La Voce 51

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII - novembre 2015

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Sei grandi insegnamenti della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale messa in moto dalla vittoria dell’insurrezione di Pietrogrado dell’Ottobre 1917

Quando noi comunisti diciamo che bisogna instaurare il socialismo, che noi abbiamo un preciso piano per instaurare il socialismo in Italia, che gli operai (i lavoratori delle aziende capitaliste) sono la classe che profittando della scuola del Partito comunista può alla testa delle masse popolari instaurare il socialismo e imporlo alle classi che vi si oppongono, che oggi il primo passo in questa direzione è creare le condizioni perché le masse popolari organizzate costituiscano un proprio governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare e lo facciano ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia, l’obiezione che ci viene fatta più frequentemente, da alcuni dicendocela apertamente da altri mostrandola con l’atteggiamento che assumono di fronte alle nostre affermazioni, è sostanzialmente la seguente.

“L’umanità con il capitalismo va male. La borghesia imperialista costringe l’umanità su una strada che in ogni paese distrugge persino quel poco di coesione sociale già raggiunto, fa delle relazioni internazionali relazioni di sopraffazione e di guerra, distrugge su scala crescente l’ambiente. Ma nessuno sa fare meglio. Voi comunisti ci avete provato e avete mostrato che non sapete fare meglio, avete avuto la vostra prova e siete falliti. L’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese, le repubbliche popolari dell’Europa Orientale, la Corea del Nord, il Vietnam, Cuba e altri paesi stanno a mostrare con la loro storia il vostro fallimento: la rivoluzione proletaria che avevate promosso in tutto il mondo si è esaurita. In un modo o nell’altro, a un grado più o meno avanzato, i paesi socialisti che avevate creato oggi sono tutti paesi le cui autorità si sono integrate o cercano in un modo o nell’altro di integrarsi nel sistema imperialista mondiale, di farsi accettare, in misure diverse ne dipendono e comunque hanno da tempo lasciato cadere la pretesa di essere la base d’appoggio della rivoluzione proletaria mondiale, di ispirare con i loro risultati e il loro esempio non solo i popoli dei paesi oppressi dal sistema imperialista ma perfino la classi sfruttate dei paesi imperialisti a prendere in mano il futuro del loro paese, a fare la rivoluzione socialista. E quanto alle conquiste che le classi sfruttate dei paesi imperialisti avevano strappato alla borghesia negli anni in cui il vostro movimento comunista dopo la vittoria sul nazifascismo avanzava in tutto il mondo, ebbene con quelle conquiste i paesi imperialisti erano arrivati in un vicolo cieco e hanno dovuto fare marcia indietro, adottare politiche liberiste, eliminare quelle conquiste una dopo l’altra. Né le masse popolari e la classe operaia hanno saputo difenderle. Molti le rimpiangono ma oggi nessuna persona responsabile osa sostenere che bisogna ritornare ad esse. Tutti i governi stanno finendo di abolirle, in tutti i paesi. Voi vi ostinate a non tener conto della lezione dei fatti. Invece bisogna essere pragmatici, non pretendere troppo, attenuare i colpi, allungare i tempi. La pretesa di voi comunisti di aver avuto ragione e di conoscere cosa fare per cambiare il corso delle cose è campata per aria: il corso reale delle cose l’ha confutata!”.

Per noi comunisti la verifica nella pratica è un principio universalmente valido per ogni teoria e lo applichiamo anzitutto alla nostra attività e a noi stessi. Il successo nella pratica è giudice inappellabile della giustezza delle teorie e della condotta degli uomini. Ma bisogna saper leggere gli avvenimenti. La prima ondata della rivoluzione proletaria non ha insegnato che gli operai che profittano della scuola del Partito comunista sono incapaci di instaurare il socialismo e andare verso il comunismo. Al contrario ha mostrato come devono fare, ha mostrato errori che non devono più commettere e limiti che devono superare, per arrivare alla cima della scalata di cui avevano fatto un buon pezzo prima di cadere e riprecipitare a valle.

  

