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La Voce 45 del (nuovo)Partito comunista italiano

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Sulla natura della guerra popolare rivoluzionaria,
strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

Con la dichiarazione Quale partito comunista? del 1999 noi abbiamo esposto la nostra concezione della GPR. Esortiamo tutti i comunisti a studiare e a sottoporre al vaglio della loro esperienza quella dichiarazione che ripubblichiamo integralmente in questo numero della rivista.

La strategia della guerra popolare rivoluzionaria (GPR) ha ancora più avversari che sostenitori tra quanti nel nostro paese cercano la strada per uscire dal marasma attuale, per cambiare il corso delle cose che la crisi generale del capitalismo ha impresso al nostro paese e al resto del mondo: in breve tra quelli che si proclamano anticapitalisti. Perfino tra quelli che si dicono comunisti e quindi si pongono e propongono come obiettivo della lotta di classe l’instaurazione del socialismo, sono pochi i fautori della GPR. E anche tra quelli che si proclamano fautori della GPR occorre fare delle distinzioni, perché alcuni di essi usano la GPR solo come distintivo e bandiera anziché come sintesi della loro attività, come strategia.

Alcuni si dichiarano sostenitori della GPR come strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, ma più o meno chiaramente dicono e certamente pensano che la guerra popolare rivoluzionaria inizierà quando inizieranno gli scontri armati, quando nel paese vi saranno due forze armate che si scontreranno. In sostanza nella loro concezione la GPR coincide con la lotta armata. Questa concezione è sbagliata. Non fa che rivestire di una veste nuova e illusoria, la strategia (o meglio, la mancanza di strategia) per cui i partiti comunisti nati in seno alla prima Internazionale Comunista, nei paesi imperialisti hanno fallito il loro obiettivo. È il tema che il compagno Ernesto V. ha illustrato nell’articolo Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti pubblicato in La Voce n. 2 luglio 1999 (http://www.nuovopci.it/voce/ voce2/rstoric.htm) e che abbiamo ripreso in seguito in vari articoli della rivista e anche nel capitolo 1.4. del Manifesto Programma.

Noi comunisti siamo materialisti dialettici. La storia dell’umanità non si sviluppa come un processo arbitrario, incomprensibile, impossibile da dirigere. Come ogni altro processo reale, ha sue proprie leggi che si tratta di conoscere, di scoprire. È possibile dirigere lo sviluppo della società se ci basiamo sulle sue leggi e, ad ogni fase della sua storia, partiamo dalle potenzialità che essa in quella fase racchiude. La storia della società umana è un processo di storia naturale che si sviluppa secondo sue proprie leggi che gli uomini devono scoprire e applicare per realizzare gli obiettivi. Gli obiettivi che una società può realizzare sono quelli di cui nello stato presente esistono i presupposti. Si tratta di sagomare il nostro futuro trasformando il possibile in reale. Il comunismo è il nostro futuro perché la società borghese è di natura tale che ha creato i presupposti del comunismo e ha reso il comunismo l’unica via di progresso aperta alla specie umana, la tappa della sua storia successiva alla tappa fondata sul modo di produzione capitalista. La transizione a questo comunismo realmente possibile (non ci occupiamo quindi dei molti comunismi dei vari sognatori) può essere compiuta solo dalle masse popolari organizzate guidate dalla classe operaia organizzata con alla testa il suo partito comunista.

La sostanza della rivoluzione socialista è 1. la costruzione del partito comunista come avanguardia organizzata della classe operaia, 2. l’organizzazione della classe operaia come classe dirigente delle masse popolari e 3. l’organizzazione delle masse popolari. Sono tre processi distinti ma connessi a costituire un unico processo: la rivoluzione socialista. Questa è un processo che richiede una forza motrice consapevole (il partito comunista) e una classe dirigente (la classe operaia) e implica una trasformazione intellettuale e morale della massa della popolazione a formare quella che nel Manifesto del partito comunista (1848) Marx ed Engels hanno caratterizzato come “un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”. La possibilità di questo obiettivo è fondata nelle condizioni sociali create dalla società borghese. La trasformazione della possibilità in realtà è compito del partito comunista.

