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  La Voce 43 del (nuovo)Partito comunista italiano

Il Partito comunista e gli operai

 

Il consolidamento e il rafforzamento del Partito è la sintesi del lavoro che dobbiamo compiere sul lato del reclutamento e  della formazione degli individui e della loro trasformazione in comunisti, del loro impegno nel lavoro del Partito e della costituzione e funzionamento degli organismi del Partito (lavoro interno del Partito).

Il lavoro operaio è l’aspetto principale del nostro lavoro di organizzazione delle masse popolari e della loro mobilitazione nella Guerra Popolare Rivoluzionaria che instaurerà il socialismo ponendo fine alla Repubblica Pontificia costituitasi circa 70 anni fa nel nostro paese (lavoro esterno del Partito).

Solo se il lavoro operaio si sviluppa bene, anche il resto del nostro lavoro di massa può svilupparsi bene.

 

A chi dice che noi comunisti, del passato o di oggi, coltiviamo "la mistica del soggetto rivoluzionario" o "la mistica dell’operaio" rispondiamo usando le parole di Lenin.

"La rivoluzione socialista in Europa non può essere altro che l'esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente - senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione - e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasticherie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale e l'avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!) e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all'abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si 'epurerà' dalle scorie piccolo-borghesi tutt'altro che di colpo".

V.I. Lenin, Risultati della discussione sull'autodecisione (1916), in Opere vol. 22.

 

Perché il lavoro operaio ha tanta importanza nel lavoro del Partito?

Perché il compito del Partito consiste nell’instaurazione del socialismo e sul terreno economico il nucleo centrale del socialismo, attorno al quale si costruisce tutto il resto delle relazioni della società socialista, è costituito dalle unità produttive (agenzie pubbliche) che hanno preso e prendono il posto delle aziende capitaliste e producono beni e servizi operando secondo un piano nazionale (articolato in piani territoriali e di settore e via via sempre più coordinato con i piani di altri paesi a costituire un piano internazionale). Quindi la volontà, l’orientamento e l’organizzazione degli operai è il fattore centrale decisivo per l’instaurazione del socialismo.

Già nella società borghese l’insieme delle unità produttive di beni e servizi costituisce la struttura a partire dalla quale e attorno alla quale si ordina tutto il resto dell’attività sociale. Il non riconoscimento di questo, è alla base e la causa di tutte le rappresentazioni senza capo né coda della società attuale sfornate a getto continuo dagli esponenti della sinistra borghese [la verità è una sola, le narrazioni di fantasia si possono moltiplicare all’infinito, tanto più se restano solo articoli, libri o discorsi, mai sottoposti alla verifica della pratica]. Rappresentazioni la cui inconsistenza è dimostrata dal fallimento dei tentativi di correggere l’andamento delle cose basandosi su di esse, ogni volta che tentativi ci sono.  Rappresentazioni che tuttavia sono abbondantemente e continuamente alimentate da reali trasformazioni sovrastrutturali che mascherano la struttura portante della società: 1. la crescita del sistema finanziario fino a dimensioni che nascondono la valorizzazione del capitale tramite la produzione di beni e servizi, 2. la moltiplicazione delle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS), 3. l’effettivo “superamento storico” della legge del valore-lavoro per cui l’accanimento di Marchionne a togliere dieci minuti di pausa ai suoi operai (espressione del fatto che la legge del valore-lavoro nei fatti non è ancora superata) sembra una stravaganza maniacale, 4. la moltiplicazione della quantità di persone che non lavorano o svolgono lavori inutili ai fini della valorizzazione del capitale. Ma per quanto confortate da mille appariscenti fenomeni reali, le rappresentazioni non cancellano il fatto che “l’imperialismo è la sovrastruttura del vecchio capitalismo” e la produzione di beni e servizi in aziende capitaliste resta la base oltre che l’origine storica della società attuale.

