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La rivoluzione socialista in Italia

  La Voce 38 del (nuovo)Partito comunista italiano

La battaglia sul fronte sindacale per costituire il GBP

Passare dalla difesa all’attacco!

 

Il metodo di lotta che noi comunisti dobbiamo promuovere tra le masse popolari, quello che le porta a vincere, è il metodo degli operai Fincantieri e dei resistenti anti-TAV della Val di Susa. Non è il metodo della ex-Bertone di Grugliasco che i vertici della FIOM hanno di fatto imposto agli operai con la propria defezione dalla lotta che avevano galvanizzato l’estate scorsa quando appoggiarono la resistenza degli operai di Pomigliano contro il piano Marchionne-Confindustria. La lotta alla ex Bertone per sua natura esigeva che i vertici della FIOM facessero un passo avanti verso il movimento per la costituzione del GBP. Infatti la lotta degli operai ex-Bertone conferma che una lotta puramente sindacale in un periodo come questo non sta in piedi. Marchionne ha posto agli operai ex-Bertone lo stesso ricatto usato a Pomigliano e a Mirafiori, ma in condizioni peggiori per gli operai. Però se i vertici FIOM lo avessero consigliato, a differenza che a Pomigliano e a Mirafiori probabilmente qui la maggioranza degli operai avrebbe detto NO al ricatto. Restando sul terreno sindacale e di categoria, i vertici FIOM non hanno lasciato agli operai alternativa alla resa, salvo dire NO e sperare in dio. Diverso sarebbe stato se la FIOM avesse detto: dite NO al ricatto Marchionne e unitevi e contribuite alla lotta di tutti per un governo d’emergenza che rimetta in moto tutte le aziende: e si fosse comportata di conseguenza. “Le lotte [puramente rivendicative], senza risultati non stanno in piedi”, ricorda la destra sindacale. Omette ‘puramente rivendicative”, perché, coerentemente con la sua natura, non vede altre lotte che quelle puramente rivendicative, quando ne vede. Ma nella pratica, i vertici FIOM le vedono? Operano coerentemente per promuoverle? O nella pratica seguono la destra e diventano capi della resistenza solo controvoglia?

Non a caso questi vertici FIOM sono rifluiti verso la destra che dirige la CGIL, verso Susanna Camusso e gli altri nipotini di Craxi ed ex soci di Sacconi che sono a rimorchio del programma comune della borghesia imperialista gestito in alternanza sia dalla destra estrema Berlusconi-Bossi sia dalla destra moderata del PD (Prodi,  Bersani, ecc.). Per la loro natura, i vertici FIOM recalcitrano dall’imboccare la strada della costituzione del GBP.

Ma con il metodo di lotta Fincantieri e anti-TAV della Val di Susa possiamo vincere la battaglia in corso per la costituzione del GBP. Abbiamo grandi possibilità di vincere. L’alternativa alla nostra vittoria è un disastro (annunciato) tanto grande, non solo per gli operai e il resto delle masse popolari ma anche per la FIOM, i sindacati alternativi, l’intera CGIL e per gran parte della sinistra borghese e degli esponenti sinceramente democratici della società civile, che il nostro lavoro per promuovere la costituzione del GBP ne è grandemente facilitato. Ovviamente però il successo dipende in definitiva dalla capacità di noi comunisti e degli operai più avanzati di svolgere già oggi, subito, con intelligenza e decisione un efficace lavoro d’avanguardia: creare le tre condizioni per la costituzione del GBP e portare le OO e le OP a rendere ingovernabile anche dal basso il paese da ogni governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia.

Il principale e i secondari

 

Spesso noi comunisti siamo criticati per schematismo, semplicismo.

Molte di queste critiche cadono se si considera attentamente la distinzione tra principale e secondari e l’uso di questa contraddizione (tra principale e secondari).

Ogni cosa è composta di vari elementi (tutto è divisibile, quindi analizzabile), in ogni movimento agiscono più contraddizioni.

Tra gli elementi componenti di una cosa e tra le contraddizioni che determinano un movimento, vi è uno che è principale mentre gli altri sono secondari.

