La Voce 62 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - luglio 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Domande al (n)PCI sulla clandestinità

Cari compagni del (n)PCI,

sono un compagno del P.CARC. Più volte all’interno delle varie discussioni collettive di sezione (letture di vostri comunicati e altro) ma anche, per quello che mi riguarda, in riflessioni personali, emerge/riemerge il ragionamento sulla clandestinità e la necessità di questa scelta nell’ottica di fare dell’Italia un nuovo paese socialista attraverso la strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Ora, dal punto di vista della repressione, il bilancio della storia del movimento comunista ci ha insegnato che salvaguardare la direzione è cosa imprescindibile e primaria, oggi anche alla luce appunto della strategia della GPRdiLD. Quindi da questo punto di vista la scelta della clandestinità è chiara.

Comincia ad essermi (per ora) un po’ meno chiara, quando si parla di scelta della clandestinità come “scelta per avere indipendenza ideologica dal sistema che la società borghese impone”, dato che alla fin fine anche voi del (n)PCI siete all’interno di questo sistema e ne subite gli effetti (è difficile stare all’aria aperta senza subire gli odori che porta con sé e non è facile non far trasportare quelli che emaniamo noi) (…)

Per ciò che mi riguarda ho compreso che l’unica arma che ho per affrontare/attaccare e agire più liberamente nel sistema di relazioni che la classe dominante impone, è far crescere in me il grado di assimilazione della nostra scienza, attraverso lo studio alla scuola del partito. Questo per me vuol dire appunto “conquistare indipendenza ideologica” dalla società borghese. Mi è meno chiaro come questo avviene invece nel (n)PCI (…)

Dopo questa premessa vengo alle domande in modo più preciso:

- quando affermate che la scelta della clandestinità è necessaria anche per avere indipendenza ideologica, e di conseguenza d’azione, cosa si intende nell’organizzazione e nella fattibilità pratica di un partito clandestino?

- qual è la differenza del modo d’assimilazione dell’indipendenza ideologica alla scuola di un partito clandestino e quella dell’assimilazione alla scuola in un partito non clandestino, tenendo ben presente che la scienza che ci guida è una?


Risposta del (n)PCI

Caro compagno,

per capire la natura clandestina del Partito comunista e le implicazioni che la natura clandestina ha, è indispensabile inquadrare bene cosa è il Partito e, quindi, la strategia che per vincere occorre seguire nella lotta che porterà all’instaurazione del socialismo, fase di transizione dal capitalismo al comunismo. Il Partito infatti è principalmente l’organismo che elabora quella strategia e mobilita e guida il proletariato ad attuarla: non esiste un partito che va bene per qualsiasi strategia, la strategia giusta richiede un determinato partito.

La natura del partito comunista, infatti, dipende dalla sua strategia, è funzionale alla sua strategia e solo se ha una strategia giusta diventa grande e forte (il PCI lo divenne grazie alla sua adesione all’Internazionale Comunista e al legame con l’URSS: questo era l’aspetto giusto della strategia del PCI; i gruppi dissidenti su questo, non hanno fatto strada). È assolutamente fuori strada chi, come Marco Rizzo, oggi afferma “prima costruiamo il partito e rendiamolo grande e forte, poi penseremo alla strategia per la presa del potere”.

Nel nostro paese due sono le principali concezioni errate sulla natura del partito comunista e sulla strategia che esso deve seguire. Con esse dobbiamo fare i conti:

1. la concezione militarista: i suoi fautori concepiscono il partito clandestino come una “organizzazione comunista combattente” (qualcosa come le Brigate Rosse e affini) che svolge azioni guerrigliere di propaganda armata o di “attacco al cuore dello Stato” (eliminazione di esponenti dello Stato e della classe dominante), contando di “dare l’esempio” e di convogliare la parte d’avanguardia del movimento di massa sul terreno della lotta armata (sul terreno militare, da qui la definizione di “concezione militarista”), che pensano sia l’aspetto principale della lotta politica rivoluzionaria;

