La Voce 67 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - marzo 2021

Scaricate il testo in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

 

Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Far fronte alla repressione del padrone e dei suoi agenti statali e sindacali

Il (n)PCI sostiene e promuove ogni forma di organizzazione e di lotta degli operai e dei lavoratori anche solo per difendere e migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Tra queste rientrano l’organizzazione segreta degli operai e dei lavoratori in tutti i contesti dove è forte la repressione padronale contro chi agisce pubblicamente e non ci sono rapporti di forza (cioè organizzazioni operaie legate alle masse popolari che il padrone non è in grado di attaccare) per agire pubblicamente e le attività “non alla luce del sole” che essi conducono per organizzare i loro compagni di lavoro contro i padroni e i loro agenti (in divisa poliziesca e sindacale).

Sono forme di organizzazione e di lotta, adottate da singoli proletari e da organismi operai e popolari tanto più quanto più cresce la repressione statale e padronale, che fanno parte della resistenza spontanea delle masse popolari: sono un ingrediente della lotta contro la repressione e contro le autorità della Repubblica Pontificia (che violano i diritti che già anche la Costituzione del 1948 riconosce alle masse popolari). Quanto più abbiamo chiara la distinzioni tra la clandestinità professionale del Partito e delle sue organizzazioni da una parte e la segretezza sporadica e a buon senso di singoli o di organismi operai e popolari dall’altra (vedasi su questo l’articolo Clandestinità del partito e operazioni clandestine di organismi e singoli esponenti delle masse popolari - A proposito di alcuni errori che serpeggiano nelle nostre file a pag. 54 di VO 64 - marzo 2020), tanto più siamo in grado di estendere queste ultime, di usarle per educare alla lotta contro il legalitarismo e di farne il terreno per reclutare i più avanzati e decisi.

Pubblichiamo qui di seguito due contributi su esperienze molto diverse tra loro di organizzazione e attività segreta di operai e lavoratori d’avanguardia sul loro posto di lavoro.

 

------------------

 

1. Un’esperienza di organizzazione operaia segreta

Intervista a un lavoratore di un’azienda di servizi telefonici, che ha dato la sua disponibile a mandare questo contributo alla redazione di La Voce del (nuovo) PCI come esempio di organizzazione segreta di cui lui e suoi compagni di lavoro si sono dotati per prevenire la repressione aziendale e per essere liberi sia di esprimere le proprie opinioni, sia di manovrare all’interno del corpo dei colleghi e contro il padrone.

 

Spiegaci i motivi che vi hanno spinto a organizzarvi con questa modalità

Ci siamo mossi così per fare “contropropaganda” a quella promossa a tamburo battente dall’azienda, fatta sia per dare a bere ai lavoratori di essere tutti un unico gruppo affiatato e con i medesimi obiettivi (“siamo tutti sulla stessa barca”), sia per tenerli buoni in occasione di crisi e licenziamenti politici. Nella mia azienda esistevano dei reparti confino anche se non era la classica fabbrica, sono stati creati con la riorganizzazione secondo i modelli produttivi adottati da Toyota e ci vennero mandati i vari rompicoglioni e gli elementi vessati e sottoposti a mobbing fino allo sfinimento, poi indotti ad andarsene per la situazione sempre meno tollerabile.

Con un gruppo di colleghi abbiamo discusso su come contrastare questa deriva, compresa quella del dibattito interno su diritti e doveri dell’azienda che stava prendendo la brutta piega dell’interclassismo, e abbiamo deciso di fare questa opera di controinformazione. Nessuno di noi aveva grande esperienza politica, né era un grande oratore, però benché con mezzi limitati abbiamo deciso di provare.

