dettaglio, essa poteva essere meglio formulata così: “tolta qualche eccezione, gli uomini per natura hanno la stessa mentalità dei capitalisti e si comportano come loro: ogni individuo fa qualcosa solo se si arricchisce personalmente. Se voi togliete questo incentivo, nessuno farà più niente”. Ma la premessa è falsa. Certo un capitalista si comporta da capitalista: ha denaro e lo impiega solo per ricavare ancora più denaro; la società borghese si regge sull’avidità di denaro (di capitale) di alcuni e sulla miseria che costringe gli altri a vendersi ai primi.(8) Ma i lavoratori non sono capitalisti. Subiscono il capitalismo (come nel passato hanno subito la servitù della gleba, la schiavitù, ecc.), si trovano male sotto il capitalismo, lottano contro il capitalismo e, se si creano le condizioni adatte a fare a meno dei capitalisti, lo fanno. Il movimento comunista ha il compito di creare quelle condizioni.

L’esperienza dei primi paesi socialisti, in particolare dell’Unione Sovietica e della Cina, nella prima fase della loro esistenza, ha confermato pienamente e nella pratica quello che i comunisti avevano detto.(9) In URSS e ancora più in Cina il socialismo aveva ereditato paesi economicamente e culturalmente arretrati, per di più distrutti da lunghi anni di guerra imposta dal sistema imperialista. Dopo l’instaurazione del socialismo entrambi i paesi hanno subito l’ostilità delle più grandi potenze mondiali che distruggevano quello che il socialismo costruiva e cercavano di impedire ogni costruzione e sviluppo: volevano costringere i paesi socialisti alla resa per fame e per il caos. Nonostante questo, nella prima fase della loro esistenza entrambi i paesi hanno raggiunto risultati straordinari anche in campo economico: non solo una distribuzione più egualitaria di quello che si produceva, ma un grande aumento della produzione e un grande sviluppo delle forze produttive materiali e intellettuali. Quando subentrarono ai comunisti con la svolta del 1956 in URSS e del 1976 in Cina i revisionisti moderni (capeggiati rispettivamente da Kruscev e da Teng Hsiaoping), ereditarono paesi ben più progrediti, ricchi ed evoluti dei paesi di cui i comunisti avevano preso la direzione alcuni decenni prima.

I primi paesi socialisti, nella prima fase della loro esistenza, hanno dimostrato nella pratica che la maggior parte della popolazione, quando vede prospettive serie di successo, è capace di unirsi sotto la direzione del partito comunista e nelle proprie organizzazioni di massa e di compiere miracoli di iniziativa e di energia per emanciparsi dalla borghesia e costruire una società comunista.(10) La convinzione di poter finalmente costruire una vita prospera e una società giusta, se è sorretta da condizioni politiche e culturali adeguate e confortata dai risultati, fa delle masse popolari una forza materiale di gran lunga superiore in tutti i campi (da quello economico, a quello militare, a quello spirituale) di gran lunga superiore a quella che la borghesia (per non parlare delle precedenti classi dominanti) è mai riuscita a mettere in campo con la sua volontà di arricchimento personale e con le costrizioni della miseria. È un’esperienza storica che le classi dominanti, dalla borghesia al clero sono lungi dall’aver dimenticato: un incubo che le turba ancora e condiziona la loro attività.

