La Voce 63 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - novembre 2019

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Misure per far fronte al disastroso corso delle cose e ruolo delle OO e OP

 

La crisi del sistema capitalista e delle sue istituzioni dilaga in campo economico, ambientale, sociale e culturale e su ognuno di questi terreni si sviluppano mobilitazioni popolari, proteste, lotte, denunce. Il bandolo da afferrare per dipanare la matassa è la riduzione rapida, catastrofica della attività produttive di beni e servizi (crisi dell’economia reale). Il paese per funzionare ha bisogno di alimenti, di energia, di mezzi di trasporto, di infrastrutture, di macchinari, ecc.; ha bisogno di aziende che producono i beni e i servizi necessari alla vita della popolazione e ai rapporti (di scambio se non ancora di collaborazione e di solidarietà) con altri paesi. Dall’apparato produttivo dipende l’andamento generale del paese: dall’occupazione (i posti di lavoro) alla manutenzione del territorio, dalla sicurezza sul lavoro all’educazione delle nuove generazioni, dall’approvvigionamento dei supermercati e dei negozi alla cura degli anziani, dalla salubrità di quello che mangiamo alla mobilità delle persone, dal risparmio delle risorse naturali alla difesa dell’ambiente e della salute pubblica. Solo ponendo fine alla distruzione dell’apparato produttivo del paese e riorganizzandolo si pone fine al degrado generale della vita sociale e alla scomparsa in milioni di persone della fiducia nella vita e in se stesse. Solo riorganizzando l’attività produttiva è possibile porre fine alla disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e all’emergenza climatica e ambientale.

 

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La rinascita del movimento comunista

Il movimento comunista era uscito forte dalla Seconda guerra mondiale. La ragione fondamentale della crisi in cui è gradualmente entrato nei decenni successivi è che si è via via adattato a non instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Ma gli interessi degli operai e del resto delle masse popolari sono incompatibili con gli interessi della borghesia, del clero e delle altre classi privilegiate. Non si tratta di una divergenza di vedute. Si tratta di interessi opposti. A parità di altre condizioni, se il reddito dei lavoratori aumenta, il profitto e le rendite dei padroni, del clero e degli altri ricchi diminuiscono. Quanto più potere hanno i lavoratori, tanto meno ne hanno i padroni, il clero e gli altri ricchi. I lavoratori sono tanto più liberi quanto meno lo sono i padroni, il clero e le altre classi privilegiate. Alla lunga o prevalgono gli uni o prevalgono gli altri. La borghesia, il clero e le altre classi privilegiate sfruttano i lavoratori e il resto delle masse popolari grazie alla proprietà delle risorse naturali e del capitale con cui si ritrovano e al potere politico e al prestigio sociale di cui godono. Non abbandoneranno mai i loro privilegi se non vi saranno costretti. Cercheranno con ogni mezzo di riprendersi quello che sono costretti a cedere. Oggi il movimento comunista rinasce ricco di questa lezione che ha duramente pagato. Il nuovo movimento comunista è il potere dei lavoratori e del resto delle masse popolari che si costituisce nella società per rovesciarne l’attuale ordinamento sociale. La rinascita del movimento comunista è la prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che rovescerà l’attuale potere, instaurerà il nuovo potere dei lavoratori e costruirà il nuovo ordinamento sociale: il socialismo, transizione al comunismo.

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Stante la storia che abbiamo alle spalle e la collocazione dell’Italia nel sistema di relazioni internazionali, la lotta per mettere fine alla distruzione dell’apparato produttivo è strettamente connessa alla lotta per spezzare le catene dell’UE e della BCE, delle altre istituzioni del sistema imperialista mondiale (FMI, Banca Mondiale, ecc.) e del loro braccio armato (NATO) o, detto con altre parole, alla lotta per far valere la sovranità nazionale iscritta nella Costituzione del 1948, compresa la sovranità monetaria (creazione e regolazione della quantità di moneta in circolazione). La creazione della Banca Centrale Europea e della moneta unica (Trattato di Maastricht del 1992) è stata il culmine del processo con cui i gruppi imperialisti europei hanno preso in mano la gestione dei governi nazionali per far realizzare a ognuno di  questi nel suo paese il “programma comune” della borghesia imperialista (instaurare il sistema che Mario Draghi ha chiamato “pilota automatico”). Nel nostro come negli altri paesi europei, infatti, l’attività economica è oramai talmente collettiva (nel senso che ogni attore, individuo o azienda che sia, dipende così strettamente dal resto degli attori e dallo Stato) che la gestione della moneta è l’espressione sostanziale della sovranità nazionale. Senza moneta nazionale non esiste sovranità nazionale. Oramai il denaro è completamente denaro fiduciario: cioè non è più una merce (oro o altro del genere, frutto di un lavoro), ma è un biglietto o una scritta nei registri bancari che mi garantisce che quando voglio potrò disporre di un dato quantitativo di merci e che potrò fare pagamenti (imposte, multe, affitti, risarcimenti, ecc.) per l’ammontare del denaro che possiedo. Il garante di questo rapporto di fiducia è anche il reale sovrano del paese. Affidare la creazione del denaro a un ente gestito dai gruppi imperialisti europei ha voluto dire la cessione ad essi della sovranità nazionale.

