La Voce 60 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - novembre 2018

Scaricate il testo in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

La logica della storia di Marx e la sinistra borghese

  

Una delle principali tesi espresse nella maggior parte delle iniziative sul Bicentenario della nascita di Carlo Marx e in difesa del marxismo tenute nel nostro paese nel corso di quest’anno, è la seguente: “il marxismo non è superato perché il capitalismo e le classi continuano ad esistere, la borghesia è barbara e disumana (continua a sfruttare, a devastare l’ambiente, a fare guerre, ecc.) e proprio per questo motivo il socialismo prima o poi trionferà: non esiste altra via d’uscita possibile!”.

Questa tesi ha di positivo che contrasta quelli che sostengono che le classi sociali non esistono più, che la lotta di classe è roba d’altri tempi, che la classe operaia è “integrata nel sistema” (la Scuola di Francoforte e i “pensatori critici” borghesi alla John Kenneth Galbraith, che insieme a Herbert Marcuse è stato uno dei guru del movimento del ‘68), che i robot stanno sostituendo gli operai (i veneratori dell’Industria 4.0), che la lotta di classe non è alla base delle vicende dei nostri giorni, ecc.

Allo stesso tempo, però, questa tesi poggia sulla non comprensione del marxismo e in particolare della logica della storia scoperta da Marx ed Engels. Senza questo il marxismo diventa una fede che un individuo o un partito abbraccia, difende e (se è attivo) si prodiga a diffondere, ma non una scienza che permette di analizzare la realtà e di trasformarla (“i filosofi hanno dato molte interpretazioni del mondo, ma l’importante è trasformarlo”, insegna Marx).

La maggior parte dei compagni “che hanno la falce e martello nel cuore” non sono consapevoli di questa differenza. Essa però è sostanziale e ha molteplici implicazioni politiche: da qui l’importanza di metterla in luce, renderla oggetto di dibattito e di riflessione, mostrare le sue ricadute in termini di analisi della realtà e tirarne le dovute conclusioni in termini di linea.

“È un’esagerazione!” sicuramente obietterà qualche compagno di fronte a questa sintesi. Analizziamo i fatti. Ogni compagno in buona fede e intellettualmente onesto può constatare che la tesi su indicata spesso si combina con l’attendismo misto a un velo di disfattismo: “il vecchio sta morendo, ma il nuovo non può ancora nascere”, “non ci sono ancora le condizioni per instaurare il socialismo nel nostro paese”, “le masse sono arretrate”, ecc. fino ad arrivare, sul piano operativo, al “siano pochi e divisi, mettiamo da parte le differenze e uniamoci sui [“pochi”, ndr] punti in comune”, al “in attesa che i tempi siano maturi per la [“lontana”, sottinteso, ndr] rivoluzione, dedichiamoci ad organizzare lotte per difendere diritti, lavoro, casa, ecc. e a costruire una rappresentanza in Parlamento” e al “tanto peggio, tanto meglio” (in sostanza: quanto più la borghesia attaccherà le masse popolari [“caprone”, sottinteso, ndr], tanto prima queste ci daranno ragione e ci seguiranno).

Non è un caso che sono queste le posizioni che circolano negli ambienti in cui prevale la tesi indicata all’inizio dell’articolo. Non è un caso perché dietro la parvenza di “marxismo” si cela in realtà la concezione della sinistra borghese. Questa nella sua versione “comunista” poggia su due assi (non trattiamo qui della versione apertamente anticomunista, che rigetta il socialismo: ad es. gli “errori e orrori” di bertinottiana memoria di cui anche Paolo Ferrero è portatore):

1. il socialismo è possibile e inevitabile (anche se molto lontano, lontanissimo) perché la borghesia è cattiva e il capitalismo è disumano, perché le persone prima o poi capiranno e la ragione e il progresso prima o poi prevarranno sulla barbarie (concezione idealista della storia umana, ben espressa ad es. negli articoli di Renato Caputo su La Città Futura),

2. la rivoluzione socialista oggi non è neanche in gestazione, nel nostro paese non ci sono le condizioni per il socialismo, le condizioni per instaurare il socialismo sono altri che le creano (guerre imperialiste, crisi economiche gravi, repressione diffusa, fascismo, ecc.) e i comunisti entreranno in azione quando le masse popolari si ribelleranno su ampia scala facendo così diventare la situazione rivoluzionaria e pre-insurrezionale (la concezione degli Oliviero Diliberto (Ricostruire il partito comunista), dei Marco Rizzo, degli Alessio Arena (La Città Futura n. 185, Fronte Popolare) e altri).

Cos’ha in comune con il marxismo, e in particolare con la logica della storia scoperta da Marx, questa concezione che caratterizza la sinistra borghese (ma che oggi “va per la maggiore” ed è quasi “ovvia” tra le migliaia di compagni presenti nel nostro paese)? Niente. Vediamo perché.

Marx nella sua Lettera a J. Weydemeyer (5 marzo 1852) così sintetizza la logica della storia da lui scoperta: “Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato:

1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione;

2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato;

3. che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi”.

In questo estratto è sintetizzato il nocciolo della questione: il socialismo è possibile e inevitabile non perché la borghesia è cattiva e il capitalismo è disumano, perché la ragione inevitabilmente prevarrà sulla barbarie, ecc. Il capitalismo porta al comunismo, passando per il socialismo, perché unifica gli uomini e rende collettiva a livello di singolo paese e in definitiva a livello mondiale la loro vita pratica. Inoltre l’umanità, al punto a cui è giunta sotto la direzione della borghesia, ha vinto la lotta che gli uomini conducono “da sempre” contro la natura per strapparle quanto necessario per nutrirsi e proteggersi (questa lotta è “storicamente terminata”) e ha messo a punto i mezzi intellettuali (scienze elettriche e meccaniche, chimica, biologia, intelligenza artificiale – informatica, ecc.) necessari per produrre tutto quello di cui ha bisogno e per manipolare senza limiti la natura. Sono queste le condizioni oggettive per l’instaurazione del socialismo e sono anche quelle che rendono il socialismo possibile, da più di un secolo. Non la cattiveria della borghesia.