Ovviamente noi comunisti dovremo ancora per anni, finché non daremo anche noi la risposta nella pratica, rispondere con argomenti teorici ai nostri nemici che, nel loro interesse, cercano di distogliere le masse popolari dal comunismo e ripropongono, come niente fosse, la vecchia obiezione che anche la pratica ha ormai ampiamente confutato.(11) Dovremo parimenti continuare a spiegare e a proclamare, con argomentazioni ed esempi, tra i lavoratori e le masse popolari che senza capitalisti, senza la proprietà privata dei mezzi di produzione, senza la libera iniziativa individuale dei capitalisti, senza le leggi “naturali” della loro economica e il mercato, gli uomini e le donne sono capaci di lavorare meglio, con più efficienza e produttività, soddisfare tutti i loro bisogni e creare un benessere quale oggi la maggior parte delle masse oppresse neanche riesce a immaginare. Ma ogni comunista deve essere convinto di questo. Chi non lo è, deve studiare più a fondo il problema. Infatti non è possibile svolgere con buoni risultati il ruolo di comunista se non si è convinti che il comunismo è possibile, vantaggioso e giusto; che è un ordinamento nell’ambito del quale il genere umano potrà soddisfare tutte le aspirazioni materiali, intellettuali e morali che ha maturato finora e partire per una nuova epoca di ulteriore sviluppo; che per le masse popolari il comunismo è un ordinamento sociale da tutti i punti di vista superiore al capitalismo. Il vero combattente crede in quello che fa, il perdente fa senza crederci.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha dunque dimostrato che senza i capitalisti, senza proprietà ed iniziativa economica privata, senza mercato l’attività economica può andare meglio e produrre risultati molto positivi. Ma ha anche dimostrato che ciò avviene solo se c’è un contesto politico, culturale e organizzativo adeguato. Non basta che le aziende non siano più di proprietà privata. Non basta nazionalizzare le aziende dei capitalisti. Chi cerca di capire l’economia di un paese socialista osservando come funzionano le aziende pubbliche di un paese capitalista o di “fare il socialismo” nazionalizzando alcune o addirittura tutte le aziende capitaliste (così predicarono ai loro tempi Togliatti, Mitterand e vari capi della socialdemocrazia negli anni 50, 60 e 70 del secolo scorso), è completamente fuori strada. Non basta neanche che alle aziende pubbliche si aggiunga un piano nazionale di produzione e distribuzione e la nazionalizzazione del commercio estero. In URSS la proprietà privata delle aziende venne reintrodotta solo dopo il crollo del 1991 e fino a quella data le autorità cercarono anche di mantenere in vigore un piano. Eppure la decadenza economica dell’URSS incominciò già negli anni 50, quando Kruscev e la sua corrente riuscirono a imporre al PCUS di dare ai “problemi economici del socialismo in Unione Sovietica” soluzioni copiate dai capitalisti.(12) Ancora oggi in Cina è pubblica (dello Stato o delle amministrazioni pubbliche dei livelli inferiori) la proprietà della maggior parte delle aziende (comunque si misuri la dimensione dell’apparato produttivo). Eppure la Cina è già diventata un gigante dai piedi di argilla, in qualche modo a somiglianza dell’URSS degli anni 70 quando i suoi capi si vantavano di aver raggiunto la parità strategica con gli USA.(13)

La proprietà pubblica delle aziende nel socialismo è una cosa di natura diversa dalla proprietà pubblica delle aziende nel capitalismo, nonostante la confusione dei termini, per precisi motivi.

Perché in un paese socialista economia, politica e cultura sono strettamente combinate (è abolita la divisione tra cittadino e borghese, tra società politica e “società civile” tipica della società borghese) e il potere non è più nelle mani dei capitalisti con la divisione di interessi e di poterete tipica del loro ordinamento sociale, ma è nelle mani del proletariato organizzato e unito con la sua avanguardia rivoluzionaria (il partito comunista) nella volontà e nello sforzo di creare una società comunista.

Perché vi sono uno Stato e una rete di organizzazioni del proletariato e delle masse popolari che mobilitano e impegnano le risorse dell’intera società per promuovere l’emancipazione delle classi prima oppresse, per promuovere l’avanzamento economico, intellettuale e morale degli strati e delle categorie più arretrate, reprimere e tenere a bada la vecchia e la nuova borghesia.

Perché vi è una cultura attivamente al servizio dell’emancipazione, tesa a promuovere la partecipazione delle più ampie masse al patrimonio culturale della società, a portare ogni individuo, in particolare quelli delle classi e degli strati arretrati e prima oppressi, al massimo livello di cui è capace.

Perché tutti i membri delle masse popolari sono in ogni modo spinti a organizzarsi e a partecipare con dignità, responsabilità e autorità alla gestione della vita sociale.

