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  La Voce 42 del (nuovo)Partito comunista italiano

Concezione comunista ed educazione familiare

 

Presentazione della redazione 

Benché venga ad occupare quasi un quarto del numero, pubblichiamo l’articolo del compagno Sergio G. perché riteniamo l’argomento molto importante sia “ad uso personale” dei membri del Partito e dei lavoratori avanzati sia per la nostra propaganda tra le masse popolari. È inoltre un pregio dell’articolo quello di illustrare implicitamente un apporto dato dal primo paese socialista, la gloriosa Unione Sovietica, tanto denigrata (del tutto a ragione, tanto grande fu il pericolo che fece correre a loro) dalla borghesia e dal clero e in particolare, nel nostro paese, tanto vergognosamente denigrata dalla sinistra borghese: su quotidiani per altro utili come il manifesto i termini sovietico e stalinista sono correntemente usati come insulti, lo stesso uso che Berlusconi e simili fanno anche del termine comunista.

I nostri lettori potranno dall’articolo trarre molte indicazioni per tradurre in comportamenti concreti nella propria vita una linea che sulla rivista e nei Comunicati CC finora è stata illustrata solo in termini generali. Spesso anche nelle nostre file i doveri di famiglia sono contrapposti ai compiti di Partito e malamente, approssimativamente, empiricamente, pragmaticamente combinati con essi: senza linea e senza principi, secondo il “senso comune”. In questa maniera la nostra vita diventa una variante delle manifestazioni dell’uso strumentale che la borghesia e il clero fanno dei doveri familiari per distogliere dalla rivoluzione socialista e dalla vita sociale. Il Partito tiene in grande considerazione i compiti familiari dei suoi membri, chiede a ognuno di essi di affrontarli consapevolmente, con scienza e coscienza, dando la priorità ai compiti di Partito (diventando membro del Partito ogni compagno di impegna - ed a ragione - a porre l’essere comunista davanti all’essere genitore, coniuge, amante, figlio, fratello, amico, ecc. ecc): è anche questo che distingue il Partito dalle organizzazioni di massa. D’altra parte il Partito assume come un compito di Partito la cura che ogni compagno assolva i suoi compiti familiari in modo giusto: cioè secondo principi, linee e decisioni collettive.

D’altra parte noi comunisti dobbiamo anche su questo terreno distinguere quello che chiediamo a noi stessi membri del Partito perché necessario per assolvere al compito particolare che ci siamo assunti, dalla denuncia che propagandiamo tra le masse dei crimini che la borghesia e il clero per i loro profitti, interessi, privilegi e lussi o per le loro abitudini e opinioni arretrate compiono contro i bambini e i ragazzi, contro le famiglie (di diritto o di fatto) e in particolare contro le donne, contro le relazioni umane e in genere a danno delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Allo stesso titolo denunciamo che la borghesia e il clero impongono ai lavoratori e ai giovani di emigrare, mentre ognuno di noi comunisti è pronto a trasferirsi in qualunque parte del mondo se le esigenze della lotta lo esigono: e gli esempi potrebbero moltiplicarsi.

Alla stessa maniera e con analoghi criteri dobbiamo distinguere quello che chiediamo a noi stessi membri del Partito perché necessario per assolvere al compito particolare che ci siamo assunti nella lotta per instaurare il socialismo, dalla linea educativa e in  genere dalle linee, leggi e ordinamenti della futura società socialista. Il Partito non è la società socialista in miniatura: noi siamo lo Stato maggiore della classe operaia che mobilita e guida le masse popolari a instaurare la società socialista. Applichiamo la stessa concezione comunista del mondo ma a compiti e in circostanze diverse.

Lasciamo ai compagni di distinguere nell’articolo del compagno Sergio G. i particolari che si riferiscono solo ai membri del Partito, da quelli che si riferiscono alle masse popolari nelle condizioni attuali del nostro paese, da quelli che riguardano la futura società socialista, da quelli che si riferiscono all’Unione Sovietica degli anni ’20 e ’30. Insomma: analisi concreta della situazione concreta; analisi dialettica della realtà: niente è fisso, niente è eterno, tutto si trasforma; ogni cosa e aspetto della realtà ha avuto un’origine, è il risultato di una storia e si trasformerà in qualcosa d’altro; il significato reale di ogni cosa dipende dal contesto di cui è parte.

Un’altra questione su cui conviene soffermarsi, per approfittare a fondo del lavoro del compagno, è il ruolo che egli assegna nel suo articolo al lavoro. Sergio con questa espressione intende in generale l’attività specificamente umana, il complesso delle attività che distinguono la specie umana dalle altre specie animali. In queste attività a molti fini, e in particolare nelle attuali circostanze della crisi del capitalismo, è utile portare la distinzione in tre parti che già Mao ha ben indicato:1. la lotta degli uomini contro il resto della natura per strapparle di che vivere, 2. la lotta di classe, 3. la conoscenza, la scienza e le attività artistiche, creative e ricreative. Gli uomini storicamente hanno definitivamente vinto la prima lotta che quindi è storicamente conclusa: gli uomini oggi possono manipolare illimitatamente la natura, quindi devono essi stessi darsi leggi e limiti perché la vita sul pianeta continui ad esistere felicemente. A condizione concreta diversa, corrispondono leggi e comportamenti diversi. Oggi la lotta di classe è di gran lunga l’attività principale per gli uomini (per questo, sia detto tra parentesi, ogni appello di fronte alla crisi del capitalismo al patriottismo, alla “guerra contro gli altri”, al “siamo tutti nella stessa barca” è un imbroglio per ingenui): il futuro dell’umanità è legato alla vittoria delle masse popolari sulla borghesia imperialista, il clero e le altre residue classi dominanti, per costruire la società comunista. È alla luce dell’evoluzione che hanno compiuto le attività umane riunite nella generica categoria di lavoro e della nostra attuale condizione concreta che vanno interpretate le illustrazioni che il compagno Sergio G. ci presenta. Buon studio! Ogni critica e riflessione è benvenuta!

La redazione di La Voce.

Premessa

“Le classi interessate a prolungare lo stato attuale delle cose, in particolare la borghesia e il clero, dispiegano tutti i loro mezzi e il loro potere per impedire la comprensione delle cose, per distogliere l’attenzione e deviare l’interesse, per nascondere e travisare, per intossicare le coscienze e per denigrare il movimento comunista, per indurre gli individui a ripiegarsi su se stessi (consumismo, sballo, droga, sesso, famiglia, figli, ecc.) e lasciare la direzione e l’avvenire del mondo nelle mani della borghesia e del clero. Ostacolare la comprensione delle condi zioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe è un’arma nelle mani della borghesia e del clero, il primo dei cinque pilastri di ogni regime di controrivoluzione preventiva (Manifesto Programma del (n)PCI, 2008 pagg. 46-56)”.(1)

