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  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

La concezione comunista del mondo è il cemento
di ogni partito comunista vittorioso!

 

Marx ed Engels hanno elaborato la concezione comunista del mondo. Essa è la base su cui si formano i partiti comunisti. I partiti comunisti sono formati dagli individui che condividono la concezione comunista del mondo e si organizzano per applicarla alla trasformazione del mondo e svilupparla ulteriormente. In questo senso il partito comunista è l’avanguardia organizzata della classe operaia. Che il Partito comunista dovesse essere fondato sulla comune adesione e sulla applicazione nella pratica della concezione comunista del mondo era implicito nelle tesi di Marx ed Engels (in particolare già nelle Tesi su Feuerbach del 1845).

Ma inizialmente il compito pratico principale del movimento comunista consistette nel portare in massa gli operai ad acquisire coscienza di classe, cioè la coscienza di essere una classe particolare distinta dalle altre classi delle masse popolari, la classe che doveva assolvere un ruolo particolare nel superamento della società capitalista. L’assolvimento di questo compito occupa gli anni dal 1848 (pubblicazione del Manifesto del partito comunista) fino agli ultimi anni del secolo XIX. Solo allora la questione dell’adesione alla concezione comunista del mondo divenne una questione decisiva ai fini dell’assolvimento del compito pratico del partito comunista.

Il principio fu posto esplicitamente da Lenin nei primi anni del secolo scorso, nella lotta contro i revisionisti. Lenin elaborò questa concezione nel Che Fare? (1902) e nel II congresso del partito russo (luglio-agosto 1903) fece valere il principio che l’adesione al partito implicava l’adesione alla concezione comunista del mondo. In questo congresso venne infatti sancito a maggioranza che per essere membro del partito non bastava accettare lealmente il programma politico del partito e collaborare alla sua attuazione. Il successo raggiunto dal partito russo nel 1917 e negli anni successivi non sarebbe stato possibile senza la battaglia per affermare questo principio che Lenin condusse con tenacia anche se con paziente lungimiranza a partire da allora.

 La battaglia per far valere quel principio successivamente fu lanciata anche nei partiti della Internazionale Comunista fondata nel 1919. Essa venne condotta con alterne vicende e non arrivò mai a trionfare nettamente in nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti. Essi per lo più sbandarono ciclicamente da un’adesione identitaria e dogmatica (spesso costituita principalmente dal legame con l’Unione Sovietica e il movimento comunista impersonato dall’Internazionale Comunista) senza traduzione nel particolare e nel concreto, a una tattica senza principi.(1)

1. Questo tema è trattato nell’articolo di Umberto C. L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo, in La Voce n. 10 (marzo 2002), pagg. 52-59.

Questo fece sì che quando nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica prevalsero i revisionisti moderni (1956) e l’Unione Sovietica incominciò ad abbandonare il ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, i partiti comunisti dei paesi imperialisti sbandarono rapidamente per lo più verso il riformismo senza principi, alcuni verso il dogmatismo.

L’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo sono questioni vitali per i partiti comunisti. Senza, essi non sono in grado di assolvere al loro compito. La lotta contro la concezione comunista del mondo condotta con accanimento dalla borghesia e dalla sinistra borghese e la denigrazione che esse ne fanno sono una conferma. La premura con cui alcuni compagni si difendono dall’accusa di avere “posizioni ideologiche”, di essere cioè a priori schierati dalla parte della lotta comunista contro il capitalismo, è un indice della debolezza ideologica e quindi anche politica di quei compagni. Il rifiuto della concezione comunista del mondo è un aspetto basilare e decisivo della lotta di classe. La borghesia e il clero sono interessati, ai fini della loro sopravvivenza come classe, a che la classe operaia e in generale le masse popolari non la facciano propria. All’opposto noi comunisti dobbiamo fare il massimo sforzo perché  essa sia conosciuta, compresa e assimilata dalla parte più larga delle classi oppresse e dell’umanità. Esse hanno un bisogno vitale di questa “ideologia”. Gli individui più generosi faranno tutti gli sforzi necessari per farla propria nonostante le coercizioni con cui la borghesia e il clero distolgono le masse popolari dalla conoscenza.