Impedire lo smantellamento di quanto resta dell’apparato produttivo del paese, mantenere in funzione e italiane le aziende che producono beni e servizi utili, riorganizzare il resto dell’apparato produttivo è il cuore della lotta per la sovranità nazionale. Sovranità nazionale significa prima di tutto sovranità sull’apparato produttivo del paese. Se non è questo, o è una dichiarazione di buona volontà ma impotente (questo è nella bocca del M5S), o è un imbroglio per raccogliere seguito e voti tra le masse popolari sempre più insofferenti contro l’UE, le sue istituzioni e le sue politiche di austerità (questo è nella bocca di Matteo Salvini e del gruppo dirigente della sua Lega).

La colonna portante di questa opera è costituita dalle organizzazioni operaie e popolari di azienda. Alimentare la mobilitazione e l’organizzazione degli operai nelle aziende capitaliste e dei lavoratori nelle aziende pubbliche, affinché si occupino del destino della loro azienda, contrastino i tentativi di smantellamento, morte lenta, privatizzazione e le operazioni speculative, prevengano le mosse dei padroni approfittando del fatto che possiamo conoscerle in anticipo perché sono per ogni padrone mosse obbligate, dettate dalla sua necessità di valorizzare il suo capitale, alimentino le lotte del resto delle masse popolari e se ne giovino essi stessi: questo è il compito immediato di ogni gruppo e singolo deciso a tirare fuori il nostro paese dal pantano in cui i vertici della Repubblica Pontificia e la loro Comunità Internazionale lo sprofondano ogni giorno di più.

 

ILVA e tutto il settore siderurgico (ex Lucchini e Magona di Piombino, AST di Terni, Ferriere di Servola a Trieste, ecc.), Alitalia, Whirlpool e il settore degli elettrodomestici, FIAT con IVECO, CNHi e le altre società connesse da Mirafiori a Termini Imerese, Bekaert, Almaviva, i 160 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello Sviluppo Economico, l’indotto e la componentistica... è gran parte dell’apparato produttivo italiano che è in crisi, milioni i lavoratori direttamente coinvolti, dipendenti e autonomi, fino agli agricoltori e ai pescatori. Le aziende che “tirano” sono destinate a diventare aziende in crisi, in ridimensionamento, chiusura o delocalizzazione. L’operaio che non vede la crisi arrivare nella sua azienda, coinvolgere la sua azienda, si culla in illusioni e in speranze vane perché non previene le mosse del padrone: i padroni guadagnano di più speculando che facendo produrre. In Italia il corso delle cose da dieci anni a questa parte non lascia spazio a dubbi.(1)

 

1. Nel nostro paese la liquidazione delle aziende che producono beni e servizi ha radici lontane. Prima i governi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) e poi quelli costituiti dai due poli delle Larghe Intese (PD con partitini satelliti, Berlusconi con Lega e gli attuali Fratelli d’Italia) hanno fatto dell’Italia un terreno libero per le scorrerie dei gruppi imperialisti che comprano, chiudono, smembrano e delocalizzano aziende industriali. Hanno privatizzato quasi tutto il sistema industriale pubblico e già avviato quella di gran parte dei servizi: istruzione, assistenza sanitaria, pensioni, sicurezza sociale, nettezza urbana, acqua, elettricità, trasporti e altro. Hanno devastato il paese con grandi opere inutili e dannose. Hanno reso l’Italia schiava del sistema finanziario internazionale tramite il Debito Pubblico. Hanno delegato all’Unione Europea (Commissione e Banca Centrale) la gestione dell’economia del paese. I passaggi cruciali sono stati due: 1. il divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia (marzo 1981), realizzata alla chetichella dal governatore della Banca, Ciampi e dal ministro del Tesoro, Andreatta con la complicità della DC di Andreotti e del PCI di Berlinguer; 2. la privatizzazione del sistema industriale pubblico che faceva capo all’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) allora diretto da Prodi.

