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  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

La natura, la fonte, le leggi di sviluppo e le manifestazioni della crisi

 

L’interpretazione che viene data della natura della crisi in corso è una questione decisiva ai fini del giusto orientamento della nostra attività di comunisti, tesa a instaurare il socialismo per attuare quindi la transizione al comunismo. Molti errori di linea politica e molte parole d’ordine inconcludenti oggi in campo nel nostro paese fanno a pugni con la giusta interpretazione della crisi. La lotta per affermare la giusta interpretazione della crisi mira a liberare da essi il campo della lotta politica.

Vedo già alcuni lettori alzare le spalle: come se una giusta interpretazione della crisi bastasse! Certamente non è l’unica questione: cioè non basta avere una giusta interpretazione della natura della crisi per dare alla nostra attività un orientamento efficace. Ma è una questione decisiva, nel senso che per dare un orientamento efficace alla nostra attività, è indispensabile che noi comunisti abbiamo un’interpretazione della natura della crisi abbastanza corrispondente alla realtà. E viceversa, un’interpretazione sbagliata della natura della crisi ci porterebbe quasi inevitabilmente a un’attività inconcludente.

Può certamente capitare che alcuni comunisti combinino un’interpretazione sbagliata della crisi con un’attività efficace, come a un medico che ha fatto una diagnosi sbagliata di una malattia può tuttavia capitare che la medicina che somministra all’ammalato lo guarisce. Ma si tratta di casi limitati e fortunati, su terreni e in battaglie circoscritte e per obiettivi immediati o quasi. Per tracciare con sicurezza l’orientamento generale e di lungo periodo della nostra attività, è indispensabile dare un’interpretazione abbastanza giusta della crisi in corso.

Dalla fine del 2007 in qua, farla finita con la crisi o far fronte a puntuali manifestazioni catastrofiche della crisi (fallimenti di banche o di imprese, deficit di bilancio, declino di un mercato, attacchi speculativi su titoli del Debito Pubblico, collocazione di prestiti, ecc.) è in tutti i paesi imperialisti la motivazione principale addotta (e spesso in termini terroristici e ricattatori) dalle classi dominanti per giustificare le continue restrizioni economiche, politiche e civili (dei diritti politici, sindacali e civili conquistati), il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il venir meno di prospettive per il futuro e la degradazione delle relazioni sociali che esse impongono alle masse popolari.

La crisi riassume per le masse popolari dei paesi imperialisti l’accentuazione radicale dal 2007 in qua dei flagelli (disoccupazione, precarietà del lavoro, riduzione del reddito, privazione o peggioramento dei servizi pubblici, riduzione delle prestazioni di sicurezza sociale, restrizioni dei diritti politici, sindacali e civili, mancanza di prospettive per il futuro, arretramento delle relazioni sociali) che già negli anni precedenti colpivano le masse popolari.

Che il mondo non può più continuare come è né ritornare come era, è opinione, sensazione e discorso correnti. Questo è un aspetto della situazione rivoluzionaria in sviluppo, la parte oggettiva. Ad essa si deve combinare la nostra azione soggettiva di Partito comunista, promotori, organizzatori e dirigenti delle masse popolari.

Quindi una giusta concezione della natura della crisi, della sua fonte e delle sue leggi di sviluppo è questione decisiva per noi comunisti.

 

Quali sono le principali interpretazioni della natura della crisi che oggi influenzano la condotta delle masse popolari organizzate, delle OO e OP?

La crisi in corso è un fenomeno complesso, nel senso che si manifesta contemporaneamente in molti campi (certamente nel campo economico inteso come produzione e circolazione di beni e servizi, ma anche nei campi finanziario, creditizio, commerciale, politico, culturale), riguarda aspetti collettivi (di interi paesi, di società e di gruppi) e aspetti individuali (lo stato morale, intellettuale e psicologico, la salute psichica, la formazione e le attività intellettuali, il  comportamento e la scala di valori degli individui), riguarda l’attività di varie classi (classi oppresse e classi dominanti, classi sfruttate e classi sfruttatrici), di vari popoli (popoli dei paesi oppressi, popoli degli ex paesi socialisti, popoli dei paesi imperialisti, popoli dei paesi ai margini del sistema imperialista mondiale e in conflitto con esso) e di tutte le istituzioni del mondo. In un avvenimento complesso vi sono manifestazioni molteplici, ognuna con una sua propria specificità di caratteri e una qualche sua autonomia di sviluppo.

