La Voce  57 - anno XIX, novembre 2017 - in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

del (nuovo)Partito comunista italiano

Alle origini del vecchio PCI

In Italia alla vigilia della costituzione del PCI i comunisti erano capeggiati da Gramsci. Questi “a suo modo” si era posto alla testa del movimento comunista cosciente e organizzato italiano. Espressione del ruolo da lui assunto è lo scritto Per il rinnovamento del Partito socialista italiano pubblicato su L’Ordine Nuovo 8 maggio 1920 (vedi l’antologia L’Ordine Nuovo 1919-1920 Einaudi 1975 pagg. 116-123,), contemporaneo quindi allo scritto di Lenin L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo. Le tesi di Gramsci furono presentate a nome della Sezione socialista di Torino al Consiglio nazionale di Milano del PSI (1920). Lenin quando conobbe lo scritto di Gramsci lo indicò come “l’unica posizione accettabile per quanto riguarda il PSI”: “la critica e le proposte pratiche ... corrispondono pienamente a tutti i principi fondamentali della III Internazionale” (Lenin, Tesi sui compiti fondamentali del II Congresso dell’IC 4 luglio 1920, cap. 3 punto 17 - in OC, vol. 31 Editori Riuniti 1967 pag. 192). Ma Gramsci non osò ancora assumere la responsabilità di dirigere il movimento comunista. Egli era ancora frenato, oltre che da problemi di personalità,(1) dalla sua errata concezione dei Consigli di Fabbrica, allora in pieno sviluppo (l’occupazione delle fabbriche e la disfatta del movimento dei Consigli avvennero nel settembre 1920). Sostanzialmente Gramsci considerava ancora il movimento operaio come pratica da cui veniva la scienza che avrebbe guidato il proletariato nella rivoluzione socialista e nel costruire il nuovo mondo (la nuova società, il socialismo fase di transizione dal capitalismo al comunismo). In contrasto con il fatto che “la storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa (tradeunionistica), cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. Per la loro posizione sociale, gli stessi fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli intellettuali borghesi. Anche in Russia la dottrina teorica del movimento comunista sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali socialisti rivoluzionari.” In questo campo, nel 1920 Gramsci era ancora distante dal leninismo. Lenin aveva chiaramente affermato questa concezione fin dal 1902, Che fare? cap. 2a (OC, vol. 5 ER 1958 pag. 346). È quindi il partito comunista, di cui fanno parte anche gli operai comunisti, che aggrega attorno a sé gli operai avanzati. Del partito comunista fanno parte gli operai comunisti. Il partito comunista aggrega attorno a sé gli operai avanzati, le avanguardie di lotta. I Consigli sono l’organismo degli operai avanzati: con i Consigli questi aggregano attorno a sé la massa degli operai. I Consigli sono gli organismi del loro potere, organi del nuovo Stato (che per questo nella letteratura comunista è denominato dittatura del proletariato, come lo Stato attuale è denominato dittatura della borghesia).

 

1. Di essi qui non mi occupo, ma essi sono un caso storico esemplare per capire l’importanza politica dei problemi di personalità dei membri del Partito. Noi li affrontiamo con la Riforma Intellettuale e Morale e con i processi di Critica-Autocritica-Trasformazione.

 

Contrariamente a Gramsci, Amadeo Bordiga non concepiva il movimento dei Consigli come pratica da cui viene la scienza del movimento comunista, ma non li riconosceva neanche come organismi del potere del proletariato. Concepiva il partito comunista come centro del potere, organo del potere, depositario del potere. Ma così lo isolava dalla vera  fonte del nuovo potere, del nuovo Stato.

Ciò che unisce i membri del partito comunista è l’essere portatori del marxismo (e in particolare del materialismo dialettico) e padroneggiarlo, cioè usarlo. Per fondare un simile partito Lenin nel 1920 reputava inevitabile la rottura con i “comunisti di sinistra” e Bordiga e la sua corrente astensionista ne facevano parte. Lenin riteneva che i “comunisti di sinistra” prima o poi sarebbero “ritornati all’ovile”, ma per costituire un partito comunista all’altezza del suo ruolo nel movimento proletario rivoluzionario in corso bisognava costituirlo senza temere il loro distacco.

Lenin in L’“estremismo” e in altri scritti dell’epoca afferma però chiaramente che ciò che unisce il movimento proletario rivoluzionario in corso, a differenza di ciò che unisce il partito comunista, è (e deve essere) l’essere fautori e creatori del potere sovietico (del potere dei Consigli).