In breve: nella società socialista è rotta la divisione tra struttura e sovrastruttura, tra economia e politica, tra società civile e società politica; le masse popolari sono organizzate al massimo livello di cui sono capaci e hanno una direzione capace e devota alla causa della loro emancipazione da ogni direzione, dedita quindi a promuovere non solo il benessere materiale delle masse popolari, ma anche a promuovere l’innalzamento del grado di organizzazione e del livello di coscienza dell’intera popolazione, in particolare della parte più arretrata: il suo innalzamento infatti è condizione necessaria per il progresso e il benessere di tutti. Nel socialismo l’obiettivo della direzione non è una popolazione che “non disturba il manovratore”, ma una popolazione che impara e progredisce nel prendere in mano i comandi.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha mostrato che il problema della direzione e quindi del partito comunista è il problema decisivo del socialismo, nel bene e nel male, per il successo e per l’insuccesso. Nel socialismo, nella fase iniziale o inferiore del comunismo, il genere umano è principalmente impegnato a liberarsi dalle eredità del passato ancora presenti in ogni campo: del passato borghese ma anche di un passato ben più lungo che comprende tutta la storia dell’umanità basata sulla divisione e oppressione di classe. In tutta la storia che noi abbiamo alle spalle la massa della popolazione è stata usata come massa di manovra della classe dominante, tenuta lontano dalla responsabilità di decidere della propria sorte. Ancora oggi, anche nei paesi borghesi più democratici dell’Italia, ad esempio negli USA o in Inghilterra, la classe dominante si preoccupa soprattutto di tenere tranquilli i lavoratori, di distrarli, divertirli, dividerli, manipolarli o spaventarli a secondo dei casi. Mai di dare loro coscienza, cultura, conoscenza e mezzi per decidere responsabilmente della vita della società. Qualche decennio fa uno dei più grandi capitalisti USA si vantava di “poter armare metà della popolazione per sparare sull’altra metà. Neville Chamberlain, cancelliere dello Scacchiere dal 1931 al 1937 e primo ministro dal 1937 al 1940 a Londra, considerava la popolazione britannica “una grande massa di votanti, uomini e donne, molto ignoranti, dalla scarsa intelligenza e incapaci di valutare i fatti” che lui nascondeva e travisava in modo da sfuggire all’opposizione del pubblico britannico alla sua politica di collaborazione e cospirazione con Hitler per portare la Germania in guerra contro l’URSS. Il suo successore Winston Churchill definiva il popolo “una massa dedita solo a soddisfare i suoi istinti bestiali” e dichiarava che “le elezioni, anche nelle democrazie pùi civili, sono sempre una disgrazia e un turbamento del progresso sociale, morale ed economico”. Quanto al nostro paese, è dottrina ufficiale della Chiesa cattolica che il Papa, i vescovi e i preti devono dire al popolo cosa fare (solo loro sono in collegamento diretto con Dio!). Giovanni Gentile, l’organizzatore del sistema scolastico italiano, reputava che nelle suole per la massa della popolazione bisognava insegnare la religione, benché lui fosse ateo, perché la religione educava la massa a osservare i suoi doveri. Berlusconi e Letizia Moratti dichiarano sfacciatamente che nelle scuole sarebbe spreco di tempo e denaro dare ai figli dei lavoratori una cultura generale: basta insegnargli un mestiere. Cosa pensino simili portavoce della classe dominante dei sindacati (per non parlare del partito comunista) è noto: se non ci fossero, sarebbe meglio. Ma se proprio ci devono essere, che siano almeno collaborativi (con i padroni) come la CISL. Della democrazia nei sindacati, sono perfettamente d’accordo con i bonzi a bandirla: solo i dirigenti sono adatti a “concertare” con i padroni.

Con simile eredità, nonostante i progressi nell’organizzazione, nella mobilitazione e nella coscienza delle masse senza i quali non si sarebbe riusciti a vincere la borghesia e instaurare il socialismo, nel socialismo le masse popolari non possono fare a meno di un corpo di dirigenti che per molti aspetti resta ancora ben distinto dal resto delle masse popolari, per quanto sia legato ad esse e goda della loro fiducia. L’esperienza del movimento comunista lungo i 200 anni della sua esistenza, quella della prima ondata della rivoluzione proletaria e quella dei primi paesi socialisti, hanno concordemente confermato questa tesi e smentito le tesi anarchiche, movimentiste, spontaneiste messe alla prova della pratica dai loro esponenti. Ad ogni livello del movimento comunista e della società socialista, la direzione non è una funzione che può essere svolta dall’uno o dall’altro scelto sul momento e più o meno a caso, come sarà in condizioni sociali diverse, nel comunismo. La società socialista (come in generale il movimento comunista) deve selezionare, formare, proteggere, verificare e controllare i propri dirigenti e funzionari ed epurare frequentemente e sistematicamente le proprie fila dagli elementi che diventano indegni o semplicemente incapaci di svolgere un ruolo ancora così importante. È una condizione indispensabile per lo sviluppo e anche solo per la sopravvivenza di un paese socialista. Un buon dirigente delle masse popolari (quindi in particolare un membro del partito comunista) combina in sé ferma e duratura dedizione alla causa, capacità di farsi portavoce degli interessi delle masse popolari anche in condizioni che possono molto variare, capacità di parlare alle masse popolari e di ascoltarle (di insegnare alle masse popolari e di imparare da esse). A parità di doti personali, queste caratteristiche si acquistano con la pratica (con l’esperienza) e con lo studio. Non è quindi un caso che la classe operaia, come ogni altra classe oppressa, ha difficoltà a esprimere e formare propri dirigenti e portavoce, propri “intellettuali”. Per di più questi man mano che emergono, diventano bersaglio della repressione borghese e sono decimati: sono sottoposti a una dura prova di sopravvivenza.

