La Voce 64 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII  marzo 2020

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Stalin - Contraddizioni nello sviluppo interno del partito  

Il testo di Stalin che qui pubblichiamo tratta delle divergenze tra i comunisti. Nel caso concreto nel quale Stalin lo ha steso nel dicembre del 1926, si trattava di divergenze nel Partito, ma le tesi enunciate da Stalin valgono per tutti quelli che oggi nel nostro paese 1. si professano e vogliono essere comunisti, 2. vogliono contribuire alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato, 3. sono convinti che compito principale dei comunisti (loro ragion d’essere) è l’instaurazione del socialismo e 4. che per raggiungere questo obiettivo è indispensabile che un partito comunista grande e forte diriga il proletariato e le altre classi delle masse popolari, sia la loro avanguardia non solo nella difesa ma, più indispensabile ancora, nell’attacco che mira a instaurare il socialismo. Nella difesa altri gruppi possono almeno in parte supplire e affiancare il Partito comunista, ma nell’attacco il Partito comunista svolge il ruolo indispensabile e di gran lunga principale e decisivo. Non c’è rivoluzione socialista vittoriosa senza un grande e forte Partito comunista. È ai comunisti allineati su queste 4 posizioni che noi chiediamo di studiare le tesi di Stalin: per questo le riproponiamo in VO 64 anche se le abbiamo già diffuse nell’Avviso ai naviganti 96 - 28 dicembre 2019 e nell’Avviso ai naviganti 99 - 18 marzo 2020. Il teorico principe della lotta tra linee nel Partito comunista è Mao Tse-tung, ma Lenin l’ha praticata senza tregua e Stalin oltre che praticarla ha abbozzato anche l’elaborazione teorica della pratica, andando più avanti di Marx, Lassalle ed Engels. In Italia oggi quelli che condividono quelle 4 posizioni sono frammentati: Stalin indica come individuare le questioni discriminanti, di principio, essere uniti sulle quali è indispensabile per essere uniti nel Partito comunista (l’unità d’azione in lotte particolari e concrete, anche importanti, è un’altra cosa) e afferma che su di esse bisogna condurre senza riserve e concessioni la lotta. Si tratta di questioni di principio, punti essenziali della scienza su cui si basa la strategia e in definitiva anche la tattica del Partito. Su di esse vale il principio che il Partito si rafforza epurandosi dei fautori irriducibili delle tesi sbagliate. I medici non possono operare efficacemente in squadra con maghi e fattucchiere.

Nel movimento comunista italiano il dibattito franco e aperto è da sempre stato carente se non assente. Nel 1921 il Partito venne costituito sotto la direzione di Bordiga che Lenin (L’estremismo, malattia infantile del comunismo, 1920) aveva escluso potesse far parte del Partito, stante la sua concezione del mondo. Gramsci, nominato dall’Internazionale Comunista alla fine del 1923 alla testa del Partito, sostenne che era stato giusto costituire il Partito nel gennaio 1921 stante le condizioni della lotta di classe, che era stato quindi costituito per forza di cose sotto la pressione degli avvenimenti politici, ma che era stato costituito senza una base teorica sufficiente per svolgere un’efficace azione d’attacco contro il fascismo e la reazione: questa base restava da costruire tramite un dibattito franco e aperto nel Partito. La sua reclusione a vita con isolamento nel 1926 gli impedì di portare a compimento l’opera che aveva iniziato. Negli anni successivi la vita interna del Partito fu costellata di dimissioni (Bordiga) e di espulsioni (Tasca, Tresso, Leonetti, Ravazzoli, Silone, ecc.) senza una lotta di principio franca e aperta (Rivoluzionaria professionale di Teresa Noce lo illustra chiaramente), come se un Partito in guerra non potesse permettersi un dibattito franco e aperto (in contrasto quindi con l’insegnamento e l’esempio di Lenin e di Stalin). Collante del Partito erano l’adesione ufficiale all’Internazionale Comunista e la solidarietà con l’URSS. Le divergenze nel campo della concezione del mondo, dell’analisi del corso delle cose e della linea proseguivano e s’ingigantivano, ma sotto la facciata dell’unità. Avvenne anche durante la Resistenza e subito dopo: l’opuscolo di Emilio Sereni (C.L.N. Il Comitato di Liberazione Nazionale della Lombardia al lavoro) lo mostra chiaramente in un contesto particolare. L’articolo di VO 26 - luglio 2007 (Pietro Secchia e due importanti lezioni) lo illustra per esteso. La decadenza graduale dell’URSS a partire dal 1956 (XX Congresso) e le decisioni dell’VIII Congresso del PCI (dicembre 1956) diedero la stura alla convivenza nel PCI di aperte divergenze di principio nel campo della concezione del mondo, del bilancio dell’esperienza e dell’analisi del corso delle cose, tollerate in nome della necessità dell’unità elettorale e sindacale. Finché, decaduta l’URSS al di sotto di un certo livello e rotta la solidarietà ufficiale con essa (con Enrico Berlinguer, l’eurocomunismo e l’“ombrello della NATO”), venne meno anche l’unità ufficiale del Partito che si spezzò nel 1989-1991 in due tronconi di cui uno confluì con i residui della DC (operazione Prodi, Veltroni & C) e l’altro formò il PRC che si frantumò definitivamente in mille pezzi dopo la “cura” di Bertinotti (2008).