  

 

Il corso delle cose negli altri paesi imperialisti mostra lo stesso andazzo. Prima di cercare di chiudere l’ILVA e prenderne il mercato, il gruppo Mittal ha già chiuso le grandi acciaierie Arcelor, a Florange e a Gandrange in Francia. Globalizzazione (mondializzazione) significa che grandi gruppi imperialisti hanno preso in mano le singole aziende, a volte interi settori; hanno aperto gran parte del mondo ai loro affari, si guardano in cagnesco tra di loro e chiamano Stati canaglia quelli che ostacolano le loro scorrerie; fanno ridurre la distribuzione di sussidi e ammortizzatori sociali, privatizzare il settore pubblico dell’economia e i servizi pubblici e ristrutturare al modo di aziende capitaliste quelli che non privatizzano; spostano le aziende produttrici di merci dai paesi imperialisti dove gli operai e le masse popolari mantengono ancora una parte delle conquiste, salari e diritti che hanno strappato nel corso della prima ondata

della rivoluzione proletaria (1917-1976) quando il movimento comunista era forte, verso i paesi oppressi e i paesi ex socialisti dove i salari sono più bassi (livello di vita più basso e minori i gravami fiscali e finanziari sui salari) e per i lavoratori non esistono diritti; devastano, saccheggiano e costringono la popolazione a emigrare, moltiplicano le guerre e le “spedizioni umanitarie”.

 

Spesso Landini e altri sindacalisti e politicanti alla Renzi o illusi alla Di Maio invocano “nuovi investitori” come salvatori. Ma le prestazioni dei “nuovi investitori” non sono propriamente brillanti: la lettera (vedi pagg. 13-14) dei lavoratori dell’Embraco di Riva di Chieri (Torino) descrive in dettaglio il piano di “riconversione”, “reindustrializzazione”, “salvataggio” o “rilancio” che dir si voglia di uno di questi nuovi investitori. A ragione i lavoratori avvertono che l’Embraco non è un caso isolato. La prassi corrente è che i gruppi multinazionali industriali stranieri e i gruppi finanziari italiani e stranieri comprano aziende italiane per motivi che hanno niente o poco a che fare con la produzione di beni e servizi. Le comprano per appropriarsi di conoscenze (knowhow), avviamento industriale, struttura di ricerca e marchio, per speculare sul mercato finanziario, per conquistare fette di mercato ed eliminare concorrenti, per accaparrarsi aiuti statali. E dopo averle spolpate le chiudono, smembrano, riducono o le delocalizzano.

 

In questo contesto non a caso, dopo decenni di privatizzazioni, nelle mobilitazioni dei lavoratori e nel dibattito politico spunta la parola d’ordine della nazionalizzazione: i fatti hanno la testa dura. Nazionalizzare le aziende in crisi comincia a diventare parola d’ordine corrente anche sulla bocca di politicanti e sindacalisti. In effetti nazionalizzare è la soluzione ovvia: ogni azienda che i padroni vogliono ridurre, chiudere o delocalizzare va nazionalizzata senza indennizzo. Ma non una “nazionalizzazione temporanea”, che serve solo a caricare sulle spalle della collettività, cioè delle masse popolari, le perdite del capitalista che lascia (il sistema delle cosiddette “bad e new company”) e a trovare un nuovo capitalista o cordata di capitalisti da far subentrare … e tutto continua come e peggio di prima. Ma una nazionalizzazione per far funzionare l’azienda, producendo i beni e servizi che già forniva o convertirla ad altre produzioni che servono. E, soprattutto, non basta nazionalizzare qua e là, singole aziende: si tratta della gestione dell’intero apparato produttivo del paese. Ma prima di trattare quest’ultimo aspetto, vediamo le obiezioni dei Salvini & Co, gli oppositori del governo Conte 2, e le perplessità di altri.