 

Promuovere l’organizzazione della classe operaia (la costituzione di OO) e del resto delle masse popolari (la costituzione di 0P) e aggregare OO e OP attorno al Partito a costituire il Nuovo Potere è la parte decisiva del lavoro strategico del Partito comunista.

La linea tattica del Partito consiste nel promuovere la formazione di OO e OP e orientarle a costituire un loro governo d’emergenza (il Governo di Blocco Popolare) valorizzando l’apporto degli esponenti dei tre serbatoi (1. dirigenti della sinistra delle organizzazioni sindacali, 2. personalità sinceramente democratiche della società civile e della pubblica amministrazione, 3. esponenti non visceralmente anticomunisti della sinistra borghese). Quanto più la società capitalista si disgrega, la crisi della Repubblica Pontificia si aggrava e il paese diventa ingovernabile dalla borghesia imperialista e dal clero, tanto più diventa decisiva la moltiplicazione di OO e OP perché poi sarà relativamente facile, di fronte allo sfacelo della società borghese, la costituzione di un loro governo d’emergenza.

È la borghesia che ha creato la classe operaia ed è la costituzione stessa della società borghese che ha messo la classe operaia nelle condizioni di essere la classe che può e deve guidare il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo e a compiere la transizione dal capitalismo al comunismo.

Gli operai sono i lavoratori impiegati nelle aziende capitaliste, cioè in aziende la cui principale ragion d’essere è la valorizzazione del capitale (produrre profitto). Numericamente essi costituiscono una parte importante delle masse popolari. Tutte le teorie (alla Marco Revelli) sulla “fine della classe operaia”, sono chiacchiere idealiste e scongiuri da sinistra borghese. In Italia solo gli operai metalmeccanici delle 12.000 aziende socie di Federmeccanica sono più di 1.600.000 (e non comprendono gli 85.000 della FIAT che Marchionne ha fatto uscire da Federmeccanica).  Ma non è tanto il loro numero, quanto la loro posizione sociale e il ruolo che svolgono nella società borghese che li mette in condizioni di potere e quindi dovere dirigere il resto delle masse popolari. Del resto nel nostro paese e negli altri paesi imperialisti questo è quello che avviene già spontaneamente: quando gli operai si mobilitano, anche il resto delle masse popolari si mobilita. Avviene a livello di città, zone e regioni. Avverrà anche a livello nazionale quando gli operai saranno essi stessi abbastanza organizzati da mobilitarsi a livello nazionale. Per questo i nuclei operai che si sono già formati in alcune aziende devono, pur continuando ognuno a rafforzarsi nella sua azienda, 1. uscire dall’azienda e irradiare la loro azione sul territorio coordinandosi con le OP già esistenti e promuovendo la formazione di nuove, 2. tessere rapporti con i nuclei operai di altre aziende.

 

Nella Carovana del (n)PCI e ai comunisti esterni al Partito dobbiamo spiegare e fissare la concezione che senza la mobilitazione e l’organizzazione della classe operaia tutti i progetti di mondo migliore, di un diverso corso delle cose restano campati in aria. Chi non capisce questo, prima o poi si scoraggia perché vede che i suoi e nostri sforzi non approdano al risultato o addirittura che la mobilitazione reazionaria avanza più rapidamente della mobilitazione  rivoluzionaria: cosa ovvia, perché le altre classi delle masse popolari non sono capaci di organizzazione autonoma dalla classe operaia e se non sono dirette dalla classe operaia sono le classi reazionarie che ne dirigono la mobilitazione.

Chi lo capisce, dà ai propri sforzi un orientamento giusto: non dobbiamo fare solo “lavoro operaio”, ma dobbiamo impostare tutto il nostro lavoro combinandolo con esso. È un passaggio che dobbiamo realizzare perché senza aver superato questo passaggio non raggiungeremo gli altri obiettivi.

