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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Sulla vita nel Centro del Partito clandestino

Lettera ai compagni con cui ho militato nel P.CARC

Cari compagni,

l’entrata in clandestinità mia e di Angelo poco più di due mesi fa, per alcuni compagni, in particolare della “seconda generazione della Carovana del (n)PCI”, ha reso il (n)PCI e la militanza in clandestinità una cosa più concreta. Alcuni hanno anche iniziato a chiedersi “come si vive in clandestinità”. Condivido quindi con tutti voi alcuni aspetti della mia esperienza.

Prima di tutto voglio smontare l’idea che per noi oggi vivere in clandestinità significa vivere nascosti, con poca o nessuna possibilità di uscire all’aria aperta, andare in giro guardinghi e quasi camminando “dietro le siepi” per non farsi scoprire. Più volte ho riscontrato che c’è questa visione anche nella Carovana del (n)PCI.

In realtà la vita che conduciamo oggi in clandestinità per molti versi ha tutte le apparenze di una vita normale. Il Centro del (n)PCI è installato in un contesto dove la possibilità di imbatterci in persone che ci conoscono (poliziotti compresi) è minima e cambiando opportunamente aspetto e modi di fare ogni membro del Centro la rende nulla: ognuno incontra solo le persone che il Partito decide che deve incontrare. Fatto questo, viviamo come tutti vivono nel contesto sociale in cui il Centro è installato, ognuno coerente con il personaggio (lavoro, ecc.) che “recita”. La normalità dello stile di vita e della propria condotta è un’importante misura di sicurezza per “mimetizzarsi” e non dare nell’occhio. Viviamo in una casa normale, teniamo le persiane aperte, salutiamo i vicini e con alcuni ci fermiamo anche a parlare come si usa nella zona dove abitiamo, facciamo la spesa, facciamo sport, facciamo delle passeggiate, ogni tanto ci prendiamo un caffè al bar o ci mangiamo una pizza.

 

L’unità dei comunisti

I comunisti sono quelli che mobilitano, organizzano e guidano i lavoratori a farla finita con i capitalisti e instaurare il socialismo. Quindi si danno i mezzi e si educano per svolgere questo compito.

Quelli che invece si dicono comunisti ma non vogliono imparare a fare quello che i comunisti devono fare, noi li apprezziamo come credenti nel comunismo e li esortiamo a contribuire alla nostra opera, ma non li accogliamo nelle file del (n)PCI: renderebbero più difficile se non impossibile anche il nostro lavoro.

 


Questa è la nostra “maschera”. Dietro di essa, però, la nostra vita è scandita dagli impegni del lavoro di Partito (che è il centro della nostra vita), strutturato stile “catena di montaggio” che funziona, quasi, a “ritmo continuo”.

Attualmente un fattore importante è il nostro inserimento nel collettivo già esistente, che ha un suo funzionamento “storico”. Come in ogni collettivo “rodato”, l’integrazione di nuovi membri non è un processo lineare: ogni collettivo è costituito da uomini e donne in carne e ossa (altro che “partito astratto” o “entità metafisica”!) ognuno con una storia, formazione, personalità, pregi e difetti. Momenti di lavoro affiatato si combinano con scambi “vivaci” e contrasti. Tutti stiamo contribuendo a costruire il “nuovo” collettivo.

Per quanto riguarda me e Angelo, nuovi arrivati, ognuno di noi fa tesoro di quanto ha imparato nel P.CARC: abbiamo subito proposto gruppi di studio settimanali misti di membri vecchi e nuovi che ci aiutano a conoscerci meglio, non solo dal punto di vista politico ma anche personale e alimentano la costruzione del “nuovo” collettivo. Infatti il CC del Partito ha deciso l’integrazione di noi due nel Centro perché vuole rafforzarlo: per alcuni aspetti ha deciso di costruire un Centro diverso da quello che ha combattuto e vinto le battaglie del passato, all’altezza dei compiti della nuova fase (“allargare la breccia”). Ognuno di noi cerca di dare un utile contributo al lavoro del Centro con la conoscenza diretta e “fresca” che ha di compagni, collettivi, organismi della base rossa, di alcuni ambiti della lotta di classe, di esponenti dei tre serbatoi, ecc. Essere nel Centro clandestino, infatti, ti rende difficile essere presente sul campo, partecipare ad assemblee e iniziative, fare “esperienze-tipo” nel lavoro di massa e “guardare in faccia” le persone con cui corrispondi o di cui leggi lettere, documenti, comunicati, ecc. Ora capisco meglio quanto sono preziosi gli aggiornamenti, i resoconti, ecc. che non solo segreterie federali e sezioni del P.CARC, ma anche organi di altre organizzazioni pubbliche e singoli compagni inviano al Centro del (n)PCI. Colgo l’occasione per incitare ogni compagno a rafforzare questa attività: chi lo fa, dà un contributo concreto alla rivoluzione in corso. Noi ci sforzeremo di ricavarne il massimo, come compete allo Stato Maggiore della rivoluzione socialista che il Partito promuove in tutto il paese.