Abbiamo quindi costruito un blog e una pagina FB attraverso account e vettori informatici anonimi e non rintracciabili come il dominio Inventati, poi ci siamo confrontati su una questione: ne dovevamo fare il canale per il solo lavoro sindacale o dovevamo trattarvi anche di altro? Questo perché diversi di noi sono iscritti ai vari sindacati, alcuni non hanno tessere ma in generale partecipiamo alle assemblee sindacali (ci preoccupavano anche gli stessi funzionari dei sindacati di regime che già ci contraddicevano in riunione quando interveniva qualcuno…) e ci siamo mossi in alcune vertenze che hanno toccato anche noi, nonostante il settore sia sempre stato in attivo: il padrone cerca sempre di spremere di più il limone con tagli e ristrutturazioni! Abbiamo quindi deciso di creare uno strumento completamente nuovo e difficilmente individuabile, di facile diffusione fra i colleghi.

 

Quali sono gli strumenti principali che usate? Chi se ne occupa?

Principalmente usiamo TOR e nel gruppo abbiamo alcuni compagni che si sono nel tempo specializzati nelle tecniche degli hacker, che utilizziamo per i nostri scopi; non disdegniamo altri strumenti come le scritte nei bagni o sugli armadietti e negli spogliatoi, che avevano il loro effetto. Parlo al passato perché ora, come tante altre aziende del settore, a causa del COVID siamo quasi sempre a casa in smart working e questo sarà il nuovo fronte di lotta. Infatti c’è un forte rischio di disgregazione e il padrone ne approfitta anche per grattare ulteriormente sulle spese: pulizie, affitto locali, corrente elettrica e via dicendo.

Per trattare al meglio questo tema di grande importanza, abbiamo usato un “doppio livello” e cioè abbiamo scritto sul nostro blog un articolo di critica e attacco senza costrizioni e censure di sorta legandolo anche alla situazione politica generale (quindi attacco ai diritti dei lavoratori), mentre a livello sindacale, dove non ci sono ancora accordi di dettaglio su questa forma di impiego, i documenti e gli interventi fatti sono stati più “tranquilli”, nel senso che avevano toni più pacati per poter arrivare a coinvolgere anche gli elementi un po' più arretrati che ovviamente ci sono.

 

Come diffondete le note e i documenti fra i colleghi e all’esterno?

Passiamo dalla pagina FB creata da account anonimi e da altri social che presumiamo i colleghi frequentino, abbiamo creato una mailing list con le solite procedure e da questi canali diffondiamo gli articoli e le prese di posizione. Noi siamo in generale abbastanza ostili ai cosiddetti social, però in questo caso li usiamo contro il nemico che li utilizza come arma di distrazione e di promozione dello spirito di corpo.

Da lì abbiamo cominciato a scrivere articoli di interesse interno, tipo sul welfare aziendale, lo smart working e via dicendo: in tempo quasi reale incalzavamo i padroni. Li abbiamo inoltrati anche in qualche chat aziendale “per conoscenza” e ne chiedevamo la diffusione in modo mirato e selezionando i contatti interessanti, quindi mantenendo una certa riservatezza ma dandogli il massimo respiro possibile.

 

Avete fatto operazioni per contrastare le manovre aziendali, oltre che di informazione e formazione sui colleghi?

Ne abbiamo fatte diverse, sempre con queste modalità. Devi sapere che spesso e volentieri vengono propinati dall’azienda dei questionari (loro li chiamano sondaggi) in cui, formalmente, dicono di voler fare inchiesta e avere suggerimenti, sempre dietro il pretesto di cementare lo spirito di corpo. Poi invece tirano linee di azione per dividerci oppure operare i soliti tagli e ristrutturazioni, capendo meglio dove colpire le “inefficienze” con il massimo risultato.

Avevamo notato che questo tipo di consultazioni erano fatte con metodi e strumenti informatici abbastanza primitivi a partire dai link di accesso che erano pubblici e quindi, utilizzando TOR, gli abbiamo fatto arrivare svariati questionari  compilati ovviamente secondo i nostri criteri: questo gli ha fatto saltare il giochino. Essendo tutto questo arrivato (secondo le loro ricerche) da mezza Europa, hanno potuto fare ben poco e da lì in avanti hanno limitato molto l’utilizzo di questi strumenti di creazione del consenso interno. In sostanza li abbiamo smascherati.

 

Cosa ti ha colpito di più in questo percorso di lotta?