1. La Voce del (n)PCI, n. 41, luglio 2012, pag. 11

La borghesia e il clero calpestano ogni sentimento positivo e di sviluppo sociale e fomentano nei membri delle masse popolari sentimenti e abitudini regressive e meschine, coltivano in ogni modo l’individualismo e l’egocentrismo (ognuno fa per sé). In particolare usano le relazioni di coppia, la famiglia e i figli come un’arma di pressione e di ricatto per impedire lo sviluppo dell’attività rivoluzionaria dei lavoratori e delle masse popolari. È malsano e illusorio assumere come compito principale della propria vita la cura della propria famiglia, l’educare “bene” il proprio figlio non facendogli mancare niente, illudendosi di poter vivere in una specie di torre di avorio. Scriveva Gramsci nel 1927 alla mamma a proposito dell’educazione della sua nipote. “Siccome Edmea dovrà farsi la strada da sé, occorre pensare a rafforzarla moralmente, a impedire che essa vada crescendo circondata da soli elementi della vita fossilizzata del paese. Penso che voi dovete spiegarle, con molto tatto, naturalmente, perché Nannaro non si occupi troppo di lei e pare la trascuri. Dovete spiegare come suo padre non possa oggi ritornare dall’estero e come ciò sia dovuto al fatto che Nannaro, come me e molti altri, abbiamo pensato che le molte Edmee che vivono in questo mondo dovrebbero avere una fanciullezza migliore di quella che noi abbiamo trascorso e lei stessa trascorre. E dovete dirle, senza nessun sotterfugio, che io sono in prigione, così come suo padre è all’estero.”(2)

2. A. Gramsci, Lettere dal carcere, Ed. Einaudi, 2011, pagg. 31-32. Da questa edizione sono estratte le citazioni contenute nel presente articolo.

Giustamente il (n)PCI pone tra i comportamenti immorali “… il disinteressarsi delle sorti del proprio paese e dell’umanità. Riservare il proprio interesse e la mobilitazione delle proprie energie alla conservazione e riproduzione di se stesso, ai propri consanguinei e ai propri vicini, grosso modo come facevano gli uomini primitivi e come continuano a fare gli animali delle specie superiori. È l’ambito in cui la borghesia imperialista e il clero hanno cercato con un certo successo di circoscrivere l’interesse dei membri delle masse popolari quando, nel periodo del capitalismo dal volto umano, sono stati costretti dal movimento comunista a concedere sostanziali miglioramenti alle masse popolari dei paesi imperialisti in termini di quantità di beni e di servizi disponibili come condizioni della propria vita e perciò entrati a far parte delle condizioni socialmente necessarie della propria esistenza.”(3)

3. La Voce del (n)PCI, n. 36, novembre 2010, pag. 42

Il compito principale per i comunisti e la classe operaia è instaurare il socialismo: da questo dipenderà il futuro dell’umanità e quindi la nostra vita e anche quella dei nostri figli, il benessere individuale e collettivo. Noi comunisti non dobbiamo permettere che la borghesia, il clero e le loro autorità inculchino tra i comunisti e i lavoratori avanzati idee malsane e reazionarie che intralciano la loro attività, li deviano dalla lotta facendo leva sui costumi, le abitudini e i sentimenti del “senso comune” e ancora meno dobbiamo lasciarci condizio nare dai loro ricatti e dalle loro minacce. L’acquisizione, assimilazione e applicazione della concezione comunista del mondo è la base del processo per far fronte a ricatti, minacce e condizionamenti vari che la borghesia e il clero per conservare il loro dominio mettono in campo contro le avanguardie delle masse popolari.

1. La concezione comunista del mondo è la teoria guida del processo di trasformazione del mondo

Il marxismo ha in sé una forte componente pedagogica, essendo la teoria che guida gli uomini a emanciparsi e a costruire un mondo nuovo a partire da questa emancipazione. Solo il socialismo crea le condizioni perché la massa della popolazione possa partecipare alle attività che servono a gestire la società e a educare noi stessi e le nuove generazioni allo sviluppo di quelle attività specificamente umane.(4)

4. Sulle attività specificamente umane vedi Manifesto Programma del (n)PCI, pag. 250

Le strategie educative dei comunisti si richiamano (devono richiamarsi) esplicitamente e organicamente all’azione politica, alla lotta di classe e alla lotta politica rivoluzionaria che caratterizza ogni fase della lotta per la costruzione della società comunista (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata prima e la fase del socialismo poi).

Il processo educativo elaborato dal movimento comunista mette al centro il lavoro sia nella formazione familiare, sia nella formazione scolastica e sociale: è nel lavoro che l’uomo attua cioè che distingue la specie umana, che sviluppa le attività creatrici che la caratterizzano e che la distinguono dalle altre specie animali (attività specificamente umane). Le prospettive di evoluzione dell’uomo mediante il lavoro portano a uno sviluppo integrale dell’uomo stesso e hanno al centro le iniziative per il superamento della contraddizione tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale.

 

5. Concezione che considera l’uomo in possesso fin dalla nascita di determinate conoscenze (patrimonio genetico), anteriori quindi all’esperienza. Concezione di tipo biologico che sfocia in teorie come quella di Cesare Lombroso (1835-1909).

Altro tema centrale della pedagogia comunista è l’opposizione a ogni tipo di spontaneismo e innatismo (5) e l’affermazione di contro del ruolo che l’influenza delle persone e dell’ambiente hanno sull’individuo e quindi di una prassi educativa che pone l’accento sulla trasformazione, sullo sforzo e sulla disciplina. L’uomo è visto in modo concreto, in un posto determinato del mondo e della storia: è inserito in un processo storico e il suo sviluppo dipende dall’ambiente e dall’educazione. L’ambiente non viene considerato come un dato astorico oggettivo, ma come la stessa attività rivoluzionaria dell’uomo, per cui su ogni individuo e gruppo di individui il processo educativo può procedere senza limiti, all’infinito. È possibile un concreto processo di trasformazione: contro il determinismo che tende ad adattare i singoli individui all’ambiente in cui nascono e contro l’individualismo per il quale la formazione dell’individuo non è che uno “scoprire se stesso”, la propria preesistente natura, contro cioè l’innatismo.

Nella pedagogia comunista s’instaura un collegamento dialettico tra educazione e società, un processo concreto di lotta tra concezioni del mondo e trasformazione,  tramite la revisione critica di concezioni e mentalità, per cui la pratica educativa fa leva sui valori ideologici e sugli obiettivi pratici connessi alla trasformazione dell’attuale struttura economica, politica e sociale. È un processo che crea una nuova personalità. Il processo educativo è quindi strettamente legato al processo generale di trasformazione della società, come processo insieme oggettivo e soggettivo: si pone, insomma, un rapporto immediato tra educazione e rivoluzione.

Ciò che ci consente di avere una visione d’insieme e a grandi linee del percorso che l’umanità deve compiere e di stabilire cosa fare oggi e cosa può essere fatto solo successivamente, è la concezione comunista del mondo. Acquisire, assimilare una giusta concezione del mondo (metodo di conoscenza e guida per l’azione) da parte degli educatori (genitori, insegnanti, familiari, ecc.), a partire da quelli che fanno parte del movimento comunista cosciente e organizzato (che anche in questo campo devono assumere il ruolo di avanguardie) è il primo passo per fare una giusta analisi della situazione ed elaborare una giusta linea, un giusto metodo di lavoro per lo sviluppo del processo educativo familiare adeguato alla situazione e ai compiti della fase. La concezione comunista del mondo è la filosofia della storia dell’umanità ed è la scienza per fare la storia dell’umanità. Illustra il corso del passato che ha generato il presente e indica nel presente i presupposti del futuro che dobbiamo costruire. È la scienza che il movimento comunista cosciente e organizzato da più 160 anni usa come guida della sua azione, migliorandola, correggendola e arricchendola alla luce dell’esperienza concreta, facendo tesoro dei propri successi e delle proprie sconfitte. È la scienza della costruzione del nuovo mondo, del mondo del futuro prossimo degli uomini, dell’“uomo nuovo”. Con la rivoluzione socialista la classe operaia non si limita a liberare se stessa dalla dipendenza dai capitalisti: sulla base della concezione comunista del mondo essa riorganizza l’intera società e mobilita tutte le classi delle masse popolari a rompere con la sottomissione alle classi dominanti e a diventare protagoniste e dirigenti della propria vita, elevando la propria coscienza e organizzandosi.(6)

6. Si tratta principalmente di sviluppare su larga scala, di rendere universale la partecipazione alle attività specificamente umane. L’umanità del futuro sarà per forza di cose un’umanità organizzata, cioè un’associazione in cui ogni individuo ha una relazione personale con altri nell’ambito di un collettivo il quale, a sua volta, ha relazioni con altri collettivi che si combinano tra loro a formare collettivi di livello superiore.” (La Voce n. 41, pag. 43).