La strategia della rivoluzione socialista quindi non si inventa. La dobbiamo elaborare studiando con il materialismo dialettico (che è il nostro metodo per conoscere) l’esperienza della lotta di classe condotta dal movimento comunista nel passato, in particolare durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e l’esperienza della lotta di classe in corso. Ne consegue che anche tutte le discussioni in proposito, noi comunisti dobbiamo condurle non basandoci su desideri e aspirazioni, su idee che si vorrebbero brillanti e geniali, su quello che reputiamo credibile e accettabile da un gran numero di persone, sui luoghi e pregiudizi comuni, ma studiando a fondo l’esperienza.(1)

 

1. Richiamo l’attenzione dei nostri lettori sul triste spettacolo offerto dalla preparazione del congresso (6-8 dicembre 2013) del PRC. Impossibile trovare nei tre documenti congressuali un bilancio della storia del movimento comunista italiano e internazionale e un’analisi della lotta di classe in corso da cui sia tratta la proposta di linea e di obiettivi. Ogni documento espone proposte e obiettivi motivati dal fatto che gli autori li ritengono credibili e “unificanti” del pubblico a cui si rivolgono, come se il programma e la linea di un partito comunista fosse il risultato di un sondaggio di opinioni (per di più, delle opinioni in gran parte fomentate tra le masse popolari dai nemici delle masse popolari, la borghesia e il clero).

Al confronto dei documenti congressuali del PRC, il Documento del congresso (17-19 gennaio 2014) di CSP-PC (Comunisti Sinistra Popolare - Partito Comunista) fa una gran figura perché cerca di indicare una linea che ha radici nell’esperienza del passato, anche se si limita a raccontare la storia del passato senza arrivare alle cause (come abbiamo sinteticamente indicato nell’Avviso ai naviganti 32 - 29 ottobre 2013 (http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav32/avvnav32.html).

 

In definitiva sarà la vittoria nel corso della seconda ondata della rivoluzione proletaria, l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti, che sanzionerà che la nostra strategia è giusta. Ma sarebbe da pedanti sciocchi e del tutto paralizzante mettersi quindi a dire che sarà la pratica a indicare quale strategia è giusta. Considerate la costruzione di un ponte. Dobbiamo costruire un ponte di dimensioni e caratteristiche mai finora costruito. Sulla base della scienza delle costruzioni più avanzata che possediamo e di un accurato studio del contesto, abbiamo un piano per la costruzione del ponte, un piano che necessariamente comporta soluzione innovative, ancora mai usate e provate finora. La realizzazione, il collaudo del ponte e il suo uso confermeranno che il nostro piano è giusto. Ma cosa direste di chi sostenesse che siccome la pratica non ha ancora confermato che il nostro piano è giusto, sulla base di questo solo “argomento” dicesse che per applicare il nostro piano bisogna aspettare la convalida della pratica?

1. Noi diciamo invece che il Partito deve concepire e condurre da subito la lotta di classe come GPR. Tutto quello che il Partito promuove nel movimento delle masse e tutto quello che fa nel movimento di massa più o meno spontaneo, ha senso solo se il Partito lo fa contribuire direttamente o indirettamente alla GPR.

2. Diciamo, e l’esperienza ci dà ragione, che se il Partito non concepisce e non conduce da subito la lotta di classe come GPR, esso non sarà in grado di passare alla lotta armata quando vi sarà costretto e che tanto meno sarà in grado di determinare lui stesso quando mettere la borghesia talmente alle strette che, se non è demoralizzata al punto da lasciare il potere perché dispera di poter vincere, porta lo scontro sul terreno militare.

3. Diciamo che se un partito comunista non concepisce e non conduce da subito la lotta di classe come GPR, se per circostanze del tutto particolari esterne ai suoi piani e progetti sarà costretto a porsi sul terreno della lotta armata, non sarà capace di condurla in modo da tirarne i frutti e svilupparla fino alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo. Anche se non si ritira venendo meno ai suoi compiti e condannando il movimento di massa alla disgregazione, non sarà in grado di tirarne i frutti, lascerà le cose a metà strada e il risultato sarà comunque la demoralizzazione, la corruzione e la disgregazione del movimento delle masse popolari.