Oggi in Italia tutti quelli che hanno costruito o dirigono “reti operaie” sono economicisti, cioè di fatto mettono al centro dell’attenzione degli operai la rivendicazione, anziché mettere l’instaurazione del socialismo: nei casi migliori (FalceMartello, ecc.) la rivoluzione socialista è qualcosa che prima o poi scoppierà.

Ogni lavoro di agitazione, di organizzazione, di propaganda centrato principalmente sulla rivendicazione, ha come premessa implicita l’accettazione della situazione di fatto: il potere è della borghesia imperialista e del clero, l’attuale sistema di relazioni sociali non si tocca. La lotta riguarda solo la ripartizione del prodotto, non il sistema di produzione e il resto del sistema di relazioni sociali.

Per noi comunisti rivendicare è indispensabile, ma è solo uno dei mezzi per mobilitare forze per la conquista del potere e instaurare il socialismo (scuola di comunismo).

Noi comunisti ci opponiamo alla tesi che “il salario è una variabile dipendente” (dal profitto: cioè solo quando il suo padrone fa buoni affari l’operaio ha ragione a rivendicare più salario) perché è la teoria della subordinazione degli operai ai capitalisti. Ma la tesi opposta “il salario è una variabile indipendente” è una stupidaggine alla Pierre Carniti (il vecchio dirigente FIM degli anni ’70).

Noi comunisti sosteniamo la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, ma sostenere che nella società borghese lavorare meno porta a lavorare tutti, è solo proclamare un desiderio smentito dai fatti: a parità di altre condizioni i capitalisti prima o poi vanno dove i profitti sono maggiori e la parola d’ordine “lavorare meno per lavorare tutti” nella società borghese si rivela inconsistente come “colpirne uno per educarne cento”.

Noi comunisti sosteniamo che l’operaio ha mille ragioni a cercare di prendere tutto quello che i rapporti di forza gli consentono di strappare al capitalista, finché è il capitalista che dirige la società. Ma l’emancipazione l’operaio (la classe operaia) la conquista solo instaurando il socialismo, cioè assumendosi la responsabilità e dandosi i mezzi per governare lui la società, per poi trasformarla fino alla scomparsa della divisione in classi. 

 

Quali sono i motivi per cui nel superamento del capitalismo (passaggio al socialismo) la classe operaia ha un ruolo principale? I principali sono i seguenti sei.

- 1. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella i cui membri già nella società attuale hanno con il lavoro una relazione che è la più vicina alla relazione che ogni individuo avrà con esso nel comunismo. Il presupposto del comunismo è che la fonte principale della ricchezza non è più il furto del tempo di lavoro altrui, ma l’applicazione della conoscenza della natura alla produzione della ricchezza. Quindi a livello generale della società il tempo di lavoro può e deve diventare una parte secondaria della vita, una prestazione sociale universale   ma non più elemento principale della formazione della personalità del lavoratore. Orbene, già nella società borghese per l’operaio il lavoro è principalmente una prestazione sociale, cioè una prestazione che l’individuo fa alla società e in cambio della quale riceve dalla società i beni, i servizi e i diritti che gli sono riconosciuti. La classe operaia è la classe per la quale il lavoro concreto (il lavoro caratterizzato dai tratti che tipicamente, allo stato più puro, si mostrano nel lavoro dell’artigiano e dell’artista) è il più vicino al lavoro astratto (cioè l’attività considerata a prescindere dal  contenuto, dall’oggetto a cui si applica, dal rapporto in cui si svolge, dalle condizioni del suo svolgimento, dal suo risultato particolare): l’operaio passa con indifferenza, è stato dalla necessità educato a passare con indifferenza da un’azienda a un’altra, da un lavoro a un altro, da una mansione a un’altra. Il lavoro è quello che deve fare per ricevere un salario. Il lavoro che svolge richiede  una cultura generale al livello della cultura generale della società, ma non richiede abilità particolari: l’addestramento è questione di alcune ore, giorni, settimane o mesi. La qualità del lavoro è principalmente la quantità del salario. Proprio questa caratteristica del loro lavoro e della loro posizione sociale rende per gli operai più facile (che per le altre classi delle masse popolari) assimilare e fare propria in massa la concezione comunista del mondo.