Molti oggi nel nostro paese sono preoccupati del catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista e il suo clero impongono al mondo. Capire che le cose vanno male non è difficile, ma molti non vedono vie d’uscita e alcuni si chiedono come è stato possibile retrocedere dalle posizioni che avevamo raggiunto dopo la vittoria sul nazifascismo fino al punto in cui siamo oggi nel nostro paese e nel mondo. In aprile abbiamo celebrato il 70° anniversario della vittoria della Resistenza e molti di quelli che confrontano le speranze di allora con la situazione in cui siamo oggi, non sanno spiegarsi come è stato possibile e questo soffoca in loro la volontà di reagire al corso attuale delle cose, provoca fatalismo e rassegnazione. Ognuno di noi comunisti deve avere risposte chiare e ben fondate nella realtà, scientifiche, pratiche a queste questioni. In primo luogo per se stesso, per porre su solide basi la sua attività. Se la sua adesione alla nostra causa non è fondata scientificamente, prima o poi le difficoltà della nostra lotta incidono sul suo slancio e la sua adesione. In secondo luogo nessuno di noi comunisti deve perdere occasione per spiegare le nostre risposte a ogni persona preoccupata del catastrofico corso delle cose e a ogni compagno che vuole raggiungere le nostre file. Chi predica il comunismo e incita alla rivoluzione socialista senza spiegare perché durante la prima parte del secolo scorso nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti ha instaurato il socialismo nel proprio paese, perché la prima ondata della rivoluzione socialista si è esaurita e i primi paesi socialisti si sono, sia pure in misure, in forme e in posizioni diverse, reintegrati nel sistema imperialista mondiale e perché le masse popolari dei paesi imperialisti hanno perso le conquiste che avevano strappato alla borghesia imperialista e al suo clero, predica al vento. Ogni comunista che non ha una risposta chiara e giusta a queste domande, anche se è sincero, per quanto sia indignato delle barbarie che la borghesia e il clero impongono, delle distruzioni e dell’abbrutimento a cui inducono l’umanità, è interiormente debole. Lo rode un tarlo che la borghesia e il clero alimentano e prima o poi si perde per strada di fronte alle difficoltà della nostra impresa. La sicurezza che possiamo vincere è indispensabile per combattere con determinazione e quindi per vincere. Un esercito il cui morale è corroso dalla sfiducia nella propria vittoria, difficilmente vince.

Non solo, ma dall’esperienza della prima ondata delle rivoluzione proletaria, dai grandi successi raggiunti in quel periodo dal movimento comunista e dalla sconfitta che in definitiva ha subito, noi dobbiamo tirare insegnamenti per la nostra lotta: capire cosa fare, gli errori da evitare, i limiti da superare. La concezione comunista del mondo è una scienza. È la scienza delle attività con cui gli uomini hanno fatto e fanno la loro storia, la scienza scoperta dai fondatori del movimento comunista, Marx ed Engels e alla cui elaborazione hanno contribuito i grandi dirigenti del movimento comunista che sono succeduti a loro: Lenin, Stalin, Mao Tse-tung. La verità di ogni sua tesi si verifica effettivamente nella pratica, anche se non alla maniera semplicistica (“funziona, non funziona”) con cui la sinistra borghese usa questo principio contro il movimento comunista. Ogni tesi della concezione comunista del mondo è stata elaborata e la elaboriamo dal bilancio dell’esperienza. Sostenere che la nostra concezione del mondo è una scienza e non imparare dalla grande esperienza compiuta dal movimento comunista a livello mondiale nella prima parte del secolo scorso, è una incongruenza imperdonabile. Chi si comporta così o è un imbroglione o è un superficiale. La ragione del fallimento della sinistra borghese sta nel fatto che essa rifiuta di imparare da quella esperienza: vorrebbe un mondo migliore ma se chiedete in cosa consiste questo mondo migliore, ogni esponente della sinistra borghese vi espone le sue opinioni personali, la sua piattaforma, i suoi desideri e tanto meno sa dire cosa fare per arrivarci e si mette a farlo.

Il nuovo Partito comunista italiano lo abbiamo fondato nel 2004, dopo che i suoi promotori avevano dato a quelle domande risposte chiare ed esaurienti, basate sull’esperienza passata di tutto il movimento comunista e coerenti col corso attuale delle cose. Le nostre risposte sono esposte nel nostro Manifesto Programma pubblicato nel marzo 2008 e sono illustrate da vari lati nella nostra letteratura (reperibile sul sito Internet del Partito www.nuovopci.it), in particolare nell’opuscolo I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale.

Dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria noi traiamo sei grandi e importanti insegnamenti.

  

1. Instaurare il socialismo è possibile. La classe operaia con la sua avanguardia organizzata nel Partito comunista è capace non solo di togliere il potere alla borghesia, ma anche di costruire una nuova società.

 

La prima ondata della rivoluzione proletaria, benché sia finita in una sconfitta generale, lo ha mostrato. Prendiamo l’esempio dell’Unione Sovietica. Essa ha mostrato che sotto la direzione degli operai e del loro Partito comunista, nella nostra epoca un paese può instaurare la proprietà pubblica delle forze produttive e su questa base fare grandi progressi in ogni campo materiale e spirituale della vita. I progressi compiuti dall’Unione Sovietica dalla Rivoluzione d’Ottobre (1917) fino alla svolta del XX Congresso del Partito comunista (1956) sono una verità innegabile, per quanto la borghesia e il clero abbiano cercato e cerchino di denigrare l’URSS. Solo dal 1956, con le riforme introdotte nell’epoca Kruscev e proseguite nell’epoca Breznev, è rallentato il progresso economico, politico e culturale dell’Unione Sovietica che poi è regredita fino allo sfascio del 1991. Non è un caso che gli anticomunisti, anche quelli alla Piero Bernocchi (Oltre il capitalismo, Massari Editore) che si professano anticapitalisti e amici dei lavoratori, sminuiscono o occultano la grave svolta compiuta nel 1956 dall’Unione Sovietica e confondono in un tutto unico, che chiamano alla Breznev “il socialismo reale”, la storia dell’Unione Sovietica dalla sua costituzione nel 1917 fino allo sfascio del 1991: la fase in cui fu la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale (1917-1956) e la fase della rincorsa agli USA (alla “parità strategica”) e della decadenza (1956-1991).