Dare un’interpretazione giusta della natura della crisi significa individuare un’unità, al di là di questa molteplicità di forme e di sviluppi, definire i rapporti di unità e lotta che legano tra loro i vari aspetti e i molti protagonisti. Noi materialisti dialettici siamo monisti: sosteniamo che ogni aspetto della realtà è in relazione con gli altri e si trasforma: non siamo né eclettici, né deterministi. Solo apparentemente la realtà è caotica: è questione di conoscerla sufficientemente e di ricostruirla nella nostra coscienza come “concreto di pensiero”, per vedere l’unità nella molteplicità.

Questo di fronte alla crisi in corso significa indicare la fonte che ha determinato e che alimenta la crisi, il centro da cui essa si è diramata e da cui è con continuità alimentata. Significa indicare la relazione tra questo suo aspetto principale e i molti altri suoi aspetti, ognuno dei quali, secondario nel corso generale, può tuttavia diventare l’aspetto principale in un concreto contesto e per un certo periodo. Significa cioè ridurre a unità il molteplice, ma non in modo arbitrario. Ridurre a unità perché l’avvenimento ha effettivamente una sorgente da cui è nato e da cui è alimentato, ha una sua unità: cosa che si riflette anche nel fatto che lo sintetizziamo con un unico nome.

L’interpretazione della crisi è la premessa logica della linea di intervento, anche se nella pratica individui e gruppi intervengono anche prima di aver capito, intervengono spontaneamente, sulla base del senso comune e delle prassi e circostanze in cui si ritrovano.

Le interpretazioni sono ricostruzioni dell’avvenimento reale nella coscienza di individui che pensano. Quindi è scontato che di fatto sono molte e contrastanti. Ogni interpretazione della crisi deve in definitiva misurarsi con l’efficacia della cure che ne risultano. Senza questa verifica, se si esclude questa verifica, un’interpretazione vale l’altra. Chi ritiene che la crisi è un castigo di dio per i peccati degli uomini o un risultato del fatto che “gli uomini non sono perfetti”, può continuare a crederlo senza tema di smentita tanto la conclusione è che non c’è niente da fare e che deve subire la punizione dei peccati suoi o degli altri. Qui tratto delle interpretazioni della crisi che si presentano come premessa per elaborare e applicare una terapia, quindi di interpretazioni razionali volte a guidare l’attività degli uomini di fronte alla crisi.

Come in ogni campo d’attività, la conferma definitiva e incontrovertibile che una interpretazione è giusta, l’avremo solo a posteriori, quando il successo dell’attività avrà confermato che la visione del mondo che l’ha guidata era giusta. Attenersi a una verifica del genere condanna però ad aspettare per vedere e intanto subire o arrangiarsi ognuno come può. Di fatto un’attitudine del genere condanna a non avere verifica alcuna, perché solo mettendola in pratica si ha la verifica se una teoria è giusta. Di fatto un’attitudine del genere significa lasciarsi guidare da altri: per le masse popolari anche organizzate, per OO e OP significa farsi guidare dalle classi dominanti che una direzione comunque la danno, farsi abbindolare dai loro esponenti che, per attitudini individuali combinate con la posizione sociale, dirigono, hanno seguito e prestigio, egemonia sulle masse popolari.

Quando mettiamo a confronto varie interpretazioni della crisi trattiamo ognuna di esse come si tratta una teoria nel campo scientifico e tecnico: si tratta di trovare l’interpretazione della realtà che è consistente con quanto conosciamo e che quindi mettiamo alla prova con ragionevole sicurezza del risultato. Cosa che non esclude difficoltà nell’attuazione e neanche rovesci e sconfitte temporanee e su terreni circoscritti. Come in ogni impresa umana di una qualche consistenza.

Consapevole di questo, il nostro Partito ha dedicato molto tempo e molte energie allo studio della crisi alla luce e con  l’aiuto della concezione comunista del mondo. I risultati di questo lavoro sono esposti nella letteratura del Partito ivi compreso il suo Manifesto Programma (vedasi nell’indice analitico la voce Crisi del sistema capitalista). Della natura della crisi attuale trattano in dettaglio una serie di scritti pubblicati a partire dalla metà degli anni ’80 nella rivista Rapporti Sociali, in particolare del n. 0 (settembre 1985) - La crisi attuale, crisi per sovrapproduzione di capitale (articolo di nuovo diffuso recentemente in Avviso ai naviganti 8 del 21 marzo 2012); del n. 1 (febbraio 1988) - Crack di Borsa e capitale finanziario;(1) del n. 8 (novembre 1990) - Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale che è una disanima del capitolo 15 del libro 3 di Il capitale di Marx. La discussione sul tema è stata riassunta in un articolo di Rapporti Sociali n. 17/18 (autunno 1996) - Per il dibattito sulla causa e  sulla natura della crisi attuale. In questo numero di RS sono dati anche i riferimenti per le pubblicazioni nel frattempo fatte in inglese, francese e tedesco degli scritti principali sul tema. L’argomento è ripreso, con l’indicazione dei testi per l’approfondimento in varie lingue, anche nell’opuscolo del (n)PCI, I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale, diffuso nell’autunno 2010 in occasione della fondazione della ICOR, reperibile in www.nuovopci.it.