Anche tra i frammenti e i compagni che oggi condividono le 4 posizioni sopra indicate continua la frammentazione basata su beghe personaliste; nei migliori dei casi il dibattito si limita a questioni sindacali (quali obiettivi) o elettorali (quali alleanze). Esempio di questo corso delle cose è la frattura in corso nel “patto d’azione” tra il PC di Marco Rizzo e il Fronte della Gioventù comunista (FGC) capeggiato da Alessandro Mustillo.

Contro questa prassi, che perpetua la tradizione del movimento comunista italiano e più in generale dei paesi imperialisti, fonte principale della loro impotenza nell’instaurare il socialismo, noi incitiamo al dibattito franco e aperto e lo pratichiamo. Anche l’articolo sull’unità dei comunisti di questo numero di VO (pagg. 17-22) è dedicato ad esso.

Stalin è un buon maestro, Mao è la guida (vedasi L’ottava discriminante - La lotta tra le due linee nel partito in VO 10 - marzo 2002 pagg. 35-42) per il dibattito franco aperto tra comunisti con cui costruire e mantenere l’unità del Partito. Il testo di Stalin è tratto da Ancora sulla deviazione socialdemocratica nel nostro partito - Rapporto alla VII sessione plenaria allargata del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista, 7 dicembre 1926, in Stalin Opere complete volume 9 Editori Riuniti 1955, pagg. 15-25.

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Se prendiamo la storia del nostro partito dal 1903, dal momento in cui esso è sorto sotto forma di gruppo bolscevico, e ne seguiamo le fasi successive fino ai nostri giorni, si può dire senza tema di esagerare che la storia del nostro partito è la storia della lotta delle contraddizioni all’interno di questo partito, la storia del superamento di queste contraddizioni e del graduale consolidamento del nostro partito attraverso questo superamento. Si potrebbe pensare che i russi siano troppo attaccabrighe, che amino le discussioni e creino essi stessi le divergenze, e che per questa ragione lo sviluppo del loro partito proceda attraverso il superamento di contraddizioni all’interno del partito stesso.

Questo non è vero, compagni. Non si tratta qui di smania di attaccar briga. Si tratta di divergenze di principio che sorgono nel corso dello sviluppo del partito, nel corso della lotta di classe del proletariato. Si tratta del fatto che le contraddizioni possono essere superate soltanto attraverso la lotta per questi o quei principi, per questi o quegli obiettivi, per questi o quei metodi di lotta atti a raggiungere l’obiettivo. Si può e si deve accettare ogni genere di accordo con coloro che, all’interno del partito, la pensano in modo diverso su questioni di politica corrente, su questioni di carattere puramente pratico.

