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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - novembre 2018

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano

Letteratura sul partito clandestino

Ivan V. Babuskin militante bolscevico

  

Cari compagni della Redazione,

ho appena concluso la lettura del libro Ivan V. Babuskin militante bolscevico (edizioni Lotta Comunista) e ho deciso di scrivervi subito per proporvi di farlo conoscere e di consigliarlo ai membri, candidati e collaboratori del (n)PCI. Ritengo infatti che è un libro estremamente interessante, istruttivo e avvincente, che fomenta la “passione per la cospirazione”, per l’attività clandestina, per lavorare con creatività e tenacia alla costruzione del Partito, per arrivare a radicare il nostro Partito tra gli operai avanzati e procedere così nel suo “consolidamento e rafforzamento”, fino a farlo diventare lo Stato Maggiore che guiderà la classe operaia e il resto delle masse popolari a fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Il libro non è una biografia di Babuskin che mitizza le sue gesta e quelle di altri bolscevichi. È un libro scritto da lui stesso nei primi anni del Novecento (Babuskin venne ucciso dai soldati zaristi nel 1906) su richiesta di Lenin, con cui collaborava nell’Iskra, affinché facesse conoscere l’attività svolta nella costruzione del Partito, come esempio da seguire per gli altri bolscevichi e come stimolo per altri compagni a unirsi a loro. In sintesi come strumento di propaganda finalizzato a promuovere l’emulazione socialista.

Il libro tratta del lavoro di costruzione e di radicamento del Partito tra la classe operaia svolto alla fine dell’Ottocento, quando cioè il movimento comunista (“socialdemocratico” si chiamava allora) in Russia aveva iniziato a muovere i suoi primi passi ed era ancora piccolo e disorganizzato, composto da tanti circoli divisi tra loro ideologicamente e organizzativamente (il Partito venne fondato solo diversi anni dopo, nel 1898), con scarsi legami con la classe operaia (altro che “il partito deve nascere grande”!) e con la necessità da un lato di condurre una lotta ideologica serrata per distinguersi ed emanciparsi più nettamente dai populisti della Narodnaja volja (società segreta che praticava attentati come principale forma di lotta contro lo zar e che all’epoca godeva di grande prestigio tra i rivoluzionari russi, in particolare nella giovane leva), dall’altro di fronteggiare la repressione feroce, spietata, condotta dal regime zarista contro i rivoluzionari.

Babuskin non nasconde le difficoltà incontrate ed è proprio per questo che si tratta di un libro utile e istruttivo, in grado di “dirci molto”, in particolare per il lavoro che svolgiamo in questa fase di “consolidamento e rafforzamento” del Partito in cui l’aspetto centrale è il reclutamento di operai avanzati e la costruzione di Comitati di Partito (CdP) nelle aziende capitaliste. Sembra a tratti di fare una conversazione con un vecchio compagno ricco di esperienza e saggezza, che ha molto da insegnare e con il fuoco della rivoluzione che gli arde dentro, che ti guarda con lo sguardo profondo, intenso e allo stesso tempo ricco di sogni e fiducia nell’avvenire, sguardo che ti cattura e ti suscita profondo rispetto, occhi incastonati come due gemme nel volto dalla pelle dura segnato dalle mille lotte condotte.

  