La concezione comunista del mondo riguarda e comprende ogni aspetto della vita economica e sociale, quindi anche la gestione di tutti i rapporti sociali, quindi anche dei rapporti di coppia, della vita familiare, dell’educazione dei figli.

2. Concezione comunista del mondo ed educazione dei bambini e dei ragazzi

I dirigenti comunisti che hanno avuto un ruolo nello sviluppo teorico e pratico del movimento comunista cosciente e organizzato hanno dedicato particolare attenzione alla formazione e all’educazione delle giovani generazioni. Mao sostiene che: “L’educazione dei giovani è un problema importante. (…) L’educazione politica è il cuore di ogni educazione. Si deve sempre innalzare la bandiera rossa. Se noi non innalziamo la bandiera rossa, la borghesia innalza la propria che è bianca. Noi vogliamo sradicare la bandiera bianca della borghesia!”(7)

7. Mao Tse-tung Dichiarazioni durante l’incontro con un gruppo di lavoro culturale del Pathet Lao, 6 settembre 1964 (Opere complete – Edizioni Rapporti Sociali, vol. 22, pag. 59).

 

Makarenko,(8) che è stato il più grande pedagogista comunista e ha contribuito a elaborare e definire innovative linee e tecniche educative e rieducative, con esperienze concrete sviluppate nella prima fase (1917-1956) dell’Unione Sovietica, quella della costruzione del socialismo, sosteneva: “Gli  imperialisti contemporanei e i loro servi, svegliano gli aspetti bestiali della natura umana, predicano l'odio dell'uomo per l'uomo, avvelenano la coscienza dei giovani, distruggono… La nostra educazione comunista, al contrario, cerca di vincere tutto ciò che è meschino, volgare e animalesco, per educare nell'uomo quanto è veramente umano, per dare ai giovani il maggior numero di cognizioni possibile, per sviluppare la coscienza critica, fin dalla più tenera età. Il fanciullo deve ancora diventare uomo nel vero senso di questa parola, deve ancora formare la propria personalità. (…) L’educazione dei figli è parte fondamentale della nostra vita. I figli sono i futuri cittadini del nostro paese e i futuri cittadini del mondo. Essi creeranno la storia; saranno futuri padri e future madri; saranno anch'essi educatori dei loro figli.”(9)

8. Anton Semënovič Makarenko (1888-1939) era un maestro al quale, nel 1920, venne affidata la direzione della colonia “Gorki”, un istituto di rieducazione per ragazzi abbandonati. In quei ferventi anni di costruzione del socialismo ha sperimentato, praticato ed elaborato innovative pratiche educative e rieducative. La raccolta del materiale elaborato è contenuta nell’opera Poema pedagogico iniziata nel 1925 e terminata una prima volta nel 1932 ma pubblicata nel 1937. Nello stesso anno pubblicò il primo volume di Un libro per i genitori alla cui redazione partecipò anche la moglie; nel 1938 completò e pubblicò su una rivista Bandiere sulle torri che uscì l’anno successivo come opuscolo. Nel 1932 si recò a Mosca per la pubblicazione del libro La marcia dell’anno ’30. La sua morte improvvisa (1939) non gli permise di completare alcuni progetti e opere. L’opera Poema Pedagogico pubblicata in Italia in due volumi è reperibile presso le Edizioni Rapporti Sociali (www.carc.it): vol. 1 (pagg. 360 - € 12,00) e vol. 2 (pagg. 296 - € 12,00).

 

9. A. S. Makarenko Consigli ai genitori, pag. 27. Opera del 1937, pubblicata in Italia nel 1950. Nel 2005 è stata riprodotta integralmente dalle edizioni Città del Sole, Napoli, email:
info@lacittadelsole.net . A questa edizione si riferiscono le citazioni del presente articolo.

Makarenko definisce l'educazione come il processo di socializzazione dell'uomo. Egli ci mostra la vittoria del principio sociale su quello biologico, del principio collettivo su quello strettamente individuale, della nuova morale comunista sull'egoismo e sull'avidità, delle nuove abitudini umane più avanzate e delle convinzioni umanitarie sulle sopravvivenze del capitalismo nella coscienza e nel comportamento.

 

Gramsci, che anche nel campo dell’educazione si distingue per essere stato un grande dirigente comunista, nei suoi studi, nel suo pensiero e nei suoi scritti ha sempre dedicato particolare attenzione all’organizzazione della cultura e quindi alla formazione dell’“uomo nuovo”, come aspetto decisivo per la costruzione del Partito e per lo sviluppo del processo rivoluzionario del nostro paese. È stato il dirigente comunista dei paesi imperialisti che più di tutti ha contributo allo sviluppo del la teoria rivoluzionaria del movimento comunista in stretta dialettica con la prassi. Ha lavorato incessantemente per la formazione culturale e politica della classe operaia e delle masse popolari e per lo sviluppo della loro coscienza critica.

Gramsci descrive bene come le concezioni del mondo borghese e clericale influenzano anche le famiglie dei comunisti e come queste concezioni si annidano e si consolidano nel “senso comune”, nel “buon senso”. A proposito dell’educazione dei figli nel 1929 scriveva alla moglie: “Naturalmente io non posso dare giudizi e impressioni a carattere generale, per l’assenza di dati specifici e numerosi; ignoro quasi tutto, per non dire tutto [dei figli Delio di 5 anni e Giuliano di 3]. Ma dal complesso dei dati ricevuti ho avuto l’impressione che la concezione tua e di altri della tua famiglia sia troppo metafisica, cioè presupponga che nel bambino ci sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già contiene di latente, senza coercizioni, lasciando fare alle forze spontanee della natura o che so io. Io invece penso che l’uomo è tutta una formazione storica ottenuta con la coercizione (intesa non solo nel senso brutale e di violenza esterna) e penso sia solo questo: che altrimenti si cadrebbe in una forma di trascendenza o di immanenza. Ciò che si crede forza latente non è, per lo più, che il complesso informe e indistinto delle immagini e delle sensazioni dei primi giorni, dei primi mesi, dei primi anni di vita, immagini e sensazioni che non sempre sono le migliori che si vuole immaginare.

10. A. Gramsci Lettera a Giulia del 30 dicembre 1929, op. cit., pag. 112. Gramsci critica J. J. Rousseau (1712-1778) e il principio della natura libera e buona dell’uomo. Gramsci sostiene che l’educazione “naturale” porta gli adulti a non assumersi le proprie responsabilità. Lasciare fare alla “natura” significa anarchia, invece l’uomo va educato, formato, istruito, abituato al sacrificio, al lavoro, in maniera graduale, con la disciplina, non solo esteriore ma anche interiore.