Come donna e come comunista, prendere atto della rivoluzione socialista in corso mi ha dato una grande spinta a fare un passo avanti, ma farlo concretamente mi ha fatto tirare fuori una forza che non pensavo di avere, il coraggio che spesso soffocavo dietro le paure, i tentennamenti, le insicurezze e tutto ciò che fa parte del “kit della doppia oppressione”: catene che restano quasi invisibili, ma pur sempre catene, che possiamo spezzare solo se con la nostra azione e con le dovute forzature su noi stesse, le rendiamo chiare, oggettive, visibili prima di tutto a noi.

Nel Partito noi troviamo gli strumenti per rompere i meccanismi che storicamente tengono legata la donna “nelle mura di casa” con tutto ciò che di negativo questo comporta e che si riflette anche nel Partito (una lotta costante tra il personale e il politico, tra il voler dirigere e il voler essere diretta e affiancata “passo passo”, tra il farsi largo e il cercare riparo, ecc.), ma noi comuniste abbiamo un grande privilegio: la libertà di scegliere e di decidere per noi stesse quello che vogliamo fare della nostra vita, chi vogliamo essere e diventare... tutte cose che la borghesia e il clero negano alle masse popolari. Le masse popolari a causa della borghesia vivono per così dire immerse in un pantano che investe ogni campo della loro vita, da quello economico a quello morale. Ognuno di noi conosce decine e decine di “situazioni difficili” da cui uomini e donne, adulti e giovani, non hanno avuto finora la forza di uscire. Proprio per questo ogni nostra decisione deve fondarsi sulla nostra azione cosciente, sul nostro coraggio e sulla nostra responsabilità. Per fare il passo che abbiamo capito che dobbiamo compiere, non dobbiamo chiedere il consenso a persone che, chi per un motivo chi per un altro, non sono uscite loro stesse dal pantano: come potrebbero dire a noi di partire se in qualche misura sono legate a noi? Nel mio caso, se io avessi chiesto prima l’approvazione dei miei genitori per la scelta che ho fatto, avrei scaricato su di loro la responsabilità di decidere per me e questo avrebbe danneggiato sia me che loro e in definitiva il nostro rapporto. Oggi mio padre mi scrive “ il momento "Speciale" che stai vivendo sono sicuro ti farà volare alto come tu sai fare; vivilo ogni giorno, ogni attimo, ogni sensazione, anche quando sei presa da sconforto o tristezza, affronta questi momenti con impegno e coraggio, con l'anima pronta ad accogliere la tua storia e conservarla poiché le esperienze, le storie, tutto il tuo vissuto, saranno mattoni per costruire il futuro come essere umano che ha avuto coraggio, che ha osato. E comunque, figlia mia, hai già vinto una grande sfida. Quello che vi auguro con tutto il cuore è di raggiungere con il vostro contributo, la vostra passione e determinazione, quello che vi siete proposti e che il genere umano si aspetta: un mondo diverso”. Ma me lo scrive perché sono partita e il mio avanzamento ha sprigionato il meglio anche in lui, come genitore e come compagno che oggi comprende meglio la nostra impresa. L’iniziativa dei comunisti fa sorgere nell’ambiente una sinistra, un centro e una destra. E questo vale in ogni campo, non solo per la clandestinità: vale in generale per l’assunzione di compiti e responsabilità nel Partito, che significa assumere responsabilità verso la società al livello più alto che oggi è possibile. Quindi è un campo in cui tutti dobbiamo lanciarci e combattere! Per noi compagne, equivale a conquistarci le armi in battaglia! La forza che io ho guadagnato “osando” e che non pensavo di avere, è necessaria anche per affrontare la nuova vita qui, in tutti i suoi aspetti.

Per oggi mi fermo qui, ma tornerò a scrivere sull’esperienza che sto vivendo e sugli insegnamenti che ne ricavo, per condividerli con tutti voi, compagni a cui sono tanto legata da anni di militanza comune per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

Vincere è possibile, dipende da noi! Per vincere dobbiamo essere disposti a tutto!

Un forte abbraccio a tutti voi!

Chiara De Marchis