Se però queste questioni sono connesse a divergenze di principio, nessun accordo e nessuna linea “intermedia” possono mettere a posto le cose. Non vi è e non vi può essere una linea “intermedia” nei problemi che hanno un carattere di principio. O gli uni o gli altri principi debbono essere posti alla base del lavoro del partito. La linea “intermedia” nelle questioni di principio è la “linea” che porta alla confusione delle idee e all’attenuazione delle divergenze, la “linea” che porta alla degenerazione ideologica del partito, alla morte ideologica del partito.

 Come vivono e si sviluppano attualmente i partiti socialdemocratici dell’Occidente? Esistono delle contraddizioni, delle divergenze di principio all’interno di questi partiti? Naturalmente ne esistono. E questi partiti mettono essi in luce le contraddizioni, cercano di superarle onestamente e apertamente davanti alle masse dei loro iscritti? No. Naturalmente no! La prassi seguita dalla socialdemocrazia consiste nel nascondere, nel celare queste contraddizioni e divergenze. La prassi della socialdemocrazia consiste nel trasformare le sue conferenze e i suoi congressi in inutili e pompose mascherate affinché appaia che le cose vanno nel migliore dei modi, affinché i dissensi interni siano celati e mascherati. Ma ciò serve soltanto a confondere le idee e a impoverire il partito dal punto di vista ideologico. Questa è una delle ragioni del declino della socialdemocrazia dell’Europa occidentale, un tempo rivoluzionaria e ora riformista.

Ma non così, compagni, noi possiamo vivere e svilupparci. La politica della linea di principio “intermedia” non è la nostra politica. La politica della linea di principio “intermedia” è la politica dei partiti che intisichiscono e degenerano. Una simile politica può soltanto trasformare il partito in un inutile apparato burocratico, funzionante a vuoto e staccato dalle masse operaie. Questa non è la nostra via.

Tutto il passato del nostro partito costituisce una conferma della tesi che la storia del nostro partito è la storia del superamento delle contraddizioni interne e del continuo rafforzamento dei ranghi del nostro partito sulla base di questo superamento.

Prendiamo il primo periodo, il periodo dell’Iskra, oppure il periodo del II Congresso del nostro partito, quando si manifestarono per la prima volta all’interno del partito delle divergenze tra i bolscevichi e i menscevichi e quando il gruppo dirigente del nostro partito finì per scindersi in due parti: la parte bolscevica (Lenin) e la parte menscevica (Plekhanov, Axelrod, Martov, Zasulic, Potresov). Lenin allora rimase solo. Se sapeste quanto si gridò e si pianse allora sugli “insostituibili” che avevano abbandonato Lenin! Tuttavia la prassi della lotta e la storia del partito hanno dimostrato che questo dissenso aveva una base di principio, era una fase che si doveva attraversare perché nascesse e si sviluppasse un partito veramente rivoluzionario, veramente marxista. La prassi della lotta dimostrò allora che quel che importa, in primo luogo, non è la quantità, ma la qualità; e, in secondo luogo, non è l’unità formale, ma l’unità poggiante su una base di principio. La storia ha dimostrato che Lenin aveva ragione e che gli “insostituibili” avevano torto. La storia ha dimostrato che, se non fossero state superate quelle contraddizioni tra Lenin e gli “insostituibili”, oggi non avremmo un partito veramente rivoluzionario.

Prendiamo il periodo successivo, la vigilia della rivoluzione del 1905, quando i bolscevichi e i menscevichi stavano gli uni di fronte agli altri, sempre ancora in un unico partito, come due campi opposti con due piattaforme completamente diverse, quando i bolscevichi erano sul punto di scindere formalmente il partito e quando, per difendere la linea della nostra rivoluzione, furono costretti a convocare un loro congresso particolare (il terzo). Perché la parte bolscevica del partito ebbe allora il sopravvento? Perché si conquistò le simpatie della maggioranza del partito? Perché essa non cercava di nascondere le divergenze di principio, e lottava per superarle isolando i menscevichi.