2. la concezione elettoralista-riformista: secondo questa concezione sostanzialmente il partito comunista dovrebbe essere un organismo simile a quello che furono i partiti socialisti della II Internazionale (1889-1914) fino alla Prima Guerra Mondiale e i partiti comunisti sorti nei paesi imperialisti a democrazia borghese sull’onda suscitata dalla Rivoluzione d’Ottobre (PCI, PCF, ecc.): un partito che propaganda il comunismo e il socialismo, è solidale con i partiti comunisti e operai degli altri paesi, promuove lotte rivendicative e proteste, partecipa alle elezioni e alle altre attività della democrazia borghese e accumula per questa via forze in attesa che la situazione economica, politica e sociale precipiti, la rivolta delle masse si estenda e si trasformi in una ribellione generale della quale il partito assumerà la direzione guidando le masse alla presa del potere (è la concezione della “rivoluzione che scoppia”). Questa concezione era quella del PCI e anche dopo la svolta di Salerno (1943) e dopo il 1956 (XX Congresso del PCUS e VIII Congresso del PCI) rimase quella della sinistra del PCI (Secchia, Alberganti, Vaia, Noce, Vidali, Pesce, ecc.) e della sinistra di tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti. Oggi nel nostro paese è diffusa tra organismi (come il PC di Rizzo) e persone che sinceramente si professano marxiste-leniniste, danno una valutazione positiva della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (1917-1976) e aspirano al socialismo, ma non hanno fatto un bilancio e tirato insegnamenti dal fatto che

1. nessuno di quei partiti ha instaurato il socialismo, benché in tutta la prima parte del secolo scorso la borghesia abbia imposto alle masse popolari dei loro paesi miseria, crisi e guerre;

2. quei partiti si sono dissolti (esemplare il caso del PCI) o ridotti a niente (esemplare il caso del PCF) quando (a partire dagli anni ’70) la borghesia ha incominciato a corrodere ed eliminare le conquiste che le masse popolari le avevano strappato nel periodo del “capitalismo dal volto umano” (1945-1975), quando il movimento comunista sorto nel mondo nell’ambito della prima Internazionale Comunista e il prestigio dell’Unione Sovietica erano ancora grandi e la borghesia imperialista aveva paura di perdere tutto.

Una delle principali innovazioni che il (n)PCI ha portato alla concezione dei partiti comunisti dei paesi imperialisti riguarda la forma (la strategia) della rivoluzione socialista. Questa innovazione è basata sul bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (1917-1976) e in particolare proprio sul bilancio dell’esperienza dei partiti comunisti dei paesi imperialisti.

La rivoluzione socialista è il risultato del lavoro condotto dal partito comunista secondo un piano di costruzione per tappe del nuovo potere (costituito dal partito comunista e dalla rete più o meno fitta ma che il Partito mira a rendere capillare di organizzazioni operaie e popolari generate e non generate da esso, ma da esso in vario modo orientate). Giunto ad un certo grado del suo sviluppo, il nuovo potere sostituisce (abbatte) il vecchio potere borghese e instaura il socialismo. La rivoluzione socialista è un processo che inizia con la fondazione del partito comunista, la quale è anche l’inizio della costruzione del nuovo potere. Solo con la concezione del “dualismo di potere” (lotta tra vecchio potere della borghesia e nuovo potere dei proletari aggregati attorno al partito comunista) è possibile comprendere l’essenza della rivoluzione socialista, promuoverla e dirigerla.

La costruzione di un partito comunista con le caratteristiche da noi definite (partito clandestino che segue la strategia della GPRdiLD) è una cosa inedita in un paese imperialista. Nella costruzione del partito attingiamo dall’esperienza del movimento comunista internazionale (il maoismo) e nazionale e dalla nostra sperimentazione, dall’esperienza che noi stessi accumuliamo (“aprendoci la strada mentre avanziamo verso la cima della montagna”), ricavando attraverso il bilancio insegnamenti e nuovi principi, criteri, metodi e strumenti.