Questo modo di concepire l'educazione come sgomitolamento di un filo preesistente ha avuto la sua importanza quando si contrapponeva alla scuola gesuitica, cioè quando negava una filosofia ancora peggiore, ma oggi è altrettanto superato. Rinunziare a formare il bambino significa solo permettere che la sua personalità si sviluppi accogliendo caoticamente dall'ambiente generale tutti i motivi di vita. È curioso ed interessante che la psicoanalisi di Freud stia creando, specialmente in Germania (a quanto mi appare dalle riviste che leggo), tendenze simili a quelle esistenti in Francia nel Settecento; e vada raffigurandosi un nuovo tipo di “buon selvaggio” corrotto dalla società, cioè dalla storia. Ne nasce una nuova forma di disordine intellettuale molto interessante”.(10)

 

Il bambino (il ragazzo) per Gramsci è una formazione storica, influenzato dall’ambiente di cui fa parte. Da qui l’importanza di sviluppare nell’individuo la capacità critica attraverso un’educazione attiva del soggetto, in cui l’adulto (famiglia) e il maestro (la scuola) hanno un ruolo fondamentale. Per questo è fondamentale rendere i bambini partecipi alla vita e alle vicissitudini familiari e alla vita sociale.(11)

11 Gramsci discutendo con la moglie sull’educazione dei figli dice: “Il giudizio migliore dell’indirizzo educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da vicino e può seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci accecare dai sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla pura contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato alla funzione di un’opera d’arte”. (Gramsci Lettera a Giulia del 30 dicembre 1929, op. cit. pag. 112). E a proposito del sua condizione di prigioniero nel 1931 le scrive: “Fra qualche giorno Delio compirà i 7 anni e alla fine del mese Giuliano compirà 5 anni. Per Delio la data è importante, perché comunemente i 7 anni sono considerati una tappa importante nello sviluppo di una personalità. La Chiesa Cattolica, che indubbiamente è l'organismo mondiale che possiede la maggiore accumulazione di esperienze organizzative e propagandistiche, ha fissato ai 7 anni l'entrata solenne nella comunità religiosa con la prima comunione e presuppone nel fanciullo la prima responsabilità per la scelta di un’ideologia che dovrebbe imprimere un ricordo indelebile per tutta la vita. Non so se tu darai a questa festa di Delio un carattere particolare, che lasci nella sua memoria una traccia più profonda e duratura delle altre ricorrenze annuali. Se Giuliano non avesse solo 5 anni e se non fosse impossibile, almeno entro certi limiti, distinguere tra Delio e Giuliano, crederei che questo sarebbe il momento di spiegare a Delio che io sono in carcere e il perché io sono in carcere. Credo che una tale spiegazione, unita al fatto che ormai lo si considera capace di un certo senso di responsabilità, farebbe in lui una grande impressione e segnerebbe indubbiamente una data nel suo sviluppo. Non so esattamente come tu pensi in proposito. Qualche volta mi pare che su questo argomento la pensiamo identicamente; altre volte mi pare che nella tua coscienza ci sia un certo dissidio non ancora composto: tu, cioè (a quanto mi pare talvolta), comprendi bene intellettualmente, teoricamente, di essere un elemento dello Stato e di avere il dovere, come tale, di rappresentare ed esercitare il potere di coercizione, in determinate sfere, per modificare molecolarmente la società e specialmente per rendere la generazione nascente preparata alla nuova vita (di compiere cioè in determinate sfere quell'azione che lo Stato compie in modo concentrato su tutta l'area sociale) - e lo sforzo molecolare non può teoricamente essere distinto dallo sforzo concentrato e universalizzato; ma mi pare che praticamente non riesci a liberarti da certi abiti tradizionali che tengono legati alle concezioni spontaneiste e libertarie nello spiegare il sorgere e lo svilupparsi dei nuovi tipi di umanità che siano capaci di rappresentare le diverse fasi del processo storico. Cosi almeno mi pare, ma posso anche sbagliarmi. In ogni modo voglio che tu mi senta vicino a te e ai nostri bambini nei giorni in cui si ricorda loro che sono cresciuti di un anno, che sono sempre meno bambini e sempre più uomini.” (Gramsci Lettera a Giulia del 27 luglio 1931, op. cit., pag. 151).

 

12. La Voce del (n)PCI, n. 40, luglio 2012, pag. 61

Gramsci e Makarenko (senza conoscere l’uno il pensiero e l’opera dell’altro) vedono lo stretto legame che esiste tra l’azione politica rivoluzionaria e l’azione  pedagogica, vedono la stretta connessione che esiste tra educazione e cambiamento: trasformazione della concezione, mentalità e personalità; il ruolo essenziale che ha la concezione degli adulti-educatori nella costruzione della concezione, mentalità e personalità delle giovani generazioni. Entrambi sviluppano numerose riflessioni e iniziative pratico-educative: Makarenko all’interno della colonia “Gorki” e in altre comunità per giovani, nelle lezioni tenute a gruppi di genitori, nei suoi libri e Gramsci come incessante educatore-formatore comunista attraverso la costituzione di circoli, giornali e scuole di partito, anche quando sarà rinchiuso in carcere (Scuola di Turi, Quaderni, Lettere dal carcere).

Il (n)PCI sostiene: “Gli uomini non sono né buoni né cattivi: evolvono. La storia ci mostra il cambiamento continuo e progressivo di comportamenti, di costumi, di sentimenti e di idee, fatta salva la possibilità di  temporanee e circoscritte regressioni. Gli individui sono formati dalle circostanze della loro vita e dall’educazione che ricevono. Fatte salve le trasformazioni che un individuo compie con un particolare e consapevole impegno e sforzo personali (noi membri del Partito comunista li chiamiamo processi di CAT - Critica, Autocritica, Trasformazione), per cambiare in massa comportamenti, sentimenti e idee degli individui, bisogna cambiare le circostanze della loro vita e l’educazione impartita ai bambini.

Porsi la questione se gli uomini sono per natura buoni o cattivi, è porsi da un punto di vista metafisico. Cioè prescindere dalla storia, dalle trasformazioni, dalla realtà. Fa parte della concezione clericale-feudale del mondo secondo cui ogni cosa è quello che è, fissa, sempre eguale a se stessa, “come dio l’ha creata”. Se vi sono cambiamenti, si tratta della ripetizione di un circolo, sempre eguale a se stesso: come il succedersi delle stagioni. Niente di nuovo sotto il cielo.”(12)

Contrastare le concezioni borghese e clericale che stanno alla base delle correnti idealiste e metafisiche nel campo dell’educazione dei figli e della formazione delle giovani generazioni, è compito concreto dei comunisti di oggi per avanzare nella conduzione della prima fase della GPRdiLD. Nei collettivi (familiari e sociali) dove non dirige la concezione comunista, dirigono le concezioni borghese e clericale che fanno leva sul “senso comune” e si fanno forti di esso per seminare confusione e disfattismo nel nostro campo e tra le masse popolari.

