Ritorna all'indice de La Voce 46  /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

Scaricate il testo della rivista in formato OpenOffice, PDF o Word

Note di Lettura del paragrafo 17 Quaderno 13 di Antonio Gramsci

 

I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci

Come leggerli e farli leggere

 

Antonio Gramsci stese i Quaderni del carcere negli anni 1929-1935. Essi sono la prosecuzione sistematica e lungimirante, nelle condizioni di segregazione e controllo carcerario imposte dal regime fascista, del lavoro che Gramsci iniziò alla fine del 1923, all’ancora relativamente giovane età di quasi 32 anni, quando l’Esecutivo dell’Internazionale Comunista gli affidò il compito di ricostituire la direzione della sua sezione italiana. La documentazione del lavoro avviato da Gramsci nel 1923 è nell’antologia La costruzione del partito comunista 1923-1926, Edizione Einaudi e nelle Tesi di Lione (Il congresso di Lione del Partito comunista d’Italia 20-26 gennaio 1926, Domenico Savio Editore a cura di Aldo Serafini). Chi la consulterà, constaterà la continuità di fondo tra l’opera svolta prima dell’arresto e l’opera svolta in prigionia.

Per trarre dai Quaderni del carcere (QC) l’insegnamento che contengono, bisogna intenderli come prosecuzione dell’opera compiuta da Gramsci nel periodo 1923-1926. È del tutto fuorviante leggere i QC come l’opera geniale ed erudita di un intellettuale che inganna il tempo della prigionia dandosi agli studi preferiti: mentre invece è proprio in questo senso che li intendono ancora oggi molti intellettuali sulla scorta dell’indirizzo dato da Palmiro Togliatti. Essi vi trovano un’interpretazione del mondo, mentre Gramsci intese indicare la via da seguire per fare dell’Italia un paese socialista, convinto che l’unica rivoluzione possibile in Italia è la rivoluzione socialista, come aveva fatto scrivere nelle Tesi di Lione del 1926. Nei QC Gramsci espone la concezione del mondo che avrebbe dovuto guidare il Partito e con cui l’avrebbe guidato se fosse ritornato a dirigerlo.

Quando alla fine del 1923 l’Esecutivo dell’Internazionale Comunista lo incaricò di ricostituire la direzione del Partito comunista, Gramsci era ben consapevole che il Partito si era fondato principalmente sull’appello lanciato dalla Rivoluzione d’Ottobre e impersonato dall’Internazionale Comunista. Era la risposta dello slancio rivoluzionario di tanta parte dei socialisti e dei lavoratori italiani all’appello a rompere sia con il riformismo elettoralista sia con il riformismo rivendicativo (le due deviazioni del movimento socialista italiano) e a creare l’organizzazione necessaria per fare la rivoluzione. Il nuovo Partito costituito il 21 gennaio 1921 a Livorno accoglieva e impersonava la volontà di farla finita con il regime clericale e borghese del Regno d’Italia, ma non ancora la scienza di come farlo. Il Partito era ancora del tutto privo della base principale dell’unità e dell’opera di un partito comunista: lo confermava la sua impotenza nella crisi subita sia dalle classi dominanti sia dal proletariato nel periodo dell’avvento al potere del fascismo e del suo consolidamento come regime.

Questa base principale è costituita dalla concezione comunista del mondo tradotta nel particolare del singolo paese. Lenin aveva arricchito il movimento comunista di questa grande scoperta (che aveva esposto già nel 1902, Che Fare?). Il partito comunista è il partito degli operai, ma non degli operai intesi nel senso professionale del termine, ma nel senso che gli operai sono la sola classe che è in grado di assimilare in massa la concezione comunista del mondo e di condurre la sua lotta di classe guidata da quella concezione. Il partito comunista a sua volta impersona quella concezione e la elabora. La scoperta di Lenin era stata confermata sia dal successo del Partito comunista russo sia dalla sconfitta e dall’impotenza dei partiti che non l’avevano assimilata. Ogni partito comunista doveva avere a suo fondamento la traduzione della concezione comunista del mondo (per sua natura universale) nella particolarità del paese di cui doveva promuovere e dirigere la rivoluzione: una concezione giusta della strategia che doveva seguire e dei metodi di lotta da impiegare.

Gramsci nel 1923, alla fine del suo soggiorno in Russia, era ben consapevole che quella era la base indispensabile per fare del Partito il promotore della rivoluzione socialista e che questa base non esisteva ancora nel Partito. Lo enuncia chiaramente fin dall’editoriale del primo numero della nuova serie di L’Ordine Nuovo (marzo 1924) in www.nuovopci.it/classic/gramsci/ordnuovo.html , ne fa il filo conduttore della sua attività alla testa del Partito fino all’arresto nel novembre 1926 (si veda a conferma il bilancio del Congresso di Lione che abbiamo pubblicato nell’Avviso ai Naviganti 38 del 14 febbraio in www.nuovopci.it/dfa/avvnav38/avvnav38.html . Quando si rende conto di aver davanti una prigionia di lunga durata, assume come programma del suo lavoro di prigioniero l’elaborazione della concezione che doveva guidare il Partito.

Gramsci non ebbe la possibilità di applicare e verificare il risultato del suo lavoro carcerario nella direzione del Partito né questo risultato fu fatto proprio dal Partito che quando venne meno la direzione dell’IC (sciolta ufficialmente nel 1943 e dissolta completamente nel 1956) rapidamente deviò nella “via italiana al socialismo”. Quindi Gramsci ci ha lasciato un’eredità che i comunisti italiani non hanno ancora messo a frutto.

Noi comunisti ci proponiamo di riprendere e portare a compimento l’opera che il primo Partito comunista italiano ha lasciato incompiuta: fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Sta quindi a noi anche mettere a frutto e verificare l’opera di Gramsci. Noi leggiamo i Quaderni del carcere alla luce dei problemi e dei compiti della rivoluzione socialista nel nostro paese. Le Note di lettura del compagno Luca R. al paragrafo 17 Quaderno 13 lo mostrano in un modo che la redazione di La Voce indica come modello di studio a tutti i compagni.

La redazione

 

*** manchette

Sono gli uomini che fanno la loro storia

Quelli che negano che, per condurre la classe operaia e il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo, il Partito comunista deve assumere la concezione comunista del mondo come guida della sua attività, quelli che sostengono che bisogna lottare orientandosi col buon senso, di fatto alimentano la sfiducia nella nostra causa, compiono un’opera disfattista. Se anche non lo affermano, di fatto seminano il sospetto o il timore che il successo della nostra lotta dipende da circostanze o da fattori che non siamo in grado di conoscere e tanto meno di padroneggiare. “Si lotta e si spera di vincere”, questa è la mentalità che diffondono. Questa mentalità fatalista è disfattismo. Essa è del tutto priva di fondamenti scientifici. L’unico suo fondamento è l’interesse della borghesia e del clero a seminare tra le masse popolari sfiducia nelle proprie forze e rassegnazione al loro dominio. Bando al disfattismo: possiamo capire e superare ogni ostacolo che si frappone al nostro cammino, basta che abbiamo la volontà di pensare, cercare e imparare.

Il vecchio PCI non ha raggiunto il suo obiettivo perché, come i partiti comunisti degli altri paesi imperialisti, non ha assimilato e tradotto nel particolare del proprio paese la concezione comunista del mondo. Il nuovo PCI assimila la concezione comunista del mondo e la assume come metodo per capire la realtà e trasformarla. Grazie a questo nessun ostacolo gli impedirà di portare a compimento l’opera che il primo PCI ha lasciato incompiuta.