La Voce  57 - anno XIX, novembre 2017 - in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

del (nuovo)Partito comunista italiano

Clandestinità e Stato Maggiore della guerra rivoluzionaria popolare

Tra il primo PCI (e prima ancora il PSI) e il (nuovo)PCI, vi è la differenza che c’è, usando un’allegoria, tra

un assieme organizzato di tutti gli ammalati che vogliono curarsi e che si curano al meglio delle loro capacità,

un assieme organizzato di medici e infermieri (e di allievi medici e infermieri) a formare un efficiente organismo che cura e mobilita gli ammalati a praticare la cura e a imparare a prevenire la malattia.

La storia ha dimostrato l’impotenza rivoluzionaria del PSI e del primo PCI: ambedue sono passati attraverso le condizioni sociali più varie senza instaurare il socialismo. Noi costruiamo il Partito come Stato Maggiore della guerra popolare rivoluzionaria (GPR). Il (n)PCI è un partito clandestino legato alla classe operaia e alle masse popolari dalle relazioni proprie di un partito clandestino: il Partito di Lenin e di Stalin hanno dimostrato quante e quanto forti e fruttuose possono essere tali relazioni.

La clandestinità è una concezione, uno stile di vita, una tecnica. Cosa significa?

Che la clandestinità del partito comunista è una concezione, significa che è un aspetto della concezione complessiva della lotta di classe e della rivoluzione socialista. L’esito fallimentare del movimento socialista prima e del movimento comunista poi, dei paesi imperialisti, ci ha portato a capire che il partito comunista deve essere promotore della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e quindi clandestino. È uno dei temi sviluppati in VO n.1 (marzo 1999) e in vari articoli dei numeri successivi di VO. Il vecchio movimento socialista prima e comunista poi dei paesi imperialisti, era fatto di organismi pubblici (la democrazia borghese lo consentiva) e svolgeva solo attività pubblica salvo che nei casi in cui il nemico gliela vietava. Nella sua attività emerge continuamente (e in particolare nei momenti di maggior fermento e attivismo delle masse) uno stacco tra l’iniziativa spontanea e la capacità del Partito di incanalarla, valorizzarla e dirigerla (donde Renzo Del Carria dedusse che i proletari italiani erano stati Proletari senza rivoluzione addirittura a causa dell’esistenza del partito).

Che la clandestinità è per ogni membro del (n)PCI uno stile di vita, significa che ogni membro del (n)PCI deve abituarsi ad avere due vite, a mostrare ai familiari, ai vicini e al pubblico un volto (come alcuni dicono, la “maschera”), ma averne anche un secondo (di membro del (n)PCI) sulla base del quale regola il primo: sceglie chi frequenta, con chi convive e vive, che lavoro fa, le altre scelte della sua vita. Se è in “clandestinità totale”, si costruisce un copione adatto e pubblicamente si comporta di conseguenza, recita. In entrambi i casi, non deve destare sospetti, deve imparare a controllare parole, espressioni, sentimenti, manifestazioni, ecc. È una persona con due vite: il contrario di uno che si lascia vivere, che si lascia dirigere dalla mamma, dall’amante, ecc. È per eccellenza una persona che sa fingere, mentire, ecc. Solo con il Partito (nella sua istanza e verso le istanze superiori) è leale ed è un libro aperto.

Che la clandestinità è una tecnica, significa che comporta la conoscenza e l’impiego di tecniche (per non farsi reperire, per non lasciare impronte e tracce, per eludere i controlli, per fabbricare documenti, ecc.). Ovviamente non significa che ogni membro del (n)PCI deve imparare ogni tecnica. Significa che il Partito deve disporre di compagni esperti nelle varie tecniche, che ogni compagno che per motivi professionali o familiari conosce tecniche o può conoscerle, deve metterle a disposizione del Partito, ecc.

 

A proposito dello stile di vita, vale la pena fermarsi un momento sulle relazioni sentimentali e sessuali e sulla fami glia.

In Italia la questione della famiglia (e il complesso delle relazioni sentimentali e sessuali) è particolarmente intrisa dalle concezioni clericali diffuse dal Vaticano, su cui si innesta l’azione di diversione e di intossicazione fatta dagli anni ’60 in qua dalla borghesia (e dalla sinistra borghese con la sua “cultura alternativa”). È un problema che noi comunisti italiani dobbiamo pertanto trattare con una particolare attenzione, apertamente e senza riserve, con spirito sperimentale e dialettico, nel quadro della Riforma Intellettuale e Morale dei membri del Partito.

Analizzando la situazione emerge che in base alle fasce d’età si presentano specifiche problematiche da trattare su questo versante:

- per gli adulti, problematiche inerenti il rapporto con la famiglia d’origine e con la famiglia che si sono costruiti,

- per gli adulti che si stanno costruendo una famiglia, problematiche inerenti la convivenza e l’avere o non avere figli,

- per i giovani, problematiche inerenti le relazioni sessuali e sentimentali e il rapporto con la famiglia d’origine.

Nell’affrontare queste problematiche con i nostri compagni bisogna partire dal ruolo che vogliono assumere nella lotta rivoluzionaria. È sulla base di questo aspetto (centralità dell’aspetto politico) che trattiamo poi le diverse questioni inerenti la sfera personale (come regolare i rapporti personali).