Il carattere inedito della via che seguiamo richiede la ricerca e la scoperta di come superare ognuno degli ostacoli che incontriamo sul nostro cammino: richiede analisi, discussione, studio dei problemi, sintesi, definizione di linee, loro sperimentazione, bilancio dell’esperienza. Questo lo possiamo fare solo se siamo liberi dal controllo e dai limiti posti al ragionamento e all’azione dagli apparati repressivi della borghesia imperialista. Senza sperimentazione non è possibile elaborare e senza clandestinità non è possibile sperimentare liberamente. Senza autonomia nello sperimentare, non c’è autonomia nell’elaborare.


Sono entrato così nel merito delle questioni che poni.

Per svolgere i compiti a cui è chiamato (dirigere la classe operaia e il resto della masse popolari a prendere il potere e instaurare il socialismo), il partito comunista deve essere innanzitutto una comunità scientifica che, libera dal controllo degli apparati repressivi della borghesia imperialista:

1. studia, discute, assimila la scienza per la trasformazione della società elaborata da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e confermata dal successo delle rivoluzioni che questi ultimi diressero;

2. studia e analizza alla luce di questa scienza la situazione concreta, discute di essa, la scompone nelle sue diverse componenti e individua i nessi tra le parti, sintetizza linee di intervento e conduce esperimenti in cui attua queste linee;

3. analizza gli effetti prodotti dall’attuazione di queste linee ai fini dell’avanzamento della rivoluzione socialista nel nostro paese, ricavando insegnamenti dall’esperienza e affinando, tappa dopo tappa, la propria comprensione delle condizioni, forme e risultati dalle lotta di classe e di come intervenire in essa per far avanzare il nuovo potere delle masse popolari organizzate;

4. in tutto questo processo forma e trasforma intellettualmente e moralmente (assimilazione e uso del patrimonio scientifico) gli scienziati che fanno parte della comunità scientifica (i membri del Partito) e contrasta con la lotta tra le due linee l’influenza ideologica (intellettuale e morale) della borghesia nelle sue file, potenziando così l’opera dell’insieme della comunità e del processo di trasformazione della società di cui essa è promotrice e guida. Nota che parliamo sempre di “intellettuale e morale” (non solo di intellettuale) perché non abbiamo a che fare solo con l’educazione della mente e l’elaborazione di idee, ma anche con l’educazione del carattere e della condotta: l’attività pratica dei nostri scienziati è la direzione di uomini in guerra, essi sono il corpo degli ufficiali di un esercito;

5. nella misura delle sue forze è solidale con i comunisti degli altri paesi, sviluppa con essi relazioni in cui impara e insegna.


I comunisti che compongono questa comunità scientifica, per poter studiare, discutere, sperimentare e sviluppare in estensione e in profondità la scienza che li guida e imparare così a guidare con efficacia crescente le masse, devono anzitutto raggrupparsi tra loro nella clandestinità, nell’organizzazione clandestina, imparando a discutere tra loro liberamente del corso delle cose, della situazione concreta, delle linee, dei piani d’azione, delle parole d’ordine, del bilancio dell’esperienza, degli uomini e degli organismi del partito, degli organismi in cui il partito ha infiltrato suoi uomini, della logistica e della finanza, senza la preoccupazione di fornire così informazioni agli agenti della polizia politica o pretesti per essere attaccati. Facendo una metafora: devono essere scienziati che studiano, discutono e sperimentano senza sottostare alla censura dell’Inquisizione e liberi moralmente di operare grazie alla clandestinità della loro organizzazione.