 

La concezione comunista del mondo parte dalla scoperta che la specie umana è evoluta da uno stato sostanzialmente non diverso da quello di altre specie animali superiori, fino allo stato attuale. Questa evoluzione è un processo di storia naturale che può essere studiato come gli altri processi di storia naturale, in modo scientifico, sperimentalmente. Non nel senso che è stato un percorso predeterminato, dettato da un disegno di dio o inscritto nella costituzione chimica o biologica come cercarono di stabilire alcuni positivisti (la loro concezione ebbe notevole influenza nelle file della Seconda Internazionale) o dettato da un destino surrogato di dio. Ma nel senso che è un processo che si è svolto nel corso dei millenni secondo leggi sue proprie che i comunisti si sono applicati a scoprire per usarle nell’opera di superamento del capitalismo. La descrizione di quel processo e delle leggi secondo cui si è svolto costituisce la concezione comunista del mondo. Si tratta quindi di una scienza sperimentale, che i comunisti approfondiscono grazie alla ricerca storica e alla verifica nel movimento pratico di trasformazione della società borghese, di superamento del sistema imperialista mondiale.

 

L’evoluzione della specie umana è opera della specie umana stessa. Bando quindi al meccanicismo evoluzionista, alla concezione positivista che in sostanza è l’espressione laica di quello che i cristiani chiamano disegno di dio. Sono le masse popolari che fanno la storia. Come? Questo cambia lungo storia. Il capitalismo lo hanno fatto le masse senza sapere cosa stavano facendo (“eterogenesi dei fini (dei risultati)”). Il comunismo lo possono fare solo masse popolari organizzate e coscienti.

Lo studio dell’evoluzione della specie umana ha mostrato che l’umanità si è via via posta compiti per la cui soluzione aveva già i presupposti necessari. Questo percorso si è svolto secondo leggi sue proprie, in cui si riflette il rapporto dialettico libertà-necessità che caratterizza ogni particolare attività umana: la libertà di fare è direttamente legata alla conoscenza dell’opera da compiere e delle leggi proprie del materia su cui o con cui si compie l’opera. Riesci a fare solo se conosci le leggi dell’attività che vuoi fare. La libertà è la coscienza della necessità.

 La legge che finora ha governato l’evoluzione della specie umana è esposta nella teoria del materialismo storico (unità e lotta tra forze produttive e rapporti di produzione). L’evoluzione è stata dominata dalla lotta della specie umana per strappare al resto della natura (lotta contro la natura) o alle classi dominanti (lotta di classe) quanto necessario per vivere e riprodursi. La sperimentazione scientifica e lo sviluppo della conoscenza e delle altre attività spirituali e delle attitudini, strumenti e procedimenti connessi sono derivati da quella lotta per la sopravvivenza e la riproduzione. È nel corso di questa lotta che si è affermata la divisione dell’umanità in classi sociali di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori. Essa per tutta una fase della storia umana è stata la condizione più favorevole allo sviluppo delle forze produttive. Dalla divisione in classi è sorto lo Stato come una forza particolare destinata alla repressione delle classi sfruttate e delle nazioni oppresse.(2)

2. L’esposizione più dettagliata e anche più sistematica della nascita dello Stato dalla divisione dell’umanità in classi è data da F. Engels, Anti-Dühring (1878) in Opere Complete Editori Riuniti vol. 25. Da esso è tratto il brano riportato in Appendice a questo articolo.

Oggi l’umanità nello sviluppo delle sue forze produttive è arrivata a un punto tale che la produzione dei beni e servizi necessari alla sua vita e riproduzione dipendono unicamente dall’umanità stessa, dal suo sistema di relazioni sociali. La ricerca scientifica ha aperto all’attività umana campi di cui non si vedono limiti se non quelli posti dalle decisioni degli uomini stessi. Sta quindi alla specie umana stessa porsi gli obiettivi del suo sviluppo e darsi le regole corrispondenti. Essi non le sono più imposti dalla natura in cui si sviluppa la sua esistenza.

 L’umanità è certamente in grado di porsi gli obiettivi del suo sviluppo e darsi regole adeguate: è solo l’antagonismo tra classi che impedisce l’elaborazione di decisioni comuni in proposito, perché l’antagonismo di interessi implica che non esistono obiettivi comuni. Questo richiede quindi sia l’eliminazione della divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori sia l’universale partecipazione degli uomini e delle donne alle attività specificamente umane (vedi MP nota 2 pagg. 249-250) e alla direzione del loro sviluppo.

La divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori nel lontano passato è stata una conseguenza della lotta della specie umana per strappare alla natura quanto necessario per sopravvivere, riprodursi e svilupparsi. Oggi la divisione in classi è storicamente superata, di fatto esiste, ma sopravvive a stessa: gli uomini devono eliminarla. La prosecuzione di questa divisione impedisce di riorganizzare il sistema di relazioni sociali in coerenza con le forze produttive di cui oggi l’umanità dispone, delle conoscenze che ha raggiunto, degli obiettivi che l’umanità oggi può porsi. Comporta la decadenza dell’umanità (la deviazione delle capacità umane in attività materiali e spirituali distruttive, la limitazione della ricerca scientifica e della sua applicazione nella soluzione dei problemi pratici) e la distruzione dell’ambiente della sua vita (il saccheggio e la devastazione del pianeta, lo sperpero delle sue risorse e l’inquinamento dell’ambiente).

La borghesia imperialista e il clero mantengono l’umanità imprigionata in un sistema di relazioni sociali sorpassato dallo sviluppo dell’umanità: come un adulto costretto nei vestiti di un bambino. I sistemi di relazioni sociali che caratterizzano le formazioni economico-sociali dei singoli paesi e il sistema di relazioni internazionali che lega i paesi l’uno all’altro sono il risultato di aggiustamenti successivi e scoordinati delle parti e degli aspetti che li compongono, conformemente agli interessi delle classi dominanti che si sono succedute e delle loro frazioni, alle loro manovre per far fronte alla lotta delle classi oppresse e perpetuare il loro ruolo e i loro privilegi. L’asservimento dell’umanità al sistema monetario è l’esempio più chiaro e clamoroso di questo stato.

Finora l’umanità ha fatto la sua storia agendo “dietro le sue stesse spalle” (eterogenesi dei fini: i risultati delle azioni dell’umanità non hanno corrisposto agli obiettivi che individui, gruppi e classi si davano). L’unità stessa dell’umanità era un dato esteriore all’umanità: era imposto ad essa dall’esterno della sua coscienza, della sua organizzazione sociale e della sua attività. Gli uomini anche se sottostavano allo stesso sovrano non dipendevano però l’uno dall’altro per la produzione e riproduzione delle condizioni della loro esistenza.

Il cambiamento epocale che l’umanità deve compiere rispecchia il cambiamento di cui nella sua storia essa stessa ha creato i presupposti. Essa deve ripensare e ricomporre l’intero sistema delle relazioni sociali e riorganizzarle sulla base delle conoscenze e delle possibilità attuali.

In particolare non si tratta principalmente di aumentare la quantità di beni e servizi prodotti (che oggi può crescere illimitatamente fino a far scoppiare gli individui e il pianeta). Non si tratta principalmente neanche di ripartire in modo egualitario i beni e i servizi esistenti (a ognuno secondo i suoi bisogni). Perché tutti gli individui possano accedere ai beni e servizi adeguati a una vita dignitosa (quindi per avere effettivamente una distribuzione (ripartizione) più egualitaria) occorre principalmente cambiare il modo di produzione: sostituire alla produzione capitalista di beni e servizi la produzione comunista di beni e servizi, introdurre ed espandere il ruolo della produzione comunista di beni e servizi.

Si tratta principalmente di sviluppare su larga scala, di rendere universale la partecipazione alle attività specificamente umane.

L’umanità del futuro sarà per forza di cose un’umanità organizzata, cioè un’associazione in cui ogni individuo ha una relazione personale con altri nell’ambito di un collettivo il quale, a sua volta, ha relazioni con altri collettivi che si combinano tra loro a formare collettivi di livello superiore, con un sistema di delegati eletti, controllabili e revocabili, senza segreti di alcun genere. La brevità del tempo dedicato nel corso della sua vita da ogni individuo al lavoro  necessario, alla prestazione sociale obbligatoria per la produzione dei beni e servizi per decisione comune necessari, permetterà effettivamente che ogni individuo abbia le conoscenze e le relazioni necessarie per partecipare alla progettazione e direzione dell’attività sociale. La pratica renderà ovvia e universale questa partecipazione che oggi è ancora, per i lavoratori, una eccezione meritoria di individui particolarmente energici e generosi.