Tanto più significativi quei progressi perché furono compiuti benché tutte le potenze imperialiste, i paesi più ricchi e più potenti del mondo abbiano cercato in ogni modo di impedirli, con blocchi, sanzioni, campagne di boicottaggi, campagne di sabotaggi e aggressioni militari ripetute, senza alcun freno e ritegno. Ma né i grandi Stati imperialisti, né Hitler né i Papi di Roma riuscirono a impedire che l’URSS progredisse. L’URSS non solo fece grandi progressi, ma spinse avanti con il suo esempio e con il suo sostegno le masse popolari di tutto il mondo: dei paesi oppressi e dei paesi imperialisti.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha lasciato una importante eredità che noi comunisti dobbiamo mettere a frutto per la rinascita del movimento comunista e per la seconda ondata della rivoluzione proletaria. I fondatori del movimento comunista dalla comprensione della natura e delle leggi di sviluppo della società borghese avevano ricavato che gli uomini sarebbero andati verso il comunismo attraversando una fase transitoria che chiamarono socialismo (Marx, Critica al programma di Gotha, 1875). Ma potevano indicare solo a grandi linee il percorso che l’umanità avrebbe fatto per continuare la sua storia di progresso oltre il capitalismo e sulla base dei grandi risultati a cui era giunta sotto la barbara sferza del capitalismo.

La prima ondata della rivoluzione proletaria è andata molto più avanti. Tra le altre cose essa ha mostrato che la classe operaia formata alla scuola del Partito comunista è capace di prendere il potere, che la classe operaia con il suo Partito comunista è capace non solo di eliminare la borghesia ma anche di costruire una nuova umanità, trovando in ogni paese la strada particolare per raggiungere il comune risultato a livello mondiale.

Già prima dei grandiosi risultati raggiunti negli anni successivi con la collettivizzazione dell’agricoltura e con i piani quinquennali, al XIV Congresso del PCUS (dicembre 1925) Stalin poteva a buon titolo proclamare: “... grazie al nostro slancio bolscevico sul fronte economico, grazie ai successi ottenuti in questo campo, abbiamo mostrato a tutto il mondo che gli operai, preso il potere, sanno non solo abbattere il capitalismo, non solo demolire, ma anche edificare una società nuova, edificare il socialismo. Questo successo, il fatto di aver reso evidente questa verità, nessuno ce lo può togliere. è il successo più grande e più difficile di quelli che abbiamo finora ottenuto. Infatti abbiamo mostrato alla classe operaia dell’Occidente e ai popoli oppressi dell’Oriente che gli operai, i quali durante il corso della storia non avevano saputo far altro che lavorare per i signori mentre i signori governavano, una volta preso il potere si sono  mostrati capaci di governare un grande paese, di edificare il socialismo in condizioni difficili.

Che cosa occorre perché i proletari vincano in Occidente? Innanzitutto la fiducia nelle proprie forze, la coscienza che la classe operaia è capace di fare a meno della borghesia, che la classe operaia è non solo capace di demolire ciò che è vecchio, ma anche di edificare il nuovo, di edificare il socialismo. Tutta l’attività della socialdemocrazia consiste nell’istillare negli operai lo scetticismo, la sfiducia nelle proprie forze, la sfiducia nella possibilità di conseguire con la forza la vittoria sulla borghesia. Tutto il nostro lavoro, la nostra edificazione hanno questo significato: convincono la classe operaia dei paesi capitalisti che la classe operaia è capace di fare a meno della borghesia e di costruire una nuova società con le proprie forze.

Il pellegrinaggio degli operai nel nostro paese, il fatto che le delegazioni operaie, giungendo nel nostro paese, osservano in tutti i particolari la nostra edificazione e si sforzano di toccarne con mano i risultati, mostrano che la classe operaia dei paesi capitalisti, a dispetto della socialdemocrazia, incomincia ad avere fiducia nelle proprie forze e nella capacità della classe operaia di creare una società nuova sulle rovine della vecchia società.

Non dirò che abbiamo ottenuto grandi risultati in questo ultimo anno, tuttavia bisogna riconoscere una cosa, e cioè che, grazie ai successi della nostra edificazione socialista, abbiamo mostrato e dimostrato che la classe operaia, rovesciata la borghesia e preso il potere nelle sue mani, è capace di trasformare la società capitalista, in base ai principi del socialismo. Questo abbiamo ottenuto, e malgrado tutto nessuno ce lo potrà togliere. Ancora una volta si tratta di un successo inestimabile. Che cosa significa infatti ottenere questo successo? Significa infondere negli operai dei paesi capitalisti la fiducia nelle proprie forze, la fiducia nella propria vittoria. Significa mettere nelle loro mani una nuova arma contro la borghesia. E che essi afferrino questa arma e siano pronti a servirsene, lo si vede anche semplicemente dal fatto che il pellegrinaggio degli operai nel nostro paese non cessa, ma si intensifica. E quando gli operai dei paesi capitalisti avranno acquistato la piena fiducia nelle proprie forze, potete essere certi che questo sarà il principio della fine del capitalismo e il segno più sicuro della vittoria della rivoluzione proletaria.” (Opere complete, vol. 7 Rapporto politico del Comitato Centrale,18 dicembre 1925).