Lascio la dimostrazione di queste 3 tesi ad altri scritti e compagni e qui le do per dimostrate. Voglio invece affrontare un altro tema: cosa significa, cosa implica nell’attività attuale il concepire e condurre da subito la lotta di classe come GPR?

La tema è particolarmente importante perché vi sono compagni che dichiarano di condividere le tre tesi sopra indicate e di essere fautori della GPR come strategia che guida da oggi l’azione del partito, ma in realtà riducono la lotta di classe a lotte rivendicative e a proteste più la propaganda del socialismo. Decenni di corruzione portata dai revisionisti moderni e dalla sinistra borghese tra le masse popolari ci hanno abituato a ritenere normale coprire con dichiarazioni altisonanti e roboanti una pratica opportunista di navigazione a vista.

Concepire e condurre da subito la lotta di classe come GPR implica

1. che il Partito comunista deve essere costruito nella clandestinità e che è dalla clandestinità che deve promuovere il più ampio e lungimirante lavoro che ogni organizzazione pubblica è capace di compiere nel campo delle rivendicazioni, nel campo delle proteste, nel campo dell’organizzazione diretta della vita delle masse popolai (le mille iniziative di base - in proposito vedi La Voce 44 pag. 11 e seguenti - che già migliaia di organizzazioni operaie (OO) e di organizzazioni popolari (OP) sviluppano);

2. che il Partito comunista deve porsi come centro attorno a cui si costruisce il Nuovo Potere antagonista alla Repubblica Pontificia e che approfitta e usa ogni iniziativa di individui e organismi per rafforzare se stesso: la sua direzione sulle masse popolari su ogni terreno.

Il Partito clandestino (la clandestinità del Partito) è un aspetto indispensabile della GPR. Tutti i gruppi e i partiti che proclamano che la GPR è la strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti e non costruiscono il partito comunista a partire dalla clandestinità e nella clandestinità, usano l’espressione GPR in senso retorico (come formula di cui addobbarsi e farsi belli), oppure nel senso di “lotta armata che prima o poi saremo in condizioni di incominciare come lo furono le Brigate Rosse (BR) all’inizio degli anni ’70” (cioè come qualcosa a cui aspirano e tendono, che preparano). Costoro da un lato non praticano la lotta armata perché la realtà si impone loro ed è più forte dei loro sogni campati in aria. Dall’altro lato conducono secondo una linea inconcludente l’attività che effettivamente svolgono (in essa accostano economicismo nell’attività di massa e propaganda dogmatica del socialismo futuro). Noi concepiamo la GPR come illustrato nel capitolo 3.3. del nostro Manifesto Programma (sintetizzato a pag. 203 (http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/03_Il_PC_lotta_Italia_nuovo_paese_socialista.html)), in conformità agli insegnamenti che abbiamo tratto dall’esperienza italiana e internazionale della prima ondata e dall’esperienza della lotta eroica ma sbagliata condotta dalle BR e in conformità all’analisi della società imperialista in cui viviamo. La costituzione del partito comunista clandestino è il primo atto della GPR. L’attività del partito comunista clandestino è il motore della GPR. Il partito comunista clandestino è lo stato maggiore della GPR. Senza partito comunista clandestino non vi è GPR.

Cosa significa partito clandestino? Significa che il Comitato Centrale (CC), i Comitati di Partito (CdP) e le Commissioni di Lavoro (CdL) costituiscono una rete di nodi gerarchicamente connessi tra loro sulla base del centralismo democratico (che è un principio che diventa anche cosa concreta su cui qui non mi soffermo, salvo precisare che non è una formula di cui farsi belli o un distintivo di cui ornarsi).(2)

 

2. Il centralismo democratico è spesso messo in dubbio quando si tratta del partito clandestino. Ma del tutto a torto. Il centralismo democratico in ogni organismo concreto si traduce in regole e procedure definite, coerenti con le condizioni concrete dell’organismo e quindi del tutto particolari, valide per un determinato periodo e decise e riviste dagli organismi a cui il partito attribuisce questa autorità: di solito sono i congressi che si occupano dello statuto. Ma vi sono principi del centralismo democratico che sono per così dire comuni a ogni organismo comunista, perché connessi ai nostri compiti e al ruolo del partito. Vediamone i principali.