1. L’articolo La crisi attuale, crisi per sovrapproduzione di capitale del n. 0 (settembre 1985) della rivista Rapporti Sociali dà la ricostruzione logica della crisi attuale. L’articolo Crack di Borsa e capitale finanziario del n. 1 (febbraio 1988) di RS dà invece la ricostruzione storica della crisi attuale per quanto era possibile darla già 25 anni fa, a più di dieci anni dal suo inizio.

 

 Scartiamo in via preliminare l’obiezione più comune e banale che abbiamo incontrato e incontriamo. Ogni volta che noi comunisti indichiamo l’aspetto principale di un processo, l’anello a cui bisogna attaccarsi per far girare tutto il meccanismo, ci viene da più parti obiettato che “è vero, però c’è anche questo, quello e quell’altro aspetto”: quindi noi saremmo semplicisti, schematici, unilaterali. Ovviamente che ci sono anche altri aspetti oltre al principale è sempre vero, altrimenti il principale non sarebbe principale.(2) Psicologicamente molti obiettori sono comprensibili: reagiscono a esposizioni effettivamente schematiche, dogmatiche, unilaterali in cui l’esistenza o il ruolo degli altri aspetti oltre al principale sono ignorati o addirittura negati, o a descrizioni di situazioni concrete in cui si trascura che in quella situazione concreta l’aspetto principale è uno di quegli aspetti che nel corso generale delle cose è secondario.

2. Sulla questione, rinvio alla nota Il principale e i secondari, in La Voce n. 38 (luglio 2011), pag. 61.

Questa obiezione è tanto più diffusa ora, dopo anni di “pensiero debole”. La lotta di classe si svolge anche in campo teorico. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. In ogni campo in cui si scontrano interessi contrapposti, gli uomini elaborano anche interpretazioni contrapposte della lotta in corso, del suo oggetto diretto, delle connessioni della lotta con gli altri aspetti sociali e individuali delle specie umana e dei possibili sbocchi della lotta in corso. La concezione è un’arma di lotta.

1. Predicare e promuovere la rinuncia a capire e convincere che è impossibile capire, che la realtà non è conoscibile, che “solo la fede ci può salvare”;

2. la concezione che della realtà non è possibile avere una comprensione esauriente (cioè tanto vasta e di dettaglio quanto necessaria per l’azione) e che ognuno è libero di pensare quello che vuole (cioè confondere il fatto che non è con la costrizione che si costruisce una scienza, con il fatto che vi sono tesi vere e tesi false);

3. sostituire la ricerca scientifica, la scienza sperimentale che si costruisce “provando e riprovando”, con le narrazioni o affabulazioni alla Nichi Vendola:

ecco tre armi che la borghesia usa largamente a difesa del suo dominio da quando è “storicamente superata”, da quando cioè non ha altra ragione di esistere oltre quella che sopravvive a se stessa, al ruolo che ha svolto nella storia. Che una scienza dell’evoluzione della specie umana è impossibile, è una concezione maneggiata tanto diffusamente da diventare pensiero corrente, luogo comune e sentire comune, fino a fare un vanto della propria povertà di pensiero: appunto  “pensiero debole”.

Ricostruzione logica e ricostruzione storica

Un uomo è riuscito a raggiungere una cima aprendosi la strada nella foresta e tra le rocce che ne rendevano difficile l’accesso. Dall’alto della cima contempla il territorio e il tragitto tra il punto di partenza e la cima. Ora può tracciare il percorso che avrebbe potuto fare e che effettivamente farebbe se dovesse rifare il percorso con la conoscenza che ora ha del terreno e delle condizioni di marcia. Questa è la descrizione logica del percorso. Essa può essere notevolmente diversa dalla descrizione storica del percorso che è quella che si ricava dal diario che il viaggiatore ha scrupolosamente tenuto. Questa è la descrizione storica del percorso.