Noi comunisti distinguiamo sempre tra il principale e i secondari. Sosteniamo inoltre che non è sempre lo stesso elemento o la stessa contraddizione a essere principale.

Elemento o contraddizione dirigente è quello/a che è principale nel lungo periodo.

Gli eclettici (i sofisti) considerano tutti gli elementi come di pari livello. È il riflesso della concezione borghese del mondo: gli interessi sono tanti quanti sono gli individui e tutti sono di pari dignità, egualmente legittimi e ognuno difende il suo.

I dogmatici considerano solo il principale ed escludono i secondari. È il riflesso della mentalità clericale, feudale.

 

 

 

Il 28 giugno la destra che dirige la CGIL ha siglato l’Accordo con la Confindustria e con i sindacati complici (CISL e UIL). È un accordo che, al di là delle contorsioni verbali e del detto e non detto, delle interpretazioni usate per fare fumo, avalla le aspirazioni della Confindustria e dei sindacati complici, in sostanza del piano Marchionne. La stessa destra CGIL ha però accettato (Direttivo Nazionale del 5 luglio) di ricorrere al pronunciamento delle assemblee degli iscritti: è un segnale che conferma le difficoltà della destra a far ingoiare agli iscritti la propria linea e il ruolo determinante che gli iscritti (il consenso o almeno la rassegnazione degli iscritti) hanno anche per la destra della CGIL. La destra CGIL serve alla borghesia solo se in un modo o nell’altro riesce a tener assieme il vasto seguito della CGIL. Questo è il suo punto debole: qui dobbiamo colpire. La destra CGIL ha messo le cose come se fosse scontato il pronunciamento a favore della sua linea, ha organizzato il pronunciamento in modo da scoraggiare l’opposizione, si è riservata ampi margini per manipolare l’esito del pronunciamento. Ma non è in grado di determinare oltre certi margini la composizione e l’esito delle assemblee che si terranno tra il 12 luglio e il 17 settembre. Le assemblee aziendali e interaziendali degli iscritti CGIL sono un’ottima occasione per conquistare consensi e partecipazione alla nostra linea, dobbiamo assumerle come un terreno importante per condurre il nostro lavoro. È un lavoro che dobbiamo fare dall’esterno e all’interno della CGIL, direttamente e mobilitando lavoratori avanzati, OO, la sinistra sindacale e i sindacati alternativi (USB, CUB, Confederazione Cobas, SLAI Cobas, ecc.).

 

Il comunicato dell’USB di valutazione dell’Accordo del 28 giugno su contratti e rappresentanza dice: “Con buona pace di chi per mesi ha raccontato la favoletta che la CGIL era diversa, che assumeva la democrazia nei luoghi di lavoro come tratto fondante del proprio agire, che non avrebbe mai potuto sottoscrivere un accordo che limitasse la democrazia e che blindasse la rappresentanza, che non sarebbe tornata a fianco di CISL e UIL, si è compiuto uno degli atti più vergognosi nella storia delle relazioni sindacali”. Chi si faceva illusioni sulla natura, sulle relazioni, le abitudini e le inclinazioni della destra e della sinistra della CGIL ha veramente motivo di essere deluso e abbacchiato. Ma non chi, come noi, dà per scontata la natura della destra e la natura della sinistra della CGIL e basa la propria linea sul fatto che la CGIL resta (per il ruolo che occupa, per la sua composizione, per la sua tradizione, ecc.) il sindacato che i promotori della mobilitazione reazionaria devono eliminare per realizzare i loro disegni. Questo e non le illusioni sulle intenzioni e l’orientamento dei dirigenti e dei funzionari CGIL determina la nostra linea.

USB e altri sindacati di base e alternativi contribuiranno all’esito positivo dello scontro politico in atto tanto più  quanto meno saranno settari, ripiegati su se stessi, tesi principalmente a racimolare qualche iscritto in più e quanto più prevarrà tra loro la volontà di egemonia e di direzione rispetto all’intero movimento sindacale, per fargli svolgere il ruolo politico che la situazione consente e richiede.

