La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

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Il socialismo, la democrazia borghese e la democrazia proletaria

 

Nei casi migliori la democrazia borghese è un sistema in cui notabili, arrampicatori sociali e alcuni idealisti si avvalgono dell’influenza intellettuale e morale che le classi dominanti (imprenditori, proprietari fondiari, preti professionisti, funzionari e altri ricchi) hanno sulle classi oppresse e sulle donne e dell’ignoranza e dell’isolamento intellettuale in cui hanno mantenuto e costretto la massa dei membri delle classi oppresse: se ne avvalgono per avere il loro voto e la delega a rappresentarli nelle istituzioni della democrazia borghese e a comandare.

È impossibile in tali condizioni attuare le trasformazioni economiche e sociali necessarie e promuovere lo sforzo necessario per metterle in opera, dimostrare la loro efficacia e trovare le forme più adeguate perché diano i frutti necessari.

Noi comunisti possiamo e dobbiamo promuovere la partecipazione universale al patrimonio intellettuale, all’organizzazione e all’attività sociale, alla gestione della società. Quindi possiamo e dobbiamo promuovere l’eguaglianza degli uomini. Oggi gli uomini non sono eguali, possono diventare eguali, bisogna che diventino eguali perché il futuro dell’umanità, il sistema di relazioni sociali che corrisponde al carattere sociale delle forze produttive e delle condizioni della loro vita materiale (abitazioni, trasporti, servizi pubblici, insomma la stretta connessione tra individui e tra famiglie caratteristica della società moderna) richiede che l’umanità diventi un’associazione in cui il pieno e libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del pieno e libero sviluppo di tutti (Manifesto del partito comunista, 1848, cap. 2).

Proclamare che gli uomini sono già eguali porta a lasciare quelli che sono oppressi ed emarginati nella loro attuale condizione di oppressione ed emarginazione. Le costituzioni borghesi proclamano l’eguaglianza degli uomini. La Costituzione della Repubblica italiana, in vigore dal 1° gennaio 1948, impegna addirittura lo Stato (quindi la Pubblica Amministrazione) a rimuovere le condizioni che impediscono l’eguaglianza. A 68 anni di distanza, ognuno può constatare cosa ne è risultato. Cattiva volontà? Volontà di eludere il dettato della Costituzione? Certamente. Ma proprio per questo quindi bisogna domandarsi perché e chi ha soffocato la volontà e gli sforzi per realizzarlo.

La risposta è che esistono forze potenti e dominanti i cui interessi materiali, le cui abitudini di vita, i cui privilegi, il cui mondo ideale sarebbero distrutti dalla realizzazione dell’eguaglianza. Esse hanno quindi impedito che gli sforzi tesi a realizzare l’eguaglianza prevalessero. Per realizzare l’eguaglianza bisogna quindi eliminare le condizioni base del loro dominio. Bisogna anzitutto distinguere da una parte la proprietà dei lavoratori diretti (contadini, bottegai, trasportatori, taxisti, artigiani, altri lavoratori autonomi) sui mezzi del proprio lavoro e la proprietà dei singoli sulle abitazioni e altri beni durevoli usati direttamente e dall’altra la proprietà dei capitalisti, del clero, dei ricchi e delle loro istituzioni e associazioni sulle aziende che producono beni e servizi, sulla terra, sulle abitazioni, su altre infrastrutture e reti di servizi. Abolire questa proprietà dei capitalisti, del clero e dei ricchi e delle loro istituzioni e associazioni è creare un pilastro indispensabile del socialismo. Quanto all’altro tipo di proprietà, essa costituisce un capitolo a parte, più strettamente legato alle particolarità dei casi e delle regioni. È comunque un capitolo subordinato alla realizzazione del pilastro appena detto del socialismo (la proprietà pubblica) ed un capitolo che deve essere “scritto” con il consenso e la mobilitazione dei diretti interessati che nel nostro paese sono una parte importante delle masse popolari. Il regime delle loro proprietà tuttavia cambierà perché esse dipendono per mille vie (acquisti e vendite, crediti, mezzi di produzione, tecnologie, ecc.) dalle proprietà delle classi dominanti che vengono confiscate e che con la confisca diventano patrimonio e proprietà pubblica. Bisognerà quindi trovare con i diretti interessati un nuovo regime.

Per abolire la proprietà delle classi dominanti occorre un potere politico, uno Stato e una Pubblica Amministrazione  che non solo dichiari ma attui l’abolizione prendendo in mano la gestione o creando gli organi della gestione di questo nuovo patrimonio pubblico a beneficio della massa della popolazione. L’instaurazione di questo potere è il primo passo e il primo pilastro del socialismo.

 

**** Manchette

Il nostro partito non è un partito democratico, almeno nel senso che comunemente si dà a questa parola. È un partito centralizzato a livello nazionale  ... Centralizzazione vuol dire principalmente che ... tutti i membri del partito, ognuno nel suo ambiente, sono posti in grado di sapersi orientare, di saper trarre dalla realtà gli elementi per stabilire una direttiva affinché la classe operaia ... senta di essere guidata e di poter ancora lottare. (A. Gramsci, Introduzione al primo corso della scuola interna di partito)

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Da qui i due pilastri del socialismo: il potere in mano alla parte rivoluzionaria e organizzata del proletariato (lo chiamiamo dittatura del proletariato) e la proprietà e gestione pubblica delle aziende produttrici di beni e servizi, delle abitazioni, delle terre e delle reti confiscate ai capitalisti, al clero, ai ricchi e alle loro istituzioni e associazioni. Questi due pilastri sono la premessa per la creazione del terzo: una multiforme attività che promuove l’universale partecipazione della massa della popolazione al patrimonio intellettuale, alle attività culturali e ricreative e alla gestione della società e delle aziende, delle abitazioni, delle reti dei servizi e del territorio e l’universale educazione delle nuove generazioni alle attività che ne derivano. Questa è la democrazia proletaria. Essa implica anche la realizzazione di quella democrazia che nella società borghese nel migliore dei casi è proclamata ma che comunque resta immaginaria.

Questi sono i tre pilastri, le tre componenti del socialismo che vogliamo instaurare.

Quando parliamo di socialismo, dobbiamo curare che sia chiaro che di questo parliamo. Quando ci chiedono cosa vogliamo fare, cos’è il socialismo di cui parliamo, dobbiamo essere pronti a illustrare quanto detto sopra, dicendolo nella lingua delle persone con cui parliamo, illustrandolo con gli esempi tratti dalla loro vita e dal contesto in cui essi vivono. Il risanamento delle piaghe sociali del nostro tempo passa attraverso l’instaurazione del socialismo. Ogni discorso e proposito di eliminare la criminalità, la malavita, l’abbrutimento, la corruzione, il parassitismo e l’oppressione sulle donne e sui giovani, senza instaurare il socialismo è campato in aria: se non è un imbroglio, è un’illusione. Un lavoro utile e dignitoso per ogni adulto disposto a lavorare e un’educazione accurata senza risparmio di mezzi per le nuove generazioni sono il principale e indispensabile rimedio al degrado morale, intellettuale e sociale, alla criminalità, alla malavita, al parassitismo e all’abbrutimento.

Tonia N.