Un tempo i nobili e il clero reputavano impossibile che tutti gli adulti sapessero leggere e scrivere, attività da cui essi escludevano i lavoratori. Analogamente oggi molti tra la borghesia e il clero reputano impossibile che tutti gli individui dell’umanità di domani si dedicheranno ad attività specificamente umane, anziché sprecare nell’ozio e in vizi e bagordi il loro “tempo libero” dal lavoro dedicato alla produzione di beni e servizi. Ma già oggi i ricchi di regola non partecipano (e comunque non sono obbligati a partecipare) al lavoro dedicato alla produzione di beni e servizi, eppure la maggior parte di loro non sono degli abbrutiti nell’ozio e dediti a vizi e bagordi. Sono i loro pregiudizi di classe che li portano a pensare che solo loro sanno appassionarsi alle attività specificamente umane. Siccome individui che non riescono che raramente a mangiare a sazietà, di regola si buttano con avidità sul cibo liberamente messo a loro disposizione, i ricchi non riescono a immaginare che tutti gli uomini e le donne impareranno a nutrirsi in modo e maniera conveniente una volta che disporre del cibo sarà diventato cosa abituale come lo è oggi disporre dell’aria da respirare. Cresciuti alla scuola del clero e della borghesia, anche molti membri delle masse popolari la pensano alla stessa maniera. Ad altri pare difficile se non impossibile fare quello che non hanno mai fatto né visto fare dai loro simili e che quindi non sanno fare. Sono stati d’animo che saranno superati sulla base dell’esperienza una volta che si saranno create le condizioni sociali favorevoli alla trasformazione, come milioni di individui hanno imparato a leggere e a scrivere e a fare tante altre attività da cui per secoli la massa dei lavoratori era stata esclusa.

Il partito comunista e le organizzazioni di massa sono l’avvio della trasformazione dell’umanità nella direzione dell’umanità del futuro, del suo passaggio dallo stato attuale a quello del futuro. È nella natura della borghesia e del clero rifiutare e reprimere questa trasformazione, cercare con ogni mezzo di distoglierne la massa della popolazione. Al contrario noi comunisti studiamo le forme storicamente date di questa trasformazione (come se fosse un processo di storia naturale), senza illusioni e idealismo ma anche senza pessimismo. Dobbiamo trarre dallo studio delle forme storicamente date la comprensione delle leggi del processo e cosa fare per promuoverlo, analogamente al modo in cui si sono sviluppate forme via via più raffinate di didattica e di educazione delle nuove generazioni.

 

Il collante, il legame che dà forma al partito comunista, è l’adesione, l’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo. Questo è il principale: le altre caratteristiche sono secondarie: indispensabili, ma secondarie, derivate. Esse si sviluppano con forza sul lungo periodo solo grazie alla prima. Non a caso le rivendicazioni, la lotta sindacale e tutte le forme secondarie della lotta di classe si sono affievolite e sono decadute via via che i partiti comunisti hanno abbandonato la concezione comunista del mondo, che i revisionisti moderni sono prevalsi e che la sinistra borghese ha infine preso il posto dei revisionisti moderni.

Marco Martinengo

 

 

  

Engels - soppressione dello Stato borghese, estinzione dello Stato proletario

(da Anti-Dühring, 1878 - Opere complete Editori Riuniti vol. 16)

 

Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma così sopprime se stesso come proletariato, sopprime ogni differenza di classe e ogni antagonismo di classe e sopprime anche lo Stato come Stato. La società esistita sinora, si muove sul piano degli antagonismi di classe e quindi aveva bisogno dello Stato, cioè di un’organizzazione della classe sfruttatrice del momento, per conservare le condizioni esterne della sua produzione e quindi specialmente per tenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù, servitù della gleba, semiservitù feudale, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo visibile, ma lo era in quanto era lo Stato di quella classe che per il suo tempo rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società: nell’antichità era lo Stato dei cittadini padroni di schiavi, nel medioevo lo Stato della nobiltà feudale, nel nostro tempo lo Stato della borghesia. Ma, diventando alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, si rende, esso stesso, superfluo.

Non appena non ci saranno più classi sociali da mantenere nell’oppressione, non appena, con l’eliminazione del dominio di classe e della lotta per l’esistenza individuale fondata sull’anarchia della produzione finora esistente, saranno eliminati anche le collisioni e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò che rendeva necessaria una forza repressiva particolare, uno Stato. Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l’ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L’intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa successivamente superfluo in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone appare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene "abolito": esso si estingue. Questo è l’apprezzamento che deve farsi della frase "Stato popolare libero", tanto quindi per la sua giustificazione temporanea in sede di agitazione, quanto per la sua definitiva insufficienza in sede scientifica; e questo è del pari l’apprezzamento che deve farsi della tesi sostenuta dagli anarchici che lo Stato deve essere abolito dall’oggi al domani.

 

 

 

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