3. L’educazione e la formazione comunista dei figli e della famiglia

Abbiamo visto come il movimento comunista cosciente e organizzato ha avuto fin dall’inizio in sé e ha in sé una forte componente pedagogico-formativa. Per avanzare nel suo obiettivo di costruzione di una nuova società, in cui l’uomo diventa un essere consapevolmente sociale e collettivo, in cui prevalgono l’interesse generale della società, comportamenti specificamente umani su quelli ancora bestiali, il processo educativo comunista deve essere dialetticamente legato alla politica rivoluzionaria. Makarenko, rivolgendosi negli anni ’20 e ’30 ai genitori sovietici, afferma: “L’educazione dei figli è parte fondamentale della nostra vita. I figli sono i futuri cittadini del nostro paese e i futuri cittadini del mondo. Essi creeranno la storia; saranno futuri padri e future madri; saranno anch’essi educatori dei loro figli. (…) Nell'educazione familiare molti errori derivano dal fatto che i genitori sembrano dimenticare in quale epoca essi vivono. Avviene che i genitori si comportano nel loro lavoro, nella vita in genere, nella società, come buoni cittadini dell'Unione Sovietica, come membri della nuova società socialista, ed invece a casa, tra i figli, vivono secondo la vecchia maniera.

Cari genitori, voi dovete innanzi tutto ricordare sempre la grande importanza di quest'opera e la vostra grande responsabilità. Cari genitori, il primo punto che dovete tenere presente è questo: è assai più facile educare in modo giusto e normale un fanciullo che non rieducarlo. Un'educazione bene impartita sin dalla prima infanzia non è per nulla una cosa così difficile come a molti sembra. Chiunque può educare bene il proprio bambino, purché veramente lo voglia, qualsiasi padre, qualsiasi madre. Questo è, anzi, un compito piacevole, lieto, che arreca una grande gioia. Tutt'altra cosa è invece la rieducazione. Se il vostro bambino è stato edu cato male, se voi avete tralasciato qualcosa, se avete pensato poco a lui, se siete stati indolenti, se avete abbandonato il bambino a se stesso, allora bisognerà rieducarlo, bisognerà correggere molte cose. E questo lavoro di correzione, questo lavoro di rieducazione, non è più così facile. La rieducazione richiede maggiori energie e maggiori conoscenze, maggiore pazienza e non ogni genitore possiede tali qualità.”(13)

13. A. S. Makarenko, op. cit., pagg. 27-28. Quanto sostiene M. possiamo estenderlo agli attuali comunisti. Quanti tra di noi concepiscono e gestiscono alla “vecchia maniera” (mentalità comune, concezione comune) i rapporti personali, l’educazione dei figli, ecc.?

“Alcuni genitori amano i loro figli, ritraggono piacere dalla loro compagnia, sono persino fieri di loro, li fanno mangiar bene, li vestono bene, ma si dimenticano completamente del fatto che su di loro ricade la responsabilità morale dello sviluppo del futuro cittadino.

Ed infatti possono pensare a tutto ciò, un padre o una madre che sono essi stessi dei cattivi cittadini, che non si interessano della vita del paese, della sua lotta, dei suoi successi? È ovvio che non lo possono. Ma di simili genitori non vale la pena di parlare come educatori, e del resto ne sono rimasti ben pochi nel nostro paese.

Vi sono però anche dei genitori d'altro genere. Al lavoro e in società essi si sentono dei cittadini, mentre la vita nella loro famiglia si svolge in tutt'altro modo: a casa essi non sanno far altro che tacere oppure si comportano come un cittadino sovietico non dovrebbe mai comportarsi. Prima di cominciare ad educare i vostri figli, verificate la vostra condotta personale. Non si possono separare le cose familiari dalle cose sociali. La vostra attività nella società o nel lavoro deve riflettersi anche nella famiglia. La vostra famiglia deve vedere il vostro volto politico e civile, e non separarlo dal vostro volto di genitore. Tutto ciò che avviene nel paese deve trasferirsi ai figli attraverso la vostra anima e il vostro pensiero. Ciò che avviene nella vostra fabbrica, ciò che vi rallegra o vi rattrista, deve interessare anche i vostri figli. Essi devono sapere che voi siete un uomo che lavora nella società ed essere orgogliosi di voi, dei vostri successi, dei vostri meriti di fronte alla società. Ma si tratterà di un giusto orgoglio solo se la sua sostanza sociale sarà comprensibile ai figli, se essi non saranno orgogliosi semplicemente del fatto che avete un bel vestito, che avete un'automobile, ma del fatto che siete un vero uomo.

La vostra condotta è la cosa più decisiva. Non crediate di educare il bambino soltanto quando conversate con lui o lo istruite o gli date un ordine. Voi educate in ogni momento della vostra vita, anche quando non siete a casa. Come vi vestite, come parlate con le altre persone e delle altre persone, come vi rallegrate o vi rattristate, come vi comportate con gli amici o con i nemici, come ridete, come leggete il giornale - tutto ciò ha una grande importanza per il vostro bambino. Le più piccole modifiche di tono, di maniera, vengono viste o sentite dal bambino; tutti i moti del vostro pensiero giungono a lui per vie invisibili, senza che ve ne accorgiate. E se a casa i genitori sono rozzi o boriosi, o bevono, o, ancor peggio, si offendono reciprocamente, essi causano un danno enorme ai loro figli, li educano male ed una simile indegna condotta avrà le più tristi conseguenze.

Che i genitori siano esigenti verso se  stessi, che essi abbiano rispetto per la famiglia, che si controllino ad ogni passo, ecco il primo e il principale metodo di educazione!(14)

14. A. S. Makarenko, op. cit., pagg. 33-34.

4. La famiglia è un collettivo sociale

Ogni famiglia costituisce “un collettivo di membri della società che hanno gli stessi diritti, tuttavia i genitori e i figli differiscono per il fatto che i genitori dirigono la famiglia, mentre i figli vengono educati dalla famiglia. Ogni genitore deve avere un'idea ben chiara di questo. Ogni genitore deve capire che egli non è in famiglia un padrone incontrollato, ma soltanto il membro più anziano e responsabile del collettivo. Se questo concetto viene bene assimilato, anche tutto il lavoro di educazione procederà in modo soddisfacente. (…)

Anticamente si riteneva che l'autorità paterna avesse un'origine divina: sia nella famiglia che nella scuola si parlava di questo, si raccontava ai bambini che dio castigava crudelmente i figli che non rispettano i loro genitori. Nello Stato sovietico non s'ingannano i bambini. I nostri genitori devono farsi rispettare ma in altra maniera. Devono essere stimati e rispettati dai loro figli perché rispondono per la loro famiglia davanti a tutta la società sovietica e alla legge sovietica.” (15)

15. Ivi, pagg. 29-30.

Makarenko sostiene che il successo del processo educativo dipende da molte ragioni e innanzi tutto dal fatto se si applichino o meno giusti metodi di educazione. Ma una ragione assai importante è anche l'organizzazione della famiglia, la sua composizione, il suo regime di vita collettivo e sociale. In una grande famiglia bene organizzata, il bambino si abitua fin dall'infanzia al collettivo, acquista un’esperienza di reciproci legami, di vita collettiva.

5. Lo scopo dell'educazione

“Un'altra questione a cui si deve rivolgere la più seria attenzione è quella dello scopo dell'educazione. In alcune famiglie è facile osservare un’assoluta irresponsabilità a questo riguardo: i genitori e i figli convivono semplicemente insieme e i genitori sperano che tutto proceda da sé.