1. “Chi paga?” ha subito obiettato Salvini appena il ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli (M5S) ha ventilato la possibilità di nazionalizzare l’ILVA, a conferma di due cose: che per Salvini “è ovvio” che bisogna indennizzare i padroni che vogliono andarsene e 2. che Salvini è sovranista e “amico degli operai” solo finché non ha a che fare con una multinazionale come ArcelorMittal. La sua obiezione è una variante del ritornello “non ci sono i soldi”. Allo stesso tempo fa leva sul fatto, reale, che i governi delle Larghe Intese hanno usato i soldi pubblici (quelli che prelevano dalle  tasche dei lavoratori e dei pensionati come imposte o riducendo pensioni e servizi) per “salvataggi” che hanno ingrassato le tasche di “capitani coraggiosi” come quelli che hanno rilevato Alitalia, per autostrade fantasma come la Salerno- Reggio Calabria, per una serie infinita di sprechi, tangenti, lussi e regalie. Ma non è vero che non ci sono i soldi, il paese è pieno di soldi, le banche sono piene di soldi, i ricchi sono pieni di soldi. Inoltre, come già spiegato sopra, i soldi li creano banche e autorità: se si prende la sovranità nazionale si creano tutti i soldi che conviene creare. In più tante cose si fanno anche senza soldi e in più ci sono sprechi, corruzione, lussi.

 

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Lettera aperta

Ventures. Ex Lavoratori Embraco Gruppo Whirlpool

Buongiorno a tutti,

noi lavoratori Vi ringraziamo della Vostra presenza qui oggi, a testimonianza del fatto che la nostra travagliata vicenda, che credevamo conclusa l’anno scorso, visto l’evolversi negativo necessita ancora una volta del vostro forte e deciso coinvolgimento. La Ventures ha sottoscritto un accordo con Embraco Whirlpool in vostra presenza. Alcuni di voi no, ma nel ruolo che ricoprite, lo hanno fatto i vostri predecessori. A luglio 2018 questi “signori” di Ventures, trovati da Whirlpool, affermavano di avere un Team [squadra] di Ingegneri Progettisti in Israele, con progetti già pronti, prodotti innovativi brevettati e contratti di vendita firmati per decine di milioni di euro in tutto il mondo. Il Mise li ha “controllati, scandagliati” e ha affermato che erano affidabili.

Questi “signori” si sono presentati a noi dicendo che sono imprenditori di lungo corso che collaborano con aziende in Germania, Romania e Asia. Ci avevano garantito che a dicembre 2018 ci sarebbero stati in azienda tutti i nuovi prodotti pronti per la produzione e avremmo dovuto partire con le consegne ai clienti nel più breve tempo possibile. In questi mesi, sulla carta i prodotti sono cambiati diverse volte, ma della loro presenza in azienda neanche l’ombra se non un prototipo di robot (diverso da quelli annunciati), il cui funzionamento è ancora da verificare, qualche cover di dispenser acqua arrugginita, oltre a qualche bici comprata in Cina per lo show-room e a qualche scatola di giocattoli.

A marzo 2019 hanno detto di avere acquistato in Cina migliaia di parti per assemblare circa 3.000 biciclette elettriche. Non pervenuti!!

Senza avere un prodotto definitivo da processare, sempre a marzo hanno ordinato di fretta e furia due linee composte solo di banchi e rulliere (non c’è traccia di un solo macchinario) per dimostrare al Mise che erano puntuali nel programma di reindustrializzazione.

Hanno improvvisato un ufficio di marketing/vendite/customer care composto da nostri colleghi quasi tutti ex operai, senza una vera formazione. Poveri loro. Non si crea con questa approssimazione un ufficio così importante. Speriamo che non scarichino su di loro la colpa delle mancate vendite. Così come hanno cercato di fare con gli impiegati dell’ufficio tecnico/gestionale per la mancanza dei prodotti, che tra l’altro avrebbero già dovuto esistere. Inoltre in questi mesi durante le riunioni aziendali hanno spergiurato di avere acquistato prodotti e macchinari per milioni di euro. Di avere contratti di vendite già firmati con Arabi, Turchi e Asiatici per diverse decine di milioni di euro, per non dire centinaia. Hanno dato dei “cialtroni nullafacenti” al nostro sindacato esterno.

Cialtroni no, ma adesso ci auguriamo che sostengano le nostre paure.

Hanno intimato ai lavoratori di non parlare con nessuno al di fuori dell’azienda, minacciando conseguenze e usando parole forti e inappropriate. Sottolineando che il Sindacato deve andare fuori dai coglioni. E concludendo la riunione con un fuck off a tutti!! Gesti da spacconi cow-boys.

