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La Voce 44 del (nuovo)Partito comunista italiano

Problemi di metodo

Cosa è la dialettica?

La dialettica come metodo per conoscere (metodo del pensare) in sintesi consiste nel considerare che ogni cosa si trasforma e si trasforma sulla base della sua propria natura. Quindi ogni cosa che noi prendiamo in esame ha una sua storia, è il risultato di un processo e ha la sua ragion d’essere in questo processo che l’ha prodotta. Questo processo sta a noi ricostruirlo per ogni cosa. Essa diventerà qualcosa d’altro di cui ha in sé i presupposti che si tratta per noi di scoprire.

Ogni cosa è composta di parti distinte tra loro (ogni cosa è illimitatamente scomponibile) e quindi tra loro contraddittorie data la loro convivenza. Essa si trasforma a causa dell’interazione dei suoi componenti (cause interne) e a causa delle relazioni con le altre cose (cause esterne). Ogni cosa è connessa con altre cose da precise relazioni che si tratta per noi di scoprire: esse agiscono su di essa ed essa agisce su di loro.

Antonio Gramsci

Quaderni del carcere

Q 3 § 48 (1930) (edizioni Einaudi 2001, pag. 331-332)

In questo paragrafo Gramsci insegna che i comunisti non devono limitarsi a propagandare il socialismo e prepararsi per quando la rivoluzione socialista scoppierà, al modo dei comunisti dogmatici, del PCL, ecc. I comunisti devono elevare a un piano superiore i movimenti spontanei delle masse popolari. Da quando la storia dell’umanità ha posto all’ordine del giorno l’instaurazione del socialismo, la rivoluzione non scoppia. “La rivoluzione che scoppia” era quello che avveniva quando la trasformazione all’ordine del giorno era l’avvento al potere di una nuova classe sfruttatrice, tra quelle che fino allora erano state oppresse. Il § 48 del Quaderno 3 tratta (nel linguaggio censurato imposto dalla condizione carceraria) della direzione che i comunisti devono dare all’elemento spontaneo, spiega l’origine del movimento spontaneo e mostra il legame dialettico tra i due.

 

(…)

Trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti “spontanei”, cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarli ad un piano superiore inserendoli nella politica, può avere spesso conseguenze molto serie e gravi. Avviene quasi sempre che a un movimento “spontaneo” delle classi subalterne si accompagna un movimento reazionario della destra della classe dominante, per motivi concomitanti: una crisi economica, per esempio, determina malcontento nelle classi subalterne e movimenti spontanei di massa da una parte. Dall’altra parte determina complotti dei gruppi reazionari che approfittano dell’indebolimento obbiettivo del governo per tentare dei colpi di Stato. Tra le cause efficienti di questi colpi di Stato è da porre la rinunzia dei gruppi responsabili [dei comunisti, ndr] a dare una direzione consapevole ai moti spontanei e a farli diventare quindi un fattore politico positivo. (...) Esempio dei Vespri siciliani [marzo – aprile 1282, ndr] e discussioni degli storici per accertare se si trattò di movimento spontaneo o di movimento concertato: mi pare che i due elementi si siano combinati nei Vespri siciliani, la insurrezione spontanea del popolo siciliano contro i provenzali [di Carlo d’Angiò, ndr], estesasi rapidamente, tanto da dare l’impressione della simultaneità e quindi del concerto esistente, per l’oppressione diventata ormai intollerabile su tutta l’area nazionale, e l’elemento consapevole di varia importanza ed efficienza, con il prevalere della congiura di Giovanni da Procida con gli Aragonesi. Altri esempi si possono trarre da tutte le rivoluzioni passate in cui le classi subalterne erano parecchie, e gerarchizzate dalla posizione economica e dall’omogeneità. I movimenti “spontanei” degli strati popolari più vasti rendono possibile l’avvento al potere della classe subalterna più progredita, per l’indebolimento obbiettivo dello Stato. Questo è ancora un esempio “progressivo”. Ma sono, nel mondo moderno, più frequenti gli esempi regressivi.