Questi genitori non hanno uno scopo chiaro, né un programma. Così i risultati educativi saranno estremamente casuali ed è strano che tali genitori in seguito si meraviglino che i loro figli siano cresciuti male. Nessuna cosa può dare un buon risultato se non si sa esattamente quello che si vuole ottenere. Ogni padre e ogni madre devono ben sapere che cosa vogliono ottenere dal loro bambino. I genitori devono rendersi chiaramente conto dei propri desideri. Volete voi educare un vero cittadino del paese sovietico, un uomo colto, energico, onesto, devoto al proprio popolo, alla causa del socialismo, laborioso, ottimista, gentile? Non volete che il vostro bambino diventi un essere meschino, avido, vile, una specie di piccolo trafficante furbo e mediocre? Ebbene datevi da fare, riflettete bene su questo problema, rifletteteci a lungo e vedrete subito gli errori che avete commesso.

Nel far questo dovete sempre rammentare che non avete generato e non state educando un figlio o una figlia soltanto per la vostra gioia di genitori. Nella vostra famiglia e sotto la vostra guida cresce un futuro cittadino, un futuro lavoratore; un futuro combattente del socialismo. Se educate un uomo cattivo, le conseguenze non ricadranno solo su di voi, ma su mol ta gente, su tutto il paese sovietico. Non evadete da questo problema, non consideratelo una predica noiosa.”(16)

16. Ivi, pag. 32

“L’educazione dei figli esige un tono estremamente serio, estremamente semplice e sincero. In queste tre qualità deve risiedere la sostanza della vostra vita. La più insignificante aggiunta di falsità, di artificiosità, di leggerezza, condanna il lavoro educativo all'insuccesso. Ciò non significa affatto che voi dovete sempre essere di un umore studiato o controllato: siate semplicemente sinceri; fate che il vostro umore corrisponda al momento e alla sostanza di ciò che avviene nella vostra famiglia. (…)

Tanti genitori si lamentano della mancanza di tempo! Certo è bene che i genitori stiano spesso con i figli, è molto male se non li vedono mai. Tuttavia, occorre dire che una giusta educazione non richiede affatto che i genitori non distolgano gli occhi dai figli. Anzi una educazione simile può arrecare soltanto del danno. (…)

La vera essenza del lavoro di educazione, e probabilmente voi stessi l’avete già intuito, non risiede affatto nei discorsi che voi fate a tu per tu con il bambino, né nella vostra influenza diretta sul bambino, ma nell’organizzazione della vostra famiglia, della vostra vita personale e sociale, nel vostro esempio e nell’organizzazione della vita del bambino. Il lavoro educativo è innanzi tutto il lavoro di un organizzatore. La buona organizzazione consiste nel fatto che essa non trascura neppure i più piccoli dettagli. Le minuzie influiscono regolarmente, quotidianamente, ogni ora ed esse formano la vita stessa. Guidare questa vita, organizzarla, sarà il vostro compito di maggior responsabilità.”(17)

17. Ivi, pagg. 35-36

6. L’autorità (autorevolezza) dei genitori

Vediamo in dettaglio cosa scrive Makarenko a proposito di questo aspetto (l’autorità dei genitori) perché è un aspetto fondamentale della linea e del processo educativo di ogni collettivo familiare (ma ha anche diverse analogie con la direzione e l’organizzazione di ogni organismo sociale, come un circolo, un organismo di massa, ecc.): “Abbiamo detto che la famiglia sovietica [comunista] differisce [deve differire] sotto molti aspetti dalla famiglia borghese. La sua prima differenza consiste nel carattere dell'autorità dei genitori. Nostro padre, i nostri genitori, sono stati delegati dalla società ad educare il futuro cittadino della nostra patria e logicamente ne rispondono di fronte ad essa. Su questo si basa la loro autorità di genitori anche agli occhi dei figli.

Tuttavia sarebbe assai imbarazzante per i genitori dimostrare in famiglia di fronte ai figli la legittimità di questo loro potere rifacendosi sempre a tale delega della società. L'educazione dei figli comincia da un'età in cui non sono possibili alcuna prova logica e alcuna dimostrazione di possedere dei diritti sociali e, d'altronde, l'educatore non potrebbe esistere se non avesse autorità. Infine, il significato stesso dell'autorità sta nel fatto che essa non richiede nessuna dimostrazione, che viene accettata come una qualità indiscutibile, come qualcosa che appare evidente al semplice occhio infantile.

Il padre e la madre devono possedere autorità agli occhi del figlio.

Spesso avviene di sentirsi rivolgere la  domanda: “Che cosa dobbiamo fare se il bambino non obbedisce?”. Questa stessa espressione "non obbedisce" è l'indice del fatto che i genitori non hanno autorità. Da dove deriva l’autorità di genitori, come si organizza?

Quei genitori i cui figli "non obbediscono" talvolta sono inclini a pensare che l'autorità sia un dono di natura, un talento particolare. Se esso manca, non vi sarebbe nulla da fare, resterebbe soltanto da invidiare chi ha un simile talento. Ma questi genitori sbagliano. L'autorità può venire organizzata in ogni famiglia e non è neppure una cosa tanto difficile.

Purtroppo si trovano dei genitori che fondano tale autorità su false basi. Essi cercano di fare in modo che i loro figli obbediscano e ciò costituisce il loro obbiettivo. Ma in realtà si tratta di un errore. L'autorità e l'obbedienza non sono e non possono essere fine a se stesse. Il fine può essere uno solo: una giusta educazione. Ed è soltanto a questo fine che bisogna tendere. L'obbedienza dei figli può essere soltanto una delle vie per giungere a tale fine. Sono proprio quei genitori i quali non pensano ai veri fini dell'educazione quelli che cercano di ottenere l'obbedienza per l'obbedienza. Se i figli sono obbedienti, i genitori vivono più tranquilli. Ed è proprio questa loro personale tranquillità ciò che costituisce il loro vero fine.

Ma verificando le cose si riscontra sempre che né la tranquillità, né l'obbedienza si mantengono a lungo. Un'autorità fondata su false basi serve soltanto per poco tempo, ben presto crolla e non restano né autorità, né obbedienza. Avviene anche che genitori ottengano con la forza l'obbedienza, ma in compenso vengano trascurati tutti gli altri fini dell'educazione. In tal caso crescono dei figli obbedienti, ma deboli.

Vi sono molte specie di una simile falsa autorità. Ne esamineremo qui più o meno particolareggiatamente alcune. Speriamo che dopo questo esame sia più facile spiegare quale debba essere la vera autorità.

L'autorità repressiva. È la più temibile specie di autorità, e forse la più dannosa. Sono soprattutto i padri quelli che tendono a questo tipo di autorità. Se un padre a casa grida sempre, è sempre arrabbiato, per ogni stupidaggine esplode come un tuono, in ogni occasione prende il bastone o la cinghia, ad ogni domanda risponde in modo sgarbato, castiga inesorabilmente ogni piccola colpa del bambino - si ha quella che noi chiamiamo l'autorità repressiva. Questo terrorismo paterno mantiene in uno stato di timore tutta la famiglia, non solo i figli, ma anche la madre. Esso reca danno non soltanto perché intimorisce i figli, ma anche perché rende la madre un essere superfluo, investito soltanto della funzione di una domestica. Non occorre dimostrare quanto sia dannosa una simile autorità. Essa non educa per nulla e insegna soltanto ai figli a tenersi il più lontano possibile da tale terribile padre, genera la menzogna e la viltà infantile, e nello stesso tempo sviluppa nel bambino la crudeltà. Da bambini oppressi e apatici crescono in seguito degli uomini insignificanti e timidi o dei prepotenti, che nel corso di tutta la loro vita hanno bisogno di vendicarsi della loro infanzia repressa. È questo il tipo più selvaggio di autorità, che si ritrova soltanto nei genitori incolti, ed in questi ultimi tempi fortunatamente va scomparendo nell'Unione Sovietica.