Andiamo più a fondo su questo aspetto. “Ancora solo alcuni secoli fa l’umanità viveva principalmente grazie a una moltitudine di lavoratori individuali ognuno dei quali produceva quello che gli serviva per vivere e proteggersi dalle intemperie e quanto altro le relazioni familiari e di vicinato e le classi dominanti gli chiedevano o imponevano di produrre. Ogni lavoratore faceva questo lavorando per conto suo, con le sue mani o al massimo con un attrezzo manuale che di regola si era lui stesso costruito, quello che trovava in natura (…). In larga misura la divisione del lavoro esisteva principalmente a livello familiare o di vicinato. Invece già oggi, e ancora più lo sarà in prospettiva, la produzione dei beni e servizi che l’umanità impiega è affidata a un unico sistema produttivo mondiale (che solo in una certa misura è ancora articolato in sistemi produttivi nazionali). La produttività di esso (cosa produce e quanto in termini di beni e servizi) è potenzialmente illimitata e dipende principalmente dall’applicazione (alla produzione) del patrimonio conoscitivo generale dell’umanità.

Questo sistema però funziona solo grazie all’opera, combinata secondo regole e leggi ben definite, di molti individui che fanno ognuno la propria parte e tutti possono fare la loro parte solo se ogni individuo fa la sua parte. D’altro lato ogni individuo ha quello che lui usa per vivere (anche quello di cui ha strettamente bisogno per soddisfare i più essen  ziali bisogni animali: mangiare, ecc.) solo se chi dirige l’intero sistema produttivo assegna a quell’individuo un ruolo nel sistema, un “posto di lavoro”.

In sintesi l’umanità viene da una situazione in cui il singolo lavoratore (o al massimo la sua famiglia o la piccola comunità locale) produce tutto quello che usa per vivere e sta alla classe dominante di obbligarlo a consegnargliene una parte, ed è passata (sta passando) a una situazione in cui il singolo lavoratore da solo non è in grado di produrre niente di quello che egli usa.

Con il capitalismo l’umanità ha quindi già compiuto in larga misura nel campo dell’economia un cambiamento che rende l’instaurazione del socialismo condizione indispensabile per ogni ulteriore progresso, per la conservazione dell’ambiente e con tutta evidenza persino per la sopravvivenza dell’umanità: perché la specie umana gestisca su grande scala se stessa con quell’intelligenza che i capitalisti hanno fatto emergere nel campo della produzione di beni e servizi e che per loro natura devono limitare ad essa con gli effetti catastrofici che già affliggono l’umanità (…)

È la situazione alla quale in Europa ci siamo avvicinati alla fine del secolo XIX e alla quale a livello mondiale ci siamo molto avvicinati in questi ultimi decenni, dopo che la borghesia imperialista ha di nuovo preso la direzione pressoché del mondo intero.

È a fronte di questo risultato che noi comunisti dirigiamo le masse popolari a costituirsi in collettivo, espropriare la borghesia e instaurare la loro direzione sul sistema produttivo e riorganizzare di conseguenza tutta la loro vita sociale e quindi anche individuale. Questa trasformazione è la rivoluzione socialista e poi la transizione dal capitalismo al comunismo (la fase socialista della storia dell’umanità)” [da Il salto epocale in campo economico-sociale che l’umanità deve compiere, La Voce n. 56].

La similitudine (l’allegoria) più pertinente quanto alla inevitabilità dell’instaurazione del socialismo e del passaggio al comunismo è quella di una donna incinta: essa prima o poi partorirà e quando la gravidanza è arrivata ad un certo punto deve partorire. Se per un qualche motivo la donna incinta non riesce a partorire spontaneamente, ha bisogno che intervenga un’ostetrica all’altezza del suo ruolo. Finché questa non interviene, la donna incinta sta male e quanto più ritarda l’intervento dell’ostetrica, tanto peggio la donna incinta sta.

Chi non se ne intende, dà interpretazioni le più varie di ognuno dei malesseri che la donna incinta manifesta, tanto più varie quanto meno conosce la vera origine del malessere di cui parla. Chi conosce l’origine dei malesseri, cerca di imparare l’ostetricia e di fare la parte dell’ostetrica.

Noi comunisti non ci facciamo deviare dalle mille più o meno elaborate e dotte spiegazioni che gli esponenti della sinistra borghese e della borghesia danno dei malesseri dell’umanità gravida di comunismo. Non ci lasciamo deviare dai mille rimedi che essi suggeriscono e impongono, dalle digressioni a cui inducono la donna incinta.

Sappiamo che i suoi malesseri avranno fine solo quando partorirà, che si moltiplicheranno e aggraveranno fintanto che non partorirà. Siamo noi comunisti che dobbiamo portare la donna incinta (l’umanità) a partorire il figlio di cui è gravida: siamo noi gli ostetrici del futuro. La sinistra borghese, invece, davanti alla donna incinta grida: “il vecchio sta morendo, ma il nuovo non può ancora nascere!”.

Fuor di metafora: capire la situazione in modo giusto e agire in modo conseguente sono le condizioni per svolgere questo ruolo d’avanguardia e non farci deviare dall’attendismo della sinistra borghese e delle sue analisi distorte della realtà.

Nicola P.