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  La Voce 37 del (nuovo)Partito comunista italiano

Bilancio della campagna “11 ottobre Pistoia”

Premessa

Il 31 gennaio a Pistoia si è concluso il processo di primo grado contro i sei antifascisti toscani (tra cui i compagni Alessandro Della Malva e Juri Bartolozzi del Partito dei CARC) accusati di aver fatto irruzione l’11 ottobre 2009 nel covo fascista che Casa Pound ha nella città. La sentenza è stata: un’assoluzione (per il livornese Alessandro Orfano) e condanne a due anni di carcere (sospesi con la condizionale) per gli altri cinque antifascisti per il reato di “danneggiamento aggravato” (l’accusa di “devastazione e saccheggio” è stata derubricata: non poteva essere altrimenti stante le sentenze emesse su questo procedimento dalla Cassazione e dal Tribunale del Riesame), più il pagamento di circa 9 mila euro (da dividere tra i condannati) per il risarcimento chiesto dal fascista Dessì e da Casa Pound e delle spese legali. Questa sentenza emessa dal giudice Luciano Costantini (affiancato da Antonella Frizzillio e Laura Bonelli) è parte della montatura orchestrata dal questore Maurizio Manzo (già noto per il suo appoggio a Forza Nuova e ai Bulldog quando era questore a Lucca) con la complicità del PM Luigi Boccia (dimessosi a luglio e sostituito dall’altrettanto zelante persecutore Renzo Dell’Anno, procuratore capo di Pistoia), dei vertici della DIGOS di Pistoia (vicequestore aggiunto Luigi La Rotonda e ispettore Roberto Milicia) e dei fascisti di Casa Pound (Massimo Dessì, Michele Romondia, Marco Lucarelli).

L’operazione repressiva mirava a stroncare il nascente Coordinamento regionale contro le ronde fasciste e razziste del Pacchetto Maroni, che nel settembre-ottobre 2009 si stava strutturando in Toscana a seguito dell’azione svolta dalla Ronda Popolare Antifascista e Antirazzista che il 25 luglio 2009 era scesa in strada a Massa per contrastare la Ronda SSS promossa da La Destra. Il questore Manzo mirava dunque ad assestare un duro colpo, a disgregare il movimento antifascista toscano (così come è avvenuto con l’azione repressiva che ha colpito gli antifascisti milanesi l’11 marzo 2006) e favorire il radicamento dei gruppi fascisti nella regione. Le cose però sono andate in maniera differente.

La campagna “11 ottobre Pistoia” è stata una campagna articolata (è durata un anno e mezzo, da ottobre 2009 a gennaio 2011), ricca di sviluppi e di esperienze: una miniera di insegnamenti da analizzare con cura e scienza. In questo articolo le analizzo, con l’obiettivo di:

1. affinare la nostra capacità di condurre campagne, battaglie e operazioni tattiche attraverso cui avanzare nella GPRdiLD che stiamo conducendo;

2. affinare la nostra capacità di orientare, organizzare e mobilitare le masse popolari nella lotta per stroncare le “prove di fascismo”;

3. elevare e migliorare l’orientamento con cui condurremo la nuova fase che si apre dopo la condanna di primo grado, ossia la fase dell’appello.

 

Analizzare la campagna alla luce della GPRdiLD

Per comprendere bene il lavoro svolto in questa campagna occorre analizzarlo alla luce della nostra strategia: la GPRdiLD. Solo ponendo al centro la strategia che ci guida possiamo infatti comprendere se e come questa campagna ha contribuito alla lotta che stiamo conducendo, individuare gli aspetti positivi e quelli negativi, tracciare linee di sviluppo adeguate e lungimiranti. Non porre la nostra strategia al centro dell’analisi porterebbe inevitabilmente ad analisi eclettiche, “a naso”, empiriche, anziché effettuare un processo di verifica scientifica del nostro operato. Sarebbe come analizzare il lavoro svolto da un singolo reparto di una fabbrica senza tener conto del piano complessivo che dirige l’insieme dell’azienda e degli obiettivi che questo piano pone. Il primo passo da fare, quindi, è fissare cosa intendiamo per GPRdiLD.

