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  La Voce 39 del (nuovo)Partito comunista italiano

Contributo per la formazione

Concezione, mentalità, personalità

 

Della differenza tra questi tre termini si tratta in La Voce, n. 35, p. 60 e segg. Il primo è universale, l’ultimo individuale. Il termine “mentalità” ha valenza particolare. Qual è la relazione tra i tre termini ai fini della nostra formazione e trasformazione in dirigenti della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata? In altre parole, una volta che abbiamo in mente cosa significano queste tre cose (che le conosciamo), come le assimiliamo e come le usiamo?

Come le assimiliamo? Comprendendo le relazioni organiche (vitali) tra le tre cose e come ci riguardano.

Come le usiamo? Servendocene per trasformarci in dirigenti della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

 

Presumo che il lettore conosca il significato dei tre termini: chi non lo conosce ne trova spiegazione nel testo citato sopra.

Chi ne conosce il significato, deve assimilarlo. Limitarsi a ripeterlo significa non avanzare, restare al nozionismo (che è una forma di dogmatismo), esporre la teoria come un distintivo e quindi restare fermi all’adesione identitaria.

L’adesione identitaria è il limite che ci impedisce di crescere e di trasformarci in dirigenti della GPRdiLD.

L’adesione identitaria è cosa che riguarda la mentalità. La mentalità è per sua natura propria di un gruppo sociale” (La Voce, n. 35, p. 60). L’adesione identitaria è il modo in cui un gruppo sociale si propone di mantenersi coeso. In campo politico è principio applicato a partire dal gruppo di amici che si costituisce come centro di azione politica a livello locale, fino a grandi aggregazioni di partiti e organizzazioni comuniste a livello internazionale. Ha funzione attiva finché serve per resistere alla pressione e all’attacco di forze estranee (i padroni, i fascisti, i revisionisti, ecc.). Diventa un freno quando la situazione è tale per cui il gruppo deve trasformarsi e passare dalla resistenza all’attacco, deve prendere l’iniziativa, diventare attore e protagonista, promotore.

Il passaggio da forza attiva a freno è individuato con precisione da Gramsci, con riferimento al meccanicismo. Il meccanicismo è quel materialismo per cui ci si aspetta che “la storia ci dia ragione”, che la rivoluzione scoppi, ecc. È un elemento dell’adesione identitaria (“facciamo gruppo in attesa che gli eventi diventino favorevoli”) ed è opposto al materialismo dialettico, che insegna a costruire la rivoluzione.

Elementi tipici dell’adesione identitaria sono, tra gli altri:

1. l’attitudine a lamentarsi o a denunciare in dettaglio le varie infamie dell’avversario (la borghesia, Berlusconi, il Vaticano, i sindacati venduti, ecc.) affiancando tutto questo spesso con una dose di disprezzo verso le masse “che non si ribellano” (questo tipo di attitudine è tanto più forte quanto più forti sono le tendenze e influenze di tipo anarchico),

2. l’attitudine a fare quello che dicono i dirigenti superiori, senza comprendere il senso delle loro direttive, quindi senza tradurle nel particolare e nel concreto: le si applica solo perché lo hanno detto loro (si tratta di un burocratismo presente nelle formazioni comuniste: nella forma è completamente opposto alla precedente attitudine anarchica, ma è uguale nella sostanza, negli effetti).

Il passaggio dove Gramsci tratta la questione è il seguente:

