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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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La base di classe del nuovo potere

(estratti dall’articolo Democrazia e socialismo, in Rapporti Sociali 7 - maggio 1990)

L’analisi della società borghese, l’osservazione del movimento delle masse e l’esperienza storica delle rivoluzioni socialiste portano concordemente alla conclusione che

- ogni rivoluzione socialista è la conquista del potere politico e il rovesciamento delle istituzioni della vecchia società ad opera della vasta massa dei lavoratori: la rivoluzione socialista non è un colpo di mano di un pugno di rivoluzionari né una fortunata operazione politico-militare di un gruppo;(1)

- la lotta nell’ambito della vecchia società prima e la conquista del potere poi fanno emergere, all’interno della massa dei lavoratori, la classe operaia come sua parte più avanzata che unisce attorno a sé il resto dei lavoratori che fanno la rivoluzione.

Questo è il processo materiale, storico su cui si basa la tesi della dittatura del proletariato.(2)

1. In alcuni paesi economicamente arretrati (ad es. Cuba) la rivoluzione socialista si è aperta la strada attraverso fortunate operazioni politico-militari di un gruppo. Ma ciò che ha fatto sì che la fortunata operazione politico-militare non si traducesse semplicemente in un cambio della guardia all’interno della vecchia società come è successo per tanti colpi di Stato di “militari di sinistra”, ma costituisse l’inizio della rivoluzione socialista, venne dopo il successo dell’operazione, con la mobilitazione della massa dei lavoratori a cui essa dette inizio.

2. Con il termine dittatura indichiamo unicamente il monopolio del potere politico. L’espressione dittatura del proletariato sta a significare che è in seno ad esso e alle sue organizzazioni e in coerenza con i suoi interessi che viene elaborata ed approvata la linea che guida l’attività dello Stato ed è tramite il proletariato che si determina quel movimento diffuso e molecolare della società a livello strutturale per cui le direttive degli organismi statali non restano o vuote “grida” o attività imposte a ogni individuo dalle armi del soldato, ma diventano criteri e indirizzi che informano l’attività della società, a cui le armi del soldato conferiscono solo maggiore autorevolezza e che le armi del soldato impongono coercitivamente solo in casi isolati o in momenti transitori di resistenza. È il ruolo del proletariato nella costituzione materiale della società che dà al nuovo Stato la capacità di dirigere l’intera società.

La società borghese pone i proletari, e in particolare tra essi gli operai, in una posizione particolare rispetto agli altri lavoratori, posizione che si è rivelata e si rivela già nel movimento economico e politico delle stesse società borghesi. Abbiamo già visto che dall’inizio del secolo XIX è la classe operaia la classe che avanza rivendicazioni politiche a nome di tutte le classi escluse dalla democrazia borghese. Tra tutte le classi lavoratrici, la classe operaia è la classe che già nella società borghese,

- nella lotta economica e politica, condotta all’interno della società borghese, si educa in massa all’arte dell’organizzare e dirigere uomini,

- nella contrapposizione diretta al capitale, con cui scambia la sua capacità lavorativa, e nell’inserimento nel meccanismo collettivo della produzione sociale acquisisce un’esperienza che, elaborata e sviluppata, è la concezione proletaria del mondo che la rende atta, come classe, a dirigere tutti gli altri lavoratori nel superamento del capitalismo,

- per la sua capacità di far funzionare le più progredite forze produttive della società, quindi per la posizione che già occupa nella costituzione materiale della società borghese, è in grado di subentrare alla borghesia nel ruolo di classe che mette in moto l’intera società.

Sono queste caratteristiche della classe operaia che K. Marx e F. Engels mettevano in luce già nel 1848, nel Manifesto del partito comunista.