L’obiettivo principale non è isolare i sindacati complici e la destra CGIL: sarà un risultato. L’obiettivo principale è trascinare la massa degli operai avanzati a essere protagonisti di un piano di riscossa della classe operaia e delle masse popolari di fronte alla crisi generale in cui i padroni e i vertici della Repubblica Pontificia e il sistema imperialista mondiale ci hanno trascinato. Questo piano bisogna averlo (e noi l’abbiamo), bisogna esserne pienamente convinti (e quindi chi ne ha deve onestamente mettere in tavola i suoi dubbi: siamo convinti che analizzandoli a fondo li dissiperemo e impareremo anche qualcosa che ci sarà utile), bisogna propagandarlo diffusamente e senza riserve tra i lavoratori avanzati convinti che è nel loro interesse e possono diventarne i protagonisti (non fermarsi a quello che sono, ma avere fiducia in quello che possono diventare), mettersi all’avanguardia della sua attuazione in ogni battaglia per cui oggi esistono già le condizioni e quindi metterci nelle condizioni di vedere nella realtà le occasioni e gli appigli per dare battaglia (e siamo tanto più capaci di  vedere quanto più assimiliamo la concezione comunista del mondo).

 

 L’esito trionfale dei quattro referendum di giugno conferma che una parte importante delle masse popolari del nostro paese è pronta a mobilitarsi da subito se un centro autorevole (autorevole per il ruolo svolto e le relazioni stabilite nel corso della storia che abbiamo alle spalle, quindi per il prestigio di cui gode e i legami che ha con le masse) chiama le masse popolari alla lotta su obiettivi di reale interesse per le masse popolari, contro i vertici della Repubblica Pontificia.

Lotte rivendicative e lotta rivoluzionaria

 

 I comunisti possono e devono promuovere e sostenere lotte delle masse popolari contro la borghesia imperialista e il clero anche per obiettivi che nell’immediato sono tra loro contrastanti. Infatti l’obiettivo strategicamente principale di ogni lotta rivendicativa è mobilitare e organizzare le masse popolari, elevare la loro coscienza politica, accrescere il loro grado di organizzazione e sviluppare il loro ruolo nella rivoluzione socialista senza la quale ogni conquista immediata o è impossibile o è aleatoria e comunque presenta anche aspetti negativi per una parte delle masse popolari (il contrasto di interessi è un tratto costitutivo della società borghese).

Questo è un aspetto della lotta di classe che gli economicisti e tutti quelli che hanno una concezione borghese (ognuno è portatore del suo interesse particolare) o clericale (esiste il giusto e lo sbagliato per tutti: il bene comune) del mondo non comprendono.

I riformisti non possono fare come noi comunisti. Essi elaborano piattaforme rivendicative conformi agli interessi di una parte delle masse popolari, ma contrarie agli interessi di un’altra parte. Noi comunisti invece facciamo di ogni lotta una scuola di comunismo: essa contribuisce all’accumulazione delle forze rivoluzionarie e al rafforzamento del Nuovo Potere.

Nella società socialista ogni parte delle masse troverà soddisfazione del suo interesse nella marcia verso il comunismo. Il contrasto di interessi si dissolve: c’è posto per tutti, ce n’è per tutti!

 

 

È la stessa lezione che ha dato la campagna delle elezioni amministrative di maggio con il loro esito in particolare a Napoli e a Milano, ma anche a Cagliari e altrove.

È la stessa lezione che ha dato il movimento che gli operai della FIAT di Pomigliano con la loro resistenza (referendum 22 giugno 2010) hanno messo in moto, grazie all’appoggio della FIOM e dei sindacati alternativi e di base (USB, CUB, Confederazione COBAS, SLAI Cobas, ecc.).

Se ognuna di queste mobilitazioni si esaurisce, anziché sfociare in lotte di livello superiore, coinvolgere su più larga scala le masse popolari e darsi obiettivi superiori contro i vertici della Repubblica Pontificia e per la  rinascita del nostro paese, quindi essere parte della guerra popolare rivoluzionaria che il (n)PCI promuove, è principalmente per la debolezza, i cedimenti e la vigliaccheria dei centri che sono stati alla sua testa, per la loro mancanza di coraggio per cui non osano andare più avanti, hanno paura di sfidare i vertici della Repubblica Pontificia.