 Potrei richiamarmi, quindi, alla terza fase di sviluppo del nostro partito, al periodo che seguì la sconfitta della rivoluzione del 1905, al periodo del 1907, allorquando una parte dei bolscevichi, i cosiddetti “otzovisti”, con alla testa Bogdanov si staccò dal bolscevismo. Questo fu un periodo critico nella vita del nostro partito. Fu il periodo in cui parecchi bolscevichi della vecchia guardia abbandonarono Lenin e il suo partito. I menscevichi gridarono allora che per i bolscevichi era la fine. Ma non fu la fine del bolscevismo e, nel corso di circa un anno e mezzo, l’esperienza della lotta dimostrò che Lenin e il suo partito avevano avuto ragione a condurre la lotta per superare le contraddizioni all’interno dei ranghi del bolscevismo. Queste contraddizioni furono superate non già cercando di nasconderle, ma portandole alla luce e lottando nell’interesse del nostro partito.

Potrei richiamarmi ancora al quarto periodo della storia del nostro partito, al periodo 1911-1912, quando i bolscevichi ricostituirono il partito che era stato sbaragliato dalla reazione zarista e cacciarono via i liquidatori. Anche qui, come nei periodi precedenti, i bolscevichi procedettero alla ricostituzione e al rafforzamento del partito non già cercando di nascondere le divergenze di principio con i liquidatori, ma portandole alla luce e superandole.

Potrei poi indicare la quinta fase di sviluppo del nostro partito, il periodo precedente la Rivoluzione dell’Ottobre 1917, allorquando una parte dei bolscevichi, con alla testa alcuni noti capi del partito bolscevico, tentennavano e non volevano che si passasse all’insurrezione d’Ottobre, ritenendola un’avventura. Si sa che anche questo contrasto fu superato dai bolscevichi non già tentando di nascondere le divergenze, ma con la lotta aperta per la Rivoluzione d’Ottobre. La prassi della lotta ha dimostrato che se non si fossero superate queste divergenze avremmo potuto porre la Rivoluzione d’Ottobre in una situazione critica. Potrei indicare, infine, i successivi periodi di sviluppo della lotta all’interno del nostro partito: il periodo della pace di Brest, il periodo del 1921 (discussione sui sindacati) e gli altri periodi che voi conoscete e sui quali non mi dilungherò qui. Noto che in tutti questi periodi, come nel passato, il nostro partito si sviluppò e si rafforzò superando contraddizioni interne.

Che cosa ne risulta?

Risulta che il PC(b) dell’URSS si è sviluppato e si è rafforzato attraverso il superamento delle contraddizioni interne del partito.

Risulta che il superamento delle divergenze all’interno del partito mediante la lotta è la legge di sviluppo del nostro partito.

Ci si potrebbe obiettare che questa è una legge valida per il PC(b) dell’URSS, ma non per gli altri partiti proletari. Non è vero. Questa legge è la legge di sviluppo di tutti i partiti che hanno una certa consistenza, si tratti del partito proletario dell’URSS o dei partiti proletari dell’Occidente. Se in un piccolo partito di un piccolo paese, in un modo o nell’altro le divergenze possono essere nascoste valendosi del prestigio di una o di parecchie persone, in un grande partito di un grande paese lo sviluppo attraverso il superamento delle contraddizioni costituisce un elemento inevitabile per l’incremento e il rafforzamento del partito. Così stavano le cose nel passato. Così stanno le cose oggi.