L’essenza della GPRdiLD consiste nella costruzione del Partito comunista come centro del Nuovo Potere popolare della classe operaia; nella mobilitazione e aggregazione crescente di tutte le forze rivoluzionarie della società attorno al Partito comunista; nella elevazione del livello delle forze rivoluzionarie; nella loro utilizzazione secondo un piano per sviluppare una successione di iniziative che pongono lo scontro di classe al centro della vita politica del paese in modo da reclutare nuove forze, indebolire il potere della borghesia imperialista e rafforzare il nuovo potere, arrivare a costruire le forze armate della rivoluzione, dirigerle nella guerra contro la borghesia fino a rovesciare i rapporti di forza, eliminare lo Stato della borghesia imperialista e instaurare lo Stato della dittatura proletaria.” (Manifesto Programma, cap. 3.3. pag. 203).

Fissato cosa intendiamo per GPRdiLD, possiamo fare il passo successivo, ossia indicare qual è il legame che deve esistere tra una singola campagna e l’insieme della GPRdiLD e, quindi, come si verificano i risultati conseguiti dalla singola campagna.

(…) la rivoluzione socialista è un processo unitario. Mille sono i tipi di lotta che compongono questo processo e gli episodi attraverso i quali esso si svolge. Ma essi compongono un unico processo. Ognuno di essi vale nella misura in cui fa avanzare l’intero processo: questo è il metro per decidere la linea da seguire in ogni episodio e in ogni campo particolare e su cui valutare il risultato della nostra azione. Per dirigere in modo giusto l’intero processo e ogni suo singolo passaggio e componente, dobbiamo comprendere il filo che unisce i vari tipi di lotta e i vari episodi, dobbiamo dirigere ognuno di essi tenendo il debito conto del suo carattere universale e del suo carattere particolare e usando il particolare per realizzare il generale. Dobbiamo comprendere come una fase prepara e genera la successiva. Dirigere in modo giusto la lotta in un fase vuol dire fare in modo che essa generi la fase successiva. Bisogna tener conto del legame che unisce tutti gli scontri e tutti gli eventi l’uno all’altro, bisogna tener conto che ogni evento ne genera un altro, bisogna tener conto che il risultato qualitativo è generato dall’accumulazione quantitativa. Ogni lotta particolare deve contribuire a realizzare la vittoria finale: in concreto deve contribuire ad allargare la lotta, a portarla ad un livello superiore, sviluppare nuove forze, aprire nuovi fronti di lotta, rafforzare le forze che l’hanno combattuta. Ogni fase deve preparare il terreno e le forze per la fase successiva. D’altra parte per condurre vittoriosamente in porto uno scontro, bisogna tener accuratamente conto del maggior numero possibile dei suoi aspetti particolari.” (Manifesto Programma, cap. 3.3. pagg. 201-202).

Abbiamo ora in mano le chiavi di lettura necessarie per analizzare la campagna svolta alla luce del marxismo-leninismo-maoismo.

 

Quanto questa campagna ha contributo all’accumulazione delle forze rivoluzionarie?