Esiste una sostanziale differenza tra trattare sistematicamente le questioni in modo libero dal controllo (nelle riunioni clandestine, nella corrispondenza protetta, nelle circolari interne di Partito, ecc.) e il non dire o il dire le cose a metà per timore della repressione e di fornire informazioni al nemico, di permettergli di prevenire o bloccare le nostre operazioni. Pensare è un’attività individuale che si sviluppa nel confronto, nello scontro, nella discussione, nella sperimentazione e diventa patrimonio comune, di tutto il Partito. Il pensiero è una materia speciale che si trasforma attraverso accumulazioni quantitative (di esperienze, nozioni, conoscenze, ecc.) e salti qualitativi. Maggiore è la libertà con cui si ragiona e la sistematicità del ragionamento libero, maggiore è il suo sviluppo.

A sua volta anche la “riflessione sotto censura” incide sullo sviluppo del pensiero. Per “riflessione sotto censura” intendiamo due aspetti:

- “censura cosciente”, ossia quando si teme di essere ascoltati e per evitare ripercussioni repressive o di dare informazioni al nemico non si trattano volutamente determinati argomenti,

- “censura indotta”, ossia quando non si hanno esperienze di militanza clandestina e si viene formati in un ambiente (collettivo) in cui non si discute liberamente, pertanto non si sa ragionare oltre certi limiti e neanche si è coscienti dell’esistenza di questi limiti, si è “ciechi”.

Lo stesso vale per la riflessione senza sperimentazione.

Tutti questi casi hanno un punto in comune: l’appiattimento del pensiero (e dell’azione) su ciò che è tollerato dalla borghesia. A scanso di equivoci è opportuno sottolineare che riunirsi (anche in maniera libera dal controllo, ad es. senza telefoni e in luoghi non ascoltati) per organizzare “lotte rivendicative dure” non è la stessa cosa di operare sistematicamente in modo clandestino perseguendo la strategia per la conquista del potere (costruzione del nuovo potere). Quasi tutti gli organismi politici di sinistra hanno “attività clandestine”, ma fatte sporadicamente, da gruppi informali di membri, improvvisando a buon senso, non professionalmente.

Questo è un punto che Lenin mise in luce già prima della fondazione dell’Internazionale Comunista e dei partiti comunisti, parlando di partiti che operavano in paesi a democrazia borghese. Nel luglio 1916 parlando di Rosa Luxemburg scrisse: “Si sente nell’opuscolo di Junius [pseudonimo di Rosa Luxemburg] il compagno isolato che non fa parte di un’organizzazione clandestina abituata a elaborare fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito” (Lenin, A proposito dell’opuscolo di Junius, 1916 Opere complete vol. 22).


È nel senso fin qui spiegato che la clandestinità fornisce maggiori strumenti rispetto al partito pubblico, anche rispetto al P.CARC (anche se esso è parte della Carovana del (n)PCI) per sviluppare l’autonomia ideologica (intellettuale e morale) dalla borghesia, per pensare in modo più profondo, scientifico, libero da censure palesi o indotte, per sperimentare e per salvaguardare la propria attività.

Questo però non significa che i membri del partito clandestino sono esenti dall’influenza intellettuale e morale della borghesia e del clero, del senso comune (che non “respirano la stessa aria dei membri del P.CARC”, per dirla con le tue parole): per questo anche i membri del partito comunista effettuano percorsi di critica-autocritica e trasformazione (CAT), di Riforma Intellettuale e Morale e la lotta tra le due linee prosegue anche nel partito. Questo avviene anzi in un contesto superiore, più avanzato, più selezionato (per molti versi essere membro del partito comunista è come essere parte di un corpo di combattenti di élite, che concepiscono la militanza come una missione a cui subordinano gli altri aspetti della loro vita e le altre loro attività e che su questa base si mettono senza riserve alla scuola del partito) e in cui ci sono maggiori strumenti, tra cui quelli fin qui illustrati, per lo sviluppo intellettuale e morale dei membri del partito.