I membri del partito comunista e i dirigenti delle altre istituzioni della società socialista sono i depositari del potere nella società socialista in un senso e a un grado assolutamente diverso dagli uomini politici delle società borghesi. La società socialista ha abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’economia mercantile, il capitale e il mercato: cioè la trama della “società civile” della società borghese, dei suoi “uomini autorevoli” anche quando non sono investiti di cariche pubbliche. Essa ha unificato, fuso, economica, politica e cultura. La società socialista ha bisogno per tutto un periodo storico di questi dirigenti di un tipo specificamente suo, che hanno un legame con le masse anch’esso specifico della società socialista.(14) Il bisogno di un corpo speciale di dirigenti verrà certamente meno, ma solo man mano che si estingueranno le eredità che la società borghese lascia alla società socialista. Solo man mano che, per lo sviluppo di tutti gli aspetti della società, per la crescita culturale e morale della massa della popolazione che la società socialista promuove consapevolmente e programmaticamente, per la semplificazione della vita sociale che avverrà man mano che nella pratica si afferma e diventa spontanea e universale quell’unificazione di struttura e sovrastruttura di cui sopra, per l’attenuazione delle divisioni di classe e di tutte le loro espressioni (nelle divisioni dei sessi, città/campagna, zone e settori avanzati/zone e settori arretrati, lavoro intellettuale/lavoro manuale, ecc.), le funzioni direttive cesseranno di essere per forza di cose monopolio di una minoranza a cui le masse popolari riconoscono le attitudini intellettuali e morali per esercitarle e diventeranno funzioni che almeno una larga parte della popolazione adulta è in grado di svolgere. Allora il distacco in termini di conoscenze e di attitudini tra i dirigenti e la massa della popolazione si sarà ridotto fino quasi ad annullarsi.

L’esperienza ha ripetutamente smentito la teoria dei trotzkisti sulla burocrazia. I trotzkisti e i loro simili spiegano ogni difficoltà e ogni sconfitta dei paesi socialisti, dei partiti comunisti, dei sindacati, ecc. con una formuletta semplice e buona per tutte le occasioni: burocrazia. Questa concezione auspica una società senza dirigenti (funzionari), perché i dirigenti sarebbero la negazione della rivoluzione e del socialismo. Ma senza dirigenti e funzionari non c’è mai stata alcuna rivoluzione socialista né alcun paese socialista. In realtà il movimento comunista ha avuto dirigenti (funzionari) buoni, eroici, d’avanguardia, che hanno reso servizi inestimabili alle classi oppresse. Ha avuto anche dirigenti (funzionari) incapaci, inetti, corrotti, imbevuti di concezioni, sentimenti e metodi borghesi, succubi dell’influenza della borghesia, traditori. I trotzkisti confondono gli uni e gli altri in una unica condanna: burocrazia. In questo modo impediscono di distinguere, selezionare, verificare, epurare, proteggere. La teoria trotskista della burocrazia è una teoria inconsistente, anarchica. Idealizza i partiti e movimenti della Seconda Internazionale privi di funzionari perché i dirigenti erano gli avvocati, i giornalisti, i dottori, i maestri, i farmacisti, i deputati, i professionisti: in breve gente a cui la società borghese per sua natura concedeva mezzi e tempo per dirigere. Una situazione che escludeva i rivoluzionari di professione e limitava l’indipendenza del movimento comunista dalla borghesia.

È impossibile abolire i dirigenti (funzionari) in un movimento comunista che vuole essere indipendente dalla borghesia, come è impossibile abolire lo Stato in un paese socialista. Gli uni e l’altro si estinguono, vengono meno man mano che per la propria vita sociale le masse popolari non ne hanno più bisogno. Senza dirigenti (funzionari) oggi non è possibile fare la rivoluzione, instaurare il socialismo, condurre la transizione verso il comunismo. L’abolizione dei dirigenti (funzionari) è un’utopia che fa del socialismo un sogno impossibile da realizzare.

Ciò che ha rovinato i primi paesi socialisti (e anche tanti partiti comunisti in ogni angolo del mondo) non sono i dirigenti (funzionari) in generale. Essi sono stati rovinati perché è prevalsa quella parte dei dirigenti (funzionari) che seguivano una linea borghese e affrontavano i problemi della società socialista con una concezione e con metodi borghesi. Ciò su cui bisogna vigilare è che i dirigenti e i funzionari seguano una linea giusta e siano al servizio delle masse. Teoria e pratica sono connessi. L’unità teoriapratica è un dovere perché è un dato di fatto che solo una teoria giusta guida a risolvere i problemi pratici, e un teorico che rinuncia a risolvere i problemi pratici prima o poi cessa di avere teorie vere. I primi paesi socialisti, hanno mostrato per alcuni decenni che è possibile vigilare con successo ad avere dirigenti che seguono una linea giusta e sono al servizio delle masse. La loro esperienza ha fornito, con le vittorie e con le sconfitte, molta conoscenza di metodi e criteri per condurre con successo questa lotta. La teoria della lotta tra le due linee nel partito comunista e la teoria della lotta di classe nella società socialista sono due dei principali contributi del maoismo al pensiero socialista.(15) La lotta tra le due linee nel partito comunista e la lotta di classe nei paesi socialisti sono la chiave di salvezza e di sviluppo dei partiti comunisti, della rivoluzione socialista e dei paesi socialisti.