Solo guardando dall’alto il tragitto compiuto e contemplando il territorio attraversato, il viaggiatore vede la logica che emerge nonostante le diversioni e le inversioni, i vagabondaggi che ha compiuto mosso da difficoltà e dalle apparenze. La ricostruzione logica del percorso può in definitiva risultare molto diversa dalla ricostruzione storica: questa descrive tutte le digressioni che hanno rallentato e complicato il percorso.

Come ramo a se stante del sapere, la logica si presenta come pensiero che pensa se stesso. Nella realtà la logica nasce nella mente dell’uomo quando l’uomo contempla dall’alto la sua opera e vede la connessione necessaria (diretta) che lega tra loro i passaggi che la compongono.

Per una esposizione esauriente della diversità e della connessione tra ricostruzione logica e ricostruzione storica, rinvio a F. Engels, Karl Marx, “Per la critica dell’economia politica” pubblicato in Das Volk (agosto 1859) e reperibile in Opere Complete Editori Riuniti vol. 16 e sul sito www.nuovopci.it.

 Ma quali che siano le spiegazioni delle spinte degli obiettori, resta il fatto che nel corso generale della crisi attuale esiste un aspetto principale e che ai fini pratici è indispensabile individuarlo. Ai nostri obiettori che ecletticamente pongono un aspetto della crisi accanto all’altro, noi chiediamo: qual è il principale? quali sono le relazioni tra questi vari aspetti? Senza rispondere a queste domande, l’elencazione degli aspetti non serve ancora per l’attività. All’indicazione dell’aspetto principale della crisi attuale, contrapporre l’elenco di altri aspetti serve solo a paralizzare l’azione. Gli eclettici o sono estranei alla lotta politica oppure nella lotta politica si orientano a naso, cioè secondo il senso comune dettato in definitiva dalla classe dominante. Per dare un contributo utile alla scoperta della giusta interpretazione della crisi, bisogna confutare la tesi che quello che noi comunisti indichiamo come aspetto principale è effettivamente tale e indicare qual è l’effettivo aspetto principale.

Posta questa premessa, vediamo quali sono le concezioni della crisi attuale che sono impugnate o sottintese nella lotta politica in corso.

 

La concezione su cui il nuovo Partito comunista italiano, marxista-leninista-maoista, basa la sua linea è che la crisi attuale è una crisi generale (economica, politica, culturale: che riguarda tutto il sistema di relazioni sociali e il sistema delle relazioni internazionali, quindi in questo preciso senso “crisi sistemica”) per sovrapproduzione assoluta di capitale (quindi in questo preciso senso “crisi strutturale”, cioè che ha sede e fonte nella struttura della società, nella produzione di beni e servizi, distinta o contrapposta alla sovrastruttura): il capitale accumulato è tanto che se lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono beni e servizi, i capitalisti estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. Da qui sovrappopolazione (disoccupazione ed emarginazione: una parte considerevole dei proletari non è assunta dai capitalisti a lavorare nelle loro aziende), sovrapproduzione di merci (i capitalisti fanno produrre più merci di quelle che riescono a vendere), sottoutilizzazione degli impianti e in generale freno all’uso e allo sviluppo delle forze produttive (l’applicazione e lo sviluppo della ricerca è decisamente inferiore alla disponibilità di uomini e mezzi), concorrenza accanita per ridurre i costi di produzione (competizione tra imprese e tra paesi), riduzione dei salari, eliminazione dei diritti e dei servizi conquistati dai lavoratori e dalle masse popolari dei paesi imperialisti nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, finanziarizzazione dell’economia, dilatazione dei debiti pubblici (ai ricchi il loro Stato chiede soldi in prestito, mentre ai lavoratori li estorce come imposte), sviluppo delle attività speculative nei campi più vari (titoli finanziari, materie prime, derrate alimentari, grandi opere pubbliche inutili o dannose, ecc.), crescita dei monopoli, ricolonizzazione dei paesi neocoloniali, inquinamento dell’ambiente, saccheggio del pianeta e delle sue risorse, alterazione dei prodotti (prodotti adulterati e nocivi), le mille combinazioni di miseria e di spreco, la riduzione della parte destinata ai lavoratori nella ripartizione del reddito, lo  spostamento dalla tassazione del reddito (imposte dirette) alla tassazione del consumo (imposte indirette), interpenetrazione tra attività criminali e attività economiche e finanziarie, privatizzazione dei servizi pubblici, soppressione del settore pubblico dell’economia, deregolamentazione dell’attività economica (lo Stato si ritira dalle responsabilità che sotto la pressione del movimento comunista nel corso della prima parte del secolo scorso aveva assunto e lascia campo libero ai capitalisti e alle loro istituzioni “private”), esternalizzazione delle attività produttive, globalizzazione dell’attività economica, delocalizzazione delle aziende, corsa forsennata all’innovazione di processo e di prodotto, aggressioni e operazioni di destabilizzazione, corsa al riarmo, ecc. ecc.