  Il libro inizia con il reclutamento del giovane Babuskin: operaio di Pietroburgo venne lentamente avvicinato, vagliato, coinvolto da operai socialdemocratici (comunisti) che lavoravano nella sua azienda e che, clandestinamente, portavano avanti la loro militanza. Il primo capitolo del libro, che descrive l’opera di reclutamento condotta da questi compagni su di lui, mi ha molto ricordato quanto scritto nell’articolo pubblicato su La Voce n. 58 Sul reclutamento (pag. 62). Dopo aver capito che Babuskin era un ragazzo sveglio e serio, hanno iniziato a “seguirlo con attenzione”, a stringere il rapporto con lui, a “coltivarlo”, a fargli discorsi sullo sfruttamento a cui erano sottoposti dal padrone, sulle condizioni di vita intollerabili, sulla paga misera, sui ritmi di lavoro sfibranti, ecc. (fino a quel momento lui vedeva solo la necessità di sopravvivere e non si poneva tutte queste questioni, “stringeva i denti e andava avanti”). Poi nel corso delle settimane sono arrivati a parlare delle lotte operaie condotte negli anni precedenti (allargando così ulteriormente la sua visuale: erano cose che non aveva mai sentito!) e della necessità di organizzarsi per strappare al padrone migliori condizioni di lavoro. In questo crescendo di ragionamenti, che già di per sé modificavano in una certa misura la visione (coscienza) che Babuskin aveva delle cose, gli operai comunisti hanno man mano iniziato ad inserire nei discorsi anche attacchi contro lo zar, i nobili, il clero, contro il loro sfarzo, il loro disprezzo per il popolo affamato, ecc. e contro gli agenti delle forze dell’ordine e le spie che li difendevano. L’insieme di questi discorsi, nuovi per Babuskin, infiammavano la sua testa, il suo cuore e iniziavano a dare ordine ai suoi pensieri, a quella rabbia che gli covava dentro ma che non riusciva a decifrare, a capire contro cosa incanalarla e per costruire cosa: era “furia cieca”, rabbia senza coscienza.

Arrivò il giorno in cui uno degli operai comunisti lo invitò ad andare a casa sua la domenica successiva per passare del tempo assieme: qui Babuskin lesse il suo primo volantino clandestino. I discorsi che aveva sentito fino a quel momento, trovarono in quel volantino che lesse tutto d’un fiato, emozionato, un’esposizione organica, un’argomentazione libera, netta, incalzante, che indicava i motivi della lotta e la via da seguire. Fu quella la sua “iniziazione”, fu quello il momento in cui egli decise di “diventare uno di loro”. O meglio: grazie al lavoro fatto precedentemente su di lui dai compagni, quella fu “la goccia che fece traboccare il vaso”, la “spinta giusta data nel momento giusto”.

Iniziarono così le riunioni clandestine di formazione sulla concezione comunista del mondo, tenute in piccoli gruppi (detti circoli) sotto la guida di intellettuali marxisti (tra cui un giovane che non si chiamava ancora Lenin!), in cui veniva illustrata la teoria marxista e si sviluppava un’ampia discussione su di essa. Attraverso questa formazione ideologica Babuskin eleva la sua coscienza: comprende la filosofia della storia, l’economia politica, l’origine del capitalismo e in cosa consistono il socialismo e il comunismo. La formazione trasforma il suo modo di pensare, rafforza la sua coscienza e la sua determinazione. Non è più la “bestia da soma” senza coscienza di qualche mese prima, ora è un rivoluzionario. Il metodo usato dai dirigenti durante queste riunioni non è accademico, ma favorisce la trasformazione di Babuskin e degli altri compagni in propagandisti: gli alunni erano stimolati infatti non solo a chiedere spiegazioni per i concetti non chiari, ma anche a illustrare quanto compreso.

In queste riunioni clandestine di formazione, Lenin legava sistematicamente il generale al particolare, all’esperienza diretta di Babuskin e degli altri operai: lo faceva anche sottoponendoli a numerose domande sulla situazione in fabbrica, sul loro reparto, sugli altri reparti, sul numero di operai, sulle condizioni di lavoro, sui turni, ecc. (la nostra “inchiesta sulle aziende capitaliste”!), assegnando loro anche compiti da svolgere (inchieste da fare sul posto di lavoro) per rendere l’analisi ancora più precisa e funzionale: in fabbrica Babuskin riempiva la sua cassetta degli attrezzi di appunti ed escogitava i più svariati modi per recarsi negli altri reparti a raccogliere informazioni.

