La Voce 66 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Mobilitiamo i giovani delle masse popolari per instaurare il socialismo!

Sono sotto gli occhi di tutti i mille fenomeni di mobilitazione delle masse popolari.

Ogni giorno gruppi di lavoratori si mobilitano contro la gestione della pandemia da Covid-19 imposta dal governo Conte 2.

Questa mobilitazione è al contempo la manifestazione del carattere superato dell’attuale ordinamento sociale e la chiave di volta per la creazione di un nuovo ordinamento.

Sono le masse popolari che fanno la storia, ma affinché si incanalino nella mobilitazione rivoluzionaria anziché in quella reazionaria, una parte di esse (l’avanguardia, i comunisti) deve svolgere un ruolo di direzione consapevole, deve avere un piano per la trasformazione della società.

In questo senso, le masse popolari oltre ad essere le protagoniste della costruzione della storia, sono anche terreno di lavoro, la pasta in cui noi comunisti dobbiamo mettere le mani.

Analizzare le caratteristiche della mobilitazione delle masse popolari, individuare il ruolo di ogni componente, comprendere le leggi che la determinano, scoprire su cosa fare leva per incanalarla verso la trasformazione positiva della società (mobilitazione rivoluzionaria) è quindi il compito fondamentale dei comunisti, ovvero di coloro che consapevolmente si pongono l’obiettivo della trasformazione dello stato presente delle cose.

Tra fine ottobre e inizio novembre il paese è stato attraversato da manifestazioni imponenti e combattive: da Napoli, Milano, Torino fino a Firenze, le masse popolari si sono mosse contro la gestione schizofrenica e criminale delle istituzioni borghesi. Tutti i settori sociali sono in moto, le loro rivendicazioni sono giuste per quanto parziali: sta ai comunisti valorizzarle ai fini dell’avanzamento della lotta di classe.

In questo articolo ci soffermiamo su tre questioni riguardanti queste manifestazioni: una di carattere generale, cioè il ruolo della violenza nella resistenza spontanea delle masse popolari e l’atteggiamento che dobbiamo assumere noi comunisti, e due di carattere specifico, cioè il ruolo delle masse popolari non proletarie e il ruolo dei giovani delle masse popolari nella resistenza spontanea e i nostri compiti.

Prima di entrare nel merito occorre fare una premessa generale.

 

Numerosi sono gli appigli e le manifestazioni di dissenso verso la direzione borghese della società, ma solo grazie alla direzione del partito comunista questa resistenza potrà elevarsi a un movimento che creerà un nuovo sistema sociale.

Quello che distingue la Carovana del (n) PCI dalle altre formazioni comuniste è che, sulla base del bilancio dell’esperienza dei più di 170 anni (1848-2020) di lotta del movimento comunista, abbiamo compreso che il partito comunista conquista il riconoscimento delle masse nella misura in cui si dota delle caratteristiche adeguate ai compiti che la situazione oggettiva pone a esso e tramite la verifica che le masse faranno di esso nella pratica di una lotta relativamente lunga.

L’aspetto dirigente è che il partito sia fornito di una linea politica giusta e che sia capace di attuarla.

Quelli che vogliono essere già in “tanti” che pretendono già il riconoscimento delle masse popolari, pestano l’acqua nel mortaio e non tengono conto:

- dell’eredità nefasta dei revisionisti moderni;

- della natura della crisi del sistema capitalista (seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale);

- delle caratteristiche dei regimi politici dei paesi imperialisti (controrivoluzione preventiva);

- della forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti (Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata).

 

Per dirigere questo processo un partito che è realmente all’altezza dei propri compiti deve darsi i mezzi per farlo: unità sulla concezione comunista del mondo (la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia), su un’analisi della realtà coerente con gli sviluppi della fase e su una linea adeguata a far avanzare la lotta di classe, una struttura organizzativa coerente e funzionale a garantire al partito libertà ideologica e organizzativa dal nemico: la clandestinità è la condizione necessaria e ineludibile a garantire tale libertà.

 

1. Sulla violenza nella resistenza spontanea delle masse popolari: orientamento e criteri per il lavoro dei comunisti

Le manifestazioni che hanno attraversato il paese tra fine ottobre e inizio novembre hanno dimostrato un alto livello di combattività da parte delle masse popolari.