Il nuovo potere ha bisogno di una base di classe. Nessun regime politico può esistere come potere di un gruppo di individui uniti solo da vincoli ideologici e soggettivi, da comuni convinzioni, da una comune analisi della situazione, da un comune programma politico. Benché per ogni individuo l’appartenenza al gruppo dirigente di uno Stato e il ruolo che egli, a differenza di altri, svolge in esso siano frutto della sua capacità, delle sue convinzioni e delle sue qualità personali, è un’illusione la concezione che possa esistere in modo durevole il potere politico di un gruppo di individui uniti solo dalle comuni convinzioni e intenzioni. Gli individui sono transitori, le loro convinzioni sono mutevoli ed esposte all’influsso di mille circostanze, l’esperienza di ogni individuo è limitata e la teoria di ogni gruppo rimane sempre solo un’approssimazione della realtà: ciò che un gruppo ad un determinato momento ha elaborato come comune e consapevole patrimonio di giudizi, convinzioni e intenzioni non è mai sufficiente per far fronte alla gestione pratica di una società per un periodo di una qualche lunghezza. Le vicissitudini della composizione dei gruppi di dirigenti politici nelle rivoluzioni dimostrano ampiamente queste tesi. Ciò che tiene unito un gruppo dirigente politico, che media le inevitabili contraddizioni tra le particolarità delle esperienze individuali, che guida lo sviluppo della sua composizione e della sua concezione è la classe sociale di cui è espressione. È il riferimento alla classe sociale che definisce la fisionomia di un gruppo di dirigenti politici e ne permette l’esistenza.(3)

3. Quei “marxisti” che analizzano un regime politico senza ancorarlo alla sua base di classe o prescindendo dalla sua base di classe, fanno del materialismo storico che professano, un inoffensivo ornamento delle loro concezioni soggettiviste.
Ogni regime politico ha una base di classe che ne determina il carattere. I politici borghesi e i loro portavoce culturali contemporaneamente accettano e rifiutano questa realtà. Ogni uomo politico borghese ritiene di agire in nome del popolo o della nazione. Quindi accettano la realtà sopra detta che ogni esponente politico è la specificazione e la concretizzazione di un collettivo (indipendentemente dalla coscienza che egli ha di ciò). Rifiutano però, da quando la borghesia è entrata nella sua fase di declino e di difesa del suo ruolo, che il collettivo, di cui l’uomo politico è la personificazione, è la classe borghese e lo presentano come personificazione di un collettivo più vasto (il popolo o la nazione) che oramai è invece lacerato in parti contrapposte e non esiste più come unità politica. Insomma anche in questo essi compiono la stessa operazione di quando presentano la democrazia borghese come democrazia per tutti e il sistema di produzione capitalista come il sistema di produzione definitivo, “razionale”.

(…) Proprio perché, come è messo in luce dalla concezione materialista-dialettica della storia, in una società divisa in classi la politica è principalmente dominio e violenza, ogni regime politico deve avere una base di classe, deve cioè essere l’espressione politica (ossia coercitiva e violenta) del potere sociale di una classe, ossia del potere che nella costituzione materiale della società (nella struttura economica e nella formazione economico-sociale di essa) quella classe ha di muovere il resto della società. Nella società moderna solo due classi possono muovere il resto della società, comandare, stante il loro ruolo nella costituzione materiale della società: la borghesia e il proletariato, o l’una o l’altra. La borghesia perché “dà lavoro” e compera uomini, il proletariato perché produce, ha in mano la fonte principale della ricchezza sociale nelle società moderne, le fabbriche.

La storia di quel regime, la sua nascita, la sua vita e la sua morte possono essere compresi solo nella sua connessione con quella classe ed è questa connessione che deve anzitutto essere messa in luce da chi vuole comprendere quella storia.

Tra tutte le classi di lavoratori che la società borghese ha al suo interno, il proletariato e in particolare la classe operaia è l’unica classe che può costituire la base di classe di un regime politico che dirige la trasformazione della società dal capitalismo al comunismo. Solo dalla sua esperienza e dalla sua costituzione materiale possono essere tratti passo passo gli elementi necessari a definire la linea per il cammino verso la nuova società.