In questi giorni, hanno cercato di intimorire alcuni lavoratori per non scioperare oggi. Ad oggi circa 180 lavoratori sono stati fatti rientrare per far vedere che rispettavano gli accordi, ma messi a tinteggiare/lavare vetri e altro per mesi. Non che non sia dignitoso fare questi lavori ma dovevamo rientrare per produrre e non verniciare/lavare. Abituati a produrre milioni di compressori l’anno, si accetta di farlo, qualcuno anche con un certo disagio, nella vana speranza di riprendere un giorno a fare quello per cui siamo pagati, come previsto fra l’altro dal contratto di lavoro. Anziché sentirsi a disagio i lavoratori, dovrebbero vergognarsi questi “signori” per non essere stati in grado di rispettare gli impegni presi. Lavoratori impiegati a smontare e rimontare sempre le stesse 4 biciclette, su banchetti di recupero, allestiti dalla manutenzione interna. Costretti a rifilettare filetti ormai spanati da tempo per fare vedere all’esterno che si producono biciclette. Ad oggi hanno speso molto di meno per le linee che per comprarsi le loro quattro BMW/Audi da 80.000€ ciascuna. Macchine comprate dopo che Whirlpool ha iniziato a “foraggiarli”. Ad aprile hanno ricevuto la visita dell’ing. Sorial del Mise, facendogli vedere sempre gli stessi prototipi o parti di essi, che a distanza di sei mesi sono rimasti gli stessi. A luglio l’Assessore Regionale al Lavoro, Dr.ssa Chiorino (avremmo preferito però una visita insieme al Sindacato, avendole chiesto di fare fronte comune sul percorso di dubbia reindustrializzazione). E poi è stato il turno di Calenda... hanno fatto vedere sempre le stesse cose.

Noi non vogliamo più che questi “signori” continuino a prendere in giro voi e noi con visite fine a se stesse in stabilimento. Vi diciamo a gran voce: ma vi rendete conto di chi avete messo a reindustrializzare? Dopo tutte le lotte portate in sedi nazionali ed europee, sedi politiche, sedi sindacali ed ecclesiastiche...

Dall’articolo del Corriere della Sera di qualche giorno fa, si evidenziano dal Bilancio 2018 di Ventures  ricavi per 6 milioni di euro senza avere prodotto un solo bullone. Speriamo che per questi “signori” il prodotto non siamo noi 410 lavoratori! Siamo di fronte ad un altro “caso Electrolux e Blutec?”.

Chiediamo al Governatore Cirio come può elargire a questi “signori” fondi Regionali per il training on the job di prodotti che non esistono? Chiediamo al Mise di convocare entro questa settimana questi “signori” per rendere conto del loro operato. Chiediamo che sia reso pubblico in ogni sua parte l’accordo di reindustrializzazione firmato da Whirlpool e Ventures. Chiediamo che, avendoli scelti Whirlpool questi “signori”, la stessa Whirlpool sia chiamata a risponderne al più presto in sede Mise e ad assumersi tutte le responsabilità, rimettendo tutti i soldi che inappropriatamente sono stati spesi fino ad ora e a reindustrializzare in modo serio lo stabilimento.

Vi ricordiamo che, chi non è andato via lo scorso anno, ha messo a disposizione la sua dote di 60.000€ per la reindustrializzazione, affidandosi ad un progetto che aveva come punto cardine prodotti, brevetti e vendite già definite. Ci chiediamo come mai dopo 14 mesi parliamo ancora di prototipi.

Vi chiediamo a gran voce di verificare come sono stati spesi i soldi della reindustrializzazione. Senza dimenticare che erano il frutto di anni di sacrifici e rinunce da parte nostra. Se non fate questo noi faremo tutte le azioni che servono affinché questo succeda.

Grazie. I lavoratori. #embraco #whirlpool #lavoro #dignità

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Bisogna costringere con le buone e con le cattive le autorità, le banche e i ricchi a tirare fuori i soldi necessari, a usare per tenere in funzione le aziende i soldi che le autorità trovano e usano per ogni spreco, per ogni grande opera, per ogni guerra, per ogni lusso, per ogni tangente che gli va bene. Bisogna prendersi la sovranità nazionale e creare i soldi necessari (non fare chiacchiere come quelle della Lega sui minibot, quando era al governo con il M5S).