 

2. La società socialista progredisce, ma la direzione delle sue istituzioni politiche, economiche e sociali devono essere affidate a comunisti devoti alla causa, selezionati e controllati dagli operai.

 

La decadenza dell’Unione Sovietica a partire dalla svolta del 1956 fino al crollo nel 1991, mostra che un paese socialista può progredire e progredisce solo se le strutture essenziali del paese, in campo politico, economico e della società civile, sono dirette da persone che senza riserve vogliono progredire verso il comunismo: in altre parole la dittatura del proletariato è indispensabile. La transizione dal capitalismo al comunismo non è un processo spontaneo. Gli uomini non potranno sopravvivere senza compierla, hanno creato le condizioni necessarie per compierla, ma per compierla devono modificare idee, sentimenti, abitudini e comportamenti formatisi lungo millenni di sottomissione alle classi dominanti. È esattamente la dittatura del proletariato che abolirono i revisionisti moderni dopo che erano riusciti a prendere la direzione del PCUS con la svolta del XX Congresso.

Il XX Congresso si svolse nel febbraio 1956. Il successo della destra nell’imporre la sua linea nel Partito comunista sovietico ebbe non solo effetti nefasti per l’Unione Sovietica che si conclusero con la dissoluzione e il crollo catastrofico del 1991, ma le sue decisioni indebolirono gravemente la sinistra in tutto il movimento comunista e in ogni partito comunista diedero forza alla destra.

Per quanto riguarda il nostro paese, nel dicembre 1956 con l’VIII congresso del PCI Palmiro Togliatti e i suoi soci poterono finalmente proclamare apertamente quello che di fatto già erano riusciti a imporre nel PCI: la rinuncia alla rivoluzione socialista, l’adesione alla “via parlamentare al socialismo”, in chiaro la loro adesione alla Repubblica  Pontificia che la Corte vaticana, gli emissari dei gruppi imperialisti USA e le Organizzazioni Criminali avevano instaurato nella seconda metà degli anni ’40, al servizio della borghesia imperialista italiana e internazionale soffocando le forze della Resistenza. Per maggiori dettagli a proposito della sconfitta della sinistra del PCI rimandiamo all’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni (La Voce 26, luglio 2007).

La rinuncia alla rivoluzione socialista, era già pratica comune di tutti i partiti comunisti dei maggiori paesi imperialisti (in Europa le eccezioni furono il Partito comunista greco e il Partito comunista spagnolo che vennero sconfitti in una guerra civile e il Partito comunista portoghese che nonostante la guerra mondiale non era riuscito a scuotere il giogo della dittatura fascista). Dopo il XX Congresso del PCUS divenne linea ufficialmente proclamata, avvio all’eurocomunismo e alla disgregazione dei partiti comunisti stessi, quindi alla situazione in cui siamo oggi.

La dittatura del proletariato significa che la classe che imprime il proprio segno a ogni aspetto della vita sociale dell’intero paese è costituita dagli operai formati dall’esperienza dell’azienda capitalista (che nei suoi aspetti positivi - la cooperazione tra lavoratori nell’azienda e tra le aziende e i grandi progressi nella produttività del lavoro che essa consente - è il germe della società di domani) e organizzati sotto la direzione del partito comunista di cui gli operai d’avanguardia sono il principale nucleo costitutivo.

 

**** MANCHETTE ****

Imparare a scrivere per imparare a pensare

È indispensabile che noi comunisti impariamo a pensare, quindi che impariamo a leggere e a scrivere: la scrittura è uno strumento indispensabile per pensare ad alto livello.

Il linguaggio è strumento indispensabile della comunicazione, quindi della vita sociale, quindi dell’attività politica. Per pensare oltre un livello elementare, bisogna saper leggere e scrivere correntemente.

Saper leggere senza difficoltà in modo da concentrare lo sforzo sul significato. La verifica è leggere un testo e fare il riassunto.

Saper scrivere rispettando la logica formale nell’argomentazione e nella successione degli argomenti e rispettando il lessico, l’ortografia, la grammatica e la sintassi. La verifica è descrivere un avvenimento a cui si è assistito, quindi che è noto.

Non a caso sempre meno la scuola pubblica dei paesi imperialisti insegna a leggere e a scrivere. Al massimo insegna un mestiere. Le classi dominanti non vogliono che i membri delle classi oppresse imparino a pensare, non vogliono che pensino (primo pilastro del regime di controrivoluzione preventiva). Da quando il movimento comunista le ha costrette ad allungare il corso scolastico dei giovani delle classi oppresse, le classi dominanti hanno fatto una sistematica (sia studiata sia spontanea) opera di degrado della scuola pubblica. In Italia dalla scuola della riforma Gentile (1923) (in cui la scuola media e le superiori erano riservate ai rampolli delle classi dominanti) si è via via passati alla scuola pubblica attuale da cui escono giovani che non sanno leggere e scrivere e in molti casi neanche “far di conto”. L’analfabetismo di ritorno aggrava la situazione. Noi dobbiamo da subito organizzare scuole di alfabetizzazione per i membri e i candidati del Partito e delle altre organizzazioni della Carovana del (n)PCI, mobilitando collaboratori professionalmente preparati.