Vorrei qui richiamarmi all’autorità di Engels, che diresse per parecchi decenni, assieme a Marx, i partiti proletari dell’Occidente. Siamo nel decennio 1880-1890, quando in Germania vigeva la legge speciale contro i socialisti,(1) quando Marx e Engels si trovavano a Londra, nell’emigrazione, e l’organo estero illegale della socialdemocrazia tedesca, il Sozialdemokrat,(2) dirigeva di fatto l’attività dei socialdemocratici tedeschi. Bernstein era allora un marxista rivoluzionario (non aveva ancora fatto in tempo a passare nel campo dei riformisti), ed Engels manteneva con lui un’animata corrispondenza sulle questioni politiche più scottanti per la socialdemocrazia tedesca. Ecco che cosa egli scriveva allora a Bernstein (1882):

“Sembra che ogni partito operaio di un grande paese possa svilupparsi soltanto attraverso una lotta interna, in piena conformità con le leggi dello sviluppo dialettico in generale. Il partito tedesco è diventato quello che è attualmente nella lotta fra gli eisenachiani e i lassalliani, dove persino le baruffe ebbero una funzione importante. L’unificazione divenne possibile soltanto quando la banda di mascalzoni, educata appositamente da Lassalle per servirgli da strumento, si fu logorata, ma anche allora i nostri acconsentirono troppo affrettatamente a questa unificazione. In Francia, coloro che pur avendo abbandonato la teoria bakuniniana continuavano tuttavia ad adoperare mezzi bakuniniani di lotta e, nello stesso tempo, a sacrificare il carattere di classe del movimento ai propri scopi particolari, devono anch’essi logorarsi prima che l’unificazione diventi nuovamente possibile. Predicare l’unificazione in simili circostanze sarebbe pura follia. Le prediche morali non servono contro le malattie infantili, che sono inevitabili nelle circostanze attuali” (vedi Archivio di K. Marx e F. Engels, libro I, pp. 324-325).(3)

Poiché, dice Engels altrove (1885),

“le contraddizioni non possono mai essere messe a tacere per molto tempo, ma vengono sempre risolte con la lotta” (ivi, p. 371).

Ecco anzitutto come si devono spiegare l’esistenza di contraddizioni all’interno del nostro partito e lo sviluppo del nostro partito attraverso il superamento di queste contraddizioni mediante la lotta.

 

1. La legge speciale contro i socialisti, promulgata in Germania nel 1878 dal governo di Bismarck, vietava tutte le organizzazioni del partito socialdemocratico, le organizzazioni operaie di massa e la stampa operaia. In base a questa legge le pubblicazioni socialdemocratiche venivano confiscate e i socialdemocratici perseguitati. Il Par tito socialdemocratico tedesco dovette passare all'illegalità. Sotto la pressione del movimento operaio di massa la legge venne abrogata nel 1890.

 

2. Der Sozialdemokrat (Il socialdemocratico): giornale illegale, organo della socialdemocrazia tedesca. Si pubblicò dal settembre 1879 al settembre 1890, dapprima a Zurigo e poi, a cominciare dall'ottobre 1888, a Londra.

 

3. Vedi K. Marx-F. Engels, Ausgewählte Briefe, Dietz Verlag, Berlin, 1953, p. 423.

 

 

Le origini delle contraddizioni all’interno del partito

Ma donde vengono queste contraddizioni e divergenze, qual è la loro origine?

Penso che l’origine delle contraddizioni all’interno dei partiti proletari vada ricercata in due circostanze.

Quali sono queste circostanze?

In primo luogo, la pressione della borghesia e dell’ideologia borghese sul proletariato e sul suo partito nelle condizioni della lotta delle classi, pressione alla quale non di rado cedono gli strati più instabili del proletariato, e quindi anche gli strati più instabili del partito proletario. Non si deve credere che il proletariato sia completamente isolato dalla società, sia al di fuori della società. Il proletariato è una parte della società, ai cui vari strati è legato da numerosi fili. Il partito è una parte del proletariato. Perciò anche il partito non può non avere legami con i vari strati della società borghese e non subire la loro influenza. La pressione della borghesia e della sua ideologia sul proletariato e sul suo partito si esprime nel fatto che idee, costumi, usanze, stati d’animo borghesi spesso penetrano nel proletariato e nel suo partito attraverso determinati strati del proletariato legati, in un modo o nell’altro, alla società borghese. In secondo luogo, l’eterogeneità della classe operaia, l’esistenza di vari strati in seno alla classe operaia. Penso che il proletariato, come classe, potrebbe essere suddiviso in tre strati.