2. “Ma le aziende pubbliche non funzionano, sono dei carrozzoni”. A chi alla proposta di nazionalizzare obietta la disastrosa gestione dell’apparato produttivo pubblico, dobbiamo far notare che essa è incominciata negli anni ’70. Prima l’apparato produttivo pubblico (IRI, ENI, banche, ecc.) era stato un componente della ripresa postbellica e del “miracolo economico”. Nell’epoca del capitalismo dal volto umano (1945-75) le autorità pubbliche hanno gestito grandi imprese industriali, bancarie, di servizi e perfino aziende agricole, il sistema sanitario nazionale, il sistema scolastico, mille altre istituzioni (trasporti, musei, biblioteche, ecc.). Benché le autorità pubbliche fossero selezionate dal Vaticano, dagli imperialisti USA, dalle Organizzazioni Criminali, dai gruppi sionisti, dalle organizzazioni padronali, benché fossero per la maggior parte composte di uomini educati alla mentalità individualista e avida dei capitalisti, benché tutte le aziende pubbliche e le istituzioni fossero sottoposte alla pressione dei capitalisti che volevano usarle per fare profitti, tuttavia finché il movimento comunista cosciente e organizzato è stato abbastanza forte, esse hanno funzionato per le masse popolari meglio di quanto funzionino oggi che i capitalisti infine le hanno privatizzate: ora il settore privato (capitalista) dell’economia funziona così bene che i capitalisti chiudono e delocalizzano! Il settore pubblico dell’economia ha avuto un ruolo positivo fino a quando la borghesia imperialista arrivò alla conclusione che non ne aveva più bisogno perché il movimento comunista, a causa dei limiti della sua sinistra e della collaborazione dei revisionisti moderni (la destra del movimento comunista) in particolare da Berlinguer (di fatto segretario nazionale PCI dal 1964 al 1984) in qua, si era suicidato da sé. E d’altra parte la borghesia imperialista, a causa della sovrapproduzione assoluta di capitale, aveva bisogno di aprire nuovi campi ai suoi capitali e quindi privatizzare l’apparato produttivo pubblico e anche i servizi pubblici (con risultati di cui il Ponte Morandi di Genova è solo il più clamorosamente noto).

3. “L’Unione Europea non ce lo permetterebbe, lo spread (2) tornerebbe a salire e il Debito Pubblico andrebbe alle stelle”. Il Debito Pubblico è effettivamente un cappio al collo dello Stato che i grandi esponenti del sistema finanziario, collaborando tra loro o in concorrenza, stringono quanto vogliono. Ci sono gruppi come BlackRock, Vanguard, State Street Global Advisors (SSGA) e altri che gestiscono fondi di svariate migliaia di miliardi di dollari, alcuni fondi per cifre superiori al PIL USA (circa 12.000 miliardi di dollari all’anno).(3) Il Debito Pubblico italiano è dell’ordine di 2.100 miliardi di euro e ogni anno il governo italiano deve vendere (tra rinnovo di titoli che scadono e nuovi debiti) titoli per circa 400 miliardi di euro. È ovvio che finché il popolo italiano è nelle mani di uno Stato che si tiene al collo  questo cappio (creato principalmente a seguito del “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro attuato da Ciampi e Andreatta nel 1981), non potrà mai gestire il proprio apparato produttivo secondo i propri interessi. Anche le nazionalizzazioni le può fare solo con il beneplacito dei signori del sistema finanziario. Quando in agosto 2019 fu formato il governo Conte 2 lo spread calò: segno che tra i signori del sistema finanziario prevalevano orientamenti favorevoli all’operazione. Ovviamente anche per i signori del sistema finanziario internazionale non è indifferente che il titolare di un Debito Pubblico da 2.100 miliardi dichiari di considerarlo carta straccia e di non pagare più né interessi né titoli in scadenza (come fece il governo sovietico nel 1917 e come è avvenuto in altri casi): perturberebbe non poco i loro affari. Comunque, per nazionalizzazioni non approvate dai signori del sistema finanziario internazionale veniamo ancora al nodo del problema: chi comanda in Italia? Cosa ne è della sovranità nazionale?

 

2. Lo spread è la differenza tra gli interessi che le istituzioni finanziarie esigono per comperare titoli del Debito Pubblico italiano e quelli a cui comperano titoli del Debito Pubblico di riferimento: tacitamente si prendono a riferimento i titoli decennali del Debito Pubblico della Germania.

 

3. Vedasi in proposito l’Altro quotidiano.it - https://www.altroquotidiano.it OSSERVATO- RIO ECONOMICO/ Tre fondi indicizzati controllano tutte le US corporation di Mario Lettieri e Paolo Raimondi oppure Pensioni solide come la roccia (nera) di Matteo Bortolon in il manifesto 2 novembre 2019.