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Del partito comunista fanno parte un numero di operai sufficiente per dirigere tutta la classe operaia e questa ha la forza e il prestigio necessari per dirigere l’intero paese. Che un operaio faccia parte del partito comunista non vuol dire che un operaio “si è iscritto” al partito comunista, perché il partito comunista non è un partito a cui ci si iscrive. Un operaio che oggi fa parte del partito comunista è un operaio che, nonostante la schiavitù in cui il capitalismo lo costringe, ha la volontà e la capacità di imporsi la disciplina necessaria per imparare nei ranghi del partito comunista a capire il corso  delle cose e a dirigere gli altri operai, le masse popolari e l’intero paese. Sono gli operai comunisti che rendono la classe operaia capace di costituire un proprio governo e capace di far funzionare le aziende secondo un piano, capace di dirigere il resto delle masse popolari godendo dell’autorità e del prestigio necessari a trattare le contraddizioni all’interno del popolo, di dirigere l’intero paese a compiere la trasformazione necessaria dell’intero suo sistema di relazioni sociali e delle sue relazioni con gli altri paesi, di imporre alle classi nemiche il nuovo sistema di relazioni sociali e di difenderlo con successo dalle aggressioni esterne.

Questa è una verità che fa storcere il naso alla piccola borghesia e anche a quella parte delle masse popolari che subisce ancora l’influenza ideologica della borghesia o del clero, che vive nel senso comune prodotto dalla società borghese. Ma è tuttavia una verità che la scienza della struttura della società capitalista aveva fatto capire ai fondatori del movimento comunista e che la storia ha confermato. È una verità che sotto la spinta dell’esperienza e dell’azione della parte avanzata delle masse popolari dovranno adottare tutti quelli che vogliono farla finita con l’attuale catastrofico corso delle cose. È una verità che contrasta con i gusti e i sentimenti dei fautori della democrazia borghese: eguaglianza di facciata tra chi comanda e chi per vivere deve obbedire ed è sistematicamente escluso dalla conoscenza del corso delle cose e dai mezzi e dalle condizioni necessari per conoscere. Noi comunisti siamo contro la democrazia borghese. La democrazia borghese è il sistema di relazioni con cui la borghesia regola i rapporti dei suoi singoli esponenti con il loro Stato. È la veste con cui essa abbellisce il monopolio della violenza detenuto da questa sua istituzione, che la borghesia eredita dalla storia e che deve conservare per tenere sottomessi la classe operaia e il resto delle masse popolari.

Lungi da noi non riconoscere i progressi che la democrazia borghese presenta rispetto ai regimi reazionari, feudali, fascisti e affini. Il movimento comunista durante la prima ondata ha anzi saputo forzare i limiti della democrazia borghese portandola alla massimo delle sue possibilità, come sistema di relazioni politiche in cui le masse popolari si organizzano e in qualche misura allargano i confini in cui la borghesia le vuole costringere. “Troppa democrazia”, sintetizzò negli anni ’70 la Commissione Trilaterale, la rete internazionale di grandi esponenti della borghesia imperialista americana, europea e giapponese.

Noi comunisti e la classe operaia con noi, una volta preso il potere non fingeremo un’uguaglianza di condizioni che non c’è. Al contrario noi impiegheremo tutte le risorse della società per promuovere l’emancipazione delle classi oppresse, delle donne, dei giovani e di ogni altra parte della popolazione che la borghesia e il clero hanno tenuto ai margini della vita sociale; reprimeremo senza scrupoli i tentativi aperti o subdoli, compiuti dall’interno del paese o dall’estero dalle classi spodestate di reinstallare il proprio potere; elimineremo la divisione dell’umanità in classi sociali di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori; creeremo una società senza divisione in classi in cui il pieno sviluppo di ogni individuo è la condizione per il pieno sviluppo di tutti. La democrazia proletaria non è proclamazione dell’eguaglianza, non è finzione dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge imposta dalla borghesia, ma è promozione dell’accesso di tutta la popolazione alla gestione della vita sociale.

 

3. Finché il socialismo non si sarà affermato in tutto il mondo o almeno nei paesi economicamente e politicamente più potenti, le conquiste fatte dal movimento comunista restano precarie.

 

Che la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale sia finita nella sconfitta, non è affatto un evento strano e imprevedibile. Quale grande impresa gli uomini sono riusciti a compiere al primo tentativo? Che chi si getta in una grande impresa possa non riuscire a condurla in porto al primo tentativo, è nella natura delle cose. L’importante è che la grande impresa è possibile, che è possibile condurla in porto perché nella società attuale esistono i suoi presupposti. Se è possibile, se non si ha successo al primo tentativo lo si avrà al secondo, o al terzo, o al quarto: tanto prima quanto più  si impara dall’esperienza delle sconfitte. Se poi la grande impresa è anche necessaria, gli uomini tenteranno ripetutamente di compierla finché non ci riusciranno, come per la cura di una epidemia.