Mi ha colpito, e ti sembrerà banale e di poco valore, lo spirito e la partecipazione di colleghi che non avevamo quasi mai visto prima nella realizzazione collettiva di striscioni, in occasione della lotta per il rinnovo del CCNL. Erano entusiasti di partecipare e nella vertenza successiva sono sempre stati in prima fila e abbiamo capito l’importanza di renderli protagonisti, anche con modi che a noi sembrano irrilevanti: non è così.

 

------------------

 

2. Gli insegnamenti tratti da alcune esperienze

Lettera di due compagne lavoratrici che seguono la letteratura del Partito e concordano con obiettivi e indicazioni politiche e organizzative che il Partito rivolge alla classe operaia, in particolare con l’indicazione di promuovere organizzazioni operaie nei loro rispettivi posti di lavoro.

 

Vi scriviamo per collettivizzare alcuni insegnamenti tratti dalla nostra esperienza di lavoro in condizioni di precariato (con contratti a tempo determinato, ecc.) all’interno di aziende capitaliste e pubbliche. Questa nostra condizione è notoriamente molto diffusa in tutti i settori produttivi e presenta problematiche specifiche che ostacolano lo sviluppo dell’iniziativa di quei lavoratori che vogliono creare organizzazione nel proprio posto di lavoro, vista la ricattabilità di un lavoratore con contratti a tempo determinato dunque precari.

Ci siamo rimboccate le maniche e messe all’opera: qui vogliamo riportare i principali insegnamenti e far emergere le problematiche e le principali questioni che rimangono irrisolte, in merito alla necessità di promuovere e creare organizzazione fra i lavoratori precari che, per esigenze facili da comprendere, devono tessere la rete della loro organizzazione adottando misure di segretezza volte alla loro tutela.

Ad oggi, le principali esperienze vittoriose di lotta e organizzazione dei lavoratori precari sono state portate avanti dai lavoratori stessi, più o meno spontaneamente, a partire dall’attività di avanguardie di lotta che nel proprio contesto sono riusciti a costituire organizzazioni operaie giunte a creare rapporti di forza tali di fronte al padrone da riuscire ad imporsi.

Tuttavia anche le organizzazioni politiche o sindacali che hanno sostenuto o guidato queste stesse lotte, non hanno saputo trarne degli insegnamenti o indicare delle linee riproducibili e replicabili in altri contesti. Anche in virtù di ciò, ad oggi, il principale approccio di chi si esprime sulla questione, sia dal punto di vista sindacale che dal punto di vista politico, è quello di mettersi le mani fra i capelli. Abbonda la denuncia delle condizioni di lavoro del precariato, delle ingiustizie e umiliazioni che i padroni perpetrano in questi contesti, ma dal punto di vista del “che fare?” scarseggiano iniziative, indicazioni e proposte. Anzi, spesso se qualche gruppo o compagno generoso prova a lanciare un qualche tipo di attività rivolta a questa categoria di lavoratori finisce, al di là delle sue intenzioni, a promuovere disfattismo.

Per chi non riesce a guardare oltre l’orizzonte della concezione borghese del mondo (le organizzazioni della sinistra borghese e le organizzazioni sindacali chiuse all’interno delle logiche della concertazione e del corporativismo), le aziende dove prolifera il precariato sono la testimonianza vivente dello strapotere dei capitalisti, un territorio inespugnabile perché privo dei requisiti che rendono attuabile un intervento sindacale di tipo classico.

Invece questo genere di aziende, come qualsiasi altro contesto oggettivo all’interno della società borghese, è attraversato da mille contraddizioni che i comunisti possono sfruttare, sviluppare e dirigere in senso rivoluzionario.

Per prima cosa c’è da dire che i precari, in quanto tali, sono i più agguerriti e sinceri “odiatori“ del capitalismo. Non tutti ovviamente (anzi, magari pochi) identificano nel sistema capitalista la causa delle loro condizione, ma la precarietà esistenziale in cui sono costretti a vivere li rende una categoria molto ricettiva e permeabile all’azione dei comunisti. Chi lavora senza tutele né diritti (nemmeno quei pochi di cui oggi ancora beneficiano i lavoratori con contratti a tempo indeterminato), senza sapere se il mese successivo continuerà o meno a lavorare, ha tutto da guadagnare e veramente poco da perdere nell’unirsi alla lotta per cambiare lo stato di cose presenti all’interno del proprio posto di lavoro ma anche al di fuori, nel suo ambito sociale.