 

 

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“La tesi che non ci sono i soldi per fare questo o quello è del tutto infondata, non deve mai essere accettata, bisogna smascherare e denunciare chi l’avanza e se ne fa scudo per non fare. I soldi ci sono, ma non sono nelle mani giuste, sono in larga misura concentrati nelle mani di un pugno di persone e di società o enti. I capitalisti adoperano i soldi solo se con i soldi che mettono in moto possono fare altri soldi. Questo meccanismo porta alla paralisi della produzione e della distribuzione, alla paralisi dell’intera economia e dell’intera vita sociale, porta alla decadenza della società e degli individui. Le autorità borghesi, anche quelle che si dicono di sinistra e per quanto si dicano di sinistra, non osano far contribuire i ricchi a finanziare le attività nella misura necessaria, non osano creare soldi nella misura conveniente. Si limitano sostanzialmente a tosare con un sistema fiscale iniquo e costoso i flussi del denaro che transita nelle mani delle masse popolari: con le imposte dirette (su salari, pensioni, ecc.) e con le imposte indirette (IVA, ecc.) sugli acquisti e sui consumi, con balzelli che ostacolano le attività produttive e rendono difficile la vita alle masse popolari (tickets, pedaggi, ecc.). Ai ricchi e alle loro associazioni (enti, istituzioni, banche, ecc.) chiedono al massimo prestiti: con questo hanno creato un sistema di Debito Pubblico per cui 1. dipendono per le loro iniziative dai ricchi che le strozzano e 2. trasferiscono ogni anno nelle mani dei ricchi per interessi e commissioni nuovo denaro che strappano alle masse popolari. D’altra parte i ricchi vogliono far fruttare il loro danaro, usarlo come capitale, farci sopra interessi e profitti: da qui le privatizzazioni dei servizi pubblici (acqua, trasporti, strade e autostrade, gas, elettricità, comunicazioni, telefoni, nettezza urbana, sanità, scuola, assicurazioni, ecc. ecc.) e il loro degrado e rincaro. Il denaro schiaccia gli esseri umani. Noi dobbiamo e possiamo rovesciare il rapporto” (La Voce 38, Un “Piano del Lavoro” per ogni nuova Amministrazione Locale).

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4. Nell’articolo Mobilitare le OO e OP in mille iniziative di base in La Voce 44 di luglio 2013 noi abbiamo indicato la nazionalizzazione (insieme all’autogestione della produzione e all’autorganizzazione del lavoro, all’intervento sui capitalisti e all’“imponibile di manodopera”) come una delle quattro vie per tenere aperte le aziende che i capitalisti vogliono chiudere, ridurre o delocalizzare, per riaprire quelle che hanno chiuso o aprirne di nuove. Abbiamo però avvisato che “questa via presuppone un governo che voglia nazionalizzare: quindi con un governo dei vertici della Repubblica Pontificia la nazionalizzazione può essere solo un’eccezione. Come via generale la nazionalizzazione, finché non avremo costituito il Governo di Blocco Popolare, non esiste. Quelli che la lanciano non per denunciare l’inerzia e la complicità della autorità della Repubblica Pontificia, ma come misura pratica, in realtà vogliono solo cavarsi d’impaccio, non sanno cosa fare”. Questo andava bene nel 2013. Ma ora la crisi economica e politica in Italia è  arrivata a un livello tale che perfino autorità di governo ed autorevoli esponenti del

polo PD e del polo Berlusconi delle Larghe Intese con circospezione e per raccogliere consenso parlano di nazionalizzazione. Bisogna sfidarli a tradurre in pratica le loro parole. Nel promuovere la guerra popolare rivoluzionaria, e nell’immediato per creare le condizioni necessarie alla costituzione del GBP, noi dobbiamo spingere le OO e OP a imporre ogni rimedio efficace agli effetti della crisi, per precario e temporaneo e parziale esso sia. Iniziative di base (casi singoli) sono utili per le masse direttamente coinvolte e come tassello di un percorso di trasformazione generale del paese, per aprire la via a iniziative che richiedono l’intervento di un’autorità nazionale, di un governo. Esigere la nazionalizzazione da governi della borghesia come strumento per creare le condizioni necessarie a costituire un governo d’emergenza popolare. Di fronte a ogni misura parziale e precaria dobbiamo mostrare alle masse popolari i motivi per cui è parziale e precaria e il passo avanti che bisogna fare e far fare per superare il limite.