Ovviamente le conseguenze e manifestazioni più strettamente economiche non avrebbero potuto manifestarsi senza gli strumenti e istituti finanziari e politici necessari alle manifestazioni. Tali sono ad esempio il predominio delle monete fiduciarie e la trasformazione del dollaro in moneta fiduciaria mondiale imposta dal governo USA nel 1971 (Nixon), l’eliminazione delle restrizioni e dei regolamenti relativi alla circolazione internazionale dei capitali d’investimento e finanziari, l’eliminazione della distinzione tra banche d’affari e banche di deposito e prestito, la riduzione dei diritti democratici borghesi e del ruolo delle assemblee rappresentative con connesse manipolazioni delle leggi elettorali, la dilatazione della manipolazione e intossicazione dell’opinione pubblica, la lotta contro lo “strapotere dei sindacati” dei lavoratori (Thatcher, Reagan, ecc.), la fusione tra propaganda pubblicitaria, ricerche di mercato, propaganda politica e programmi elettorali, la riduzione della sovranità degli Stati sotto l’egida mondiale dello Stato USA, ecc. ecc.

 Tutto questo non avrebbe potuto prodursi senza l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, senza l’indebolimento e senza la corruzione e corrosione del movimento comunista e dei suoi partiti, senza la rinuncia dei primi paesi socialisti (in particolare dell’Unione Sovietica e della Repubblica Popolare Cinese) al ruolo di basi rosse della rivoluzione proletaria mondiale che avevano svolto per alcuni decenni e la loro reintegrazione a livelli e condizioni specifiche nel sistema imperialista mondiale, senza il compimento dell’opera di erosione e corruzione del movimento comunista di cui i revisionisti moderni, da Kruscev a Togliatti, sono stati i promotori.

Avviso ai naviganti n. 8 - 23.03.2012

La seconda crisi generale per
sovrapproduzione assoluta di capitale

www.nuovopci.it/dfa/avvnav08.html

Tutto queste trasformazioni hanno ovviamente avuto bisogno del loro contesto culturale e d’immagine, di una coscienza sociale ad essi corrispondente: il liberismo e il culto del mercato e della mano invisibile del mercato. La restaurazione borghese ha reso queste idee una fede, le ha proclamate scienza economica e le ha contrapposte alla “ideologia” marxista della lotta di classe che aveva animato il movimento comunista. In nome della sua concezione del mondo eretta a scienza, la borghesia ha dichiarato guerra alle “ideologie”. A questa guerra hanno prontamente aderito gli esponenti della sinistra borghese (i Berlinguer, gli Scalfari, gli Occhetto, ecc.), che via via hanno preso il posto dei revisionisti moderni alla testa delle vecchie organizzazioni, sindacati e partiti, vale a dire delle masse popolari organizzate rompendo anche con la memoria e l’omaggio rituale al movimento comunista a cui i revisionisti moderni restavano e restano ancorati. Idealisti perché aborrivano dal materialismo marxista della divisione in classi e della lotta tra le classi, gli esponenti della sinistra borghese hanno piagnucolato tra una festicciola e l’altra a cui le loro pubbliche prebende davano accesso e hanno deplorato l’avvento della nuova crudele fede liberista, un’aberrazione che impediva la realizzazione delle loro belle costruzioni sociali e lasciava dispiegare liberamente gli interessi dei capitalisti. Da buoni idealisti infatti essi indicavano l’ideologia liberista come fonte e origine di tutto quanto il movimento pratico che ho sopra elencato, perché per gli idealisti la realtà è un prodotto delle idee, gli interessi degli altri sono la realizzazione di idee sbagliate. “Come è noto”, la realtà viene dall’alto, il potere viene dal re, il mondo è creato da dio: all’inizio era l’idea e il mondo fu creato a sua immagine e somiglianza!

In realtà gli uomini sono una specie animale che ha bisogno di rappresentare in concezioni, discorsi, immagini, suoni, illusioni e riti quello che fa. Per sua natura la borghesia deve conquistare in un modo o nell’altro un certo grado di  consenso e un certo livello di rassegnazione delle masse popolari al corso delle cose: è l’egemonia che deve combinarsi con la forza perché il potere sia stabile. Senza le concezioni liberiste non era possibile che i capitali e le merci circolassero liberamente nel mondo. Non potevano circolare veicolati da individui contrari alla loro circolazione. La borghesia ha fatto delle sue idee la nuova religione e la sinistra borghese ha indicato nella nuova religione la causa dei mali del mondo. Marco Revelli arrivò a denunciare al mondo la scomparsa della classe operaia.