Autorità che mantiene la distanza. Vi sono dei padri e delle madri seriamente convinti di quanto segue: perché i figli  obbediscano occorre parlare con loro il meno possibile, mantenere una certa distanza, intervenire soltanto di rado ed in modo autoritario. Questa forma di autorità era la preferita specialmente in alcune famiglie intellettuali di un tempo. Il padre aveva uno studio isolato, dal quale si affacciava di rado, come un sacerdote. Egli mangiava separatamente, si divertiva per conto suo, persino le sue disposizioni alla famiglia le trasmetteva attraverso la madre. Vi erano anche delle madri del genere: esse avevano una propria vita, propri interessi, propri pensieri. I figli erano in balia della nonna o della domestica.

Non c'è bisogno di dire che una simile autorità non arreca nessun utile e che una simile famiglia non può venir definita una famiglia organizzata razionalmente.

L'autorità della vanagloria è un tipo particolare di autorità, che mantiene la distanza, ma più nocivo. Ogni cittadino dello Stato sovietico ha i propri meriti. Ma taluni ritengono di essere i più meritevoli, i più importanti ed esibiscono questa loro presunta importanza ad ogni passo e naturalmente anche ai loro figli.

A casa essi si gonfiano e si vantano in misura ancor maggiore che sul luogo di lavoro e non fanno altro che parlare dei propri meriti trattando dall'alto in basso tutti gli altri. Avviene assai di frequente che anche i figli, contagiati dall'esempio del padre, cominciano a gloriarsi. Con i compagni essi si comportano in modo borioso ripetendo continuamente: mio papà è un pezzo grosso, mio papà è uno scrittore, mio papà è un comandante, mio papà è famoso. In questa atmosfera il padre importante e borioso non riesce più a rendersi conto di dove vadano i suoi figli e come essi si formino. Un simile tipo di autorità si ritrova anche nelle madri: qualche vestito elegante, una conoscenza importante, un viaggio, una villeggiatura, tutto ciò dà loro motivo per vantarsi, per distaccarsi dalle altre persone e dai loro stessi figli.

Autorità pedantesca. In questo caso i genitori rivolgono maggiore attenzione ai figli, lavorano di più, ma lavorano come dei burocrati. Essi sono convinti che i figli debbano ascoltare ogni loro parola con venerazione, che la loro parola sia una cosa sacra. Danno disposizioni con tono di freddezza ed una volta date esse diventano legge. Tali genitori temono soprattutto che i figli possano pensare che il papà si è sbagliato, che il papà non è un uomo forte. Se un simile padre dice: "Domani pioverà, non si potrà andare a passeggio", anche se l'indomani facesse bel tempo, si deve ritenere egualmente impossibile l'andare a passeggio. Al papà non è piaciuto un certo film ed egli vieta in generale ai figli di andare al cinema, anche se si danno dei buoni film. Il padre castiga il bambino e poi si scopre che quest'ultimo non aveva colpa, ma il padre non ritira la sua punizione: una volta detto così, così deve essere. Un simile padre ha ogni giorno fin troppo da sorvegliare, perché in ogni movimento del bambino egli vede una violazione dell'ordine e della legalità e lo obera di sempre nuove leggi e disposizioni. La vita del bambino, i suoi interessi, il suo sviluppo gli passano inosservati. Egli non vede altro che il proprio controllo burocratico sulla famiglia. C'è bisogno di dire che questo è un modo di educare sbagliato?

Autorità del ragionamento. In questo caso i genitori letteralmente ricolmano la vita infantile di infiniti insegnamenti e di discorsi edificanti. Invece di dire al bambino poche parole, magari anche in tono  scherzoso, il genitore lo fa sedere davanti a sé e comincia un discorso noioso e opprimente. Tali genitori sono convinti che la suprema saggezza pedagogica stia nelle massime. In una simile famiglia vi sono sempre pochi sorrisi e poca gioia. I genitori cercano di essere virtuosi a tutti i costi perché vogliono apparire infallibili agli occhi dei figli. Ma essi dimenticano che i figli non sono degli adulti, che i bambini hanno la loro vita e che questa vita deve essere rispettata. Il bambino vive in maniera più emotiva, più appassionata dell'adulto, e la cosa che meno sa fare è quella di dedicarsi ai ragionamenti. L’abitudine a pensare si forma in lui gradualmente e abbastanza lentamente, mentre i continui ragionamenti dei genitori, la loro continua saccenteria passano quasi senza lasciar traccia nella sua coscienza. I bambini non possono scorgere alcun principio di autorità nella saccenteria e nei ragionamenti dei genitori.

Autorità dell'amore. È questo da noi il tipo più diffuso di falsa autorità. Molti genitori sono persuasi che perché i figli ubbidiscano bisogna che amino i genitori e che, per meritare tale amore, si debba mostrare ad ogni passo ai bambini il proprio amore. Allora sui bambini si riversano in quantità assolutamente eccessiva parole affettuose, infinite carezze, vezzeggiamenti, ecc. Se il bambino non obbedisce, gli chiedono subito: “Allora non vuoi bene al tuo papà?". I genitori seguono gelosamente l'espressione dei suoi occhi e chiedono affetto ed amore. Spesso la madre racconta ai conoscenti in presenza del bambino: "Vuol tanto bene al papà e anche a me vuol tanto bene, è un bambino cosi affettuoso...".

Una simile famiglia si tuffa talmente nel mare del sentimentalismo e delle affettuosità, che non vede più nulla di cattivo. Sfuggono così all'attenzione dei genitori molti importanti dettagli dell'educazione familiare. Il bambino dovrebbe far tutto per amore dei genitori. Su questa strada però si presentano molti pericoli. È da qui che nasce l'egoismo familiare. È chiaro che i bambini non hanno sufficienti riserve per un simile amore. Ben presto essi si accorgono che è assai facile ingannare il padre e la madre, purché lo si faccia con un comportamento affettuoso. Si accorgono anche che è facile spaventare il papà e la mamma, basta irrigidirsi e far finta di non voler loro più alcun bene.

Così, fin da piccolo, il bambino comincia a capire che si può essere ipocriti nei confronti degli altri. E siccome egli non può amare in modo altrettanto intenso gli estranei, si comporta con questi ultimi in modo ipocrita, naturalmente senza provare alcun amore, ma semplicemente per un freddo e cinico calcolo. Talvolta avviene che l'amore per i genitori si conserva a lungo, ma per contro tutte le altre persone vengono considerate come estranee, non si nutre per esse alcuna simpatia, alcun sentimento fraterno.

Perciò questo è un tipo assai pericoloso di autorità. Esso alleva dei figli egoisti, insinceri e falsi. Ed assai spesso le prime vittime di un simile egoismo sono proprio i genitori.