  È attraverso questo lavoro certosino di inchiesta e di sviluppo del legame con Babuskin che nel 1894 avvenne un importante salto di qualità: Lenin stese assieme a Babuskin il primo volantino di propaganda per gli operai di Pietroburgo. Con questo volantino (della cui diffusione clandestina si occupò lo stesso Babuskin) il movimento socialdemocratico a Pietroburgo passò dal lavoro di formazione nei circoli (con la produzione di opuscoli che alimentavano il dibattito tra i diversi gruppi di socialdemocratici) all’intervento tra la classe operaia attraverso la propaganda clandestina. Non solo: questo volantino fu un duro colpo che Lenin diede alle correnti economiciste secondo cui agli operai bisognava parlare solo delle condizioni di lavoro, del salario, della giornata lavorativa, ecc. e, anche, ai populisti che indicavano come unica via gli attentati (seminando in realtà molto attendismo).

È chiaro che il ruolo storico di quel volantino si comprende solo ora alla luce della ricostruzione logica della rivoluzione russa (che, come emerge bene da questo libro, è iniziata molto prima del 1917 e anche prima della fondazione del Partito nel 1898: fu a tutti gli effetti una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata). L’importanza di un seme si comprende quanto diventa un forte albero. È un po’ come oggi per noi: azioni come quelle fin qui descritte (individuazione di persone interessanti su cui intervenire, paziente lavoro di reclutamento, formazione ideologica e gruppi di studio, inchiesta operaia, diffusione di volantini in aziende capitaliste, ecc.) possono sembrare prive di importanza (o cose di poca importanza) se analizzate scollegandole dal processo in atto, dalla rivoluzione in corso nel nostro paese, da quello che stiamo costruendo!

  

Ma torniamo all’opera di propaganda raccontata da Babuskin. Dopo la diffusione del primo volantino, le azioni di propaganda si moltiplicano e la propaganda diviene una delle “protagoniste” principali del libro, assieme all’incessante lavoro di organizzazione ad essa connesso, al lavoro paziente e tenace di tessitura della rete cospirativa. La propaganda clandestina che inizia con piccole azioni, azioni artigianali, a volte fatta con soli quattro volantini fatti passare di mano in mano (e di cui magari due subito sequestrati dai capo-reparto), a volte con qualche volantino affisso nel gabinetto della fabbrica o anche con azioni ingegnose e “rocambolesche” (come nascondersi nel pozzo presente in azienda, restare lì per quattro ore, attendere i cinque minuti esatti in cui la luce durante il turno di notte si interrompe, uscire furtivamente dal pozzo, mettere sulla catena di montaggio i volantini e tornare nel pozzo prima dello scadere dei cinque minuti e il riaccendersi della luce, per poi uscire di nuovo e tornare a casa approfittando della confusione creata dal cambio turno), via via si intensifica, cresce e perfeziona, sfidando i controlli, penetrando in sempre più ambiti in cui ci sono operai (nelle aziende, nelle strade che conducono alle aziende, nei quartieri operai); si dota di una stamperia clandestina e prosegue anche quando arresti e perquisizioni falciano un pezzo dell’organizzazione. Ed è proprio questa continuità della propaganda nonostante gli attacchi del nemico (oltre ovviamente alla giustezza delle parole d’ordine lanciate dal Partito) che fa crescere l’autorevolezza del Partito tra la classe operaia, la stima nei suoi confronti, fino ad arrivare a che i volantini sono attesi (e richiesti) dagli operai che ne sentono il bisogno per orientarsi e a che, ad esempio, l’indicazione di scioperare data agli operai dal Partito attraverso una scritta murale viene seguita dalla maggioranza di essi e che la scritta viene da loro difesa dagli sgherri del padrone che si vedono costretti a rinunciare al proposito di farla sparire.