Il centralismo democratico mette ogni compagno nelle condizioni di poter partecipare (quindi dà al compagno la effettiva libertà di partecipare, gli strumenti che realmente gli consentono di partecipare)

1. all’elaborazione della linea generale facendo il bilancio dell’esperienza,

2. alla traduzione della linea generale nel particolare,

3. al bilancio dell’esperienza.

Ma l’altro lato delle medaglia è che ogni compagno ha il dovere di partecipare senza riserve, di esercitare senza riserve queste libertà.

In particolare il rapporto della periferia con il centro, la trasmissione delle esperienze dalla periferia al centro, la trasmissione al centro di proposte e riflessioni, le richieste di chiarimenti, consigli e aiuti, la discussione con il centro della linea che si sta seguendo, in sintesi una collaborazione viva, continua e attiva della periferia con il centro, sono aspetti indispensabili del centralismo democratico anche del partito clandestino e della GPR.

Travisano quindi il centralismo democratico i compagni che non approfittano dei mezzi per partecipare, non usano questa libertà. I compagni che intendono la democrazia come “il dirigente (il fiduciario del centro) viene, espone le direttive, apre la discussione, poi si vota”. Questa non è la nostra democrazia. Questa è la democrazia dei consigli di amministrazione e dei parlamenti borghesi. Qui ognuno ha i suoi affari, le sue relazioni, i suoi propri e privati interessi (che generalmente gli altri in gran parte ignorano [segreto industriale, segreto commerciale, segreto bancario, privacy, ecc.]): cosa ragionevole e necessaria nel modo di produzione capitalista. Nelle riunioni e nelle istituzioni rappresentative e partecipative borghesi, nei casi migliori (cioè escludendo manutengoli, prestanome, corruzione, teste di turco, manovre alla Scilipoti o Di Gregorio, ecc.) ognuno cerca di creare una coalizione che faccia valere i suoi interessi facendo valere anche quelli degli altri coalizzati, in modo da costituire una maggioranza che decide della condotta dell’istituzione, approva la legge o la regola che meglio si confà ai propri interessi. Tutto giusto e ragionevole per il mondo borghese. Ma non per il nostro mondo: è assolutamente incompatibile con la nostra impresa.

 

Essere membri di un organismo clandestino (CC, CdP, CdL) significa partecipare alla sua attività: elaborazione dell’analisi e della linea, divisione dei compiti, esecuzione, bilancio e di nuovo analisi e linea. Se i membri dell’organismo clandestino non sono in collegamento tra loro (nelle forme e nei modi stabiliti), dire di “partecipare all’attività dell’organismo” è un modo di dire del tutto idealista. La corrispondenza, le riunioni plenarie e gli incontri sono le forme del collegamento tra i membri di un organismo. Tutta l’attività di ogni compagno parte (deve partire) dall’organismo di cui è membro e ritornare ad esso. Altrimenti solo idealisticamente è membro del partito comunista, ma nei fatti è un animatore sociale e un tappabuchi del movimento di massa più o meno spontaneo (cioè conforme al senso comune e alle relazioni correnti), un animatore e tappabuchi che usa a sua discrezione dell’elaborazione (analisi e linea) del Partito a cui ha in qualche modo accesso. Tutto quello che facciamo nel movimento delle masse e comunque nel movimento di massa più o meno spontaneo, ha senso solo se contribuisce a creare il Nuovo Potere. Anche quello che fanno compagni e personaggi non membri del Partito, non collaboratori del Partito, persino ostili al Partito, ha un ruolo positivo se il Partito riesce (è capace) di farne strumento di rafforzamento del Nuovo Potere. E in linea generale può riuscirci, ma grazie al lavoro dei suoi membri. Questo ruolo distingue il membro del Partito, da uno della cui attività il Partito si giova.

Se un compagno non è connesso nelle forme stabilite all’organismo di cui è membro, quindi non partecipa alla sua attività (elaborazione, divisione dei compiti, attuazione, bilancio) 1. il compagno non è membro dell’organismo e 2. abbassa il livello dell’attività dell’organismo facendone un organismo fantasma, composto da membri che ci sono e non ci sono, ci sono quando il resto della loro attività consente loro di esserci, cioè un organismo da tempo libero. Ogni membro del partito clandestino deve mettere al primo posto della sua attività il funzionamento dell’organismo di cui è membro. Può succedere che non riesca per sopravvenuti accidenti a fare tutto il lavoro di massa o il lavoro di Partito che è incaricato di svolgere. Ma solo in rarissimi casi, in situazione d’emergenza succede che non tiene i rapporti con l’organismo di cui è membro. In questo caso chi dirige l’organismo sa che c’è una situazione d’emergenza che coinvolge il compagno e prende i provvedimenti del caso.

