La Voce 49 - Indice

La Voce 49 del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII marzo 2015

Le due forme del riformismo

Contenuto comune di tutte le forme, tendenze, correnti, organismi e concezioni riformiste della società borghese è ritenere che (e comunque agire come se) sia possibile migliorare illimitatamente la società borghese nel senso di introdurre una ripartizione dei beni e servizi più favorevole alle masse popolari e in particolare ai proletari e maggiori diritti civili e politici per le masse popolari pur conservando la divisione della società in classi sociali e in particolare lasciando nelle mani dei capitalisti la produzione dei beni e dei servizi. Combattivi o questuanti, militanti o elettoralisti, conflittuali o concertativi, militaristi o pacifisti, tutti i riformisti hanno in comune una cosa: non porsi (e non porre), non trattare, ignorare o contrastare il compito di costruire un sistema di relazioni sociali diverso dall’attuale sistema borghese. Quindi non basare la loro attività sulla comprensione del sistema sociale in atto, del sistema sociale che deve prendere il suo posto e del come realizzare il passaggio dal presente al futuro. Essi restringono il campo della loro azione (e dell’attività delle masse popolari che dirigono o influenzano) all’eliminazione o modifica degli aspetti del sistema sociale vigente che la loro coscienza (l’opinione corrente o la loro particolare sensibilità o interesse) condanna come cattivi.

I riformisti si dividono in due grandi famiglie.

Riformismo conflittuale e rivendicativo

Quell’insieme di concezioni e di linee di condotta pratica che hanno in comune la fede che è possibile cambiare la società borghese spingendo o costringendo (con scioperi, dimostrazioni, rivolte, minacce, operazioni esemplari (come “colpirne uno per educarne cento”), ecc. ecc.) la borghesia a fare quello che di sua iniziativa non fa. Nel riformismo conflittuale e rivendicativo rientrano tutti gli individui e i gruppi fautori della lotta rivendicativa, del conflitto sociale, della lotta sindacale dura, della lotta armata, ecc. non mirata all’instaurazione del socialismo: il sindacalismo, l’anarcosindacalismo, la lotta armata stile Prima Linea, una parte della sinistra borghese, ecc..


Il lavoro politico

Il lavoro politico del nuovo Partito comunista consiste nel portare la classe operaia a organizzarsi e a conquistare il potere, cioè instaurare il socialismo. Questo è il nostro lavoro politico.

Uno dei limiti storici dei partiti socialisti e poi dei revisionisti consiste nel ridurre il lavoro politico alla partecipazione alla politica borghese: cioè partecipazione alle procedure, istituti e istituzioni con cui la borghesia, che domina i rapporti economici e gran parte della società civile, regola il comportamento dello Stato e lo subordina ai propri interessi: valorizzazione del capitale e subordinazione del proletariato e delle altre classi alla borghesia. Lo Stato conserva il monopolio della violenza e la borghesia lo ha abbellito con le vesti della democrazia borghese, che i sui ideologi chiamano tout court democrazia.

Nel nostro Piano Generale di Lavoro (Manifesto Programma, cap. 3.5.) abbiamo indicato “la mobilitazione delle masse popolari a intervenire nella lotta politica borghese, con l’obiettivo principale di favorire l’accumulazione di forze rivoluzionarie e in secondo luogo con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari ed estendere i loro diritti, di acuire e sfruttare le contraddizioni tra i gruppi e le forze della borghesia imperialista”, come secondo fronte del nostro lavoro di massa.


Riformismo elettorale

Quell’insieme di concezioni e di linee di condotta pratica che hanno in comune la fede che è possibile cambiare la società borghese impadronendosi delle istituzioni della democrazia borghese e dettando con leggi e regolamenti e tramite l’azione dell’apparato statale alla borghesia di comportarsi diversamente da quello che farebbe di sua iniziativa. Nel riformismo elettorale rientrano tutti gli individui e i gruppi fautori della via elettorale e parlamentare al socialismo, i fautori di “un mondo migliore”, di “un mondo diverso” che si realizzerebbe mettendo alla testa dello Stato borghese uomini e partiti illuminati. Il PCI di Togliatti e di Berlinguer, gli eurocomunisti e una parte della sinistra borghese rientrano in questo quadro.

La comune base di classe e ideologica delle due grandi famiglie dei riformisti

Il riformismo conflittuale e rivendicativo come il riformismo elettorale implicano entrambi una concezione idealista della storia umana e in particolare della società borghese: sono le idee che si traducono in realtà, non la realtà che si riflette nelle idee. Entrambi i riformismi si reggono sulla fede che la borghesia diriga la società a suo arbitrio, secondo a come la pensa, secondo un suo piano (il “piano del capitale” che tutti i seguaci della Scuola di Francoforte, gli operaisti, ecc. combattono con la fede con cui don Chisciotte combatteva contro i mulini a vento in cui vedeva cavalieri nemici); credono che le azioni della borghesia siano attuazione di un progetto e di un piano che esisterebbe nella testa dei borghesi prima che risultare dalla realtà.