Non entriamo nemmeno nel merito della canea mediatica che le ha dipinte come eterodirette dai fascisti, dalla camorra o dai “marziani”! Ci limitiamo a rispondere a queste obiezioni con due criteri:

- qualunque forma assuma, la lotta per rivendicare le misure necessarie a far fronte alla pandemia, per tutelare la salute (fisica e mentale) e il lavoro è legittima;

- la crisi del capitalismo genera una resistenza spontanea da parte delle masse popolari ed è in questa resistenza (oggettiva) che provano a infilarsi fascisti, camorristi, manipolatori e arruffapopolo. Il movimento, quindi, non è quello narrato dalla borghesia e dalla sinistra borghese (“le piazze chiamate dalla destra”), ma esattamente l’opposto.

 

Nel Comunicato CC 31/2020 del 29 ottobre scorso il nostro Partito ha salutato positivamente la protesta delle masse popolari contro il governo Conte 2 asservito a Confindustria e ai gruppi finanziari e nello stesso tempo ha spiegato che rivendicare e protestare non basta. A queste lotte bisogna combinare la costruzione della rete di nuovo potere per imporre dal basso le misure necessarie e alimentare il processo che rende il paese ingovernabile dalla borghesia e dal clero; creare le condizioni per imporre il Governo di Blocco Popolare che acuirà ulteriormente i contrasti di classe, sarà su larga scala una scuola di comunismo per le masse popolari che dovranno difenderlo dagli attacchi del padronato italiano e straniero, dalle istituzioni dei gruppi imperialisti americani, europei e sionisti. Sarà ambito nel quale le masse popolari sperimenteranno (praticamente) che l’unico modo per andare fino in fondo nella difesa dei diritti e conquistarne di nuovi è l’abolizione dei vigenti rapporti sociali a partire dalla proprietà privata dei mezzi di produzione.

Questo è il percorso pratico di costruzione della rivoluzione socialista nel nostro paese.

Le manifestazioni combattive contribuiscono a questa lotta, alla lotta per rendere il paese ingovernabile dall’attuale regime, nella misura in cui sono ben condotte politicamente e tecnicamente perché:

1. non si riducono a essere passeggiate rituali e concordate con le autorità borghesi (questure, governi, ecc.), processioni con cui la sinistra borghese e i sindacati (di regime ma, spesso, anche di base) scoraggiano l’iniziativa e il protagonismo popolare;

2. promuovono, nei fatti, la rottura col legalitarismo veicolando nella pratica il criterio che è legittimo tutto ciò che va negli interessi delle masse popolari anche se illegale, cioè vietato dalle leggi della classe dominante.

 

Detto questo, le manifestazioni combattive hanno comunque un carattere ausiliario rispetto al nostro lavoro principale: costruire la rete di nuovo potere delle masse popolari organizzate.

Queste iniziative per quanto sane, generose e in alcuni casi anche eroiche, si svolgono su un terreno in cui il nemico ha ancora l’iniziativa in mano.

Noi comunisti siamo solidali con quelli che si cimentano in queste iniziative, con quelli che per questo motivo vengono perseguitati dalla repressione (ai tanti fermati, denunciati e arrestati nelle manifestazioni di Napoli, Torino, Milano, Firenze e altre città va la nostra solidarietà e mobilitiamo le più ampie espressioni e manifestazioni di solidarietà ovunque), ma ci poniamo il compito di farli avanzare, indicando a quanti si ribellano, a quanti sono disposti a battersi forme e obiettivi superiori, di prospettiva, insomma di incanalare questa combattività, nell’obiettivo della conquista del potere.

Ai più avanzati e generosi di costoro diciamo di aderire al movimento comunista cosciente e organizzato che sta rinascendo: questo è l’ambito nel quale trovano orientamento, guida, prospettiva e sostegno alla loro attività.

 

2. Sul ruolo delle masse popolari non proletarie nelle mobilitazioni spontanee e i nostri compiti

Marx, più di 170 anni fa, ha analizzato la nostra società e ha chiarito che essa è divisa in due campi netti e contrapposti: il campo di coloro che per vivere devono lavorare e il campo di coloro che vivono del lavoro altrui (ricavano profitto dallo sfruttamento degli altri e se lavorano lo fanno solo per accrescere il proprio capitale).(1)

1. Si rimanda al Manifesto Programma, capitolo 2.2. Analisi di classe della società italiana, pag. 166 e a La Voce 65 I comunisti e il campo delle masse popolari, la mobilitazione reazionaria e la rivoluzione socialista, pag. 34-38.

L’analisi di classe è indispensabile ai comunisti per sviluppare un intervento nella realtà che metta al centro gli interessi di classe.