- 2. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella  il cui sviluppo e il cui benessere sono legate allo sviluppo del modo di produzione capitalista e della civiltà borghese (cioè con il modo di produzione più progredito che la specie umana ha creato prima del comunismo): con esse la classe operaia nasce e cresce di numero e di importanza nel complesso della vita sociale.

- 3. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella le cui condizioni di vita (il cui benessere e la cui miseria) dipendono più direttamente e più strettamente dall’andamento (dagli alti e bassi) degli affari dei capitalisti; quella le cui condizioni di vita dipendono meno direttamente da decisioni di autorità pubbliche o dalla buona o cattiva volontà del padrone. Solo una riorganizzazione generale della società, la sostituzione della agenzia pubblica all’azienda capitalista (in altre parole il socialismo), cambia stabilmente e definitivamente la sua condizione.

- 4. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella che per la stessa posizione sociale in cui è posta nella società borghese, è costretta più di tutte le altre a organizzarsi (senza organizzazione il singolo operaio non ha forza contrattuale): per la vendita della sua forza lavoro la classe operaia arriva spontaneamente all’organizzazione sindacale e a chiedere alle autorità pubbliche leggi e regolamenti per la protezione dei lavoratori e sulle condizioni di lavoro (la rivendicazione è connaturata con il rapporto dell’operaio con il capitalista).

- 5. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella che ha le più lunghe e consolidate tradizioni e la più vasta esperienza di lotta organizzata; essa trascina e istruisce anche le altre classi delle masse popolari con il suo esempio e con la sua attività di rivendicazione e di protesta.

- 6. Tra tutte le classi delle masse popolari la classe operaia è quella che più facilmente delle altre è in grado di prendere in mano e far funzionare il settore produttivo chiave della società moderna, il settore dell’industria, dei trasporti, dei servizi e in larga misura anche il settore agricolo: quanto più il capitalismo si è impadronito delle attività produttive di beni e servizi facendole quindi svolgere in aziende capitaliste, tanto più universale è il ruolo della classe operaia.

 

La combinazione di questi sei caratteri distingue la classe operaia dalle altre classi delle masse popolari. Ognuno di questi sei caratteri si ritrova anche nell’una o nell’altra delle classi delle masse popolari, in questo o quel ceto o gruppo sociale. Ma solo la classe operaia le combina tutti e sei e in misura tanto più sviluppata quanto più la società borghese si è sviluppata. In nessuna altra classe o ceto sociale questi sei caratteri si ritrovano in una combinazione così favorevole come nella classe operaia all’assunzione del ruolo di dirigente della trasformazione di cui la società borghese ha bisogno, di cui ha in sé la necessità e i presupposti.

Grazie a questa combinazione è nato il movimento comunista, incarnazione della concezione comunista del mondo nella classe operaia e a partire dalla seconda parte del secolo XIX esso è diventato sempre più il fattore determinante della storia dell’umanità, ha sconvolto il mondo al punto che ogni narrazione della storia dal 1848 in qua in cui il movimento comunista non è indicato come protagonista, è intossicazione delle coscienze, costruzione di nessi di fantasia.

Dove il capitalismo si è impadronito di gran parte dell’attività produttiva del paese, solo con l’apporto fattivo della classe operaia è possibile trasformare il paese. Negli altri paesi la direzione della classe operaia è indispensabile per porre fine ai guai provocati dal sistema imperialista mondiale in cui il paese è inserito, contemporaneamente sfruttando gli avanzamenti che questo inserimento ha prodotto. Per questo ogni persona che ragiona seriamente sui problemi  politici ed economici della società, e sulla società in generale, sa che per uscire dalla crisi del capitalismo ci vuole mobilitazione e organizzazione della classe operaia attorno al partito comunista.