Non è quindi vero che “la burocrazia” è la fonte dei mali del movimento comunista e dei paesi socialisti. È però vero che la nuova borghesia, la borghesia tipica e specifica dei paesi socialisti, si forma e può formarsi solo tra i membri del partito comunista e tra i dirigenti delle altre istituzioni della società socialista. I motivi li abbiamo già visti: stanno nel ruolo del tutto specifico che la società socialista richiede che essi esercitino. Esagerando per essere più chiari nell’esprimere il concetto, si può dire che come la dittatura del proletariato è pur sempre uno Stato (cioè una macchina per reprimere e opprimere) sia pure di tipo nuovo e particolare, analogamente i dirigenti di una società socialista sono pur sempre dei padroni (hanno un potere sugli altri) sia pure di tipo nuovo e particolare. E non può che essere così, date le condizioni oggettive della società socialista, condizioni che cambieranno solo man mano che procederà la transizione al comunismo. Un gruppo dirigente veramente rivoluzionario è la parte più preziosa e più difficile a farsi di una società socialista. Il gruppo dirigente è anche la parte della società socialista più fragile: la parte più esposta a deviazioni, alla corruzione e alla degenerazione, il bersaglio preferito degli attacchi borghesi, la maggior fonte di rischio per lo sviluppo del socialismo. È quindi anche ovvio che sia il bersaglio principale delle epurazioni. Tutto questo si attenuerà fino a scomparire solo man mano che nella società socialista si attenuerà fino a scomparire la distinzione tra dirigenti e diretti. Se non si tratta in modo giusto questa contraddizione (con la formazione e selezione dei dirigenti, con il controllo, l’epurazione e la difesa da parte delle masse, con gli altri metodi che l’esperienza ha mostrato e meglio mostrerà studiandola più a fondo) la nuova borghesia, che in qualche misura esiste nel corpo dei dirigenti per la natura stessa della società socialista e del loro ruolo, si sviluppa e può arrivare a prendere il potere e a imprimere ai paesi socialisti una direzione opposta a quella che conduce al comunismo.

Un processo per alcuni versi analogo avviene anche nei partiti comunisti prima della conquista del potere: la degenerazione dei partiti comunisti è sempre incominciata nei vertici. Ma non è vero che è inevitabile. I dirigenti dei partiti comunisti subiscono l’influenza della borghesia più dei semplici membri del partito e tanto più quanto o più alto è il loro ruolo. Sono più esposti alle pallottole di piombo e alle pallottole di zucchero, alle pressioni e alle lusinghe della borghesia. Non solo. Nell’esercizio del loro potere e nel compimento delle loro funzioni sono spontaneamente tentati di imitare gli esempi borghesi che li circondano da mille lati, di comportarsi da padroni delle masse anziché da servitori delle masse e ausiliari della loro emancipazione da ogni direzione. Di fronte a ogni cambiamento importante nelle condizioni della lotta di classe è praticamente inevitabile che il gruppo dirigente del partito comunista si divida in due parti. Una parte che si mette con audacia ed eroismo alla testa del proletariato rivoluzionario all’altezza dei nuovi compiti. Un’altra parte che non è più all’altezza della situazione e prima o poi concilia con la borghesia, devia verso di essa e addirittura si unisce ad essa. La consistenza e il ruolo politico di ognuna delle due parti dipendono ovviamente dalla capacità della sinistra di condurre con preveggenza e in modo giusto la lotta tra le due linee, di distinguere e trattare diversamente gli errori e le deviazioni, ma di trattare entrambi in modo a ciascuno adeguato.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha mostrato che senza una politica, una cultura e un sistema di organizzazione che favoriscono la mobilitazione, la crescita intellettuale e morale e la partecipazione alla vita sociale di lavoratori, delle donne, dei giovani, dei membri dei gruppi e delle categorie più arretrate, che l’oppressione borghese ha più relegato ai margini della società, anche se non è ancora restaurata la proprietà, l’attività economica della società socialista rallenta il suo sviluppo, diminuisce la sua tensione a soddisfare i bisogni e migliorare il benessere delle masse popolari, ristagna e nel giro di un certo tempo si trasforma in un affare di combriccola più o meno ingorda, esclusive e criminali; la politica si trasforma in un sistema di oppressione. A nulla vale la resistenza individuale e disorganizzata, per quanto diffusa sia, di operai avanzati e di comunisti. Togliete in un paese socialista il potere a chi vuole il comunismo e quindi persegue la soddisfazione dei bisogni e il benessere delle masse, la loro emancipazione da ogni classe dirigente e la scomparsa delle divisioni in classe. Datelo a chi aspira all’arricchimento personale e alla perpetuazione del privilegio materiale e intellettuale o anche solo li accetta. Riducete all’isolamento individuale i lavoratori, sciogliete o allentate le organizzazioni che conferiscono potere sociale ai lavoratori, interrompete il legame dei vertici con le organizzazioni di base e di queste con le masse. Un po’ alla volta allora verranno meno i fattori di coesione e di slancio propri del socialismo, si instaurerà una linea generale borghese. Giunti a questo punto la mancanza di proprietà privata capitalista e la mancanza del mercato, che erano fattori di forza e di coesione del socialismo, diventano fattori di debolezza, di anarchia, di decadenza, di irresponsabilità e di inerzia nell’ordinamento bastardo che si è creato. I paesi socialisti diventano più deboli e meno stabili dei paesi capitalisti.