I marxisti sostengono invece che i borghesi sono determinati nella propria condotta da leggi proprie del sistema di relazioni sociali di cui essi sono espressione e gli amministratori, leggi che nessuno di essi può violare. Il libero arbitrio dei singoli individui si esercita solo nei limiti consentiti da queste leggi. Una di esse è che il capitale deve essere valorizzato: un borghese che non valorizza il capitale che amministra, viene estromesso dalla sua classe. Non si cambia la società borghese cambiando le idee dei borghesi o imponendo loro leggi e regolamenti. Bisogna cambiare il sistema di relazioni sociali: non più produzione di beni e servizi fatta da aziende che i capitalisti creano per valorizzare il loro capitale, ma produzione fatta da agenzie pubbliche che lavorano secondo un piano predisposto dalle pubbliche autorità per soddisfare i bisogni socialmente riconosciuti come legittimi. Bisogna cambiare l’intero sistema di relazioni che legano tra loro gli uomini a formare una società. Per questo protagoniste della rivoluzione socialista in definitiva devono essere le masse popolari: il ruolo del partito comunista sta nel mobilitarle a organizzarsi e dirigerle a emanciparsi intellettualmente e moralmente dalla sottomissione alla borghesia e al clero fino a costituire la nuova società comunista di cui Marx caratterizzò il sistema di produzione e distribuzione di beni e servizi con l’espressione “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (Critica al programma di Gotha, 1875) e il complessivo sistema di relazioni sociali con l’espressione “un’associazione in cui il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti” (Manifesto del Partito comunista, 1848).

Entrambe le correnti riformiste nascono e rinascono spontaneamente nella classe operaia e tra le masse popolari soggette alla borghesia. Spontaneamente nel senso che le condizioni di vita e di lavoro in cui sono costrette o comunque indotte e la mentalità borghese (che per sua natura nella produzione e distribuzione di beni e servizi è conflittuale: ogni capitale è in concorrenza con gli altri capitali, ogni capitalista è contrapposto agli operai che ingaggia e viceversa, ogni venditore compete con altri venditori e con i compratori, ogni compratore compete con gli altri compratori e con i venditori) generano nelle masse popolari tendenze e iniziative riformiste (non importa se conflittuali o elettorali). Compito specifico dei comunisti è portare le masse popolari in una direzione diversa da quella che la società borghese spontaneamente genera in esse, direzione diversa che corrisponde però allo sviluppo delle premesse del comunismo poste dalla stessa società borghese: il carattere collettivo delle forze produttive e la società cresciuta su queste basi materiali. L’esperienza pratica della lotta di classe è la via maestra attraverso la quale le masse assimilano la concezione comunista del mondo che il Partito comunista insegna e impiega per promuovere e dirigere la lotta di classe.

Ciò che distingue le due grandi famiglie dei riformisti.

Non è la combattività perché di fatto esistono personaggi e organismi combattivi nell’una e nell’altra famiglia di riformisti, benché sia più facile trovare signori nel campo elettorale e proletari e lavoratori nel campo del riformismo conflittuale e rivendicativo.

Le due famiglie sono espressioni di due stadi diversi della lotta di classe: la lotta sulla ripartizione del prodotto (sul prezzo della forza lavoro, sul salario) e la lotta politica (a proposito della legislazione e dell’attività dello Stato e dell’Amministrazione Pubblica). La forma organizzativa tipica del prima famiglia è il sindacato, la forma organizzativa tipica della seconda famiglia è il partito elettorale.

La condizione di partenza della lotta di classe del proletariato contro la borghesia è la soggezione delle masse popolari alla borghesia e al clero. Compito dei comunisti è far passare le masse popolari dalla condizione ereditata dalla storia di soggezione, alla condizione di masse popolari coscienti e organizzate. A questo fine facciamo leva sull’esperienza diretta e concreta di lotta di classe di ogni parte, strato e classe. È quindi sciocco e primitivo ogni rivoluzionario che individua i propri nemici, l’ostacolo alla propria attività, nell’arretratezza delle masse popolari, nella loro soggezione alla borghesia e al clero. La sua è la posizione primitiva e istintiva del rivoluzionario che non è ancora capace di mobilitare e dirigere, che trova nell’opinione e nelle abitudini degli oppressi arretrati il motivo della propria impotenza che in realtà sta nella sua arretratezza: nella sua ignoranza dei metodi di lavoro necessari per mobilitare e organizzare le masse popolari arretrate.

Lasciamo a ogni comunista il compito di collocare persone e organismi del suo contesto nella famiglia che è propria a ognuno di essi, distinguendo rigorosamente analisi della posizione politica (della corrente politica di appartenenza) dalla analisi di classe (classe sociale di appartenenza).

Marcella V.