 

Con questo veniamo alla prospettiva delle nazionalizzazioni come rimedio alla distruzione dell’apparato produttivo del paese. Abbiamo detto che prendere in mano singole aziende non basta. Bisogna nazionalizzare il sistema economico, cioè gestirlo secondo un piano d’insieme: cosa produce la singola azienda, a chi serve, per chi produce, a chi lo vende, chi lo usa, chi la rifornisce. Ci vuole uno Stato che voglia far funzionare l’intero sistema produttivo del paese (e che funzioni esso stesso). Instaurare un simile Stato è il problema che i lavoratori hanno di fronte. Questo è il problema che noi comunisti abbiamo di fronte, che dobbiamo mostrare ai lavoratori come lo possono risolvere, che dobbiamo guidare i lavoratori a risolvere, a organizzarsi per risolverlo.

 

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Il Governo di Blocco Popolare seguirà una via realistica per iniziare a risalire la china della distruzione dell’apparato produttivo e della crisi ecologica connessa e grazie alla organizzazioni operaie e popolari sarà in grado di realizzarla. È la via riassunta nelle sue sette misure generali: 1. assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa), 2. distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi, 3. assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato), 4. eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti, 5. avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione, 6. stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi, 7. epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano l’azione del GBP, conformare le Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza), le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 (in particolare a quanto indicato negli articoli 11 e 52) e ripristinare la partecipazione universale più larga possibile dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

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È un problema economico ma anzitutto politico e sociale (dell’intero sistema di relazioni sociali). Bisogna risolverlo paese per paese collaborando con i paesi che cercano anche loro di risolvere lo stesso problema e stabilendo rapporti commerciali con gli altri, cacciando i predoni che vogliono approfittarne. Dobbiamo produrre solo quello che vogliamo usare e quello che ci serve per la collaborazione e lo scambio con altri paesi. Quanto meno tempo di lavoro sarà necessario (visto l’aumento vertiginoso della produttività del lavoro oggi possibile), tanto meglio sarà: lavoreremo tutti di meno e dedicheremo tutti più tempo ad altro, alle attività politiche e culturali, allo sport e alla ricerca, alle relazioni  umane. La crescita di cui abbiamo bisogno non è produrre sempre di più: una persona non può mangiare sempre di più, avere sempre più vestiti, usare sempre più case! Quello che abbiamo bisogno di far crescere è la partecipazione all’organizzazione e alla gestione della vita associata, alla cultura e allo sport, alla ricerca, alle relazioni umane. Risoluzione della crisi economica è anche risoluzione della crisi ecologica. L’inquinamento dell’ambiente cresce con la crisi economica. L’economia in crisi che devasta il mondo e inquina è l’economia in mano ai gruppi imperialisti. Il contrasto tra economia e ambiente, tra lavoro e salute è prodotto dal capitalismo. Dobbiamo in ogni paese porre il sistema monetario, bancario e finanziario al servizio di questa trasformazione. Ogni paese deve avere la sua moneta: non c’è sovranità nazionale senza moneta nazionale. I rapporti monetari e finanziari tra paesi devono essere regolati sulla base di accordi e trattative tra Stati: è il modo di produzione capitalista che mette in concorrenza i paesi, che crea contrasti che prima o poi sfociano in guerre fredde o calde, commerciali o finanziarie: come se non ci fosse posto per tutti.

I primi paesi socialisti, in primo luogo l’Unione Sovietica, finché sono stati governati per farlo funzionare hanno mostrato che un simile sistema funziona. Per decenni i capitalisti di tutto il mondo e il Vaticano inutilmente hanno cercato di impedirlo. Ci sono riusciti solo dopo che con Kruscev, nel 1956, il Partito comunista cambiò orientamento e ci hanno comunque messo trent’anni per arrivarci. Negli anni venti e trenta del secolo scorso quando i paesi capitalisti erano in crisi, l’Unione Sovietica costruiva e cresceva. La Repubblica Popolare Cinese a suo modo mostra anche oggi che un simile sistema funziona.

Oggi tutto, persone e organismi vanno misurati su questo: sulla soluzione dei problemi della crisi economica e ambientale. Quello che occorre fare oggi in Italia per risolvere problemi immediati, apparentemente non ha niente a che fare con il comunismo e il socialismo. Ma noi comunisti sappiamo che in realtà risolverli è far avanzare la rivoluzione socialista. La soluzione dei problemi immediati riesce solo se avanza la trasformazione generale del sistema sociale, se ogni soluzione particolare è fatta con l’occhio alla soluzione generale.

Ernesto V.