 

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Si sente la mancanza del vecchio PCI “nonostante i suoi limiti”? No, si sente la necessità di un partito comunista che superi quei limiti! Lettera alla Redazione Resistenza n. 11-12/2017 pag. 7

Pietro Secchia e due importanti lezioni Rosa L. in La Voce n. 26 luglio 2007 pagg. 43-64

Agosto 1917: La rivolta di Torino da Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria, Nuove Resistenti n. 649 - 7 novembre 2017

 

Imparare dalle sconfitte per vincere!

Il ricordo del vecchio PCI è ancora nel cuore di decine di migliaia di lavoratori.

A ragione essi e noi con loro lo ricordiamo perché ha ispirato in milioni di lavoratori fiducia in se stessi e l’orgoglio di far parte della propria classe e del movimento comunista mondiale, perché il suo nome è legato al ricordo delle più grandi conquiste che i lavoratori hanno strappato ai capitalisti.

Ma per porre fine al catastrofico corso delle cose dobbiamo capire perché con il vecchio PCI non abbiamo instaurato il socialismo.

Dividere l’uno in due per conquistare il futuro!

 

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Il potere viene tolto ai circoli borghesi, comunque i borghesi siano organizzati (in clientele attorno a notabili o in partiti) e comunque essi aggreghino attorno a sé le masse che riescono a dominare e comunque dirimano le divergenze tra di loro stessi (con le elezioni a suffragio più o meno allargato con le quali ogni gruppo politico borghese misura la sua forza (e gli altri gli riconoscono la forza) dal numero di elettori che riesce a raccogliere o in altri modi).

Il potere viene assunto dai Consigli formati dagli operai avanzati aggregati, almeno in larga misura, attorno al partito comunista e capaci in ogni azienda e in ogni località di trascinare e mobilitare la massa degli operai e tramite essi le masse popolari. Questa è la democrazia proletaria che nega, continua e supera la democrazia promossa dalla borghesia. Quest’ultima è stata un grande progresso storico le cui potenzialità raggiunsero il massimo sviluppo successivamente, nei paesi imperialisti nel periodo del capitalismo dal volto umano (1945-1975). Essa affermava l’eguaglianza degli individui ma manteneva le differenze di classe che escludono la massa della popolazione dalla comprensione delle relazioni sociali e dalla direzione della vita della società. Questa è sostanzialmente affidata alla combinazione (alla risultante) dell’azione indipendente dei molti capitalisti ognuno dei quali è mosso principalmente dal bisogno di valorizzare il suo capitale (in sostanza è affidata a quella che gli economisti classici avevano chiamato “la mano invisibile del mercato”), donde l’inconsistenza delle concezioni basate sul “piano del capitale” con cui i capitalisti dirigerebbero consapevolmente il corso delle cose (tesi fondante della Scuola di Francoforte).

Noi comunisti siamo fautori dell’eguaglianza degli esseri umani: riconosciamo che essa è possibile e necessaria. Ogni  essere umano è in grado (salvo eccezioni) di conoscere, di imparare a fare e di fare. La produttività del lavoro raggiunta nel periodo del capitalismo rende possibile (e lo sviluppo delle forze produttive fino a formare un meccanismo collettivo rende necessaria) la partecipazione cosciente e responsabile della massa della popolazione alla conoscenza e alla direzione della vita della società. Noi comunisti lavoriamo quindi a rimuovere le condizioni che anche nelle più ricche e progredite società borghesi, proprio a causa della divisione della popolazione in classi sociali, impediscono l’accesso della stragrande maggioranza degli esseri umani alla conoscenza, alla comprensione e alla direzione delle attività della società.

Nella rivoluzione socialista e nel socialismo la classe operaia deve tuttavia svolgere un ruolo particolare.

Chiamiamo rivoluzione socialista il rivolgimento della società, la lotta di classe che sfocia nell’instaurazione del socialismo: essa ha per sua natura la forma della guerra popolare rivoluzionaria, intesa come illustrato nel nostro Manifesto Programma cap. 3.3. Chiamiamo socialismo la fase di transizione dal capitalismo al comunismo, seguendo l’uso introdotto da Marx (Critica del Programma di Gotha, 1875). L’obiettivo e il risultato ultimo del socialismo è l’estinzione della divisione in classi sociali e il superamento delle differenze, dei sentimenti, delle concezioni e delle relazioni connesse con la divisione in classi sociali.

In che senso e perché la classe operaia ha un ruolo particolare, tra le classi in cui è divisa la società borghese, nella rivoluzione socialista e nel socialismo?