Il lavoro svolto nel corso di questo anno e mezzo ha alimentato la lotta contro le prove di fascismo, sia in Toscana che a livello nazionale, in particolare però in Toscana (per i limiti nella gestione su scala nazionale della campagna, che analizzerò più avanti). Nella regione, infatti, l’azione svolta dalla “carovana” del (n)PCI ha rafforzato la spinta al coordinamento delle forze antifasciste (ad es. sviluppo del Coordinamento Antifascista e Antirazzista Toscano); ha fatto nascere nuovi organismi popolari (in particolare il Comitato Parenti e Amici di Alessandro Della Malva); ha permesso di superare una situazione di stasi, in termini di politica da fronte, esistente tra la “carovana” e alcuni organismi tornando a fare iniziative comuni (concerti di solidarietà, cene benefit per le spese legali, ecc.); ha contribuito a vitalizzare zone dove l’attività politica non era molto sviluppata (ad es. la zona della provincia di Siena) stimolando la mobilitazione e l’attivismo di singoli e organismi; ha fatto avanzare in termini di concezione del mondo diversi organismi e collettivi (ad es. il sostegno espresso da singoli e da alcuni organismi quando il P.CARC ha dichiarato che Alessandro Della Malva avrebbe violato il confino se non fosse stato revocato; il dossier contro l’associazione fascista RSI prodotto dal CAAT di Arezzo, con tanto di foto, nomi e cognomi dei componenti dell’associazione fascista e lo smascheramento delle coperture politiche di cui godono; il dossier sui legami esistenti tra la Questura di Pistoia e i fascisti di Casa Pound prodotto dal Comitato Parenti e Amici degli imputati di Livorno); ha contribuito ad elevare la combattività e la concezione delle forze antifasciste (ad es. lo scorso 27 giugno Firenze Antifascista ha promosso una manifestazione regionale contro Casa Pound; quest’anno, a differenza degli scorsi anni, in risposta alla celebrazione fascista che si tiene a Firenze in occasione della Giornata della Ricordo, gli antifascisti anziché fare un semplice presidio hanno organizzato un corteo che mirava a raggiungere il concentramento dei fascisti); alcune forze della sinistra borghese (Federazione della Sinistra-Verdi) si sono schierate contro l’attacco repressivo scatenato da Manzo a Pistoia; abbiamo mosso i primi passi nella direzione di sviluppare un intervento nell’ambito degli avvocati e giuristi progressisti.

L’insieme di questo lavoro ha aperto delle contraddizioni anche all’interno dell’area a cui fanno riferimento i compagni di Livorno coinvolti nel processo di Pistoia, facendo superare la posizione di netto distacco che la destra di questo ambito aveva promosso rispetto alla “carovana” del (n)PCI, facendo assumere ai compagni livornesi un atteggiamento politico e processuale più costruttivo e di prospettiva (realizzazione del suddetto dossier rispetto ai legami tra la Questura e i fascisti; promozione di iniziative benefit comuni; mobilitazione del loro ambito in occasione delle udienze; qualche dichiarazione in aula da parte degli imputati livornesi; cambio di atteggiamento rispetto ai compagni del P.CARC sotto processo).

Oltre agli sviluppi appena illustrati, emerge anche che nel corso della campagna il prestigio di cui gode la “carovana” del (n)PCI è cresciuto di molto a livello regionale e, in una certa misura, anche nazionale, consolidando e rilanciando quel prestigio conquistato con la Ronda Popolare Antifascista e Antirazzista scesa in strada a Massa il 25 luglio 2009 contro la Ronda SSS. Si sono aperte ampie possibilità di raccolta di forze per la “carovana”, nella regione toscana in particolare. Sarà proprio sul terreno della raccolta che si verificherà la nostra capacità di costruire la rivoluzione in questa fase, anziché saltare da una campagna (o battaglia) all’altra. Dobbiamo dunque prestare una particolare attenzione e investire energie morali e intellettuali nella cura di questo aspetto. Questo è il compito principale a cui devono ora assolvere i Comitati di Partito e le Organizzazioni Modello della “carovana” del (n)PCI presenti in Toscana.