La concezione storico-politica scolastica e accademica [i comunisti dogmatici, ndr], per cui è reale e degno solo quel moto che è consapevole al cento per cento e che anzi è determinato da un piano minutamente tracciato in antecedenza o che corrisponde (ciò che è lo stesso) alla teoria astratta. Ma la realtà è ricca delle combinazioni più bizzarre ed è il teorico che deve in questa bizzarria rintracciare la riprova della sua teoria, “tradurre” in linguaggio teorico gli elementi della vita storica, e non viceversa la realtà presentarsi secondo lo schema astratto. Questo non avverrà mai e quindi questa concezione non è che una espressione di passività. (Leonardo [da Vinci] sapeva trovare il numero in tutte le manifestazioni della vita cosmica, anche quando gli occhi profani non vedevano che arbitrio e disordine).

 

Hegel scoprì e studiò queste relazioni nel pensiero umano, cioè nel patrimonio di idee che l’umanità ha via via elaborato e accumulato nel corso della sua storia. Ma egli era ancora intriso di concezione clericale del mondo e concepì quel patrimonio di idee come frutto di un’entità sovrannaturale (extraterrestre), che chiamò Spirito. Una entità che si sviluppava da se stessa (e si incarnava nel mondo sensibile). Egli però delineò questo percorso dello Spirito conformandolo al processo del mondo sensibile (della natura e della storia della specie umana) di cui aveva una vasta conoscenza: operazione resa possibile dalla relazione che in effetti esiste tra i due processi (quello delle idee e quello del mondo oggettivo). Per cui il processo che egli descrive e le leggi secondo cui si svolge sono di fatto materialisti. Il suo Spirito è un’allegoria della realtà.

Marx rovesciò il punto di vista di Hegel: considerò il patrimonio di idee che l’umanità ha via via elaborato e accumulato nel corso della sua storia come ricostruzione nella mente dell’uomo del processo pratico che l’umanità ha vissuto nel corso dell’evoluzione della specie umana. Egli sostenne che la dialettica che Hegel aveva descritto riferendosi al mondo delle idee era la rappresentazione nella mente umana della dialettica delle cose, della dialettica vigente nella realtà. Marx pose al centro dell’attenzione l’azione di trasformazione della realtà naturale, di se stessi e della società che gli uomini hanno fatto e fanno ed esaltò quindi il ruolo di guida nell’azione che il pensiero riveste per gli uomini. Gli uomini fanno prima di pensare, ma pensare consente loro di fare cose che non riescono a fare se non le pensano prima. La dialettica è anche metodo per l’azione che trasforma la realtà. Essa insegna a chiedersi di ogni cosa quale è il processo che l’ha prodotta, quali le sue parti costitutive, quali le sue relazioni con il resto del contesto: solo sulla base di questo è possibile condurre un’attività scientifica di trasformazione della cosa in quello che essa può diventare stante i presupposti che ha in sé.

Hegel descrisse la storia della specie umana come fenomenologia (storia della manifestazione) dello spirito. Marx descrisse la storia della specie umana in forma logica e trasse da essa leggi e criteri con i quali la specie umana può fare consapevolmente la sua storia a venire.

Oggi gli uomini producono molte sostanze che non esistevano in natura, grazie alla scienza della chimica, così come più in generale trasformano la natura creando cose che non esistono in natura, al fine di soddisfare le proprie necessità e aspirazioni materiali e spirituali. Gli esseri umani, dato il percorso che l’umanità ha fatto, i cui ultimi esiti sono il prodotto della società borghese, possono costruire il comunismo. Devono anzi farlo, perché ne hanno bisogno. Per farlo, devono prima pensarlo, perché per sua natura il comunismo va pensato per essere fatto: questo è uno dei tratti che distingue la società socialista da tutte le società precedenti. Questa è la sostanza di quanto Lenin dice nel Che fare (1901) ed uno dei suoi grandi contributi che hanno fatta avanzare la concezione comunista del mondo.

Tonia N.