La società divisa in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori è il contesto in cui l’umanità ha progredito da molti millenni a questa parte. Solo con lo sviluppo illimitato delle forze produttive che ha raggiunto nell’ambito del capitalismo, l’umanità ha creato le condizioni perché la divisione in classi sociali da fattore di progresso si è trasformata in una catena e in una morsa che impedisce l’ulteriore progresso che già gli uomini concepiscono e di cui hanno già i mezzi. La creazione di un sistema di relazioni sociali adeguato a queste condizioni e la trasformazione intellettuale e morale che va con essa sono la più grande impresa che sta di fronte all’umanità, una trasformazione superiore alle principali che hanno segnato la sua storia plurimillenaria, superiore al passaggio da una società di raccoglitori e cacciatori a una società di coltivatori e allevatori. È la creazione, per la prima volta nella storia umana, di un sistema di relazioni sociali che per sua natura deve essere pensato prima di essere attuato, perché è il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà e la libertà implica la coscienza della necessità. Solo imbroglioni e sciocchi possono menare scandalo che simile impresa gli uomini riescono a compierla solo per tentativi, imparando dalle sconfitte e dai successi. Noi non rivendichiamo come successi gli errori: diciamo e illustriamo che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha portato l’umanità più avanti in ogni campo, che ha mostrato la via per progressi che non è riuscita a compiere, che ha creato una massa di esperienze cui possono e devono attingere chi vuole continuare il cammino, che il cammino che essa aveva compiuto durante la prima ondata è nella direzione del cammino che l’umanità deve compiere per porre fine alle barbarie del capitalismo e al corso catastrofico delle cose che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti impongono ancora al mondo.

 

4. I paesi socialisti difficilmente possono essere distrutti da un attacco dall’estero, possono invece essere minati dall’interno fino a crollare.

 

Che un paese socialista possa crollare mentre un paese capitalista passa di crisi in crisi ma non crolla, è nella natura delle cose. La struttura di un paese capitalista è composta di tante aziende ognuna delle quali in una certa misura viaggia per conto suo, da tanti individui ognuno dei quali si arrangia come riesce. Gli errori commessi da questo o quel capitalista, sono corretti dall’azione spontanea (cioè compiuta indipendentemente l’uno dall’altro da migliaia di attori ognuno dei quali agisce in base ad un senso comune già acquisito) del mercato. Il mercato estero è un campo di riserva per i capitalisti di ogni paese. Spesso la decadenza di un’impresa lascia terreno libero al successo di un’altra. La rovina di uno in molti casi è la fortuna di altri. Ogni paese capitalista e ogni settore produttivo di un paese capitalista sono soggetti a crisi cicliche, ma una crisi ciclica sgombera la strada per la ripresa degli affari. La classe operaia e le masse popolari pagano un prezzo atroce, ma prima o poi molti capitalisti trovano buoni affari da fare e si riprendono da ogni crisi ciclica. Un paese capitalista è soggetto a crisi cicliche ripetute ma non crolla. A ragion veduta non tratto qui della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, che introduce a un altro genere di problemi: nella crisi generale vige la libertà dei naufraghi, ognuno dei quali si arrangia.

La struttura di un paese socialista invece è costituita da un sistema unificato di aziende che operano secondo un piano e di individui legati l’uno all’altro. O avanzano insieme o insieme crollano. È come una cordata di alpinisti. Se un piano sbagliato segue a un piano sbagliato e gli errori non vengono corretti, prima o poi il paese socialista arriva al collasso.

Un paese capitalista è una struttura sociale primitiva, come una città fatta di tante case ognuna ancora con il suo sistema di riscaldamento, magari anche con il suo pozzo. Un paese socialista è una struttura più avanzata, come un grattacielo con tutti i servizi moderni e centralizzati. Tutto funziona meglio, ma in un certo senso è più fragile: gli errori di gestione si devono correggere in tempi ragionevoli, altrimenti hanno conseguenze gravi.

 Il sistema di relazioni sociali dei paesi capitalisti è il risultato di una evoluzione di millenni nell’ambito della divisione dell’umanità in classi di oppressi e oppressori, di dirigenti che comandano e di diretti che obbediscono. I metodi di comando dei capitalisti sono consolidati e affinati dall’esperienza secolare. I dirigenti dei partiti socialisti inevitabilmente sono tentati di imitarli. La pressione dall’esterno della borghesia dei paesi più potenti spingeva i dirigenti dei paesi socialisti a imitarli. I metodi di direzione dei capitalisti, applicati in un paese socialista, anche se sembra che al momento risolvano dei problemi, minano la società socialista, incoraggiano i carrieristi, gli ambiziosi e i corrotti e li spingono in avanti, mettono ai margini e demoralizzano la massa dei lavoratori, creano le condizioni della decadenza degli elementi di comunismo e della restaurazione del capitalismo.

 

5. La lotta di classe continua nei paesi socialisti: la nuova borghesia nei paesi socialisti si forma tra i dirigenti del Partito comunista, dello Stato, dell’economia e delle altre istituzioni sociali.