 

La montatura giudiziaria è stata smontata pezzo dopo pezzo

L’azione di denuncia sistematica portata avanti, unita alla mobilitazione, ha via via smascherato la montatura giudiziaria, messo a nudo il ruolo del questore Manzo, del PM Boccia e sbriciolato l’attendibilità dei “testimoni” dell’accusa. La Cassazione prima e il Tribunale del Riesame poi, hanno preso posizione contro il capo d’imputazione di “devastazione e saccheggio” e messo in discussione il lavoro svolto dal PM Boccia. Quest’ultimo ad un certo punto (luglio ’10) ha dovuto abbandonare il processo perché ormai screditato davanti agli occhi dell’opinione pubblica! Al suo posto è subentrato Renzo Dell’Anno, procuratore capo di Pistoia, anch’egli zelante persecutore. Da settembre ’10 fino al 31 gennaio ’11 ogni udienza è stata caratterizzata da colpi di scena: i testimoni si contraddicevano gli uni con gli altri, emergevano nuovi testimoni e nuovi elementi utili per la difesa. Questa situazione si è determinata grazie alla sinergia tra imputati e avvocati e alla combinazione tra la lotta dentro e fuori dal Tribunale, nella promozione della quale il P.CARC ha avuto un ruolo centrale. Il compagno Alessandro Della Malva ha denunciato per falsa testimonianza prima il fascista Massimo Dessì, poi il fascista Lucarelli e infine, nel mese di gennaio 2011, ha denunciato per “abuso di potere”, “sequestro di persona”, “false dichiarazioni” il questore Maurizio Manzo.

Davanti a questa nostra gestione del procedimento giudiziario, il giudice Costantini ha iniziato a rinviare in continuazione la fine del processo, a tirare per le lunghe, per cercare di prendere tempo. La patata diventava sempre più bollente.

 

I cinque limiti principali che hanno indebolito la campagna e ci hanno impedito di raggiungere l’obiettivo principale

Abbiamo analizzato gli importanti sviluppi che ci sono stati nel campo del movimento antifascista e progressista toscano e, inoltre, le significative difficoltà che questa campagna ha creato alla banda diretta dal questore Manzo. Ci sono però dei limiti che hanno indebolito l’insieme della campagna e ci hanno impedito di raggiungere l’obiettivo principale dell’assoluzione dei compagni inquisiti e della cacciata del questore Manzo. I limiti principali sono cinque. Analizziamoli, forti dell’insegnamento del compagno Mao: “un esercito che impara dai propri errori è un esercito destinato a vincere!”.

1. Il primo limite è la timidezza con cui abbiamo sferrato l’attacco al questore Manzo, al PM Boccia, ai vertici della DIGOS di Pistoia e ai fascisti di Casa Pound. Bisognava subito e principalmente denunciare penalmente Manzo e la sua banda: questo avrebbe rafforzato tutta la campagna. Sia perché avrebbe favorito prese di posizione in termini di solidarietà, sia perché avrebbe creato maggiori contraddizioni all’interno della classe dominante, sia perché avrebbe messo Manzo e la sua banda spalle al muro. Abbiamo osato poco davanti a personaggi che non si facevano scrupolo alcuno: questo è il punto! Questa è stata la nostra principale debolezza! Abbiamo depositato le denunce a metà campagna (e, per quanto riguarda Manzo, addirittura alla fine della campagna!) e con scarso spirito d’attacco, le abbiamo utilizzate poco e con poca convinzione. Non era sufficientemente chiara la loro importanza, il loro carattere dirompente, il colpo che avrebbero assestato. Al contrario ci sono state molte resistenze. Erano le armi principali, ma le abbiamo usate come armi ausiliarie. Si sono mischiate paura della reazione nemica e illusione sulla moderazione del nemico (opportunismo), scarsa spregiudicatezza nello sfruttare la democrazia borghese (estremismo).

