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La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

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Cura e formazione degli uomini e delle donne

 

La formazione dei membri del Partito e la trasformazione in comunisti dei membri della Carovana del (n)PCI e di quanti oltre ad aspirare ad instaurare il socialismo nel nostro paese sono capaci di compiere nell’attuale avverso contesto sociale lo sforzo necessario per trasformarsi, costituiscono il compito più delicato e complesso della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD) che il Partito promuove contro la borghesia e il clero. Questa opera di formazione e di trasformazione è il campo decisivo per lo sviluppo della nostra impresa: sono infatti gli uomini che fanno la storia. Senza un partito comunista all'altezza dei compiti che la situazione pone, non è possibile condurre vittoriosamente la GPRdiLD. Il partito comunista per essere adeguato ai suoi compiti deve essere composto da compagni che assimilano e applicano la concezione comunista del mondo e contribuiscono alla sua ulteriore elaborazione.

Allo stesso tempo, questo è uno dei campi principali in cui nei paesi imperialisti si è arenato il vecchio movimento comunista, quello che nella prima parte del secolo scorso promosse e fu alla testa della prima ondata della rivoluzione proletaria: nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti giunse ad elaborare una concezione e dei metodi di lavoro adeguati ai compiti che la sua opera poneva. Per questo non riuscì a portarla a compimento. L’esaurimento della prima ondata e la sconfitta subita ci hanno costretto e ci costringono a conoscere i limiti del vecchio movimento comunista. Solo superandoli, promuoviamo la rinascita del movimento comunista.

Uno dei grandi apporti di Lenin al patrimonio del movimento comunista fu la scoperta che i membri del partito comunista devono assimilare e usare la concezione comunista del mondo. Questo è ciò che caratterizza e distingue un partito comunista. È la base della sua unità e strumento indispensabile del suo successo.

Prima di Lenin il movimento comunista non era consapevole di questa verità. Lenin la affermò nel 1902 nel Che fare?, (vedansi in particolare i capitoli 3c pagg. 380-385 e 4c pagg. 417-431 Opere complete vol. 5), ma solo nel 1912 riuscì a formare definitivamente un partito in qualche misura coerente con essa.

Dico in qualche misura perché uno dei tratti specifici della scienza della rivoluzione socialista che la distingue dalle scienze naturali, è che la trasformazione degli uomini concerne contraddizioni (tra soggetto e oggetto, tra libertà e necessità, tra spontaneità e applicazione cosciente della scienza, tra individuo e collettivo, tra individui e altre ancora) che non incontriamo nelle scienze naturali e nella loro applicazione nella trasformazione del mondo esterno a noi. Nel secondo caso, una volta scoperta una legge, la applichiamo e le resistenze alla sua applicazione sono relativamente deboli, per quanto non trascurabili (Giordano Bruno e Galileo Galilei insegnano). Nel primo una volta scoperta una legge, chi l’ha scoperta deve applicarla e portare altri uomini ad assimilarla e applicarla e ciò in alcuni casi implica che gli stessi (ivi compreso l’autore della scoperta) trasformino la propria concezione del mondo, la propria mentalità e in qualche misura anche la propria personalità e la propria condotta: “nessun dirigente può garantire che tutti coloro che si definiscono suoi sostenitori seguano sempre in pratica le sue indicazioni”, scriverà Lenin in uno scritto del 1905 (La gente non si nutre di chiacchiere, in Opere complete vol. 8 pag. 47). Per di più nella scoperta e nella sua applicazione agisce la dialettica tra spontaneità e coscienza: la pratica porta ad applicare sistematicamente leggi di cui non siamo ancora coscienti (quindi che non enunciamo né sistematicamente insegniamo), scoperte di cui diventiamo via via più coscienti man mano che affrontiamo gli ostacoli alla loro applicazione, verità che comprendiamo più a fondo man mano che le applichiamo.

Nonostante questi limiti il Partito di Lenin fu il solo partito della II Internazionale che quando per iniziativa della borghesia imperialista la prima grande crisi del capitalismo esplose nella Prima Guerra Mondiale, seppe approfittare delle dinamiche che si svilupparono e guidò la classe operaia russa a prendere il potere.

L’Internazionale Comunista fu formata da partiti i cui membri erano attratti principalmente dalla vittoria riportata dal Partito russo (adesione identitaria): volevano anch’essi “fare come la Russia”, farla finita con la borghesia e fare la rivoluzione (a questo si aggiunse che una parte non trascurabile dei dirigenti che vi aderirono erano principalmente degli opportunisti: aderivano perché altrimenti avrebbero perso il seguito e il favore dei militanti). L’IC era ben consapevole dei limiti dei nuovi partiti comunisti, anche se non dell’effetto determinante che avrebbe avuto sulla sua opera la non assimilazione della concezione comunista del mondo da parte di essi. Quindi a partire dal II congresso (luglio 1920 - Tesi sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria) lanciò la campagna per la bolscevizzazione dei nuovi partiti comunisti. Lenin nel suo ultimo intervento ai congressi dell’IC (al IV congresso, novembre 1922) disse esplicitamente che la rivoluzione avrebbe avuto successo in Europa solo se i partiti comunisti avessero studiato e scoperto la strada che dovevano percorrere: per ogni partito la traduzione della concezione comunista del mondo nel particolare del suo paese.