 

I metodi di gestione nei paesi socialisti sono terreno della lotta di classe. La borghesia tipica dei paesi socialisti, una volta abolita per l’essenziale la proprietà privata delle forze produttive, è costituita da quei dirigenti che tendono a dare soluzioni borghesi (cioè proprie di una società divisa in classi di oppressi e oppressori, di sfruttati e sfruttatori, di privilegiati e di esclusi, di dirigenti e di diretti) ai problemi di gestione dei paesi socialisti (cioè di una società che per sua natura promuove l’emancipazione degli strati oppressi della popolazione e l’universale accesso a tutte le risorse della via sociale). La borghesia tipica dei paesi socialisti è costituita da quei dirigenti che vorrebbero imitare i paesi capitalisti, che non osano aprire la strada ai sistemi di gestione propri di un paese in cui le forze produttive sono pubbliche e che sistematicamente e programmaticamente promuove l’accesso di tutta la popolazione alle attività specificamente umane della gestione della società, della cultura, della ricerca scientifica e della progettazione del proprio futuro. Sono quei dirigenti che non vogliono compiere i passi avanti possibili, o che vogliono imporre misure per le quali non esistono ancora le condizioni necessarie. Sono i dirigenti del Partito, delle istituzioni statali, delle aziende economiche e della società civile che scimmiottano i capitalisti e i loro amministratori.

I paesi socialisti sono paesi in cui infuria la lotta di classe, a volte in forma aperta e a volte in forma camuffata, subdola, incompresa, da comprendere. Gli errori di gestione dovuti ai ritardi e agli errori nella comprensione delle cose, si confondono facilmente con i metodi di gestione dovuti agli interessi contrastanti delle classi che si scontrano nell’umanità attuale, dovuti all’influenza della borghesia e del clero, residui nel paese o agenti dall’estero. I paesi socialisti ereditano e sulla via verso il comunismo devono superare sette grandi contraddizioni: tra dirigenti e diretti, tra lavoro d’organizzazione e lavoro esecutivo, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra paesi, zone e settori avanzati e paesi, zone e settori arretrati. Le contraddizioni in seno al popolo si confondono facilmente con le contraddizioni tra la borghesia e le masse popolari, con le contraddizione tra i paesi e gruppi imperialisti e il paese socialista. La transizione dal capitalismo al comunismo che si attua nella fase socialista richiede una grande crescita intellettuale e morale della massa della popolazione.

Sarebbe ridicolo, da ignoranti o da imbroglioni, sostenere che in Unione Sovietica i comunisti non praticarono la lotta di classe e la lotta tra le due linee nel partito comunista. La storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1917 al 1956 è una storia di grandi lotte di classe e di lotte tra le due linee nel partito: la borghesia e tutti i succubi della cultura borghese, i gruppi trotzkisti in prima fila, le chiamano repressione, terrore, dittatura, “purghe staliniane” e con mille altre denominazioni infamanti.

In realtà i comunisti sovietici lottarono con grande eroismo e intelligenza, tuttavia condussero sia la lotta di classe che la lotta tra le due linee nel partito con limiti che solo lo studio della loro esperienza ha messo in luce. Non raggiunsero una comprensione sufficientemente avanzata, materialistico dialettica, della lotta di classe nella società socialista né della  lotta tra le due linee nel partito. Spesso agirono alla cieca e con una mentalità metafisica. Per questo in definitiva la sinistra non riuscì ad impedire che la destra si rafforzasse fino a prendere il sopravvento nel 1956. Non era chiaro ai comunisti di allora, neanche ai comunisti sovietici, che la borghesia dei paesi socialisti si forma per influenza della borghesia internazionale (causa esterna): i seguaci della via capitalista scimmiottano i capitalisti e i loro amministratori, ma la borghesia dei paesi socialisti nasce principalmente dalla lotta in corso nella società socialista stessa (causa interna). Le sette grandi contraddizioni della società socialista indicate sopra sono altrettante sorgenti possibili della nuova borghesia.

A fronte alla natura, alle condizioni e alle forme della trasformazione propria della società socialista, l’uno si divide in due. La borghesia dei paesi socialisti è costituita dai dirigenti del Partito, dello Stato e delle altre istituzioni e organizzazioni sociali che recalcitrano a compiere i passi avanti che è possibile compiere, che imitano i metodi di direzione e di gestione borghesi, che danno soluzioni borghesi ai problemi della società socialista. A causa dei loro limiti nella comprensione di questi aspetti del socialismo, in molti casi i comunisti ritennero che gli esponenti della nuova borghesia potevano essere solo agenti degli imperialisti o infiltrati diretti dall’estero o, al contrario, accettarono come dirigenti comunisti persone che erano in realtà portavoce delle concezioni borghesi. Ritennero che se una persona si schierava oggi contro il socialismo, era da sempre un anticomunista camuffato, dalla nascita; che se era oggi veramente comunista, lo sarebbe stato per tutta la vita. Ai comunisti che oggi, armati della concezione comunista del mondo (il marxismo-leninismo-maoismo), studiano la storia dell’Unione Sovietica per imparare dalla sua esperienza, questi errori e questi limiti balzano agli occhi. Un’opera ricca di insegnamenti che ogni comunista oggi deve studiare, la Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS redatto nel 1938 sotto la direzione di Stalin, mostra chiaramente questi limiti ed errori. Su questi limiti ed errori dei comunisti nella comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe, i nemici del socialismo poterono ampiamente giocare.