Questa è una tematica che attiene infatti alla trasformazione in classe dirigente e al superamento dello “stato brado” (farsi guidare dagli istinti e dal senso comune nei rapporti personali, subire le pressioni sociali: genitori, amanti, fidanzati, coniugi, figli, amici). Ci sono cose “socialmente oggettive” che noi sconvolgiamo e che dobbiamo sconvolgere per raggiungere il nostro obiettivo: noi siamo fautori e promotori di una società che non esiste ancora. Bisogna contrastare anche su questo versante l’idea che i comunisti sono i migliori esponenti delle masse popolari (fanno quello che fanno le masse popolari, ma meglio). In realtà sono coloro che dirigono le masse popolari a fare cose che esse non sanno fare e che da sole non farebbero (rivoluzione socialista, instaurazione del socialismo, transizione al comunismo). Uno dei tratti dell’essere classe dirigente è avere (costruirsi) una personalità dirigente: stima di sé, impostare un giusto rapporto con gli altri, saper valutare le persone, saper dirigere e comandare (per dirigere efficacemente bisogna capire o almeno sentire quello che è nel cuore e nella mente delle persone che dirigiamo), saper consigliare al momento giusto, sapere cosa dare agli altri per farli crescere e valorizzarli nella nostra impresa, differenziare se stessi dagli altri (ossia analizzare le cose e seguire una condotta autonoma e non al carro del senso comune e dell’opinione corrente, unirsi alle masse ma andare controcorrente).

Quanto ai rapporti sentimentali e sessuali, ci sono quattro diversi stati.

- Astinenza: oggi nei paesi imperialisti la borghesia promuove tra la popolazione un forte e pervasivo incitamento al sesso (con ricadute particolari sulla condizione delle donne). I rapporti sessuali sono più diffusi di quanto lo fossero alcune decine di anni fa. Questo determina anche problemi di formazione della personalità di un individuo (fragilità psicologica): uno che va in crisi se non ha rapporti sessuali, è uno che non sta in piedi, non riesce a essere un buon dirigente del movimento comunista. Un membro dello Stato Maggiore della GPR deve saper affrontare anche una situazione di astinenza sessuale prolungata, oltre che di autonomia intellettuale, sentimentale e di vita corrente.

- Se un compagno o compagna non ha una relazione stabile, non pone problemi che abbia rapporti sessuali senza implicazioni in termini di relazione di coppia, come momenti di relax: è importante però che tenga conto non solo di sé ma anche di cosa il rapporto significa per l’altro.

- Una relazione stabile di coppia con o senza coabitazione, deve essere impostata, vissuta e gestita da ognuno sulla base del ruolo che ognuno dei due svolge nella lotta di classe, con responsabilità, curando il rapporto intellettuale, sentimentale e di vita corrente tra i due.

 - La famiglia implica oltre a una relazione stabile di coppia, una vita sociale come coppia, coabitazione ed eventualmente figli.

Per quanto riguarda i compagni che vogliono avere figli, dobbiamo imparare a chiedere “perché vuoi avere figli?” (cosa che noi oggi facciamo ancora poco). Dietro ci sono una concezione dell’uomo e della donna e una mentalità. In passato fare figli era una necessità di perpetuazione del gruppo sociale, di disponibilità di forza-lavoro e di soldati. Vi era quindi una forte pressione sociale proveniente da un bisogno reale. L’eredità di questo percorso storico è “che bisogna fare figli” per essere una vera donna, un vero uomo, una vera famiglia. Questa è una concezione legata a un passato che non c’è più. Anche il ritorno alla teoria della biologia (“fare figli è un istinto umano biologico”) è espressione di una regressione culturale, smentita dall’esperienza. Avere o non avere figli non è una decisione da prendere a cuor leggero, non può essere una scelta arbitraria: oggettivamente con un figlio non ti puoi dedicare allo stesso modo alla lotta rivoluzionaria (a meno che non hai qualcun altro che se ne occupa interamente). I bambini bisogna curarli e formarli e questo assorbe tempo ed energie, a maggior ragione oggi che le “famiglie allargate” (nonni, zii, ecc. che vivono nella tua stessa abitazione o nella tua stessa zona) non esistono più e che la borghesia ha abbandonato la formazione a un sistema irresponsabile (TV, Internet, film, giochi, pubblicità, ecc.). A scanso di equivoci la rete di supporto va concepita come una cosa ausiliaria, non è lo strumento principale per la cura dei figli (delegare agli altri la cura del proprio figlio). Ed essa è reciproca, non a senso unico: bisogna ricambiare. La conclusione è che i membri del Partito (anche quelli che non sono nella clandestinità totale) di regola non devono avere figli: da questo punto di vista V.I. Lenin e N. Krupskaia sono un esempio, tanto più significativo visti l’epoca e il contesto in cui vissero. Ovviamente se uno ha già figli o ne fa una malattia e vuole a tutti costi averne, dobbiamo trovare delle mediazioni e cercare il modo di valorizzarlo e spingerlo in avanti anche in quella situazione.

Rosa L.