La mancanza di relazioni mercantili e di un collaudato sistema di prezzi, le relazioni di dipendenza personale ritornano a imporsi: tanto più facilmente quanto più la società è arretrata e povera. Avviene su scala più vasta, a questo punto, quello che normalmente nei paesi imperialisti si riscontra nelle aziende pubbliche, nella pubblica amministrazione e nelle grandi aziende private (nelle società per azioni, ecc.): la corsa a tirare vantaggi e ricchezze personali dai beni sociali (abuso di beni sociali), l’irresponsabilità, la corruzione, la vendita di favori. Le relazioni personali diventano tramite per concludere affari. La rete delle conoscenze personali si trasforma in rete d’affari. La lotta contro la corruzione diventa un vano, quando non ipocrita, agitarsi contro il corso generale della cose, una predica rituale, un mezzo per manovre e vendette.

In una società che, anche se si dichiara socialista, onora la ricchezza individuale, rispetta, esalta e ammira l’arricchimento individuale, la proprietà pubblica diventa terreno di caccia individuale. Il ruolo che l’individuo ha nelle aziende pubbliche e nella pubblica amministrazione diventa mezzo di arricchimento, strumento di favori e di potere irresponsabile. La mancanza di proprietà privata capitalista rende i paesi socialisti in decadenza più deboli dei paesi capitalisti: rende più arbitrari i rapporti, toglie incentivo all’aumento della produttività del lavoro e alla riduzione dei costi di produzione, all’innovazione di processo produttivo e di prodotto, alla ricerca e all’applicazione della ricerca alla produzione. La dissociazione tra i dirigenti e l’azienda, che è già evidente e operante anche nelle società per azioni della società borghese, diventa totale nella società socialista in decadenza. Soperchierie e servilismo si generalizzano. Il distacco tra la legge e la morale ufficiale e la pratica ingigantisce. Si va in un certo senso verso quella inerzia generale che gli oppositori del comunismo giustamente predicevano avrebbe colpito i capitalisti e i borghesi se li si fosse privati dell’incentivo unico o principale del loro attivismo: l’arricchimento individuale. Nelle società socialista in decadenza l’arricchimento individuale è reintrodotto, ma per il dirigente non è legato al successo dell’azienda: è legato al saccheggio delle aziende, della pubblica amministrazione, della proprietà pubblica. In mancanza di un mercato sviluppato, il successo dell’azienda non è legato alla sua efficienza. Il furto e l’appropriazione indebita di beni pubblici, anziché la valorizzazione del capitale aziendale sono la via per l’arricchimento individuale. Tanto più illimitati, quanto più le aziende restano sottratte alla concorrenza che impone a ogni singola frazione di capitale, come costrizione esterna, la legge intrinseca, naturale del modo di produzione capitalista: la valorizzazione del capitale, l’accumulazione del capitale, il massimo profitto.

Una volta distrutta la sovrastruttura socialista, nei paesi socialisti la mancanza di proprietà privata capitalista e di iniziativa economica privata individuale diventano un fattore di degradazione anche per la vita politica. La mancanza di più partiti, di elezioni, di parlamenti, ecc. insomma delle istituzioni tipiche della società borghese priva i contrasti di interesse, che nella realtà sorgono e si sviluppano, di forme istituzionali in cui esprimersi e trovare una composizione: lascia quindi spazio all’arbitrio, alle consorterie, alle combinazioni criminali o comunque illegali, agli intrichi, alle mafie, alle sette, alla violenza aperta e brutale che mal si confà con il buon svolgimento degli affari.

Il parassitismo, la criminalità e l’autoritarismo che permeano e pervadono tutti i paesi a capitalismo monopolistico di Stato, dalla Germania agli USA, dalla Svezia al Giappone, nei paesi socialisti in decadenza sono elevati all’ennesima potenza perché manca quella struttura di vecchio capitalismo, fatto di aziende medie e piccole, che nei paesi imperialisti emerge quando va a carte quarantotto la sovrastruttura imperialista del capitale finanziario e monopolista, manca la divisione dei poteri e il resto dell’armamentario sovrastrutturale borghese.