Per questa ragione la propaganda e le parole d’ordine dei comunisti, possono e devono arrivare, attraverso volantinaggi, striscioni, ecc. in queste aziende anche se qui spesso non esiste esperienza di lotta né sindacalizzazione dei lavoratori e di norma i lavoratori non possono apertamente aggregarsi e diffondere le loro rivendicazioni all’interno dell’azienda.

Le parole d’ordine e la propaganda dei comunisti devono arrivare ai precari anche se l’obiettivo del miglioramento delle loro condizioni di lavoro e la loro stabilizzazione non è praticabile in quanto non ne esistono ancora le condizioni.

Il primo degli insegnamenti che abbiamo tratto nei nostri primi tentativi di intervento in aziende di questo tipo è proprio l’importanza della nostra presenza, della presenza della nostra propaganda: se nell’immediato la nostra azione non è utile allo scopo diretto di ottenere miglioramenti delle condizioni dei lavoratori di una data azienda, sarà utile certamente al fine di reclutare alla lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista i più agguerriti, quelli che più di altri hanno imparato dall’esperienza diretta dello sfruttamento qual è il nemico da combattere.

Venendo ai problemi che ostacolano il lavoro di formazione di organizzazioni operaie in questi contesti possiamo certamente dire che il principale è l’impossibilità di dotarsi di tutele sindacali, non perché questo diritto venga formalmente negato ma perché ovviamente il padrone può liberarsi di noi con facilità in qualsiasi momento e non esita a farlo. Infatti noi lavoratori precari se finiamo nel mirino del padrone come promotori dell’organizzazione e della lotta dei nostri compagni di lavoro non veniamo licenziati: a noi semplicemente non viene rinnovato il contratto.

Inoltre senza conoscenza dei propri diritti sindacali e contrattuali il lavoratore non ha strumenti per decifrare la realtà lavorativa in cui è inserito, non ha modo di confrontare la visione della realtà che gli propone il padrone con nient’altro e quindi accetta (al netto del malcontento, della rabbia per gli aspetti più intollerabili dell’arroganza padronale) la strada che il padrone ha tracciato per lui.

A noi lavoratori precari il sindacato serve in primis per comprendere come mettere insieme l’esigenza della produzione con quella del rispetto dei diritti dei lavoratori, dunque a studiare e analizzare la situazione in modo da individuare le principali rivendicazioni su cui aggregare gli altri lavoratori, a proporre migliorie e modifiche al ciclo di produzione, a stabilire e promuovere una linea di condotta comune nell’espletare le proprie mansioni, ecc.

Il secondo insegnamento che abbiamo ricavato dalla nostra esperienza è infatti questo: il primo passo per costruire una OO fra i lavoratori precari è che anche a partire da un gruppo molto piccolo (due o tre di loro) si formino alla conoscenza dei propri diritti sindacali e contrattuali e che soprattutto stabiliscano rapporti fuori dall’azienda con dei sindacati disposti a sostenerli anche senza che i lavoratori si iscrivano al sindacato (e dunque nessun tipo di agibilità e peso in azienda).

Questo passaggio è essenziale per portare i lavoratori più combattivi, quelli che sono in grado e vogliono aggregare anche gli altri, a non macerarsi nel malcontento e limitarsi alla denuncia generale e generica (che chiaramente dilaga fra i dipendenti di tutte le aziende che utilizzano personale precario), ma ad assumere un ruolo nei confronti dei lavoratori.

L’azione decisiva da compiere, al fine di rappresentare un punto di riferimento per gli altri lavoratori, è certamente anche quella di alimentare la denuncia e lo sdegno per le condizioni di lavoro, ma determinante è proporre soluzioni ai problemi, a partire dai più piccoli, portando l’attenzione su obiettivi mirati e concreti, possibili da centrare.