Autorità della bontà. È il tipo più stupido di autorità. Anche in questo caso l'obbedienza del bambino viene organizzata attraverso l'amore, non viene però sollecitata mediante i baci e le effusioni, bensì con la cedevolezza, la dolcezza, la bontà dei genitori. Il papà e la mamma si presentano al bambino nella veste di buoni angeli. Essi risolvono tutto, non risparmiano nulla, non sono avari, sono dei ge nitori ideali. Temono ogni conflitto, ad ogni altra cosa preferiscono il mondo familiare, sono pronti a sacrificare tutto purché tutto vada bene. Ben presto in una simile famiglia i bambini cominciano semplicemente a comandare i genitori e la mancanza di resistenza da parte di questi ultimi apre largo spazio ai desideri, ai capricci, alle esigenze dei bambini. Ed anche quando i genitori si permettono di fare una certa resistenza, è ormai troppo tardi, perché nella famiglia si è già formata una esperienza nociva.

Autorità dell'amicizia. È abbastanza frequente che ancor prima che i figli siano nati, i genitori abbiano già fatto un patto: i nostri figli saranno i nostri amici. E, da un punto di vista generale, ciò certamente è bene. Il padre e il figlio, la madre e la figlia possono essere degli amici e anzi debbono esserlo, ma i genitori sono comunque sempre membri più anziani del collettivo familiare e i figli sono sempre coloro che devono essere educati. Se l'amicizia oltrepassa i limiti, l'educazione viene a mancare e comincia il processo inverso: i figli cominciano ad educare i genitori. Simili famiglie si ritrovano fra gli intellettuali. In queste famiglie i figli chiamano genitori Pierino o Marietta, li interrompono scortesemente, fanno i saccenti ad ogni passo, e non si può parlare di alcuna obbedienza da parte loro. Ma anche l'amicizia manca, poiché nessuna amicizia è possibile senza stima.

Autorità della corruzione. È il tipo più immorale di autorità, che si dà quando l'obbedienza viene comperata con le promesse o i regali. Senza vergognarsi i genitori dicono: se obbedisci ti compero un cavallino; se obbedisci ti porto al circo. S'intende che anche in famiglia è possibile un certo incoraggiamento, qualcosa di simile alla premiazione, ma in nessun caso si devono premiare i bambini perché obbediscono, perché si comportano bene con i genitori. Si possono premiare perché studiano, perché hanno eseguito qualche lavoro difficile. Ma, anche in questo caso, non si deve mai annunciare in anticipo il premio, né incitare i bambini al loro lavoro scolastico o d'altro genere con delle promesse seducenti.

Abbiamo esaminato alcuni tipi di falsa autorità. Ma ve ne sono molti altri. Sovente avviene anche che i genitori non pensano in genere ad alcun tipo di autorità, vivono come capita e si trascinano dietro in un qualche modo il peso dell'educazione dei figli. In tal caso, un giorno il genitore strilla e castiga per una sciocchezza il bambino, l'altro giorno invece gli dice di amarlo, e un altro giorno ancora gli promette un regalo, e il giorno seguente di nuovo lo punisce e, per di più, gli rinfaccia tutto il bene che gli ha fatto. Simili genitori sono sempre in moto come gatti scottati, assolutamente impotenti, assolutamente incoscienti di quello che fanno.

Avviene anche che il padre si attenga ad un tipo di autorità e la madre ad un altro. In tal caso i figli devono essere innanzi tutto dei diplomatici ed imparare a manovrare fra il papà e la mamma.

E, infine, avviene che i genitori non rivolgono alcuna attenzione ai figli e pensano soltanto alla propria tranquillità.

In che cosa dunque deve consistere la giusta autorità dei genitori nella famiglia sovietica?

Il fondamento dell'autorità dei genitori può essere dato soltanto dalla vita e dal lavoro che essi svolgono, dal loro comportamento come cittadini, dalla loro condotta nella famiglia. La famiglia è una grande cosa, che conferisce molte respon sabilità: i genitori la devono dirigere e ne rispondono di fronte alla società, di fronte alla loro stessa felicità e alla vita dei figli. Se i genitori compiono bene, onestamente, razionalmente la loro opera, se si sono prefissi dei fini sociali ed umani importanti e belli, se si rendono sempre ben conto delle loro azioni, ciò fa sì che essi possiedono la necessaria autorità come genitori e non hanno perciò bisogno di cercare alcun altro surrogato di autorità e tanto meno di inventare qualcosa di artificiale.

Appena i figli cominciano a crescere, essi si interessano sempre di sapere dove lavora il padre o la madre, quale è la loro posizione sociale. Essi devono conoscere abbastanza presto ciò di cui vivono, di cui si interessano i genitori e chi questi ultimi frequentano. Il lavoro del padre o della madre deve apparire ai figli come qualcosa di serio, che merita rispetto. Agli occhi dei figli i meriti dei genitori devono essere innanzi tutto i loro meriti di fronte alla società, devono costituire un valore effettivo e non semplicemente qualcosa di esteriore. È assai bene che i figli non vedano questi meriti come isolati, ma sullo sfondo delle conquiste del nostro paese. Non la vanteria, ma il giusto orgoglio sovietico è ciò che deve venir sviluppato nei bambini. Nel contempo però è necessario che essi non siano orgogliosi soltanto del padre o della madre, ma che siano orgogliosi degli eroici combattenti del socialismo, dei grandi uomini della nostra patria, in modo che il padre o la madre nella loro immaginazione appaiano come dei compagni di quei combattenti e di quegli uomini grandi.”(18)

18. Ivi, pag. 39 e seg.

Queste lunghe citazioni di Makarenko chiariscono bene il pensiero e la base dell’opera educativa comunista, l’importanza che ha l’applicazione di una linea educativa legata alla concezione comunista del mondo, il ruolo che hanno i dirigenti (genitori, maestri, adulti) nell’adottare uno stile di vita e di lavoro coerente e strettamente connesso con il processo di trasformazione del mondo che ogni comunista deve perseguire. Offrono strumenti teorici e pratici ad ogni compagno e compagna, ad ogni lavoratore avanzato ed esponente delle masse popolari per verificare e rivedere in senso critico e autocritico la propria concezione e mentalità su questa questione. Comprendere e definire quale tipo (se ne abbiamo uno) di autorità ci guida nella direzione e gestione del nostro collettivo familiare e nell’educazione dei figli, quali concezioni stanno dietro, quali effetti può determinare, è la base di partenza per procedere ad esaminare in modo scientifico come educhiamo noi stessi e i nostri figli e procedere, se necessario, a un necessario processo di revisione attraverso un processo di CAT.

19. In Consigli ai genitori oltre ai temi qui trattati (l'educazione familiare e l'autorità dei genitori), ci sono altre “lezioni” su importanti questioni quali: la disciplina, il gioco, l'educazione al lavoro, la vita economica della famiglia, l’educazione alla cultura, l'educazione sessuale, la famiglia e l'educazione dei ragazzi, l'educazione in famiglia e a scuola e altri.

Con questo primo lavoro sul tema dell’educazione familiare che presentiamo e sottoponiamo alla riflessione dei nostri lettori, apriamo uno specifico campo di analisi e di riflessioni che ci porterà ad affrontare altri aspetti particolari dell’educazione sui quali l’esperienza concreta dei primi paesi socialisti, in particolare grazie all’opera di Makarenko, ci ha lasciato preziosi insegnamenti.(19)

Sergio G.

 

La Voce n. 42
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