Questo è particolarmente evidente nel percorso seguito dal movimento messo in moto dagli operai di Pomigliano, a cui erano seguite la manifestazione del 16 ottobre, le mobilitazione dei lavoratori immigrati e degli studenti, la manifestazione del 14 dicembre 2010 a Roma, il pronunciamento degli operai di Mirafiori (referendum del 14 gennaio), la mobilitazione nazionale del 28 gennaio 2011 e la grande mobilitazione delle donne del 13 febbraio. I vertici della FIOM non hanno osato proseguire sulla strada che avevano preso e si sono rimessi alla destra della direzione della CGIL. Si sono rimessi alla sua decisione perché convocasse lo sciopero generale, anziché unirsi con la USB e gli altri sindacati alternativi e di base e con le federazioni CGIL che via via si associavano alla FIOM provocate dall’offensiva dei sindacati complici che insistevano sui contratti separati e convocare loro tutti insieme lo sciopero generale a cui la destra CGIL avrebbe dovuto associarsi. Da qui il cedimento degli operai della ex-Bertone di Grugliasco e lo smorzamento della mobilitazione che si era aggregata attorno a Uniti contro la Crisi. L’assemblea dei delegati FIOM a Cervia a febbraio era già indice del ripiegamento su temi esclusivamente sindacali e del rinchiudersi della FIOM in se stessa. La battaglia della ex Bertone ne è stata la conseguenza.

Perché il dato di fondo resta che la gravità della crisi, l’aggravarsi e il protrarsi della crisi spinge la destra borghese a misure estreme. Questo, il coinvolgimento nell’estensione della guerra imperialista alla Libia, la lezione della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda schiacciate dal sistema imperialista mondiale, la costrizione crescente del debito pubblico e di tutto il sistema di indebitamento su tutti gli aspetti della vita del nostro paese, costringono i vertici della sinistra sindacale e gli esponenti sinceramente democratici della sinistra borghese e della società civile (tutti quelli che non accettano di confluire nella destra moderata o estrema e di farsi complici o almeno rassegnarsi allo sfacelo e alla mobilitazione reazionaria che avanza mentre i vertici della Repubblica Pontificia e i loro soci internazionali litigano tra loro), a collaborare più o meno attivamente al progetto promosso  da nuovo Partito comunista italiano: costituzione del GBP che apre la porta a un processo che sfocerà nell’instaurazione del socialismo.

 

La lezione dei referendum, delle elezioni amministrative, delle lotte operaie (FIAT, Fincantieri e altre), della resistenza anti-TAV in Val di Susa conferma che le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni popolari possono costituire il Governo di Blocco Popolare. I vertici della Repubblica Pontificia sono deboli, non hanno la forza di resistere di fronte a una mobilitazione seria delle masse popolari. Gli operai della Fincantieri e i resistenti anti-TAV della Val di Susa hanno mostrato la debolezza dei vertici della Repubblica Pontificia. Le minacce di far intervenire l’Esercito non hanno spaventato, ma hanno prodotto una mobilitazione maggiore.

 

L’impotenza e l’impasse di cui soffrono e con cui si scontrano organismi sindacali come la FIOM, l’USB, l’AP “la CGIL che vogliamo” e altri e di cui si rendono ben conto gli esponenti migliori, sono principalmente la conseguenza dell’ostinazione a limitare la propria azione al livello sindacale e quindi restare sulla difensiva rispetto alla borghesia, in una situazione come quella della crisi generale in cui si può vincere solo se si passa all’offensiva, con un piano di ricostruzione e di potere: la costituzione del GBP.

 Consideriamo la lettera aperta dei “Lavoratori e Pensionati di “La CGIL che vogliamo” del Veneto, pubblicata sul sito della Rete 28 Aprile in vista della Assemblea Nazionale dell’AP tenuta a Roma il 7 giugno. Ma le considerazioni che faremo su di essa, valgono anche per molti altri documenti provenienti in questi mesi dal mondo sindacale. Proprio perché è rappresentativa, la riproduco per intero e invito i lettori della rivista a leggerla attentamente.