Nel riversare quanto fin qui detto nel contesto concreto della sua realtà aziendale, il lavoratore precario che vuole porsi alla testa della costruzione di un’organizzazione operaia deve mantenere, verso i capi dell’azienda, una condotta che gli permetta di non essere identificato come l’elemento promotore (o il gruppo di elementi promotori) di azioni, iniziative e orientamenti all’interno dell’azienda.

Invece, con cautela ma pubblicamente, bisogna dare ampia diffusione di quelli che sono i diritti basilari dei lavoratori sanciti dallo Statuto dei Lavoratori, dalla Costituzione e dagli stessi contratti di lavoro (di norma violati dai padroni benché prescrivano condizioni a loro molto favorevoli). Non deve dunque, per evitare di palesarsi, scadere nel prestare il fianco a tesi e posizioni arretrate e nemmeno tenere un profilo basso con la massa dei colleghi con cui lavora fianco a fianco. Con le dovute cautele deve amalgamarsi ai propri compagni di lavoro come loro punto di riferimento.

Segretamente e con cautela deve selezionare colleghi di cui si fida, altri lavoratori avanzati che come lui vogliono fare qualcosa, darsi da fare per cambiare la situazione in azienda a favore dei lavoratori. Con questi colleghi si riunisce al di fuori dell’orario di lavoro per discutere il da farsi in azienda e fuori da essa, per stabilire rapporti, mobilitare organismi sindacali e politici ad interessarsi della situazione dell’azienda, per dare informazioni alla stampa sulle vessazioni padronali, ecc.

Il terzo e più importante insegnamento che abbiamo tirato dall’esperienza che abbiamo condotto finora sta proprio nel ruolo che chi promuove l’organizzazione operaia deve assumere. Oltre a formarsi e ad avere conoscenze specifiche per ciò che attiene la conoscenza dei suoi diritti dal punto di vista sindacale, esso deve combinare dialetticamente la sua azione “pubblica” con quella “segreta” al fine di condurre operazioni e iniziative sviluppando un movimento su due fronti:

1. un movimento esterno all’azienda: la mobilitazione di forze politiche e sindacali per far sì che dall’esterno svolgano un’attività di denuncia e pressione sull’azienda utilizzando tutti gli strumenti e le modalità possibili,

2. un movimento interno all’azienda:

- per indirizzare e incanalare il malcontento generale su questioni specifiche di modo che i lavoratori in massa possano denunciare apertamente i problemi e costringere il padrone ad adottare le soluzioni che loro stessi propongono,

- per aggregare quanti più lavoratori ad autorganizzarsi per far fronte ai problemi che possono risolvere anche da soli (ad esempio, a fronte del disprezzo padronale per le norme d’igiene anti-Covid, autorganizzare nei limiti del possibile il tracciamento dei contatti con i contagiati).

 

La forza dei lavoratori organizzati è in grado di scavalcare anche il peggior contratto atipico esistente. Siamo al momento impegnati/e nel dare continuità al lavoro finora descritto, a moltiplicare operazioni e iniziative basate sugli insegnamenti finora acquisiti e che si inseriscono all’interno dei due movimenti sopra indicati. Si tratta di un’attività che in contesti come quelli descritti bisogna condurre combinando modalità pubbliche e segrete. Nella dialettica tra queste due modalità possiamo dire che all’inizio di un intervento finalizzato a creare una OO in un’azienda le modalità segrete hanno un peso superiore: la salvaguardia del posto di lavoro è la condizione perché il compagno promotore dell’organizzazione operaia possa agire e a tal fine non deve essere scoperto e deve adottare delle cautele. Via via che l’organizzazione operaia prende piede e conquista rapporti di forza favorevoli il lavoro pubblico acquisisce un ruolo superiore e quello in segretezza assumerà forme e modalità specifiche. La creazione e il rafforzamento di organizzazioni operaie è la condizione per uno scontro “ad armi pari” con il padrone che i lavoratori possono arrivare a combattere anche in aziende in cui regna la precarietà contrattuale.

Veronica e Miriam