 

Di fatto oggi, dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, nei paesi imperialisti le persone che ragionano seriamente sono poche. La sinistra borghese è di gran lunga prevalente tra le persone delle masse popolari che esprimono opinioni politiche e in qualche misura trattano di politica. Quindi noi comunisti dobbiamo agire con una strategia e molte tattiche: dobbiamo essere flessibili nella scelta della tattica che utilizziamo posto per posto, ambiente per ambiente, circostanza per circostanza, persona per persona. Non si tratta di imbrogliare gente: si tratta di portare ognuno a fare un passo avanti, perché solo facendo quel passo farà poi il successivo.

Quale passo dobbiamo far fare a questo individuo concreto o a questo gruppo concreto? Individuarlo è il 90% della nostra tattica. Non è facile individuarlo, ma se ci poniamo sistematicamente il compito di trovarlo e facciamo sistematicamente il bilancio dell’esperienza e dei risultati, se questo lavoro non lo fa ognuno di noi isolato, ma lo facciamo insieme grazie ai legami di partito (cioè avendo una concezione del mondo comune, una linea generale comune, principi e strumenti per scambiare esperienze e fare insieme bilanci), dopo un po’ di sofferenze e tentativi ci si arriva.

La scienza della società è qualitativamente diversa, ma non è più difficile delle scienze naturali. Come ogni scienza, anche la scienza della società richiede criteri e principi suoi propri che bisogna scoprire, ma è del tutto accessibile. Se la vita sociale è presentata come misteriosa e complessa, lo è principalmente perché riguarda il dominio delle classi sfruttatrici che comandano anche in campo culturale e scientifico. Non potevano svelare al pubblico i loro procedimenti e in definitiva, di conseguenza, esse stesse non padroneggiavano la vita sociale, non la conoscevano a fondo.

Il campo dove questo è più visibile, è il campo dell’economia politica. Dopo che all’inizio del secolo XIX i primi economisti (Smith, Ricardo, ecc.) arrivarono alla conclusione che la ricchezza del capitalista proveniva dallo sfruttamento dell’operaio, i cultori ufficiali dell’economia politica hanno abbandonato lo studio delle relazioni sociali di produzione e si sono rifugiati nell’economia matematica, nello studio dei mercati, nello studio delle relazioni tra parti del capitale e tra istituzioni, in studi di altri dettagli del funzionamento dell’economia capitalista: tecnica aziendale o commerciale.

Oggi anche noi comunisti siamo ancora largamente influenzati dalle loro ricostruzioni, veicolate dalla sinistra borghese. Tutte le classi dominanti per loro natura hanno dovuto sviluppare, elaborare la scienza della società in modo camuffato, distorto e contorto, oggi più che nel passato: non potevano dire apertamente “di che lagrime gronda e di che sangue” il loro potere che si manifesta nella grandiosità delle loro opere e nella magnificenza e nel lusso dei loro riti e cerimonie. Noi comunisti siamo classe dirigente sui generis, siamo la classe dirigente che deve guidare le masse popolari a compiere un processo storico nel corso del quale si liberano dalla necessità di avere una classe dirigente: quindi noi possiamo elaborare e sviluppare su grande scala, alla luce del sole la nostra scienza, anche se il partito comunista deve essere clandestino. Dobbiamo anzi assolutamente elaborarla. Senza teoria rivoluzionaria, il movimento rivoluzionario non può procedere oltre l’elementare livello spontaneo. Il basso livello dell’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe fatta dai dirigenti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti, è la causa principale del fatto che i partiti comunisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria non hanno instaurato il socialismo in nessun paese imperialista. Forte di questa lezione, il Partito comunista deve diventare per i suoi membri una scuola che insegna a elaborare la scienza della società, la concezione comunista del mondo.

Nicola P.

 

La Voce n. 43
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