L’elemento ‘deterministico, fatalistico, meccanicistico’ era una mera ideologia [qui intesa nell’accezione negativa, di insieme di idee che proietta come realtà i propri desideri e i propri bisogni, ndr], una superstruttura transitoria nell’immediato resa necessaria e giustificata dal carattere “subalterno” di determinati stati sociali. Quando non si ha l’iniziativa nella lotta e quindi la lotta stessa finisce per identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente. “Io sono sconfitto, ma la forza delle cose lavora per me a lungo andare”. È “un atto di fede” nella razionalità della storia, che si traduce in un finalismo appassionato, che sostituisce la “predestinazione”, la “provvidenza”, ecc. della religione. In realtà esiste, anche in questo caso, un’attività volitiva, un intervento diretto sulla “forza delle cose”, ma di un carattere meno appariscente, più velato. Ma quando il subalterno diventa dirigente e responsabile, il meccanicismo appare prima o poi un pericolo immanente, avviene una revisione di tutto il modo di pensare perché è avvenuto un mutamento del modo di essere: i limiti e il dominio della “forza delle cose” vengono ristretti. Perché? Perché in fondo se il “subalterno” ieri era una “cosa”, oggi non è più una “cosa” ma una “persona storica”; se ieri era irresponsabile perché “resistente” a una volontà estranea, oggi è responsabile perché non “resistente”, ma agente e attivo. Ma era stato mai mera “resistenza”, mera “cosa”, mera “irresponsabilità”? Certamente no ed ecco perché occorre sempre dimostrare la futilità inetta del determinismo meccanico, del fatalismo passivo e sicuro di sé stesso, senza aspettare che il subalterno diventi dirigente e responsabile. C’è sempre una parte del tutto che è “sempre” dirigente e responsabile e la filosofia della parte precede sempre la filosofia del tutto come anticipazione teorica. (Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, 2001, vol. II, pag. 1064 in versione primitiva e pagg. 1387-1388 in versione rivista e in Sulla filosofia e i suoi argomenti, Rapporti Sociali, 2007, pag. 18, citato anche in La Voce, n. 24, pag. 40).

Come superare questo limite, come lasciare alle nostre spalle l’adesione identitaria, smettere di comportarci da servi (vedi sopra i due esempi: servile è sia chi si lamenta dei padroni e si scava un ambito (es. il centro sociale, il proprio gruppo d’amici, la propria banda, la propria coscienza) dove fa quello che gli pare e dove si illude di essere libero, come fanno gli anarchici; e servile è chi fa quello che gli dice il capo solo perché è il capo, illudendosi di fare bene perché ha un capo differente dagli altri, come fa il burocrate di partito)?

La norma, in sintesi, è la seguente:

L’individuo cambia la propria personalità e la propria mentalità tramite la concezione”.

Imponendosi la ripetuta esecuzione di gesti e operazioni adatte, l’individuo cambia la propria personalità: nel caso nostro abbandona tutta una serie di attitudini negative, che variano da individuo a individuo, che gli impediscono lo sviluppo. C’è, ad esempio, chi è timido e non osa parlare in pubblico. C’è chi è spavaldo di fronte ai padroni e in testa alle manifestazioni e timido e incerto quando parla a un dibattito politico. C’è chi è bravo a radunare una grande folla per una protesta ed è inetto nel tenere insieme un piccolo reparto di un esercito in guerra. C’è chi recluta facilmente, ma non è capace di consolidare l’adesione e perde tanto facilmente come facilmente recluta. Passando poi da limiti di carattere a limiti di concezione, c’è chi pensa di non essere portato allo studio; c’è chi pensa che per fare la rivoluzione lo studio non è necessario; c’è chi pensa che lo studio è necessario ma dice di non avere tempo, ecc.

Tutte queste varie forme citate sono problemi che o si risolvono o si coprono con l’adesione identitaria. L’adesione identitaria non copre in eterno. Anzi, se al principio ha una funzione positiva, prima o poi diventa dannosa, per due motivi.

1. Impedisce di diventare comunisti. Per adesione identitaria molti credono già di essere comunisti, altri non lo possono diventare perché non sanno nemmeno cosa significa: un operaio, ad esempio, crede che non potrà mai diventare comunista perché non riuscirà mai ad avere la lingua sciolta e la cultura di un dirigente di partito (magari uno studente nullafacente presuntuoso e dogmatico) che lui identifica come comunista.

2. Il gruppo che si costituisce per adesione identitaria o è visibile, e quindi in caso di attacco del nemico viene facilmente e integralmente dissolto o sterminato (come quando la borghesia instaura dittature terroristiche), o non è visibile, ma in tal caso si mantiene unito tramite criteri di adesione di tipo dogmatico e noti solo in quell’ambito, non si espande e si inaridisce, se prima non viene individuato dal nemico e dissolto (è il caso dei gruppi militaristi).