Non era chiaro ai comunisti di allora, neanche ai comunisti sovietici, che proprio perché è il principale e supremo organismo dirigente della trasformazione sociale in corso, è nel Partito comunista che di fronte a ogni nuovo passaggio le mille idee e proposte di soluzioni confluiscono più o meno chiaramente in due linee contrapposte: una che se attuata porta verso il comunismo e l’altra che se attuata nuoce alla transizione al comunismo. Non era pratica universale elaborare nettamente e “fino in fondo” ad ogni fase della vita del paese e del mondo tutte le proposte fino a definire le due linee e contrapporle nettamente onde fosse chiaro che esse indicavano le due vie di sviluppo corrispondenti agli interessi antagonisti delle due classi che nell’umanità di oggi si contendono la direzione: la borghesia e il proletariato.

La lotta di classe e la lotta tra le due linee nel partito comunista è impossibile eliminarle: bisogna condurle con cognizione di causa fino alla vittoria. Quando cesseranno sarà perché il capitalismo è definitivamente superato e il comunismo è finalmente raggiunto: sarà la base da cui inizierà una nuova fase della storia dell’intera umanità.

La natura della lotta di classe nei paesi socialisti e la lotta tra le due linee nel partito comunista sono due dei sei principali apporti del maoismo alla concezione comunista del mondo - L’ottava discriminante (La Voce 10, marzo 2002 e La Voce 41, luglio 2012 - www.nuovopci.it/voce/voce10/otta2a.htm).

 

6. La transizione dell’umanità al comunismo si attua tramite rivoluzioni socialiste nei singoli paesi che formano paesi socialisti che collaborano tra loro.

 

“La rivoluzione socialista è possibile, ma deve essere internazionale, perché oramai il mondo è globalizzato, l’intero mondo è diventato un unico terreno aperto alle scorrerie dei capitalisti di tutto il mondo”. È un’altra delle obiezioni mosse alla nostra linea. In realtà è un’obiezione che anche nel movimento comunista, tra persone che tutte si dicevano comuniste, chi non voleva o non sapeva condurre la rivoluzione nel proprio paese muoveva a chi indicava o cercava la  strada (la strategia e le tattiche) per compierla.

Effettivamente la rivoluzione socialista raggiungerà il risultato che è nella sua natura solo quando l’intera umanità sarà unificata da rapporti di solidarietà e di collaborazione, nel comunismo. Questo è inscritto nella natura dei problemi che oggi l’umanità affronta. Ma andremo a questo risultato spezzando l’asservimento del mondo intero al sistema imperialista mondiale ogni volta e in ogni paese in cui il movimento comunista crea le condizioni perché gli operai organizzati prendano il potere. L’Unione Sovietica ha dimostrato quanto può fare per la rivoluzione mondiale un paese socialista che per una serie di circostanze rimane solo. La via del “socialismo in un paese solo”, impostasi contro i “compagni di strada” del Partito comunista (alla Trotzki) e contro gli elementi demoralizzati e rinunciatari rivelatisi ai vertici dello stesso Partito comunista tra dirigenti di lunga data (Zinoviev, Kamenev, Bukharin e altri), ha dato una lezione che i comunisti non devono mai dimenticare.

Il movimento comunista deve in ogni paese cercare di portare le masse popolari organizzate a prendere il potere nel proprio paese. In ogni paese in cui è in grado di farlo, il movimento comunista deve prendere il potere e rompere le catene che lo legano al sistema imperialista. Solo in questo modo creeremo la futura umanità unita da rapporti di solidarietà e collaborazione. Solo dei dottrinari o degli sciocchi non vedono quanti sono ancora le differenze materiali e spirituali tra i vari paesi, non comprendono che lo sviluppo diseguale caratterizza ancora oggi il mondo. Non a caso diciamo che ancora oggi la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti, in sostanza i gruppi imperialisti di un pugno di paesi, impone il suo dominio al resto del mondo. La storia della prima ondata della rivoluzione proletaria mostra quanto la lotta di classe in ogni paese si combina con la lotta di classe internazionale, senza mai fondersi però completamente, ma alimentandosi a vicenda.

 

Questi e altri insegnamenti possiamo e dobbiamo trarre dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria. Armare di questi insegnamenti gli operai avanzati e gli altri esponenti avanzati delle masse popolari, in particolare i giovani compagni che ignorano gran parte se non tutto della storia della prima ondata della rivoluzione proletaria, è parte irrinunciabile della rinascita del movimento comunista. È un’arma anche per prevenire la demoralizzazione che le difficoltà del nostro lavoro generano, un antidoto alle confitte dovute principalmente ai nostri limiti nell’assimilare e adottare il materialismo dialettico come metodo per conoscere il mondo (Marx, Il metodo dell’economia politica) e come metodo per trasformarlo (Mao Tse-tung, Sulla contraddizione).

Rosa L.