Ritornando sulla terra e alla dura realtà, quanto ho elencato compone tutto il variopinto scenario in cui si dispiega la crisi generale a cui facciamo fronte. Ovviamente questa concezione della crisi comprende e inquadra ognuna delle manifestazioni collettive e individuali di essa. Essa però le rimanda tutte, direttamente o attraverso una serie di passaggi, all’impossibilità di investire nelle imprese capitaliste che producono merci (beni o servizi) tutto il capitale accumulato, quindi, in termini positivi, alla necessità di sostituire nella produzione di beni e servizi l’azienda capitalista con l’agenzia pubblica e alla connessa necessità di elaborare e far valere tutto il contesto politico, culturale, morale e sociale corrispondente e di fare del lavoro necessario alla produzione dei beni e servizi una prestazione sociale universale anziché la misura e la condizione dei beni e servizi disponibili per il consumo individuale dei proletari, ossia di buona parte dell’umanità: in sintesi, l’instaurazione del socialismo, quello “sviluppo non capitalista” dell’umanità che tanti esponenti della sinistra borghese, per la presuntuosa ingenuità dell’ignorante o per la sfrontata menzogna dell’anticomunista, ancora oggi dicono che “non si sa” cosa sia.

 

Storicamente superata

Diciamo che una relazione o istituzione (e la categoria che la riflette nella mente umana) è storicamente superata quando l’evoluzione della specie umana ha creato condizioni tali che quella relazione o quella istituzione non svolge più e non può più svolgere il ruolo per cui è sorta.

Una relazione o istituzione può essere storicamente superata pur continuando ad esistere di fatto.

In L’estremismo, malattia infantile del comunismo (1920) Lenin illustra il fatto inconfutabile che la democrazia rappresentativa (il parlamentarismo) era “storicamente superato”, ma nella lotta politica il partito comunista di regola doveva lottare anche sul terreno parlamentare e in generale della democrazia rappresentativa, perché questa istituzione non era ancora superata nei fatti .

Anche il capitalismo è storicamente superato.

Anche la legge del valore-lavoro è storicamente superata.

 Quali sono le altre concezioni della crisi che hanno corso nella cultura che influenza le FSRS e le masse popolari organizzate, in particolare le OO e le OP?

Premetto che difficilmente troverete fautori di una di esse che argomenta apertamente e sistematicamente la sua interpretazione. Normalmente troverete ognuna di esse come verità scontata, come pregiudizio e luogo comune che soggiace all’esposizione dei rimedi che ne derivano. Ciò premesso, le concezioni correnti nella cultura dominante si riducono a due:

1. la concezione della crisi attuale principalmente come crisi finanziaria (la crisi economica, la recessione, sarebbe una conseguenza della crisi finanziaria),

2. la concezione della crisi attuale come crisi ciclica.

1. La concezione della crisi attuale come crisi finanziaria.

È la concezione più diffusa nella cultura corrente. Secondo questa concezione l’origine della crisi attuale starebbe nel campo dove operano le istituzioni finanziarie e le banche, nelle relazioni che esse intrattengono tra loro e con i capitani d’impresa, nel disordine che si sarebbe creato in questo campo.

La crisi attuale nascerebbe dalla libertà che gli Stati hanno accordato alle istituzioni finanziarie, dalla eliminazione o mancanza di regole per la gestione del mercato dei titoli finanziari e dell’attività delle banche, dalla commistione aperta tra banche d’affari (quelle in cui i grandi capitalisti si combinano tra loro per lanciare affari: capitali di rischio ad alto profitto) e banche di deposito e prestito (quelle che raccolgono i risparmi e li prestano alle aziende di beni e servizi o alle famiglie): commistione che ha stracciato la facciata ipocrita dietro la quale le banche commerciali con i soldi dei depositanti costituivano banche d’affari nominalmente autonome con cui combinavano affari. Infine, scandalo degli scandali, l’euro, moneta senza banca centrale che lo diriga per conto di un governo e di uno Stato (come se i sistemi  politico-finanziari con banca centrale e Stato, stile USA, Giappone, Gran Bretagna, ecc. fossero immuni dalla crisi attuale e questa fosse nata in Europa, un’area con una moneta fiduciaria comune senza Stato e governo centrale e con una banca centrale dimezzata).