Uno strato è costituito dalla massa fondamentale del proletariato, dal suo nucleo, dalla sua parte permanente, la massa dei proletari “purosangue” che già da tempo ha rotto i legami con la classe dei capitalisti. Questo strato del proletariato costituisce il sostegno più sicuro del marxismo.

Il secondo strato comprende coloro che di recente sono usciti da classi non proletarie, dai contadini, dai piccoli borghesi, dagli intellettuali. Questa gente, proveniente da altre classi ed entrata solo recentemente nelle file del proletariato, ha portato nella classe operaia i propri costumi, le proprie abitudini, le proprie esitazioni, i propri tentennamenti. Questo strato costituisce il terreno più favorevole per i vari raggruppamenti anarchici, semianarchici e “di ultrasinistra”.

 Infine, il terzo strato è costituito dall’aristocrazia operaia, dal vertice della classe operaia, dalla parte più benestante del proletariato, che è portata ai compromessi con la borghesia, che è dominata dallo spirito di adattamento verso i potenti della terra, dalla aspirazione a “diventare qualcuno”. Questo strato costituisce il terreno più favorevole per i riformisti e gli opportunisti dichiarati.

Nonostante la differenza formale, questi ultimi due strati della classe operaia costituiscono il terreno più o meno comune che alimenta l’opportunismo in generale: l’opportunismo aperto, nella misura in cui prendono il sopravvento gli stati d’animo dell’aristocrazia operaia; e l’opportunismo coperto da una fraseologia “di sinistra”, nella misura in cui hanno il sopravvento gli stati d’animo degli strati semipiccolo-borghesi della classe operaia, che non hanno ancora rotto definitivamente con l’ambiente piccolo-borghese. Il fatto che gli stati d’animo “di ultrasinistra” coincidano spessissimo con stati d’animo di aperto opportunismo non rappresenta nulla di strano. Lenin disse più di una volta che l’opposizione di “ultrasinistra” non è che l’altra faccia dell’opposizione di destra, menscevica, apertamente opportunista. Questo è assolutamente esatto. Se un “ultrasinistro” è per la rivoluzione soltanto perché aspetta la vittoria della rivoluzione il giorno dopo, è chiaro che costui deve cadere nella disperazione e nella delusione se la rivoluzione subisce un arresto, se la rivoluzione non vince proprio il giorno dopo.

È naturale che ad ogni svolta nello sviluppo della lotta di classe, ad ogni inasprimento della lotta e ad ogni aumento delle difficoltà, le differenze di vedute, di costume e di stati d’animo dei vari strati del proletariato devono immancabilmente manifestarsi sotto forma di determinate divergenze nel partito, e la pressione della borghesia e della sua ideologia deve immancabilmente inasprire queste divergenze, dando loro uno sfogo sotto forma di lotte all’interno del partito proletario.

Tali sono le origini delle contraddizioni e delle divergenze in seno al partito.

Si possono evitare queste contraddizioni e divergenze? No, non si possono evitare. Credere di potere evitare queste contraddizioni significa ingannare se stessi. Engels aveva ragione quando affermava che è impossibile nascondere per molto tempo le contraddizioni all’interno del partito, che queste contraddizioni vanno risolte con la lotta.

Ciò non significa che il partito debba essere trasformato in un circolo di discussioni. Al contrario, il partito proletario è e deve rimanere l’organizzazione combattiva del proletariato. Voglio soltanto dire che non si può chiudere gli occhi e passare sopra alle divergenze all’interno del partito se queste divergenze hanno un carattere di principio. Voglio soltanto dire che unicamente mediante la lotta per una linea di principio marxista si potrà salvaguardare il partito proletario dalla pressione e dall’influenza della borghesia. Voglio soltanto dire che unicamente superando le contraddizioni all’interno del partito si potrà ottenere il risanamento e il rafforzamento del partito.