  Mi sono dilungato un po’ su questo aspetto perché leggendo le numerose azioni di propaganda svolte da Babuskin e dai suoi compagni e la loro connessione con il lavoro di raccolta forze, ho riflettuto molto su quello che il (n)PCI dice sulla propaganda e cioè che è “un’operazione di guerra” che infonde fiducia nelle masse popolari e crea scompiglio nel campo nemico. Spesso al nostro interno su questo concetto c’è ancora un certo scetticismo, come se fosse un’esagerazione oppure come se fosse un concetto valido solo per quando “saremo grandi” e quindi quando ciò che diremo sarà ascoltato dalle ampie masse. Questo scetticismo (con cui a volte anch’io devo fare i conti) in realtà nasconde la sfiducia nella nostra possibilità di incidere sugli eventi, di costruire, di tessere legami, di orientare, di essere insomma artefici e al contempo “carne ed ossa” del nuovo potere che scalzerà la borghesia imperialista e il Vaticano. L’esperienza di Babuskin e dei bolscevichi ci dà una grande lezione: sono diventati grandi e hanno vinto proprio perché fin da quando erano “piccoli”, “pochi” e “poco influenti”, hanno impostato la loro attività in un’ottica da guerra popolare. È questa impostazione, combinata con una giusta linea, che ha permesso loro di crescere e conquistare tappa dopo tappa, sfida dopo sfida, la fiducia della classe operaia!

  

Alla propaganda, i comunisti russi combinavano ingegnose forme per aggregare gli operai, orientarli, selezionare i migliori e reclutarli. Anche loro usavano quello che noi chiamiamo “il metodo della maschera”!(1) Per aggirare la censura e la repressione zarista e, allo stesso tempo, legarsi agli operai e formarli, costruirono ad esempio delle scuole domenicali pubbliche in cui insegnavano agli operai la lingua, la storia e tutte le altre materie proprie di una scuola normale. Attraverso queste scuole portavano gli operai-alunni ad emanciparsi dall’analfabetismo, a ragionare gradualmente con un’angolazione diversa sul mondo e la società e individuavano i più interessanti su cui intervenire. Gli operai comunisti a loro volta usavano queste scuole per portare loro colleghi e avere così maggiori strumenti per reclutarli.

Anche questo è molto istruttivo per noi. Spesso ci facciamo infatti molti problemi su come sviluppare il lavoro di raccolta forze per il (n)PCI, su come legare nuove persone a noi: l’esperienza dei comunisti russi, fatta per di più nella situazione in cui c’era un regime che apertamente vietava la libertà di espressione e di organizzazione, mostra invece che sono molte e svariate le modalità e le forme con cui sviluppare il lavoro di raccolta senza far capire di essere membro del Partito. Questo della scuola domenicale è un esempio illuminante, a cui ispirarci creativamente!

  

1. “Metodo della maschera”: usare la propria attività pubblica (politica, sindacale, culturale, associativa, ecc.), la propria professione, i legami personali che si hanno, per entrare in contatto o per individuare persone su cui sviluppare un lavoro di reclutamento (o sviluppare una proficua collaborazione) senza svelare di essere membri del (n)PCI fino a quanto non si ritiene che ci siano le condizioni.

  

  

La ricostruzione dell’attività fatta nel libro mi ha fatto riflettere meglio sulla centralità data da Lenin alla scienza (alla conoscenza, assimilazione e uso della concezione comunista) nella costruzione del partito e sul fatto che la costruzione del partito in Russia è partita da un importante lavoro teorico e di formazione (che ovviamente non era “astratto”, ma si combinava con un lavoro organizzativo (reclutamento, costruzione di organismi, logistica, ecc.) e anche con la lotta contro la repressione) per poi legarsi via via con il movimento operaio, “portando la coscienza alla classe dall’esterno” della sua diretta esperienza. Un percorso completamente diverso da quello seguito dai partiti comunisti nati nei paesi imperialisti dopo la Rivoluzione d’Ottobre e su impulso dell’Internazionale Comunista. Essi sono nati scindendosi dai partiti socialisti e non si sono liberati dalle tare del riformismo parlamentare e del riformismo sindacale. Non hanno compiuto quella “trasformazione di un partito europeo di tipo vecchio, parlamentare, riformista di fatto e con appena una sfumatura di colore rivoluzionario, in un partito di tipo nuovo, realmente rivoluzionario e realmente comunista” che Lenin indicava nelle Note di un pubblicista del 1922.