 

Roma, 07/06/11

Cari compagni e compagne,

ci ritroviamo dopo lo sciopero del 6 maggio con una valutazione fortemente negativa dello stato dell’arte. Non solo perché lo sciopero è stato ampiamente e scientemente ridotto all’ennesima rappresentazione rituale volta a nascondere il vuoto di proposta dietro sottili veli di parole d’ordine ormai superate dagli eventi. Ma soprattutto perché non ha rappresentato, né lo poteva, proprio per le ragioni anzidette, il primo momento di un’inversione di rotta verso una risposta conflittuale che unificasse tutte le lotte che ormai si moltiplicano nel paese, fino a costruire, a partire da questo momento, una piattaforma rivendicativa conflittuale e radicale che riportasse al centro del contendere il lavoro e non i suoi surrogati, la cancellazione del lavoro precario, il recupero salariale aldilà di ogni compatibilità di sistema, la democrazia con la declinazione della rappresentanza e dei diritti.

Ciò è stato reso possibile dall’assoluta afonia e dal pressoché totale estraniamento dell’Area Programmatica che tanto aveva voluto questo sciopero senza, però, determinarne, neppure a livello locale, i veri contenuti.

Il balbettio dell’Area Programmatica sui gravi problemi sorti dal caso Pomigliano a Mirafiori, dal Collegato Lavoro di Sacconi, all’accordo separato nel pubblico impiego per giungere, ma solo per brevità d’esposizione, al caso Bertone, nonché il rinchiudersi dell’Area Programmatica dentro i meccanismi del dibattito burocratico interno alle Camere del Lavoro, ne ha dimostrato i gravi limiti vitali che già da subito dopo il congresso si appalesavano come segni di vita stentata e breve.

Di occasioni per mostrare che l’Area Programmatica congressuale non era un coacervo di velleità tutte iscritte dentro meccanismi di riequilibrio più individuali che di gruppo, come sopra detto, ce ne sono state fin troppe e  tutte pesanti come macigni sulla strada che sta portando la maggioranza della CGIL ad un “ritorno al futuro”, con un mortale abbraccio delle pratiche e persino delle ragioni dei “complici” di Governo e Confindustria.

Fin qui una semplice fotografia della realtà di un funerale, ma noi, lavoratori e pensionati di “La CGIL che vogliamo”, non siamo disposti a seguire la sorte delle vedove indiane bruciate sulla pira del defunto.

Intendiamo invece chiedere ai compagni e alle compagne dell’Area Programmatica di sottoscrivere un nuovo patto d’azione di resistenza e d’attacco per uscire da una trincea sempre più arretrata che si sta trasformando in resa senza condizioni.

- Al primo punto dobbiamo mettere il recupero di un linguaggio che ci connota nella nostra diversità dai complici di Governo e Confindustria, recuperando termini come lotta di classe, padroni e rivendicazioni.

- In secondo luogo dobbiamo costruire una piattaforma che unifichi tutte le lotte con obbiettivi che vanno dalla salvaguardia del posto di lavoro, declinata in concreto con presidi e occupazioni delle aziende in pericolo.

- La proposizione, all’interno delle categorie collegate al sistema dei servizi sociali (come sanità, enti pubblici, scuola, trasporti, servizi), di una piattaforma comune che abbia al centro la richiesta di ripubblicizzazione del sistema sociale e dei servizi, con agevolazioni d’accesso e di fruizione a giovani, donne e anziani, nonché lavoratori in mobilità o in cassaintegrazione.

 - La riproposizione, nella piattaforma generale, del ritorno alla previdenza pubblica contestualmente alla richiesta di separazione dell’assistenza dalla previdenza, ponendo la prima a carico della fiscalità generale come in tutti i paesi europei. Contestualmente tornare alla disciplina del TFR anteriore al 2007 (governo Prodi).

- La riproposizione, per tutti i settori, nonché per i pensionati, di un meccanismo di recupero salariale e pensionistico annuale ed automatico, sulla falsariga della vecchia scala mobile.

- Rifiuto assoluto di contrattare precarietà neppure in percentuale seppur minima nei settori che strutturalmente non la richiedono e limitazione della flessibilità solo ai tempi parziali.