Per sua natura questa traduzione in definitiva non poteva essere fatta che da ognuno degli stessi partiti comunisti, perché, come in ogni scienza, si scopre la verità solo “provando e riprovando”. L’IC cercò di svolgere un’azione sistematica per portare tutti i partiti comunisti ad aderire anche praticamente a questa verità: ad assumere la concezione comunista del mondo come fondamento della propria unità, ad assimilare e applicare la concezione comunista del mondo alla particolare formazione economico-politica del proprio paese. Ma nessuno dei partiti dei paesi imperialisti arrivò a farla propria su larga scala, a tradurre il generale della rivoluzione socialista nel particolare della rivoluzione nel proprio paese. Infatti nessuno ha instaurato il socialismo, nonostante la grande crisi che travolse tutti i paesi imperialisti e nonostante la dedizione e l’eroismo di un grande numero di comunisti.

Anche il Partito comunista italiano ha percorso questa strada, con l’eccezione del periodo (fine 1923 - novembre 1926) in cui fu diretto da Gramsci. Gramsci era pienamente convinto di quella verità e si adoperò in ogni modo per portare il Partito comunista su questa strada. Chiuso il periodo della direzione di Gramsci, il Partito comunista italiano di fatto (nello Statuto la cosa venne inserita solo con la piena affermazione dei revisionisti nella direzione del Partito, nel 1956) si accontentò anch’esso che i membri del Partito condividessero il programma politico del Partito e contribuissero alla sua realizzazione, senza porre l’assimilazione della concezione comunista del mondo come condizione indispensabile per far parte del Partito.

Ovviamente questo si ripercuoteva negativamente su tutta l’azione del Partito. Una linea politica anche se principalmente giusta, se è accettata principalmente per disciplina, senza comprenderne la logica, non può essere attuata dai compagni e dagli organismi che con molti limiti: unilateralmente, senza la creatività, la libertà e l’iniziativa adeguate, con deviazioni anche di segno opposto, burocraticamente, con liberalismo, con riserve, con sotterfugi, ecc. (abbiamo indicato una successione che parte dai casi migliori e via via va verso i peggiori). Anche nei casi migliori i comunisti che applicano la linea principalmente per disciplina, senza aver assimilato la concezione del mondo da cui è ispirata, non usano la loro esperienza per sviluppare la linea, l’analisi della situazione, la concezione comunista del mondo. Per di più un partito che si accontenta che i suoi dirigenti applichino la linea principalmente per disciplina, è aperto alle infiltrazioni del nemico: nessuno è più disciplinato di un infiltrato!

La formazione dei nostri membri, la trasformazione dei compagni che vogliono diventare membri del Partito, il reclutamento che è vitale per lo sviluppo della nostra opera, costituiscono pertanto un campo in cui dobbiamo costruire per molti versi ancora ex novo una scienza organica e sistematica, creare una prassi innovativa, partendo dalla nostra concezione del mondo (il marxismo-leninismo-maoismo) e avanzando con approccio da scienziati: ideare e condurre esperienze-tipo, sottoporle ad un attento bilancio, ricavare da esse insegnamenti, principi, criteri, orientamenti, linee generali e particolari, metodi, strumenti via via superiori.

La rubrica Cura e formazione degli uomini e delle donne è dedicata a questo lavoro. Essa è composta da sei articoli stesi dal compagno Federico nel corso del processo di critica-autocritica-trasformazione di cui descrive lui stesso il prologo, nella sua lettera aperta alla redazione che apre la rubrica. Essi sintetizzano alcuni degli insegnamenti che abbiamo ricavato dalle sperimentazioni che stiamo conducendo in questo campo.

Rosa L.

 

 

*** manchette

Spontaneità e scienza

Cosa intendiamo per spontaneo, spontaneità, agire spontaneamente.

Agire spontaneamente, non vuole dire agire senza coscienza e volontà, istintivamente.

Agire spontaneamente significa agire secondo il senso comune, reagendo a buon senso alle condizioni in cui ci si trova e usando gli strumenti di cui ci si trova a disporre: agire con la coscienza che ci si trova ad avere.

Il movimento spontaneo delle masse popolari è composto da chi agisce 1. guidandosi con la coscienza che si trova ad avere, quindi di regola la coscienza che la classe dominante, l’ambiente in cui è cresciuto e si è formato e la sua esperienza hanno formato in lui: il suo senso comune; 2. conformandosi alle relazioni (ai rapporti di produzione, alle relazioni politiche e alle relazioni della società civile) in cui è implicato.