A tutto questo va unito un altro aspetto: l’attività del partito clandestino non è uguale a quella del partito pubblico (pur essendoci anche alcune attività comuni, ad esempio l’intervento sulle OO-OP) e questo costituisce un ulteriore alimento per la formazione e trasformazione intellettuale e morale dei suoi membri.

Entriamo nel merito di alcune delle attività che appunto distinguono il partito clandestino da un partito pubblico.


1. Propaganda libera, senza censura e senza avventurismo

La borghesia imperialista ha messo in campo tutta una serie di misure per reprimere i comunisti che “vanno oltre certi limiti”. Essa perseguita e impedisce (addebitando reati come “associazione sovversiva”, “banda armata”, “apologia di reato”, “istigazione alla violenza”, “diffamazione”, “stampa clandestina”, ecc.) la divulgazione di informazioni (segreti politici, militari, industriali, ecc.), analisi e linee utili per rendere le idee e l’azione dei comunisti efficace e incisiva.

Per questo motivo, ad esempio, non era possibile fare il bilancio dell’esperienza delle BR pubblicamente esponendosi ingenuamente alla repressione da parte del nemico: fu necessario organizzarsi clandestinamente per ragionare a fondo sulle questioni, analizzare tutti gli aspetti, giungere a delle sintesi e poi divulgare l’opuscolo clandestino Cristoforo Colombo. Un ragionamento analogo vale per il lavoro svolto per arrivare a scoprire la strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. È un lavoro che abbiamo dovuto svolgere clandestinamente. Non bisogna lasciarsi confondere dal fatto che la borghesia non ha “messo all’Indice” il Manifesto Programma del (n)PCI e La Voce e non impedisce la loro diffusione. Il motivo per cui non lo fa è solo che abbiamo tenuto testa agli attacchi repressivi sferrati contro il (n)PCI e la sua Carovana, siamo rimasti in piedi e abbiamo rivoltato contro il nemico i suoi attacchi, ne siamo usciti rafforzati in termini di legami e di nuove forze. Tutto ciò ha portato il nemico a non procedere oltre, almeno per il momento. Nel 2003 il pm Paolo Giovagnoli tentò di procedere alla messa fuorilegge del (n)PCI con l’Ottavo Procedimento Giudiziario contro la Carovana del (n)PCI. Grazie alla lotta che abbiamo condotto dal 2003 al 2012 il tentativo di Giovagnoli e i suoi mandanti è andato a monte.

Gli apparati repressivi della borghesia imperialista perseguitano perfino coloro che svolgono azione di vigilanza democratica e di “controllo popolare” come la denuncia di agenti delle forze dell’ordine prevaricatori, di poliziotti infiltrati, di provocatori, di fascisti e di infami (traditori). Un esempio di ciò sono il processo orchestrato a Bologna nel 2011-2012 contro i compagni del P.CARC, SLL e ASP accusati di essere i gestori del sito “Caccia allo sbirro” del (n)PCI e il processo, tutt’ora in corso, orchestrato a Milano contro Rosalba del P.CARC intestataria del sito Vigilanza Democratica.

O, ancora, gli apparati repressivi ricorrono al sabotaggio violando le stesse leggi (come ad esempio l’oscuramento di siti, usando virus e hacker al soldo dello Stato).

Per non censurarsi e non lasciare che sia il nemico a definire il perimetro del dibattito all’interno del movimento comunista, della divulgazione di idee da parte dei comunisti e anche del tipo di pratiche che i comunisti devono svolgere, bisogna svincolarsi dagli attacchi repressivi del nemico e svolgere una propaganda clandestina, usando tutti gli strumenti che le nostre forze consentono e raggiungendo il maggior numero di persone.