- Rifiuto della bilateralità quando è fondata sul criterio di sussidiarietà e della sostituzione della contrattazione categoriale dei vari istituti e del sistema di diritti con quella confederale, sottraendo tali materie alla normale logica della contrattazione collettiva e sociale.

- Recuperi salariali e pensionistici pari almeno al 50 per cento di quanto perduto dal monte salari e pensioni dal 2001 (e comunque di almeno 3 punti percentuali di PIL) da realizzare nelle due tornate contrattuali biennali a partire dal 2012.

- Inserimento, nella piattaforma generale, anche della riduzione automatica del costo di tutti i servizi pubblici e dei canoni locativi e con i servizi sanitari completamente gratuiti, per lavoratori in cassa integrazione, in mobilità e per i pensionati con un reddito lordo annuo ISEE inferiore a 15.000 euro.

- Costituzione di un fondo di solidarietà per il sostegno alle lotte e a particolari situazioni dei lavoratori in lotta con il prelevamento di un euro mensile per iscritto dal monte contribuzione tesseramento a cura di ogni categoria. Tale fondo dovrà essere gestito pariteticamente tra maggioranza e minoranza da un organo, interno all’organizzazione sindacale, il cui presidente viene eletto a maggioranza qualificata dai membri dell’organo stesso.

- Va, infine, posta l’attenzione sul problema dell’indebitamento delle famiglie dei lavoratori verso la pubblica amministrazione, per canoni di locazione e\o servizi pubblici come acqua, elettricità e gas per usi domestici o riscaldamento e verso le banche per mutui o prestiti per far fronte alle esigenze di sostentamento della famiglia.

Nel caso di indebitamento con la pubblica amministrazione, la proposta può essere la cancellazione del debito per i lavoratori in mobilità con moglie e figli a carico, la riduzione gradualmente più o meno elevata nel caso di cassaintegrazione di uno o entrambi i coniugi con figli a carico o una rateizzazione non superiore al 20 per cento della quota di spesa mensile per ogni servizio. Servizi sanitari e farmaceutici gratuiti ed esenzione totale da ticket sanitari o farmaceutici, sia in caso di mobilità che di cassaintegrazione.

Per quanto riguarda l’indebitamento verso le banche per muti prima casa e prestiti con destinazione di scopo per necessità primarie di sostentamento della famiglia, la sospensione, senza maturazione di interesse alcuno per sei mesi in caso di mobilità e la successiva rateazione dei ratei mensili di restituzione non inferiore al 50 per cento.

Per i lavoratori in cassaintegrazione, la riduzione non inferiore al 50 per cento della rata mensile di restituzione del mutuo o del prestito con conseguente allungamento del periodo di restituzione integrale del mutuo o del prestito senza alcun aumento del tasso di interesse.

Tali agevolazioni avranno durata fino al momento in cui il lavoratore riuscirà a dimostrare lo stato di cassaintegrazione o mobilità.

Questi obbiettivi, contrariamente alle apparenze, non rappresentano velleitarismi utopistici o massimalisti, ma  un momento di superamento della preponderanza delle ragioni di mercato, della privatizzazione e dell’ideologia dominante che, attraverso il meccanismo che favorisce l’indebitamento delle famiglie e degli strati più deboli, crea condizioni oggettive di assoggettamento e condizionamento a logiche espulsive, emarginanti, d’attacco ai diritti e alla solidarietà sociale.

Se ricordiamo le ragioni addotte dai lavoratori di Pomigliano e Mirafiori contro la resistenza, non può sfuggire che avevano un unico filo conduttore riportabile alla necessità di sopravvivenza della famiglia in primis, ma in secondo luogo all’indebitamento per mutui e prestiti in atto da onorare.

Rimane, poi, tutto il capitolo dei lavoratori extra comunitari colpiti ancora più duramente dalla crisi e sempre in pericolo d’espulsione per la automatica scadenza del permesso di soggiorno legato al lavoro.

