La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

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I comunisti e la sinistra

 

Se sentite qualcuno che si dichiara comunista e, ragionando su cosa fare, parla di cosa dovrebbe fare la sinistra anziché parlare di cosa devono fare i comunisti (e quindi di cosa fa lui stesso), drizzate le orecchie.

Oggi nel nostro paese, come a grandi linee in tutti i paesi imperialisti, esiste una sinistra borghese, composta di intellettuali e affini che sono malcontenti o addirittura indignati del corso delle cose ed escogitano e propagandano proposte di cosa si (impersonale, ovviamente!) dovrebbe fare per porvi fine. Il tratto comune (le proposte sono varie, anche molto diverse e mutevoli, quasi come oggetti del mondo virtuale ed ognuno deve vendere qualcosa di originale) è che nelle loro elaborazioni non vanno oltre l’orizzonte della società borghese (a volte hanno addirittura lo sguardo rivolto all’indietro, alla piccola produzione di vicinato di un passato idealizzato, alla Guido Viale per capirci), non riconoscono il ruolo particolare della classe operaia nella trasformazione della società attuale, considerano la dittatura del proletariato come i preti considerano le bestemmie.

Questa sinistra in Italia è una forza socialmente molto importante, perché influenza intellettualmente e moralmente le masse popolari (ha un ruolo importante in particolare nella creazione del mondo virtuale) e gode ancora di prestigio e seguito tra di esse. Socialmente si divide tra borghesia, piccola borghesia (professionisti e altri lavoratori autonomi) e proletariato (dipendenti privati e pubblici in alcuni casi ben pagati). Ma politicamente non ha autonomia: in campo politico da quando la prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita, essa è sostanzialmente a rimorchio della destra borghese, si è continuamente spostata a destra o rifugiata nel mondo virtuale. I comunisti devono avvalersi della sinistra borghese e riescono a farlo solo se sono autonomi da essa e le fanno svolgere un ruolo particolare nel loro progetto politico: la rivoluzione socialista.

I comunisti quindi partono e devono partire dal loro progetto politico, la rivoluzione socialista, la marcia di avvicinamento all’instaurazione del socialismo e poi indicano il ruolo che la sinistra borghese può e deve svolgere in questo piano e cosa intendono fare loro per indurla a svolgerlo.

Sono fuori strada quelli che (pur professandosi comunisti e perfino onestamente credendosi tali) si sentono interni alla sinistra borghese, si considerano una sua parte, lo stesso soggetto politico, alla pari. Noi comunisti siamo promotori della lotta di classe in primo luogo degli operai e in secondo luogo delle altre classi delle masse popolari (intese come indicato nel cap. 2.2. del nostro Manifesto Programma). La nostra analisi della società e il nostro piano d’attività si basano in primo luogo sulle classi sociali e il nostro piano d’attività mira a cambiare il sistema dei rapporti sociali; solo in secondo luogo consideriamo e teniamo conto degli schieramenti politici, delle opinioni, delle correnti, dei partiti e dei personaggi. Di ognuno di questi comprendiamo giustamente il ruolo, vediamo quali strade può prendere, quale cercheremo di fargli prendere e come. Le opinioni e gli schieramenti politici cambiano abbastanza facilmente, il sistema dei rapporti sociali e in particolare dei rapporti di produzione solo la rivoluzione socialista lo cambierà. Sentirsi interni alla sinistra borghese è quindi essere fuori strada. Nella lotta politica i comunisti dei paesi europei fin dalla loro creazione negli anni ’20 hanno in generale commesso l’errore di mirare all’accordo con la sinistra borghese e addirittura con la borghesia di sinistra (salvo le ricorrenti e conseguenti esplosioni di settarismo che non superano le deviazioni di destra ma sono ad esse complementari), di pretendere di andare al socialismo in accordo con essa. Di conseguenza hanno limitato la mobilitazione delle masse popolari a obiettivi e forme accettabili dalla sinistra borghese e sono stati sconfitti. È in sintesi il bilancio dei Fronti Popolari del 1936 in Spagna e in Francia e della Resistenza in Grecia, in Francia, in Belgio e in Ita lia.