La crisi ecologica deriva
dalla crisi del capitalismo

Gli uomini possono conservare

e migliorare il pianeta Terra

La crisi ecologica (alterazione del clima, inquinamento dell’ambiente, distruzione delle risorse e delle specie animali e vegetali) è un derivato della crisi del capitalismo. Per valorizzare il loro capitale, per prolungare la vita del loro sistema sociale, per ridurre i costi di produzione, i capitalisti aumentano all’infinito la quantità di beni e servizi prodotta e saccheggiano il pianeta come del resto sacrificano uomini e donne. È l’anarchia propria del sistema capitalista che impedisce che gli uomini decidano cosa, quanto e come produrre. È falsa propaganda filocapitalista sostenere che la crisi ecologica nasce dal numero di uomini. È come sostenere che la disoccupazione e la povertà ci sono perché gli uomini sono troppi. Sostenere che è possibile porre fine su larga scala e in modo duraturo alla crisi ecologica senza porre fine al capitalismo, è una menzogna che serve a proteggere il sistema capitalista.

Secondo questa concezione sarebbe il disordine finanziario che sconvolgerebbe l’economia reale (la produzione e circolazione di beni e servizi). Per eliminare la crisi gli Stati dovrebbero introdurre regole per il mercato finanziario, esercitare controlli sulle istituzioni finanziarie, tassare le transazioni finanziarie (Tobin Tax, ecc.). I fautori dell’interpretazione finanziaria della crisi giurano che la crisi della prima metà del secolo scorso è scoppiata nel 1929  originata dal crack della Borsa di Wall Street. Cosa vera come è vero che la I Guerra Mondiale sarebbe originata dall’attentato di Sarajevo. Il parallelo sarebbe avvalorato dalla convinzione che l’inizio della crisi attuale sta nello scoppio della bolla dei prestiti senza adeguate garanzie (tipo subprime) concessi dalle banche USA.

A questa concezione si ispirano sostanzialmente gran parte dei portavoce politici e degli intellettuali della sinistra borghese. Luoghi tipici di simile concezione il sito Sbilanciamoci, circuiti come Rotta d’Europa e il Forum “Un’altra strada per l’Europa” (tre sessioni con titoli significativi: “controllare la finanza”, “evitare la depressione”, “un’Europa democratica”) dove Rossana Rossanda ha riunito a Bruxelles lo scorso 28 giugno in concomitanza con la riunione del Consiglio d’Europa, il fior fiore degli esponenti mondiali della sinistra borghese.

Quali regole e quali forme di controllo dovrebbero reintrodurre gli Stati? Su questo ovviamente ci sono grandi divisioni e larghe discussioni. Gran parte degli intellettuali della sinistra borghese si atteggiano a “consiglieri del principe”: dicono cosa i caporioni del sistema imperialista mondiale non fanno e che invece dovrebbero fare per far andar bene le cose. Ogni esponente politico della sinistra borghese aspira a diventare il primo ministro. La loro concezione del mondo non va oltre l’orizzonte del modo di produzione capitalista: il buon governo del capitalismo è possibile, il male viene dalle idee sbagliate di chi lo governa. L’articolo Forum dell’altra Europa per uscire dal tunnel che Mario Pianta ha pubblicato su il manifesto di domenica 24 giugno è un buon esempio di consigli al principe e illustra in positivo (ossia in termine di rimedi che ne derivano) l’interpretazione finanziaria della crisi attuale: per questo me ne occupo in appendice a questo articolo. Ma in realtà, molte FSRS, OO e OP, molti esponenti dei tre vivai descritti in La Voce n. 40 pagg. 29-33 sono più o meno consapevolmente invischiati nella interpretazione finanziaria della crisi. Per il ruolo importante che svolge nell’USB e nella Rete dei Comunisti merita di essere segnalato il prof. Luciano Vasapollo. In Il risveglio dei maiali. PIIGS Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna L. Vasapollo, Rita Martufi, Joaquin Arriola propugnano una soluzione della crisi consistente nello sdoppiamento dell’Unione Europea e del sistema monetario dell’euro: una espressione estrema dell’interpretazione finanziaria della crisi.