Anche per questi lavoratori debbono valere le richieste sopra citate per i lavoratori italiani, ma aggiungendo il rinnovo del permesso di soggiorno, comunque, per i lavoratori in mobilità o licenziati per riduzione di personale da parte delle aziende, rinnovo che non potrà essere inferiore ai due anni.

Riteniamo quanto sopra un contributo a una discussione che faccia seguire alla protesta la proposta e che sia almeno all’altezza del protagonismo che dovremmo rivendicare per tutti i lavoratori prima che per noi stessi. Altrimenti non possiamo sperare che ci seguano solo per le nostre “brillanti analisi”: non è più tempo per ascoltare brillanti oratorie.

Lavoratori e Pensionati de “La CGIL che vogliamo” del Veneto

 

I punti della Piattaforma rivendicativa sono ineccepibili: uno a uno sono ottimi per parti più o meno vaste dei lavoratori e delle masse popolari. Si può solo dire che alcuni si perdono nei dettagli e che altri punti si potrebbero aggiungere con buone ragioni alla Piattaforma. Comunque tutto quello che si potrebbe dire pro e contro la Piattaforma, vale anche per altre piattaforme avanzate da altri gruppi di militanti sindacali. Non è né peggio né meglio di tante altre piattaforme. Non sono i rilievi ai singoli obiettivi quello che conta. Quello che conta è che i compagni non spiegano in base a cosa e come ritengono che simili o altri analoghi obiettivi siano realizzabili. Solo per la salvaguardia dei posti di lavoro dicono che bisogna procedere a presidi e occupazioni. Eppure è evidente che si tratta di obiettivi ognuno dei quali comporta lo sconvolgimento della condotta dei padroni e delle loro autorità, a livello nazionale ed europeo: cosa che non si realizza con delle lotte sindacali sia pure numerose e coordinate, unificate.

I compagni dicono che “le lotte oramai si moltiplicano nel paese”, ma non indicano niente che mobiliti queste lotte a favore di un movimento generale nell’ambito del quale i singoli obiettivi della Piattaforma possano essere realizzati. Anche l’esperienza di questi mesi conferma che è certo possibile mobilitare le masse popolari su grande scala a lottare con determinazione, ma solo se chi promuove e dirige la mobilitazione e la lotta, inquadra le singole rivendicazioni particolari in un contesto di rivendicazione e di misure e obiettivi e in un quadro politico che rendono l’insieme realistico e quindi prevedono le misure preliminari e parallele necessarie, i provvedimenti da prendere per far fronte agli effetti negativi e valorizzare gli effetti positivi e quindi in particolare prevedono un governo del paese che sia adeguato a realizzare tutto questo.

Giustamente i compagni dicono che non è più tempo di ascoltare “brillanti analisi” e per “brillanti oratorie”. Occorre mettersi alla testa, contribuire a un movimento che porti avanti una proposta coerente articolata in tutti gli aspetti essenziali: cosa fare, chi lo deve fare e come.

Gli obiettivi rivendicativi delle singole categorie, dei singoli gruppi sociali, settori e territori, devono essere  inquadrati in una politica economica e sociale coerente con essi. Perché questa sia realizzata, alla testa del paese e al servizio della mobilitazione delle masse popolari vi deve essere un governo che abbia la volontà e la forza per attuarla.

Questo non è compito del sindacato? Certo, stando alla tradizione e alle idee correnti non è compito del sindacato. Ma chi altri in Italia può nell’immediato mettersi alla testa dell’opera? L’esperienza della successione di mobilitazioni da giugno 2010 a febbraio 2011 ha mostrato che la sinistra sindacale (la FIOM, l’USB e gli altri sindacati alternativi e di base) hanno la forza e la posizione necessari per mettersi alla testa di quest’opera. Che se la sinistra sindacale si mette in moto, ad essa si associano gli esponenti migliori della sinistra borghese e gli esponenti sinceramente democratici della società civile.

La lotta sindacale da sola in questa fase non va lontano se resta pienamente e unicamente sindacale, se non si trasforma in lotta politica. La rivendicazione e la lotta sindacale devono diventare componenti della lotta per creare un nuovo assetto politico, devono contribuire al movimento generale per costituire un governo d’emergenza delle OO e delle OP, il GBP.

Rosa L.