2. Infiltrazione

Il Partito comunista è lo Stato Maggiore della GPRdiLD. Esso deve essere in grado di intervenire con propri uomini (infiltrati) in tutti gli ambiti che ritiene opportuno 1. sia nel campo delle masse popolari (per rafforzare la sinistra, orientare la sua azione, farle conquistare il centro e isolare la destra, ecc.), 2. sia nel campo nemico (per raccogliere informazioni, studiare le contraddizioni esistenti, reclutare nuovi membri del Partito, ecc.).

Il lavoro di infiltrazione non può essere svolto da un partito pubblico: richiede professionalità, maturità e autonomia psicologiche dal contesto in cui si vive e massima segretezza sull’operazione e sull’identità dell’infiltrato, sia per la riuscita dell’operazione che per la tutela dell’infiltrato. Bisogna essere in grado di introdurre l’infiltrato nell’ambiente, di tessere relazioni, di conquistarsi una certa autorevolezza; di evitare che l’infiltrato venga scoperto, di guidarlo affinché non faccia passi falsi, di nascondere e salvaguardare i collegamenti tra lui e il Partito; di far durare il più a lungo possibile l’operazione e di affrontare gli anni di lavoro necessari in alcuni casi per ottenere risultati soddisfacenti.

In La Voce n. 59 abbiamo indicato I quattro campi del lavoro esterno del Partito:

1. le organizzazioni operaie e popolari e in generale le masse popolari;

2. il P.CARC e altre organizzazioni simili, cioè organizzazioni che conducono nell’ambito della legalità borghese un’attività loro propria e che, avendo un loro campo di azione specifico, hanno obiettivi e tattiche particolari che elaborano in autonomia dal (n)PCI, ma che condividono in tutto o in parte con il (n)PCI concezione del mondo, bilancio del movimento comunista, analisi del corso delle cose, linea generale e contribuiscono (tramite dibattito franco e aperto e tramite loro membri che sono anche membri del (n)PCI) alla loro elaborazione e verifica;

3. organismi politici e sociali della sinistra borghese non anticomunista e Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (circoli dei partiti che raccolgono la base rossa, organismi della sinistra borghese di nuovo tipo, aggregati vari promossi da sinceri democratici della società civile e delle amministrazioni locali, organismi che derivano dal tessuto organizzativo creato dal vecchio PCI), oltre che tramite influenza, dibattito franco e aperto, unità d’azione di organizzazioni della Carovana con essi, anche tramite membri del (n)PCI che operano in ognuno degli organismi;

4. organismi politici e sociali e istituzioni della classe dominante (Stato, Chiesa, organizzazioni professionali, organizzazioni criminali e altre) e della destra borghese tramite membri del (n)PCI infiltrati, oltre che esercitando influenza”.


3. Lotta contro la repressione e tutela delle organizzazioni pubbliche

Il (n)PCI è il retroterra sicuro per tutte le organizzazioni pubbliche, perché 1. con la sua esistenza scoraggia gli attacchi del nemico nei confronti delle organizzazioni pubbliche (se il nemico estende la repressione, conferma che è giusto e spinge a organizzarsi clandestinamente), 2. crea le condizioni per affrontare efficacemente la repressione e rivoltarla contro il nemico (il partito clandestino non può essere distrutto dal nemico e non si fa legare le mani dalle sue leggi), 3. infiltra suoi uomini negli apparati repressivi del nemico, 4. crea le condizioni per avanzare nella lotta per il socialismo indipendentemente da quale sarà l’azione del nemico (ricorso alla strategia della tensione, alla guerra civile, ecc.).

Uno dei compiti del (n)PCI è ridurre gli effetti negativi della repressione sulle organizzazioni popolari e rivoltare contro il nemico i suoi attacchi, rafforzando la combattività e l’organizzazione delle masse popolari. La repressione è inevitabile. Chi vuol cambiare le cose non può prescindere da questo. Bisogna essere contro la repressione, non temerla, combatterla e rovesciarla contro il nemico. Quando il nemico attacca, se l’organizzazione resiste e contrattacca facendo un’ampia campagna di denuncia e mobilitazione e promuovendo la solidarietà, limita lo sbandamento nelle sue file, aggrega nuove forze e diventa un punto di riferimento per quanti sono contro lo stato presente delle cose.