Tra tutte le classi di lavoratori, la classe operaia è quella che è contrapposta al capitale a cui vende la sua capacità lavorativa (a differenza del resto del proletariato), fa parte delle forze produttive più avanzate e collettive (a differenza dei produttori autonomi di merci), ha già acquisito nella società borghese esperienza di lotta collettiva e di organizzazione (a differenza di tutti i lavoratori singoli ed autonomi), è la classe la cui emancipazione come classe non può realizzarsi in altro modo che col superamento del rapporto di capitale (a differenza che per i lavoratori autonomi e i lavoratori piccolo-borghesi). Queste sue caratteristiche la predestinano alla direzione del processo di transizione dal capitalismo al comunismo: questo o avviene con la direzione della classe operaia o non avviene.

L’esperienza del movimento della massa dei lavoratori nella fase imperialista mostra che esso, man mano cresce e progredisce verso il successo, trova sempre i suoi centri di organizzazione, di direzione, di unificazione e di generalizzazione nelle organizzazioni del proletariato e in particolare nelle organizzazioni della classe operaia.

Nei paesi imperialisti in particolare, ogni volta che si è sviluppato un movimento di massa di una qualche ampiezza ed importanza, come da ultimo negli anni ’70, abbiamo visto sia che strati popolari più diversi via via venivano coinvolti nel movimento ed entravano a farne parte, sia che tutto il movimento più si estendeva più trovava i suoi punti di riferimento negli organismi operai. In Italia i Consigli di Fabbrica assunsero in ogni città, e in ogni zona del paese in cui erano presenti fabbriche, un ruolo di direzione, un prestigio e un potere che andava ben al di là di quello che i suoi membri nel complesso riuscivano a concepire e volevano esercitare. Nello stesso contesto abbiamo osservato altri fatti significativi che conducono alla stessa conclusione. Le grandi concentrazioni distaccate di impiegati e di tecnici tendevano ad assumere lo stesso ruolo delle fabbriche, creando Consigli di Fabbrica che agivano come quelli operai, a conferma che nell’industria moderna l’impiegato e il tecnico in generale è diventato un elemento della divisione tecnica del lavoro alla pari, per gli aspetti principali, degli operai.

I Consigli di Fabbrica, man mano che il movimento cresceva, tendevano ad intervenire in ogni campo, ad elaborare e fare proprie rivendicazioni di altri strati di lavoratori, a organizzarne e sostenerne le lotte, a far proprie rivendicazioni che non riguardavano direttamente il rapporto di lavoro, ad esercitare egemonia, orientamento e direzione sul complesso delle masse lavoratrici e delle corrispondenti famiglie.

Le scuole e le università, che furono per importanza il secondo centro di organizzazione e irradiazione del movimento, guardavano anch’esse alle fabbriche i cui organismi riuscivano ad avere un’influenza e una continuità ben più vasta degli organismi studenteschi. L’osservazione del movimento mostra che le scuole e le università, nonostante la loro importanza politica e la maggiore disponibilità di mezzi di comunicazione, non potevano costituire le basi di un potere politico perché gli studenti sono esterni alla struttura produttiva della società e per l’incertezza della loro posizione strutturale nell’antagonismo fondamentale della società borghese. La stessa osservazione mostra che questi caratteri strutturali erano ben più decisivi del terzo elemento di debolezza costituito dall’instabilità della composizione del corpo studentesco, che pure è il più appariscente.

Più il movimento diventava maturo, più cresceva la coalizione di esso attorno al proletariato delle grandi concentrazioni operaie e agli organismi di queste.

Insomma, tutti i movimenti di massa di una qualche importanza che abbiamo visto in Europa nell’epoca imperialista, se il loro sviluppo non veniva arrestato prima, hanno finito per trovare nelle organizzazioni di fabbrica i loro centri di organizzazione e di orientamento, quando non anche di direzione. Essi quindi configuravano un movimento in cui la larga base costituita dalla massa dei lavoratori e dagli altri ambienti popolari si univa attorno al proletariato e ai suoi organismi.

Achille P.