La prima lezione che ricaviamo è: davanti a un abuso di potere, a una montatura giudiziaria, a una violazione della legalità del regime da parte del nemico, il primo passo da fare è denunciare penalmente gli artefici, dando grande risonanza! Giocare d’attacco! Lo stesso limite, la stessa mancanza di audacia e debolezza ideologica è emersa rispetto al confino: solo a luglio abbiamo preso e resa pubblica la decisione di violarlo se non lo revocavano. Bisognava forzare prima la mano, prendere noi il coltello dalla parte del manico! Che cosa avrebbe fatto il nemico: avrebbe arrestato nuovamente i compagni, gettando così altra benzina sul fuoco? Se avesse effettivamente arrestato di nuovo i compagni, sarebbe stata una mossa a suo favore o a favore della campagna in corso? Sia che arrestasse, sia che non arrestasse, in ambedue i casi si sarebbe creata una situazione favorevole per la nostra campagna e avremmo messo ancora più il nemico spalle al muro.

2. Il secondo limite è che non abbiamo fatto un’adeguata gestione nazionale della campagna: ci siamo limitati a fare alcune iniziative sporadiche: ad es. assemblee a Parma, Brescia, Torino, Genova, Milano, Lecce, Napoli (che però si sono svolte nella parte finale della campagna); intervento nell’Assemblea Nazionale su Antifascismo e Repressione; intervento nel corteo antifascista di Napoli del 6 novembre 2010. Queste iniziative certamente hanno permesso di rafforzare alcuni importanti rapporti (ad es. con gli antifascisti di Parma e i compagni di Torino), ma non sono state sufficienti per dare rilievo nazionale alla montatura di Pistoia, facendo schierare Organizzazioni Operaie, Organizzazioni Popolari, sindacati, associazioni, personalità. In altre parole, non abbiamo svolto un lavoro come quello fatto contro l’Ottavo Procedimento Giudiziario orchestrato dal PM Paolo Giovagnoli di Bologna e, anche se ad un livello differente, contro il procedimento per il sito “Caccia allo sbirro” con l’appello Vigilanza Democratica. Stante questa impostazione, questa assenza di progettualità, non abbiamo valorizzato in modo giusto le interpellanze parlamentari fatte sulla vicenda. È mancato un piano nazionale per lo sviluppo della campagna e abbiamo navigato a vista, spontaneisticamente. Dovevamo fare subito un appello da far sottoscrivere a livello nazionale e creare nelle Organizzazioni Modello una commissione centrale che si occupasse di curare questo lavoro (come fatto appunto per l’OPG e la campagna Vigilanza Democratica).

3. Il terzo limite è stato quello di non mettere in sinergia il processo per la Ronda Popolare Antifascista e Antirazzista di Massa con il processo di Pistoia. I due attacchi repressivi erano e sono palesemente legati: il secondo nasce come reazione alla Ronda Popolare e al percorso di coordinamento che essa aveva avviato in Toscana (Coordinamento toscano contro le ronde fasciste e razziste del Pacchetto Maroni). Ma noi li abbiamo trattati come due processi scollegati tra di loro. Questo ha indebolito entrambi i processi. Anche il processo di Massa si è concluso con una condanna, anche se leggera: ora avremo l’appello. Inoltre abbiamo lasciato che l’agente DIGOS Valentini di Massa intraprendesse una serie di ritorsioni legali contro i compagni della Ronda Popolare.

4. Il quarto limite è consiste nell’aver mantenuto, anche in Toscana, la campagna principalmente nell’ambito degli organismi, compagni e personalità già mobilitati apertamente contro il fascismo. Siamo entrati poco in sinergia con ambiti non coinvolti già direttamente per via della loro impostazione politica nella lotta contro il fascismo. Questo limite è legato ai tre appena indicati. Abbiamo coinvolto poco le forze sindacali, gli studenti, i lavoratori, i precari e gli immigrati in lotta, le donne, gli omosessuali, le associazioni progressiste, l’ARCI e l’ANPI, le associazioni di giuristi e avvocati che hanno a cuore la Costituzione, le correnti progressiste della Chiesa (le comunità di base), i partiti della sinistra borghese e della destra moderata. Non abbiamo usato la campagna per creare le tre condizioni per costituire il GBP. Questo benché lungo il 2010 in tutti questi settori ci sia stato molto fermento e il movimento verso il GBP si sia ingrossato. Non abbiamo neanche svolto a livello regionale (tanto meno a livello nazionale) quel lavoro che è stato invece condotto, in una certa misura, nella zona di Siena dal Comitato Parenti e Amici di Alessandro Della Malva.