Il secondo aspetto indicato sopra a caratterizzare la GPR come noi sulla base dell’esperienza storica e in corso la concepiamo (la costruzione del Nuovo Potere), implica connettere tutti gli organismi che promuovono le mille iniziative di base, le lotte rivendicative e le proteste in una rete in cui si rafforzano a vicenda e portarli a instaurare il proprio potere su tutto il paese come unica via per deviare il corso delle cose determinato dalla crisi generale del capitalismo e indirizzarlo all’instaurazione del socialismo. Questo processo da una parte rende il paese ingovernabile ai vertici della Repubblica Pontificia e dall’altra costruisce il sistema di potere delle masse popolari organizzate, la nuova governabilità del paese.

Esso non consiste principalmente nel costruire tra le masse popolari una vasta adesione alle tesi del partito, nel cambiare la loro coscienza. Non si tratta principalmente di portare una parte importante delle masse popolari o della classe operaia a condividere la concezione comunista del mondo come premessa alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo. Si tratta principalmente di creare una rete di OO e OP connesse in un sistema di rapporti e di comportamenti che rende il paese ingovernabile dai vertici della RP e contemporaneamente è il nuovo potere.

Grazie all’opera che il partito conduce per creare il Nuovo Potere, le distruzioni che la borghesia imperialista provoca per prolungare la sua esistenza nonostante la crisi generale del capitalismo, diventano le condizioni favorevoli per la creazione del nuovo mondo. La crisi sprigiona non solo il suo lato distruttivo del vecchio mondo, ma anche il connesso lato costruttivo del nuovo mondo.

Ernesto V.

 

 

Manchette

L’esperienza storica del Novecento e la GPR

Il partito deve fare uno sforzo maggiore dei partiti della prima IC perché i suoi membri assimilino la concezione comunista, Ma non perché la sostanza del loro lavoro di massa consista nel portare le masse a condividere la concezione del Partito, ma proprio perché esso consiste principalmente nel portarle a organizzarsi e a fare dei loro organismi delle istituzioni di potere. Anche la lotta armata è principalmente un mezzo per ottenere questo risultato. Qui sta il punto debole che si riscontra lungo tutta la prima ondata della rivoluzione proletaria nel lavoro dei partiti comunisti dei paesi imperialisti.

Nel Biennio Rosso (1919-1920) dal vertice alla base le organizzazioni del PSI non sanno cosa fare per valorizzare lo slancio delle masse. La deviazione non avviene nel Biennio, è di prima. È quello che a proposito del PSD svizzero Lenin illustra negli scritti 1916-1917 (Opere vol. 23, raccolti nell’opuscolo La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti, supplemento al n. 25 di La Voce, marzo 2007).

Lo stesso insegnamento ci dà il PCE nel periodo (1936-1939) del governo di Fronte Popolare (FP) e della guerra civile. Lo ha ben illustrato il PCE(r) in La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista - Edizioni Rapporti Sociali 1997 (http://www.carc.it/index.php?view=article&id=1126). La deviazione del PCE è riassunta dalla parola d’ordine “tutto attraverso il Fronte” anziché usare il FP per portare su larga scala le masse a organizzarsi e a fare dei loro organismi le istituzioni del nuovo potere che prendessero il posto delle istituzioni della Repubblica precariamente dirette dal governo FP.

Il PCF nel periodo del FP e poi della Resistenza (1936-1945) ci dà lo stesso insegnamento. Cede di fronte al ricatto dello Stato Maggiore perché il governo FP non sostenga il governo FP spagnolo, perché il suo obiettivo è la soddisfazione delle rivendicazioni immediate delle masse popolari. Conduce la Resistenza come necessità del momento, non come mezzo per organizzare le masse popolari e portarle al potere.