4. Comitati di Partito clandestini e OO-OP

I lavoratori avanzati devono costituire in ogni azienda capitalista e in ogni azienda pubblica OO e OP che si occupano dell’azienda e orientano la lotta di classe che si sviluppa nella zona dove l’azienda è inserita. Ogni lavoratore sensato opporrà alla nostra indicazione che contro un lavoratore che si mette in evidenza il padrone e i suoi complici prima tentano di corromperlo, poi lo denigrano, quindi cercano di isolarlo (reparti confino) e infine tentano di espellerlo dall’azienda. Questa è un’obiezione sensata. La soluzione però non è rinunciare a creare OO e OP: proprio per far fronte a queste ritorsioni padronali, oltre a OO e OP che operano pubblicamente occorre una struttura clandestina (il Comitato di Partito) che opera nell’azienda. Questo non significa rinunciare all’azione e alla struttura aperta e pubblica, ma avere un organismo che 1. è in collegamento sistematico con il Partito e assicura la direzione e l’orientamento giovandosi anche della scienza, delle relazioni e delle risorse di tutto il Partito; 2. dà continuità all’azione della struttura pubblica e assicura la sua esistenza, nel senso che promuove la solidarietà (servendosi anche dei legami e delle risorse di tutto il Partito) con ogni lavoratore che opera apertamente e che viene attaccato dal padrone; 3. potenzia e rinnova la struttura pubblica, nel senso che fa in modo che non sia mai un solo operaio a esporsi, ma che ci sia un gruppo di lavoratori capaci di manovrare tra gli altri operai e il resto delle masse popolari e anche negli organismi di massa (anche in quelli diretti dalla borghesia e dal clero come le ACLI, la CISL e altri: la struttura clandestina può avere la massima flessibilità tattica proprio perché il legame col Partito la rende salda nella strategia ed è clandestina). I CdP nelle aziende capitaliste e nelle aziende pubbliche rafforzano quindi l’azione delle OO e OP, come i comitati clandestini del Partito comunista (bolscevico) russo rafforzavano i soviet oppure come le cellule di fabbrica del vecchio PCI durante il ventennio fascista rafforzavano e orientavano la resistenza degli operai e, dopo il crollo del fascismo nel 1943, durante la Resistenza, i Comitati di Liberazione Nazionale.

Se il padrone vede che tolto di mezzo un lavoratore ne subentra un altro, ha meno interesse ad attaccare il singolo. Quando c’è una struttura clandestina, la borghesia sa che se colpisce chi fa il lavoro aperto, spinge a organizzarsi clandestinamente. Quindi la struttura clandestina alimenta le divisioni nella borghesia, tra la destra che è per attaccare e la sinistra che è per manovrare per linee interne tra gli operai. In definitiva, quindi, come l’esistenza del Partito clandestino è una salvaguardia per le organizzazioni pubbliche, anche in azienda l’esistenza del CdP protegge la struttura pubblica.


Compagno, ci auguriamo che la nostre risposte siano esaurienti e utili per permetterti di comprendere la natura clandestina del partito. Ti invitiamo a farci conoscere le tue riflessioni sulla nostra lettera e a porci altre eventuali domande. Proseguiamo il dibattito. Anche noi impariamo dalle domande che poni. Di certo, per noi è utile per imparare a propagandare con maggiore chiarezza ed efficacia la natura del partito clandestino ad elementi avanzati della nostra epoca (diversa per molti aspetti da quella dell’inizio del 1900 o della metà del secolo scorso) che, come te, hanno la falce e martello nel cuore e aspirano al socialismo.

Saluti comunisti!