La Voce 61 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Rompere con le catene della “doppia oppressione” e

partecipare alla rivoluzione socialista in corso!


Cari compagni della redazione di La Voce,

vi scrivo per condividere alcune riflessioni suscitate in me dal rafforzamento del Centro del (n)PCI e, in particolare, dalla lettera della compagna Chiara. Voglio concentrarmi su un aspetto: la “doppia lotta” che le compagne devono condurre per diventare comuniste.

La notizia dell’entrata in clandestinità dei due compagni ha creato importanti sommovimenti nella Carovana del (n)PCI. Ha messo inoltre con i “piedi per terra” la visione del (n)PCI: ha fatto toccare con mano che il (n)PCI è “concreto” e non solo “propaganda” (comunicati, La Voce, ecc.) fatta da quei “pochi conosciuti che stanno a Parigi” (come spesso si sente dire da chi segue la Carovana) o “la mente del P.CARC”, ma al contrario ha un suo percorso di consolidamento e rafforzamento.

Ho iniziato a farmi molte domande e mi sono chiesta cosa mi frena dall’unirmi al (n)PCI, pur riconoscendo come giusta la sua strategia. Sono caduta in uno stato di inquietudine. La lettera di Chiara mi ha aiutato a riflettere.

Mi ha colpito molto quello che ha scritto sul suo percorso di militanza e sul fatto che come donna e proletaria ha dovuto “rompere il doppio delle catene”. “Aspettare che qualcuno venga e ci liberi” ha una doppia valenza, in quanto classe oppressa e in quanto donne: ci educano ad aspettare “il bacio del principe azzurro che ci sveglia”, per cui cadiamo spesso nell’attesa di qualcuno che ci dica cosa fare o che ci spinga ad occuparci delle “cose del mondo”. Questa concezione è falsa e dannosa!

Falsa perché ognuno, indipendentemente dal sesso e dall’età, è in grado di elaborare o di imparare a farlo.

Dannosa perché ci fa vivere la nostra vita, la nostra militanza sempre con un senso di inferiorità, tanto da non riconoscere quando avanziamo, il contributo che anche noi possiamo dare nell’elaborazione e nella sperimentazione della linea, assumendo consapevolmente e senza riserve la responsabilità di dirigere. Il sentirsi “inadeguate” ci porta a procedere con il “freno a mano tirato” e a vivere una “perenne indecisione”. Ma non è e non deve essere così!

Da quando esiste il movimento comunista cosciente e organizzato, le donne hanno dimostrato di poter assumere ruoli di direzione nella rivoluzione e nella società socialista... altro che “angeli del focolare”! La Krupskaja, la Kollontaj, Clara Zetkin, Chiang Ching, Rosa Luxemburg, Dolores Ibarruri, Teresa Noce, Camilla Ravera, le combattenti delle Brigate Rosse e delle Pantere Nere, le antimperialiste che dall’Africa e dall’America Latina fino all’Asia hanno lottato per liberarsi dal giogo degli imperialisti e dei colonialisti, mostrano cosa le donne sono capaci di fare!

Mi sono anche detta “ma dove vuoi andare, non sei mica la Luxemburg!”. Vero, ne sono consapevole, non sono la Luxemburg: ma la questione non è vedere ciò che oggi non siamo (i nostri limiti), ma ciò che oggi già siamo (i nostri punti di forza) e cosa vogliamo diventare, quindi metterci alla scuola del Partito e imparare!

Ho riflettuto sul fatto che noi compagne spesso per avanzare dobbiamo affrontare anche l’aspetto dell’emancipazione dalle relazioni personali (dalla famiglia d’origine, dai figli, dai compagni di vita, ecc.): penso che Chiara intendesse dire ciò quando ha scritto che ha dovuto fare i conti con chi ha creduto che vivesse le sue scelte in funzione di quelle del suo compagno di vita (il non avere figli o l’entrare in clandestinità).