Nel nostro paese il campo delle masse popolari comprende il 90% della popolazione e al suo interno ci sono diverse classi sociali, tra cui i lavoratori autonomi (artigiani, piccoli imprenditori, proprietari di esercizi commerciali, ecc.) e le P.IVA (masse popolari costrette ad aprire P.IVA per lavorare alle dipendenze di imprese private o pubbliche e liberi professionisti).

Questi lavoratori appartengono al campo delle masse popolari e molti di essi, seppure formalmente non siano dipendenti da un padrone, subiscono lo stesso sfruttamento imposto dai vigenti rapporti sociali di stampo capitalista.

A fronte dei tre decenni di crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che sconvolge il mondo intero (ulteriormente aggravata dalla diffusione della pandemia da Covid-19) queste categorie di lavoratori sono investite appieno dalla sua evoluzione che ne proletarizza le condizioni, che nega loro la possibilità (reale nei paesi imperialisti nella fase del capitalismo dal volto umano (1945-1976), sebbene solo per alcuni) di “fare il salto di classe”, cioè di passare nel campo della borghesia.

Questi lavoratori vanno quindi organizzati a partire dalla loro collocazione di classe e dal ruolo che possono assumere nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Il processo di conquista del potere necessita di una partecipazione ampia e dispiegata di tutti i settori sociali diretti dalla classe operaia che è la classe strategica per il ruolo che ha nel meccanismo sociale della produzione: da essa dipende l’emancipazione di tutte le masse popolari dallo sfruttamento della borghesia e per questo motivo è la classe che è principale organizzare per fare la rivoluzione.

Questa è la dialettica tra il ruolo dirigente della classe operaia e l’intervento che noi comunisti dobbiamo esercitare su altre classi e categorie delle masse popolari. Oggi ancora più di quando Lenin scrisse (1916) che in Europa la rivoluzione non può che essere un movimento generale di varie classi e categorie e che per motivi diversi hanno tutte bisogno di farla finita con il regime della borghesia imperialista.

 

3. Sul ruolo dei giovani delle masse popolari nella resistenza spontanea e i nostri compiti

Come detto finora, il processo pratico della società, il progredire della crisi, mostra sempre più fortemente e chiaramente che il capitalismo distrugge le condizioni della vita delle masse popolari.

Questa esperienza diffusa, contribuisce a modificare il senso comune di queste, sebbene in forme contraddittorie e disgregate.

I progetti e i propositi avanzati dalle forze della sinistra borghese, di vecchio e nuovo tipo, di condizionare il capitalismo conciliando la sua sopravvivenza con i livelli di benessere raggiunti dalle masse popolari grazie alle lotte del passato, sono privi di fondamenta e di risultati positivi, anzi spesso hanno l’effetto di distogliere le forze della classe operaia e del proletariato dalla mobilitazione rivoluzionaria.

E infatti sempre più questi appelli rimangono inascoltati (e la perdita di consenso elettorale della sinistra borghese è una delle manifestazioni più eclatanti). Ciò non toglie il fatto che le masse cerchino comunque una via, una strada, per far fronte al corso disastroso delle cose; i giovani sono sempre più protagonisti di tale ricerca.

Questi sono la forza sociale su cui si basano molte delle forme di resistenza al progredire della crisi: da quelle prettamente rivendicative e combattive a quelle collocate in percorsi di mutualismo, come l’esperienza delle Brigate Volontarie per l’Emergenza e delle associazioni studentesche in lotta per la difesa del diritto allo studio, solo per fare alcuni esempi.

In entrambi i casi il compito di noi comunisti è intervenire per orientare, mobilitare, organizzare e reclutare (che è la forma più alta di organizzazione) i giovani più avanzati e generosi delle masse popolari.

La progressiva distruzione delle condizioni materiali necessarie a organizzare la propria vita, e quindi a darle un senso, è alla base della rabbia dei giovani verso l’attuale ordinamento sociale e le sue istituzioni, ma anche della loro fragilità psicologica.

Da una parte c’è la ricerca di una stabilità nell’ambito di questa società, a fronte del fatto che, a causa della debolezza del movimento comunista e dell’intossicazione propinata dalla borghesia imperialista, dalla gran parte dei giovani delle masse popolari il socialismo non è riconosciuto come una prospettiva praticabile, dall’altra sussiste la necessità di sovvertire il sistema da cui si sentono esclusi.

La borghesia ha nutrito i giovani di fantasie irrealizzabili, li ha confusi e ingannati, ha alimentato in loro l’aspettativa di realizzarsi nell’ambito dei vigenti rapporti sociali.