Le condizioni di vita e le misure e manovre delle classi dominanti rendono estremamente difficile per le masse popolari accedere a una comprensione scientifica della società, il mondo sembra caotico o governato da imperscrutabili disegni di dio. Ma il movimento spontaneo non comprende solo le masse popolari escluse della cultura accademica e scolastica. Protagonisti e promotori ne sono anche 1. le vaste schiere di giovani e adulti passati nelle università e nelle scuole superiori della borghesia e del clero che ben conoscono le mode e le opinioni rese correnti dai mezzi di indottrinamento e intossicazione e 2. gli esponenti della sinistra borghese, i professori e gli uomini politici i cui discorsi e scritti sono l’esposizione più elaborata e raffinata delle stupidità, delle banalità e delle incongruenze del senso comune, a cui la realtà appare assurda semplicemente perché rifiutano di capirne la logica. A forza di rifiutarsi di combattere la lotta di classe, si finisce per non riuscire neanche a capirla e chi, nonostante questo, si atteggia a intellettuale, sforna stupidaggini dottamente elaborate e impacchettate.

In questo campo i comunisti si distinguono nettamente non solo dalla sinistra borghese ma anche dalle masse popolari. Nel Partito assimilano la concezione comunista del mondo che è la scienza della rivoluzione socialista, della trasformazione della società borghese in società comunista e imparano ad usarla come guida della propria attività. Il loro compito è portare nel movimento spontaneo delle masse popolari l’orientamento dettato da essa, la luce con cui essa rischiara la realtà e fare in modo che le masse popolari agiscano secondo questo orientamento e sempre più comprendano se stesse e la propria attività. Per ogni comunista l’efficacia della sua azione e i risultati della sua attività sono la verifica e la misura di quanto ha assimilato la concezione comunista del mondo. Non esistono cose e avvenimenti misteriosi: esistono cose e avvenimenti che non abbiamo ancora studiato e capito abbastanza per poterci intervenire con efficacia.

 

 

*** manchette

Ricostruzione logica e ricostruzione storica di un percorso

Ricostruire logicamente un percorso significa scoprire ed esporre la successione di stati che lo compongono, il filo conduttore che lega questi l’uno all’altro, i motivi che hanno portato al passaggio da uno stato al successivo, i presupposti che lo stato precedente aveva in sé dello stato che gli è succeduto.

La ricostruzione logica è una costruzione della mente umana. Chi la costruisce elabora con i metodi e gli strumenti del pensiero (quelli di cui al momento dispone) i dati di fatto, empirici che conosce relativi al percorso storico, ma guardando questo d’alto, dal punto di vista del risultato a cui è giunto.

La storia diventa in questo modo non più un assieme di stati più o meno casualmente combinati e distinti secondo la fantasia di chi li contempla, l’opera bizzarra e arbitrario di dio, una narrazione del poeta o del filosofo, ma una successione ordinata di stati tra loro connessi, un processo di storia naturale ricostruito da noi nella nostra mente.

La ricostruzione logica del percorso compiuto dalla specie umana dalle sue tracce più lontane che finora conosciamo ad oggi, non è che la ricostruzione storica ma depurata dagli aspetti accidentali e capita nelle cause interne ed esterne dei successivi passaggi. In nessun caso la ricostruzione logica è arbitraria, né tanto meno può essere usata per predire il lontano futuro. Permette invece di scoprire nello stato presente i presupposti del futuro che possiamo costruire, le leggi dello sviluppo dallo stato presente al prossimo, dalla società borghese al comunismo.

Vista da un altro lato, la relazione tra ricostruzione logica e ricostruzione storica può essere illustrata con le parole usate in La Voce n. 41 pag. 23.

Un uomo è riuscito a raggiungere una cima aprendosi la strada nella foresta e tra le rocce che ne rendevano difficile l’accesso. Dall’alto della cima contempla il territorio e il tragitto tra il punto di partenza e la cima. Ora può tracciare il percorso che avrebbe potuto fare e che effettivamente farebbe se dovesse rifare il percorso con la conoscenza che ora ha del terreno e delle condizioni di marcia. Questa è la descrizione logica del percorso. Essa può essere notevolmente diversa dalla descrizione storica del percorso che è quella che si ricava dal diario che il viaggiatore ha scrupolosamente tenuto. Questa è la descrizione storica del percorso.

Solo guardando dall’alto il tragitto compiuto e contemplando il territorio attraversato, il viaggiatore vede la logica che emerge nonostante le diversioni e le inversioni, i vagabondaggi che ha compiuto mosso dalle difficoltà e dalle apparenze. La ricostruzione logica del percorso può in definitiva risultare molto diversa dalla ricostruzione storica: questa descrive tutte le digressioni che hanno rallentato e complicato il percorso.

Come ramo a se stante del sapere, la logica si presenta come pensiero che pensa se stesso. Nella realtà la logica nasce nella mente dell’uomo quando l’uomo contempla dall’alto la sua opera e vede la connessione necessaria (diretta) che lega tra loro i passaggi che la compongono.

Per una esposizione esauriente della diversità e della connessione tra ricostruzione logica e ricostruzione storica, rinviamo a F. Engels, Karl Marx, Per la critica dell’economia politica pubblicato in Das Volk (agosto 1859) e reperibile in Opere Complete Editori Riuniti vol. 16 pagg. 472-481 e in www.nuovopci.it/classic/marxengels/crtecpol.html .