2. La concezione della crisi attuale come crisi ciclica.

È l’altra concezione relativamente diffusa della crisi attuale ma soprattutto implicita in molti discorsi e molte proposte. “L’alternarsi di crescita e di recessione è il modo d’essere del capitalismo, il famoso calabrone che continua a volare nonostante che il suo peso e la sua velocità farebbero presumere che debba cadere a terra” dice Eugenio Scalfari (Repubblica 1° luglio 2012). La crisi attuale insomma rientrerebbe in un “normale” (salvo le dimensioni) alternarsi di  cicli congiunturali, i cui picchi i governi dovrebbero e potrebbero moderare con intelligenti politiche anticicliche. La crisi attuale sarebbe analoga (benché forse più grave) alle crisi cicliche tipiche dei paesi capitalisti nella prima parte del secolo XIX e ben descritte da Marx in Il capitale. Sarebbe insomma una recessione, una crisi per sovrapproduzione di merci. I capitalisti avrebbero creato una capacità produttiva superiore alla “domanda del mercato”. Quindi si tratterebbe o di aumentare la “domanda del mercato”, oppure di ridurre la produzione mettendo in un modo o nell’altro fuori gioco una parte delle forze produttive (ad esempio con una guerra).

I fautori dell’interpretazione della crisi attuale come crisi ciclica giurano che la crisi del 1929 fu causata da una grande riduzione della produzione. Ad essa avrebbe messo fine il presidente USA F.D. Roosevelt, succeduto all’inetto H.C. Hoover fautore di riduzioni della spesa pubblica. Roosevelt avrebbe risolto la crisi con la sua politica di allargamento della domanda e di lavori pubblici (il New Deal, che J.M. Keynes avrebbe ispirato).

Una “conseguenza virtuosa” che favorisce questa interpretazione della crisi è la giustificazione “dal punto di vista della scienza economica” delle richieste di aumenti salariali e di ammortizzatori sociali: tutte misure che aumenterebbero la “domanda del mercato” e quindi sarebbero rimedio alla crisi.

Un corollario della concezione della crisi attuale come crisi ciclica è che prima o poi la crisi cesserà, perché lo sconquasso del sistema produttivo, riducendo la capacità produttive, crea le condizioni per la ripresa della produzione. Si tratta insomma di resistere e prima o poi la notte finirà.

 Questa interpretazione della crisi trova aderenti, più o meno consapevoli e più o meno dichiarati, in sindacalisti in cerca di argomenti con cui convincere autorità e padroni delle buone ragioni delle rivendicazioni sindacali. Trova aderenti in esponenti della sinistra borghese in cerca di popolarità e di voti. Ma trova molti seguaci in particolare tra esponenti politici che si dichiarano fedeli alla memoria e ai principi del movimento comunista: l’interpretazione della crisi della prima parte del secolo XX come crisi ciclica fu infatti uno dei grandi limiti dell’Internazionale Comunista. Il suo economista principale, E. Varga, aveva cullato i partiti comunisti nella ripetizione della tesi della crisi ciclica.(3) A questa schiera appartengono Marco Rizzo (Comunisti Sinistra Popolare - PC) e gli altri residui revisionisti moderni che hanno subito a malincuore lo scioglimento del PCI e non hanno seguito la deriva dei suoi promotori verso la sinistra borghese.

3. Eugène Varga (Budapest 1879 - Mosca 1964), dopo aver partecipato alla rivoluzione del 1919 in Ungheria, divenne una figura importante della prima Internazionale Comunista.

Chi mette l’accenno sul ciclo economico, sulle misure anticongiunturali, ecc. aderisce più o meno consapevolmente a una simile concezione della crisi.

 

Molti esponenti sindacali e della società civile oscillano ecletticamente tra queste due interpretazioni della crisi. Se leggete con attenzione trovate queste oscillazioni in molti documenti provenienti dalla FIOM, dalla CUB e da altri sindacati combattivi.

A margine delle due interpretazioni più in voga, spesso sentite parlare di “crisi sistemica” o di “crisi strutturale”, ma in maniera vaga e come se queste espressioni rimandassero a una concezione precisa ed esauriente della natura della crisi. Se si chiede a chi usa queste espressioni di spiegarne il contenuto, ci si rende conto che spesso sono usate nei discorsi pubblici come lo straccio rosso che il torero agita in faccia al toro, come professione di fede nella fine del capitalismo, come prova che sono dei “veri rivoluzionari”, come segno identitario: infatti non ne tirano coerenti conseguenze politiche.

Bisogna sviluppare la lotta sulla natura della crisi attuale. Non accontentarsi di descrizioni fumose e approssimative. Non lasciar passare frasi fatte. Chiedere spiegazioni esaurienti delle espressioni usate e delle misure politiche che se ne deducono. Ogni programma “per uscire dalla crisi” implica un’interpretazione della natura, delle origini e delle leggi di sviluppo della crisi: bisogna sistematicamente farla rendere esplicita. Ne verranno grandi benefici in termini politici.

 Anna M.

 

La Voce n. 41
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