In barba alla teoria primitiva e pretesca della natura umana, i vizi individuali sono un prodotto sociale, così come le virtù. Buoni ordinamenti sociali producono individui virtuosi. Ordinamenti sociali criminali promuovono la proliferazione di criminali. Sul terreno della restaurazione capitalista avanzano anche la degenerazione morale, la sfiducia nei propri simili, il cinismo, la disperazione, l’abbrutimento e la depravazione selvaggia dei singoli che tanto balza agli occhi tra le macerie dei primi paesi socialisti. I vizi e i crimini diffusi ma in qualche misura e in qualche modo velati dei vecchi paesi imperialisti qui si presentano sfacciatamente in tutta la loro ripugnate nudità e diventano forme di potere, simbolo ed espressione della nuova classe dirigente e del suo seguito e codazzo di fautori: si combinano i peggiori dei revisionisti moderni, i rampolli delle vecchie classi dominanti cresciuti all’interno o nell’emigrazione e gli esponenti più audaci delle vere e proprie reti criminali costituitesi all’ombra dei revisionisti moderni, sotto la loro protezione e in collusione con essi.

La decadenza dei primi paesi socialisti sotto la direzione dei revisionisti moderni mostra e conferma che una società borghese negli usi, nei costumi, nei valori, nelle relazioni, insomma nella sovrastruttura, ma priva della responsabilità che la proprietà privata capitalista comporta e della costrizione della concorrenza è precaria, non riesce a riprodursi ed è destinata quindi a disgregarsi. I primi paesi socialisti quando erano diretti dai comunisti avevano resistito vittoriosamente all’aggressione e fatto fronte con successo al sabotaggio, al boicottaggio e alla cospirazione degli esponenti delle vecchie classi dominanti spodestate. Sotto la direzione dei revisionisti moderni divennero fragili e vulnerabili. I paesi di cui i revisionisti moderni si erano impadroniti erano gli ordinamenti del futuro, sia pure ancora in germe. Essi li misero al seguito dei paesi imperialisti come se fossero paesi dello stesso genere ma arretrati, eressero l’imitazione dei paesi imperialisti a modello di sviluppo. Ma come paesi capitalisti, i paesi socialisti che essi avevano preso in mano erano indubbiamente deboli e goffi. Gli imperialisti avevano circondato i primi paesi socialisti di un “cordone sanitario” tanto temevano la loro influenza sulle classi oppresse, vale a dire sulla massa della popolazione dei paesi imperialisti. Nei paesi socialisti diretti dai revisionisti gli imperialisti invece reclutarono in massa agenti e simpatizzanti: la loro influenza culturale divenne un fenomeno di massa che destabilizzava i paesi socialisti. In mancanza di una ripresa rivoluzionaria, prima o poi doveva arrivare il crollo e la proprietà privata capitalista.

La nuova borghesia cinese ha a suo modo tratto delle lezioni dalla decadenza dell’URSS. Il suo obiettivo è eguale a quello che aveva la nuova borghesia sovietica all’epoca di Kruscev e di Breznev: un paese borghese ricco e potente. La liquidazione delle conquiste del socialismo pone però anche ad essa gravi problemi di stabilità politica. Essa non si illude, come invece si illuse la nuova borghesia sovietica, di poter raggiungere il suo obiettivo senza proprietà privata capitalista e senza mercato. Quindi ha lanciato “l’economica socialista di mercato” e cerca di attuarla per quanto le riesce.

Non si accontenta di lanciare ai dirigenti delle imprese pubbliche l’esortazione ufficiale a dirigere le loro imprese come imprese capitaliste, a trattare le imprese loro affidate come capitale da valorizzare. Assedia le imprese pubbliche con un mercato di aziende capitaliste individuali o per azioni, cinesi o straniere. Le combina in joint ventures con imprese capitaliste. Le trasforma in società per azioni e apre ai capitalisti la partecipazione al capitale azionario e alla gestione. Le privatizza. Ma ancora oggi imporre il pagamento delle rendite, la remunerazione dei capitali presi a prestito (interessi) o dei capitali investiti (profitti) resta un problema da risolvere. Il sistema bancario, le Borse e il sistema finanziario sono punti deboli della borghesia cinese. Punti deboli strettamente connessi alla liquidazione delle vestigia del socialismo. Un’impresa di importanza storica il cui esito è ancora tutt’altro che scontato.

L’esperienza dei primi paesi socialisti nella loro seconda fase conferma che l’economicismo (trasformare la base economica senza trasformare la sovrastruttura) non sta in piedi. Struttura e sovrastruttura sono due astrazioni distinte che hanno esistenza reale solo come determinazioni di una stessa realtà concreta, nella loro unità contraddittoria. È la conferma del tema centrale della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria: per conservare e sviluppare la struttura socialista, occorre portare avanti la rivoluzione nei campi della sovrastruttura. A grandi linee, la teoria della “banda dei cinque” ha indicato la strada per i futuri paesi socialisti.(16)

Nicola P.


Note:

(7) L’obiezione e la risposta sono riprese anche nel Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano - Segreteria Nazionale dei CARC 1998, pag. 109.

(8) Il capitalista è l’ultima reincarnazione storica, nell’evoluzione del genere umano, dell’uomo produttivo che lotta con tutte le sue forze contro la natura per strapparle di che vivere e riusciva a sopravvivere solo impedendo agli altri di condividere la preda.