Il salto epocale che l’umanità sta facendo da duecento anni a questa parte è il passaggio da uno stato in cui la stragrande maggioranza degli esseri umani si procurava di che nutrirsi, proteggersi dalle intemperie e riprodurre la specie strappandolo personalmente alla natura, a uno stato in cui ciò che la specie umana usa è prodotto da un meccanismo nazionale e tendenzialmente mondiale di unità produttive connesse tra loro e la stragrande maggioranza degli esseri umani riceve di che vivere (e in generale ognuno riceve quello che usa personalmente) grazie al posto e al ruolo che occupa in questo meccanismo produttivo. Nella società borghese le unità costitutive del meccanismo sono proprietà privata di ognuno dei capitalisti e costituiscono il suo capitale (sintetizzabile e rappresentabile in una certa quantità di denaro) e ognuno di loro deve dirigere le unità di cui è proprietario cercando di aumentare il suo capitale: questo compito gli è imposto dalla concorrenza degli altri capitalisti. Nella società comunista tutto il meccanismo produttivo è proprietà comune ed è gestito (diretto, rinnovato e usato) dalla società stessa che si dà le istituzioni e le regole a questo fine necessarie. Questa è la trasformazione nei rapporti di produzione che l’umanità deve compiere.

Tra tutte le classi della società borghese gli operai costituiscono quella che è in massa più ricettiva della concezione comunista del mondo e capace di farne la sua bandiera nella lotta contro la borghesia per instaurare il socialismo. Cosa la rende tale?

1. Già nella società borghese la maggior parte degli operai lavora in un collettivo (l’unità produttiva, l’azienda, la fabbrica) composto da molti lavoratori ognuno dei quali fa e bisogna che faccia la sua parte; solo grazie al fatto che ognuno fa la sua parte, gli altri possono fare la loro. Nessun lavoratore produce tutto o anche solo gran parte di quello che individualmente consuma: ognuno vive di cose quasi tutte prodotte da aziende del meccanismo produttivo diverse da quella in cui lui svolge la sua attività. Lo sviluppo tecnologico libera sempre più il singolo lavoratore anche dall’asservimento intellettuale a un singolo mestiere: è il tema che Marx aveva previsto (ne tratta nei Grundrisse del 1858 nei termini di indifferenza dell’operaio al contenuto di ognuno dei lavori particolari che esegue nel corso della sua vita) e che Gramsci sviluppa dettagliatamente in uno dei suoi Quaderni del carcere (Quaderno 22 Americanismo e fordismo steso nel 1934, in particolare nella nota 12).

2. Anche per soddisfare i suoi bisogni elementari e comunque previsti dalla mentalità corrente (senso comune), di uso  corrente, oltre che per le sue condizioni di lavoro l’operaio è direttamente contrapposto al capitalista, quindi la classe operaia è contrapposta alla borghesia che è, tra tutte le classi possidenti, sfruttatrici e dominanti, quella che dirige l’intera società e in particolare il meccanismo produttivo sociale nel quale l’operaio deve trovare un posto. Quindi gli operai sono in massa posti in una condizione tale che il nemico particolare e diretto di ogni operaio è membro della classe che è anche responsabile dell’andamento delle cose dell’intera società (il nemico particolare e diretto del singolo operaio è il nemico universale). Per liberare se stessi dall’oppressione e dallo sfruttamento dei capitalisti, gli operai devono liberare tutta l’umanità dal modo di produzione capitalista.

3. Le condizioni particolari del loro lavoro obbligano gli operai a coalizzarsi, a imparare a organizzarsi e a lottare. Questo fa degli operai un settore della popolazione abituato a organizzarsi e a lottare. I capitalisti stessi li aggregano in unità più o meno grandi. In Italia nel 2011 i dipendenti in Unità Locali (private e pubbliche) con 50 o più addetti erano circa 5 milioni su una popolazione adulta (maggiore di 15 anni) di circa 50 milioni (di circa 38 milioni se si tolgono anche i maggiori di 65 anni).

Questo fa della classe operaia la classe che guidata dai comunisti traghetterà l’intera umanità nel comunismo. Ma è un errore ritenere che è dalla sua pratica che viene la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia. Questo errore ai fini della costituzione e del ruolo svolto dal vecchio PCI del 1921 è stato un errore di grande importanza. All’impotenza rivoluzionaria del PSI, quando la borghesia, la monarchia e il clero non si erano ancora ripresi dalla crisi politica e coalizzati per la soluzione fascista delle loro relazioni con le masse popolari, è succeduta infatti l’impotenza rivoluzionaria del PCI guidato dai comunisti “di sinistra”.

Tonia N.