  E ancora ho pensato a noi, alla Carovana, comprendendo meglio il senso di quanto diciamo che “facendo un parallelo con il vecchio movimento comunista, [noi] in questo percorso abbiamo per tanti versi seguito a nostro modo non la strada del vecchio PCI (…) ma la strada del movimento comunista russo. Anch’esso è partito dall’assimilazione del marxismo (negli anni ‘80 del secolo XIX con Plekhanov e il suo gruppo Emancipazione del Lavoro) e poi si è posto il compito di fondere il marxismo con il movimento pratico della classe operaia e con il movimento democratico russo di cui la classe operaia doveva assumere la direzione”.(2)

  

2. Articolo di Resistenza del giugno 2015 (IV Congresso nazionale – Osare lottare, osare vincere!).

  

  

Un ultimo punto su cui ho riflettuto molto leggendo il libro è il seguente. Spesso, soprattutto per i compagni più giovani, la clandestinità viene associata a quanto letto nei libri di Curcio, Franceschini, Moretti, Gallinari, Abatangelo sull’esperienza delle Brigate Rosse. Da un lato questi libri possono favorire e alimentare la “passione per la cospirazione” e quindi stimolare ad intraprendere la militanza rivoluzionaria (come è stato ad esempio nel mio caso), dall’altro danno un’idea falsata di quella che deve essere oggi la clandestinità per il nostro Partito. In quei libri si parla infatti principalmente di azioni militari, di propaganda armata, di espropri, di arresti e di evasioni, di sequestri, di documenti falsi e di appartamenti sicuri: insomma l’insieme del lavoro clandestino viene circoscritto a queste attività. Questa visione porta a due conseguenze: la prima è “ma a che serve la clandestinità se non spariamo ancora?”, e la seconda “organizziamoci da subito clandestinamente… in attesa di sparare”. Entrambe sono due forme di attendismo e non hanno nulla a che fare con la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e la costruzione del nuovo potere.

Il libro di Babuskin è educativo anche per questo: mostra l’azione del partito clandestino senza la deviazione militarista, l’azione del partito clandestino che “porta alla classe operaia la coscienza dall’esterno” della sua esperienza diretta e immediata, che è la sua avanguardia cosciente e organizzata che opera incessantemente ed è guidata dalla scienza per costruire ed estendere (nella situazione concreta della Russia dell’epoca) il nuovo potere e diventare lo Stato Maggiore della classe operaia in lotta per il potere.(3)

  

3. Un altro libro molto bello e utile, che mostra l’azione del partito clandestino senza la deviazione militarista, è La mia vita con Lenin di Nadja Krupskaja. Questo in particolare è utile per vedere il lavoro clandestino “a livello centrale” (il Centro del Partito), a differenza del libro di Babuskin che mostra principalmente l’azione del partito clandestino “a livello territoriale”. La Krupskaja è stata una comunista fin dalla “prima ora” (militava nei circoli prima ancora che il Partito venisse fondato nel 1898 ed era, tra l’altro, una delle insegnanti nella scuola domenicale in cui andava Babuskin!), un quadro infaticabile e di alto livello che ha dato un importante contributo alla costruzione del Partito, all’Iskra, alla rivoluzione del 1905 e a quella del 1917. Il suo libro ricostruisce queste tappe, viste dal Centro del Partito. I due libri sono complementari, come lo sono appunto Centro e periferia del Partito. La lettura di entrambi permette di avere una visione più completa e organica di cosa è il Partito comunista clandestino.

  

  

Questi sono i motivi principali per cui penso che dobbiamo far conoscere questo libro tra i membri del (n)PCI, i candidati e i collaboratori. Ovviamente la storia è molto più articolata e tutta una serie di avvenimenti non li ho trattati in questa lettera, che non vuol essere un riassunto del libro ma uno stimolo a leggerlo perché utile per l’oggi.

Auguro a tutti buona lettura: sono certo che il libro vi ispirerà molto e ne ricaverete giovamento per la nostra attività rivoluzionaria!

Viva il (n)PCI!

Facciamo dell’Italia un nuovo paese socialista!

Franco S.