Lei per prima ha dovuto fare i conti con l’emanciparsi dal suo compagno, per fare la “sua” scelta andandoci fino in fondo, indipendentemente dalla scelta del suo compagno. Questo processo si lega al fatto che come compagne dobbiamo anche rompere con quel “senso di responsabilità principalmente rivolto all’individuo”, alla famiglia, al marito o ai figli anziché alla classe (a cui, tra l’altro, anche le nostre famiglie, mariti e figli appartengono). Come donne e compagne, infatti, sentiamo questo “obbligo” verso quella “sacra famiglia” che clero e borghesia agitano per “tenerci incatenate”: le nostre scelte e decisioni devono passare dal “permesso” di genitori o mariti, addirittura dei nostri figli (che non hanno ancora gli strumenti ideologici per comprenderle). Così finisce che anche cambiare città per svolgere la nostra attività politica, assumere ruoli di direzione, diventare rivoluzionarie di professione o, come Chiara, entrare in clandestinità, diventano passi “impossibili” perché mettiamo avanti o la nostra “inadeguatezza” o il benestare dei nostri familiari, come se noi non fossimo capaci di assumerci responsabilità in maniera autonoma e senza delegare ad altri. Questi sono meccanismi di cui noi compagne dobbiamo e possiamo diventare consapevoli e che dobbiamo affrontare.

A questo si lega anche un altro concetto che Chiara ha trattato: la giusta dialettica che deve svilupparsi all’interno di una coppia è che “chi è più avanti insegna a chi è più indietro e chi è più indietro si impegna a migliorare e avanzare”. Sono mesi infatti che vivevo con malessere il mio rapporto di coppia, proprio perché non lo concepivo come un collettivo in cui poter insegnare al mio compagno ciò su cui sono più avanti e allo stesso tempo attingere anche da lui. La mia concezione è metafisica e anarcoide, per cui ci si vede al massimo come “esseri complementari” che in maniera “assembleare” prendono decisioni, definiscono linee, mettono toppe dove l’altro non arriva, anziché concepire che anche un rapporto di coppia si sviluppa e cresce in base a dove lo vogliamo portare e ognuno deve mettere il proprio pezzo. Questo mi ha portato all’insofferenza, alla contrapposizione e alla rivendicazione: aspettare e delegare al mio compagno la costruzione anche di pezzi del nostro rapporto su cui non aveva esperienza (mentre io l’avevo), dare per scontato che siccome siamo compagni vogliamo le stesse cose o siamo già in grado di farle, anziché avere un ruolo più attivo nella costruzione della coppia, elevando il livello di discussione “politica”, sulle nostre scelte di vita e sulla famiglia che stiamo costruendo, ma anche sostenendo il mio compagno in ciò che fa sul suo posto di lavoro. Insomma mi sono cimentata in una superiore discussione politica che, a partire dai ruoli che ricopriamo, mi ha aiutato a inquadrare anche dove voglio portare questa relazione e i passi concreti per arrivarci.

 

Il (n)PCI è al soldo dei servizi segreti francesi, italiani, di questo o quel paese”

Nel Partito Comunista di Rizzo circola questa voce. Il tentativo è chiaro: rafforzare, nonostante il tanto parlare di unità dei comunisti, il “cordone sanitario” intorno alla Carovana del (n)PCI per timore di “perdere militanti”. È un segno di debolezza ideologica e politica. Quelli che fanno queste calunnie hanno paura delle nostre analisi e della nostra linea. Non osano confrontarsi apertamente!

A chi ci muove queste accuse, lo sfidiamo a diffonderle pubblicamente. Se ci crede realmente, lo deve fare a difesa del movimento comunista!

Il modo migliore per verificare “chi siamo” e al “servizio di quale classe lottiamo” è verificare se il bilancio che abbiamo tirato della prima ondata della rivoluzione proletaria, l’analisi che facciamo del corso delle cose, il piano d’azione che seguiamo e le parole d’ordine che lanciamo sono giuste o meno per lo sviluppo della rivoluzione socialista in corso nel nostro paese.

Questo deve fare chi è alla ricerca del partito comunista con cui lottare fino alla vittoria, fino a fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

 


Dopo tutta questa riflessione ho iniziato a ragionare con maggiore serenità su cosa fare per contribuire alla costruzione del (n)PCI, considerando che io oggi ho un lavoro in produzione utile alla costruzione del legame con la classe operaia e che non me la sento ancora di entrare in clandestinità perché ho due figli piccoli. Ho deciso di rompere con gli indugi, con il “senso di inadeguatezza” e cimentarmi nella costruzione di un Comitato di Partito nella mia azienda: sono consapevole che molto ho da imparare, ma sono disposta a farlo e a mettermi alla scuola del Partito. Con il Partito ce la posso fare e ce la farò!

Mao diceva: “le donne sono l’altra metà del cielo e la devono conquistare”. Tradotto significa: osare camminare sulle nostre gambe, lottare e mettersi in gioco, mettersi alla scuola del Partito e imparare, entrare nel (n)PCI e contribuire alla rivoluzione socialista in corso! Questo è l’appello che lancio anche a tutte le compagne!

Teresa