(9) Per le divisioni dell’esistenza dei primi paesi socialisti in fasi si veda l’articolo Sull’esperienza storica dei paesi socialisti nella rivista Rapporti Sociali n.11 (novembre 1991). Per l’URSS la prima fase va dalla Rivoluzione d’Ottobre (1917) al 1956 e la seconda fase dal 1956 al 1991. Per la Repubblica Popolare Cinese la prima fase va del 1949 al 1976 e la seconda fase è ancora in corso.

(10) Anche nei periodi in cui la lotta di classe fu più aperta, dispiegata e cruenta, nonostante l’enorme sostegno che la controrivoluzione riceveva da tutto il mondo (dalle maggiori potenze economiche, militari e spirituali del vecchio mondo: dagli USA, all’Europa, al Vaticano) e le speranze di rivincita che questo appoggio manteneva e alimentava nelle classi spodestate, nonostante l’enorme influenza intellettuale e morale che le classi spodestate mantenevano sulle parti più arretrate della popolazione e la grande esperienza di organizzazione, di comando, di mobilitazione e manipolazione delle vecchie classi spodestate, nonostante la forza di abitudini millenarie e la difficoltà ad assimilare le novità che accompagnavano e costituivano il socialismo, nonostante la mancanza di esperienza, gli errori e i limiti dei comunisti e dei loro seguaci, la dittatura del proletariato non colpì mai con la repressione più del 5% della popolazione, né in URSS né in Cina. Il che è straordinariamente poco, se si tiene conto del rivoluzionamento di rapporti, abitudini e condizioni e dello sforzo produttivo e militare che il socialismo e la difesa dalle aggressioni esterne comportavano. Poco anche se lo si paragona alla massa di emarginati, di detenuti, di criminali, di umiliati, di deformati, di malnutriti e avvelenati, insomma di vite distrutte e di persone alla deriva che comporta ogni paese capitalista, anche il più avanzato e il più ricco (ad es. gli USA), anche nei periodi di maggiore prosperità e fiducia che ha attraversato. Senza tener conto che la repressione che la dittatura del proletariato esercitava, era destinata a estinguersi; mentre le vite distrutte dei paesi capitalisti non potevano (e non possono) che aumentare quando subentravano gli inevitabili periodi di crisi e di guerra.

(11) Attualmente, dopo la svolta anticomunista dell’URSS (1956) e il suo crollo (1991) e la svolta anticomunista in Cina (1976), la borghesia si sforza di addebitare al socialismo gli avvenimenti e i risultati causati nei primi paesi socialisti proprio dalla svolta anticomunista promossa e capeggiata dai suoi ammiratori, seguaci e imitatori: i revisionisti moderni (Kruscev, Breznev, Teng Hsiaoping per nominare solo i caporioni della corrente).

(12) Nel 1952, un anno prima della sua morte, Stalin (18791953) aveva pubblicato l’opuscolo Problemi economici del socialismo in Unione Sovietica. In esso indicava che in URSS, in campo economico, erano maturate contraddizioni che, se non affrontate bene, avrebbero potuto degenerare. Cosa che infatti avvenne.

(13) Per la illustrazione di questa ultima tesi rinvio all’articolo L’invasione cinese di Anna M. in questo stesso n.22 di La Voce.

(14) Le masse popolari sono oppresse perché sono ignoranti o sono ignoranti perché sono oppresse? È la storia dell’uovo e della gallina. Oppressione e ignoranza costituiscono un cerchio infernale in cui una cosa produce e conserva l’altra. Le masse popolari non riescono a liberarsi dall’oppressione finché non si liberano dall’ignoranza; non riescono a liberarsi dall’ignoranza finché non si liberano dall’oppressione. La rottura del cerchio infernale è pratica, come la questione dell’uovo di Colombo. Il partito comunista, le organizzazioni di massa, la rivoluzione socialista, l’instaurazione del socialismo, i paesi socialisti, cioè il movimento comunista: ecco la rottura del cerchio infernale oppressioneignoranza! La dottrina anarchica (e militarista) pone l’eliminazione dell’oppressione come premessa della eliminazione dell’ignoranza. La dottrina riformista della “educazione popolare” pone l’eliminazione dell’ignoranza come premessa dell’eliminazione dell’oppressione. Né l’una né l’altra sono adatte per rompere il cerchio infernale.

(15) Per l’illustrazione dei 5 principali contributi del maoismo al pensiero comunista si veda l’articolo L’ottava discriminante in La Voce n.10 (marzo 2002).

(16) I controrivoluzionari cinesi capeggiati da Teng Hsiaoping nel 1976, un mese dopo la morte di Mao, arrestarono i quattro principali dirigenti della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e li soprannominarono la “banda dei quattro”. Fecero quanto potevano per far dimenticare che in realtà il vertice della GRCP era stato capeggiato da Mao. La “banda dei quattro” era in realtà la “banda dei cinque”.