5. Il quinto limite consiste nel non aver reagito al fatto che le sezioni del P.CARC in Toscana hanno lasciato cadere quasi completamente il lavoro ordinario e il P.CARC ha smesso di curare la formazione dei segretari di sezione e dei militanti, il loro orientamento, la continuità e la sistematicità del lavoro delle sezioni. Questo ha sfilacciato i collettivi, ha fatto venire meno l’entusiasmo, portato all’utilizzo come “manovalanza” dei compagni di base (e non solo) e limitato molto il lavoro di raccolta forze. Questo non è tollerabile! È nocivo per lo sviluppo della GPRdiLD! È una dispersione delle forze accumulate! Ma né il CC del Partito è intervenuto sulla direzione del P.CARC, né i singoli CdP sulle sezione delle loro zone operative. Ora il P.CARC è già mobilitato per ripristinare il lavoro ordinario delle sezioni e riprendere la formazione continua, attività che sono la base da cui partire per accumulare le molte forze che questa campagna ha avvicinato a noi, nonostante i limiti indicati. Il CC del Partito e i suoi CdP sono mobilitati per contribuire.

     

Il ruolo dei CdP nella campagna e nella nuova fase che si è aperta con il 31 gennaio

Una parte dei limiti emersi in questo bilancio (ossia quelli che non riguardano solo l’aspetto nazionale) coinvolgono anche i Comitati di

Partito toscani e confermano la necessità di elevare la loro qualità. I CdP devono ognuno essere lo Stato Maggiore che nella sua zona operativa orienta le Organizzazioni Modello, le Organizzazioni Operaie, le Organizzazioni Popolari, i sindacati e le associazioni in maniera tale da far esprimere loro il meglio di cui sono capaci, farle avanzare ideologicamente e politicamente, mettere in sinergia le azioni che ognuna di esse svolge in modo che la loro opera confluisca in un unico, grande, travolgente fiume rivoluzionario. Nel fare questo, ogni CdP deve curare la raccolta di quei compagni che via via emergono, legandoli al Partito oppure orientando le Organizzazioni Modello affinché li reclutino e formino.

Il ripristino del lavoro ordinario della sezioni del P.CARC, il compito della raccolta delle forze che ora si pone come lavoro principale per non lasciar disperdere i frutti della campagna e, infine, il superamento dei limiti nella sinergia tra i diversi ambiti di intervento emersi nella campagna, investono in pieno i CdP toscani. Devono essere infatti essi gli artefici, a livello territoriale, di questo processo di rettifica e trasformazione. È nello svolgimento di questo lavoro che si verifica l’azione dei CdP.

È un compito che apparentemente può sembrare difficile, troppo grande. Ma in realtà non è così: studiando con attenzione il materiale e l’orientamento del Partito, muovendoci con una visione d’insieme, attenti ai vari ambiti di intervento e non concentrati solo sull’antifascismo e sull’antirazzismo, tesi ad analizzare la realtà e a cogliere le spinte positive presenti tra le OO e OP, reattivi nell’individuare e nel raccogliere i compagni di prospettiva, operando con determinazione, creatività e sistematicità, sicuramente riusciremo ad elevare la qualità dei CdP e a rendere ognuno di essi lo Stato Maggiore che nella sua zona operativa dirige la GPRdiLD.

 

Avanti compagni!

Possiamo vincere, dobbiamo vincere, dipende da noi, individui e collettivo!

Un esercito che impara dai suoi errori, è un esercito destinato a vincere!

Claudio G.