Per diventare comunisti bisogna apprendere, assimilare e applicare la concezione del mondo del proletariato, cioè il materialismo dialettico, la cui esposizione più avanzata in Italia è nel Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano.

Il materialismo dialettico è concezione e metodo: non è semplicemente un sistema di conoscenze tra loro coerenti da mettere a paragone con altri sistemi filosofici, ma è uno strumento per trasformare la realtà: con cui trasformiamo la realtà e prima di tutto noi stessi (il suo apprendimento, la sua assimilazione e la sua applicazione formano uomini e donne nuovi e differenti da ciò che loro stessi sono stati fino a quel  momento e differenti da quelli che la società divisa in classi fino a oggi ha formato).

È unità di necessità e libertà: impone alla classe operaia di realizzare ciò che essa stessa vuole ma non osa volere, cioè vincere, abbattere il dominio di una classe morta e putrescente che avvelena l’aria che respiriamo (soprattutto in senso figurato, ma anche in senso reale), liberarsi e liberare l’umanità.

È concezione del mondo integrale perché concerne (arricchisce e libera) tutti gli aspetti della vita di un individuo, non solo quello politico, ma è principalmente politica perché la classe proletaria solo partendo dall’aspetto politico (dalla lotta di classe) apre la via all’arricchimento e alla liberazione di tutti gli aspetti della vita di tutti gli individui, percorso che arriva a compimento con la realizzazione del comunismo.

È concezione del mondo collettiva, cioè nasce per elaborazione collettiva e si realizza solo conquistando le masse popolari alla lotta per il comunismo.

È concezione e metodo che garantisce trasparenza nell’esame del passato e nella previsione del futuro, fiducia nella vittoria, inaccessibilità rispetto all’influenza della concezione borghese.

Perché, allora, non viene accolta spontaneamente dalle masse popolari e anzi gli stessi comunisti e gli stessi partiti comunisti non l’accolgono e non la applicano immediatamente, ma solo attraverso un processo di formazione? Perché gli stessi compagni e compagne della carovana del (nuovo) Partito comunista italiano non l’accolgono e non la applicano immediatamente?

Al mondo non c’è nulla che è solo immediato, diceva Hegel (così come non c’è nulla che è solo mediato). Per applicare una cosa bisogna conoscerla, e i proletari prima sono stati tenuti ben lontani dalla cultura; poi quando hanno lottato per averla hanno avuto da un lato (dagli economicisti e affini) una cultura bassa, quasi fossero persone interessate solo a soddisfare i loro bisogni animali, e dall’altro (dai dogmatici, dagli accademici) una cultura “alta” falsificata, che dava risposte false a tutti i loro bisogni (incluso il bisogno di fare la rivoluzione). Si è trattato quindi di partire da una condizione iniziale di analfabetismo e di falsificazione della realtà: la concezione materialistica dialettica è nata combattendo tutto questo.

Inoltre, come insegna lo stesso materialismo dialettico, al mondo non c’è nulla che non sia contraddittorio. Quindi anche il partito comunista più avanzato, e il dirigente più avanzato di quel partito deve combattere in sé una tendenza negativa che qui e ora, nel caso nostro, significa rinchiudersi nell’adesione identitaria, pensare di avere già fatto abbastanza, di essere più bravi degli altri, andare in giro con il distintivo, dire che bisogna fare la rivoluzione invece di farla, ecc.

Oggi rimanere fermi all’adesione identitaria è diventato dannoso, come dico sopra, ma non è principalmente per questo che bisogna smetterla. Bisogna smetterla perché ci chiude in una mentalità misera, logorata e opaca, mentre la concezione del mondo comunista, quella che costruisce il futuro e che ha già i piedi nel futuro, è splendida. Per questo invito prima di tutto i compagni e le compagne della carovana, ma poi anche tutti quelli con cui iniziamo e sviluppiamo relazioni, ad abbandonare le remore, a lanciarsi in avanti, a rendersi conto pienamente della forza che abbiamo, a comprendere che vincere dipende da noi, e quindi a vincere.

Eugenia B.

  

La Voce n. 39
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