Tuttavia, benché la cultura corrente cerchi di occultare l’esistenza delle classi, essa si impone nella pratica dei giovani quotidianamente e in modo sempre più dirompente.

La ricerca di stabilità e al contempo la necessità di “cambiare tutto” convivono spesso nello stesso individuo, generando oscillazioni umorali e psichiche che diventano spesso patologiche: vere e proprie malattie sociali.

La contraddizione di classe di cui fanno esperienza i giovani, in una fase in cui il movimento comunista è ancora debole, spesso trova la sua manifestazione nel ribellismo antisociale, che esprime in forme diverse ma ha come comune denominatore la trasgressione delle regole, dei costumi, dei tabù imposti dalla borghesia.

Alla luce del materialismo dialettico troviamo in questo fenomeno l’espressione di due tendenze: il vecchio (l’influenza della borghesia) e il nuovo (la tendenza al superamento della società borghese).

Il vecchio influenza il nuovo assumendo la forma di ribellione individuale, disorganizzata, anarcoide e soggettivista (e in definitiva inconcludente).

La subordinazione ideologica alla borghesia porta a ribellarsi senza avere in mente e perseguire un’alternativa e come raggiungerla.

In questo senso non solo è inconcludente, ma è inevitabilmente effimera.

Le cose non rimangono mai ferme ma si trasformano: la trasformazione è dettata dallo sviluppo delle contraddizioni interne e dall’interazione di queste con quelle esterne.

La contraddizione del ribelle se resta racchiusa nell’ambito della società borghese avrà, prima o poi, come sbocco quello di cercare di inserirsi nella società. Attenzione che inserirsi nella società significa anche continuare a “giocare” la parte del ribelle: per la borghesia i ribelli non sono un problema, poiché la ribellione senza costruzione di un’alternativa al potere politico della classe dominante è tutto sommato accettata in quanto compatibile con il sistema vigente.

Lo sviluppo positivo, invece, di tale contraddizione sta nella trasformazione del ribelle in rivoluzionario, rivoluzionario comunista che lotta per il socialismo.

Il materialismo dialettico ci insegna anche che il senso della vita degli uomini (come tutti gli altri aspetti sovrastrutturali) è legato agli aspetti materiali che regolano la loro vita.

Il capitalismo, nella sua fase progressista, ha liberato gli uomini dalla lotta contro la natura per avere di che vivere e ha creato i presupposti per liberarli anche in larga misura dalla fatica del lavoro grazie allo sviluppo delle forze produttive.

Tuttavia, i rapporti sociali nell’ambito dei quali quelle stesse forze produttive si sono sviluppate sono diventati (a un certo punto dello sviluppo del capitalismo) catene che devono essere spezzate per consentire il progresso e lo sviluppo della società.

Non essere riusciti ancora a farlo ha generato la condizione di continuativa e cronica deprivazione di risorse, diritti, tutele, di capacità, scelte, possibilità e sicurezza che sono alla base di una vita dignitosa.

La condizione di emarginazione, precarietà e depressione che vivono soprattutto i giovani, e che gli stessi agenti della borghesia contabilizzano con le loro statistiche sulla disoccupazione giovanile, l’abbandono scolastico, ecc., non sono opera del diavolo (o del Covid!) ma del capitalismo.

Noi comunisti ci dedichiamo a promuovere, mobilitare e organizzare la resistenza delle masse popolari, giovani compresi, a questa guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro di loro in ogni angolo del mondo. Conduciamo questa lotta forti delle ragioni di essa che vivono nella realtà delle cose (è nel capitalismo che ci sono i presupposti del socialismo e l’instaurazione del socialismo è l’unico modo per far fronte alle sue contraddizioni) e nell’esperienza dei primi paesi socialisti. Questi nella prima fase della loro esistenza hanno dimostrato nella pratica che la maggior parte della popolazione, quando vede prospettive serie e di successo, è capace di unirsi sotto la direzione dei comunisti e di compiere miracoli di iniziativa e di energia per emanciparsi dalla borghesia.

Questa esperienza storica è ben viva anche nella mente dei borghesi e dei loro preti: né i loro soldi né le loro mille preghiere potranno affrancarli da questo ricordo che ancora li terrorizza e condiziona.

La nostra causa ha bisogno di giovani: il nostro compito è intervenire in questo campo col fine di far germogliare una nuova generazione di comunisti dediti all’unica causa per la quale oggi valga la pena di vivere, l’unica causa in grado di suscitare fiducia nel futuro e gioia in ogni singolo giorno vissuto.

Olga B.