Sarebbe però un grave errore anche ignorare nei nostri piani d’azione la sinistra borghese (quindi lasciarla libera di agire a rimorchio della destra borghese, come fanno quelli che ad essa si sottomettono o accodano), dato che socialmente è una forza importante, non solo numericamente, ma principalmente per l’influenza, il prestigio e il seguito che di fatto ha tra le masse popolari (anche su operai che ne parlano con disprezzo). Dobbiamo quindi assegnarle il ruolo che meglio può svolgere, più utile alla rivoluzione socialista, e stabilire come possiamo e dobbiamo indurla a svolgerlo e come essa svolgendolo si trasformerà. È quello che noi indichiamo nel nostro piano per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

Abbiamo detto sopra che “in campo politico da quando la prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita, la sinistra borghese è sostanzialmente a rimorchio della destra borghese, si è continuamente spostata a destra”.

Quindi “sinistra e destra non esistono più”, “sinistra e destra sono la stessa cosa”?

Il corso della lotta di classe inevitabilmente fa sorgere continuamente nella borghesia e più in generale nel campo delle classi dominanti una corrente di destra e una corrente di sinistra e ogni corrente si cristallizza in gruppi organizzati e in partiti ed è impersonata da personaggi più o meno “geniali”. La corrente di destra è formata da quelli che intendono mantenere le classi oppresse al loro posto con imbrogli, con la forza e la repressione. La corrente di sinistra è formata da quelli che intendono mantenerle al loro posto con imbrogli e con concessioni. In questa fase la borghesia di sinistra è debole e le sue forze diminuiscono. Quelli che predicano che “non esiste più destra e sinistra” mirano a ridurre le forze della borghesia di sinistra, sono di regola i fautori della mobilitazione reazionaria delle masse popolari, il cui bersaglio principale, in Europa come negli USA, sono gli immigrati all’interno e i popoli dei paesi coloniali all’estero.

Nei nostri piani di attività politica tesi a instaurare il socialismo, noi comunisti dobbiamo tener conto delle divisioni all’interno delle classi dominanti e trarne vantaggio. Una delle condizioni preliminari per farlo con successo è essere ideologicamente autonomi dalla borghesia (quindi basarci sulla concezione comunista del mondo) ed essere politicamente autonomi dalla sinistra borghese. La condizione decisiva è usare il materialismo dialettico come metodo di pensiero e d’azione. Il successo è la conferma di quanto lo abbiamo effettivamente assimilato e lo applichiamo.

Dario B.

**** Manchette

Le classi sociali

(Manifesto Programma, nota 4)

Attualmente chi cerca di capire a grandi linee come funziona la società, trova che in ogni paese essa è divisa in grandi insiemi chiamati classi. Ogni classe occupa nel sistema dell’attività economica della società un posto determinato e distinto e svolge un ruolo suo proprio. A grandi linee le caratteristiche di ogni classe e le sue relazioni con le altre dipendono dalla sua relazione con i mezzi di produzione e le altre forze produttive (possesso o proprietà), dal suo ruolo nella divisione sociale del lavoro, dalla parte che riceve nella divisione del prodotto sociale (i tre aspetti dei rapporti di produzione).

Secondo la classica definizione di Lenin, “si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più sanciti e fissati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per la misura della parte di ricchezza sociale di cui dispongono e per il modo in cui lo ricevono e ne godono. Le classi sono gruppi di persone, dei quali l’uno può appropriarsi del lavoro dell’altro, a seconda del differente posto da esso occupato in un determinato sistema di economia sociale” (Lenin, La grande iniziativa (1919), in Opere vol. 29).

 

Gli intellettuali

Per intellettuali intendiamo quegli individui la cui attività principale è pensare ed esprimere il pensiero in una o in alcune delle forme in cui il pensiero si esprime: scrittura e discorsi sostanzialmente, in larga misura anche cinema, teatro, arti figurative, musica e altre. Tutti gli uomini pensano: è vero. Ma la maggior parte degli uomini pensano per fare e sono indicati per queste loro attività più che per l’attività del pensare. Con l’espressione intellettuali indichiamo quelli per i quali l’attività del pensare è principale e secondarie le altre eventuali attività, quelli il cui ruolo principale nella società è pensare: sono pagati per pensare o fanno merci dei prodotti del loro pensiero. Come classe gli intellettuali appartengono alla borghesia, alla piccola-borghesia (professionisti e altri lavoratori autonomi) o al proletariato (dipendenti privati e pubblici in alcuni casi ben pagati). Grossomodo equivalgono a quelli che in un gergo più antico si indicavano e si consideravano filosofi. Si diceva (e si dice ancora) che tutti gli uomini sono filosofi e l’affermazione ha un senso ben preciso perché tutti gli individui (uomini e donne, se si considerano i generi) in qualche misura e a qualche modo pensano.

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