La Voce 68 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - luglio 2021

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Rete di sostegno ai Comitati di Partito

Creare una rete di sostegno attorno a ogni nostro Comitato di Partito (CdP) clandestino è necessario, è un passo della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Ogni CdP deve studiare l’articolo Creare una rete di sostegno attorno ai nostri CdP clandestini è possibile pubblicato nel numero 67 di La Voce e applicarne concretamente le indicazioni nella sua situazione particolare. La prima reazione di chi non è abituato a fare una cosa (e non ha molta fiducia nel Partito) è di pensare che le indicazioni di questo articolo non sono adatte al suo caso particolare. Quindi è importante che il membro del CdP non si fermi a questa prima reazione.

Proprio per questo qui di seguito esamino le obiezioni all’articolo di VO 67 mosse da alcuni compagni del Partito con cui l’ho discusso.


1. Un compagno ha criticato questo articolo per tre motivi.

A suo giudizio l’articolo si fermerebbe a indicazioni generali, non fornirebbe strumenti, metodi e criteri particolari.

Posto che questa prima critica sia fondata, vale che se strumenti, metodi e criteri particolari non arrivano da altri, ogni CdP li deve trovare da sé visto che in un modo o nell’altro una rete di sostegno deve costruirsela. Ma è una critica fondata? Faccio osservare al compagno che ogni direttiva del Centro, ogni articolo di La Voce è integralmente o prevalentemente di carattere generale. Sta a chi opera sul terreno applicarlo nel particolare, nel concreto di tempo e circostanze in cui opera.

Il compagno allora cambia critica. In sintesi quella dell’articolo sarebbe teoria distinta dalla realtà e, più nello specifico, un appello a fare cose che in pratica non è possibile fare. Se questa seconda critica fosse fondata, la direttiva dell’articolo sarebbe sbagliata; non sarebbe “valida in generale, ma non nel suo caso particolare”. In tal caso chi opera sul terreno deve criticare l’errore. Ma per concludere che la direttiva non è applicabile, prima di tutto bisogna che provi ad applicarla.

Il compagno allora cambia ancora. Dice che l’articolo indica una direttiva che chi scrive può applicare e altri no, quindi è un testo che pretende di definire leggi generali ma in realtà vale solo per casi particolari e quando si pretende di rendere generale un’esperienza che è particolare si fa un appello astratto e l’ingranaggio gira a vuoto. Ho risposto che può effettivamente darsi che una direttiva non sia applicabile in tutti i casi. Ma prima di concludere che nel suo caso particolare non è applicabile, bisogna che provi ad applicarla: capirà quale è la particolarità del suo caso rispetto agli altri.


2. Un altro compagno dice che l’autore dell’articolo è membro di un organismo di massa e questo lo favorisce nel creare ed estendere una rete di relazioni, mentre uno che, ad esempio, è membro del P.CARC e ha relazioni con elementi delle masse popolari solo tramite quel partito, non potrebbe costruire “relazioni in più” attorno al CdP. Gli ho spiegato che chi ha relazioni con elementi delle masse popolari tramite il P.CARC ha il vantaggio che queste relazioni sono di qualità superiore. Non sono solo o principalmente basate sulla lotta contro la chiusura della fabbrica, contro i fascisti, contro il governo, ecc., ma anche sull’aspirazione a instaurare il socialismo o comunque a costruire un’alternativa di governo del paese, sul riferimento all’esperienza del movimento comunista, ecc. Esse aprono quindi a molte più relazioni con altri elementi delle masse popolari legati a loro volta ai membri del P.CARC. Ad esempio, un compagno che ha relazione con un giovane del P.CARC, tramite lui può costruire relazioni con tutta una rete parentale, di amici, di colleghi di lavoro e di studio di quel giovane e tra essi trovare il sostegno che cerca.


3. Un terzo compagno dice che per costruire una rete di sostegno ci vuole tempo e lui che è rivoluzionario di professione (RdP) tempo non ne ha perché la giornata non gli basta mai. Chiedo: “Chi, allora, può costruire questa rete?”. Non può farlo chi è impegnato nel lavoro in produzione o nella cura della famiglia o nelle due cose insieme, perché ha a disposizione solo una frazione del tempo di cui il rivoluzionario di professione dispone. Il compagno risponde che però chi lavora in produzione e ha famiglia è in costante relazione con compagni di lavoro e familiari grazie ai quali potrebbe costruire una rete di sostegno. Obietto che le condizioni di lavoro e le condizioni familiari non sono di per sé tali da favorire la costruzione di una rete di sostegno,

- dal lato oggettivo, perché quando si lavora in produzione o quando ci si occupa della famiglia il tempo per tessere reti o è ridotto a momenti marginali e aleatori o addirittura è ridotto a zero. Il RdP può salire su un palco e parlare a una folla di persone, chi lavora in produzione o tace o deve costantemente guardarsi le spalle dal padrone e dai suoi tirapiedi;

- dal lato soggettivo, il lavoratore o il familiare non ha l’autonomia ideologica e la preparazione tecnica che il rivoluzionario di professione ha. È come uno che ambisce a essere tessitore a fronte di chi è tessitore professionista, ragione per cui nel costruire una rete avanzerebbe a caso, sbagliando più volte e quindi spendendo molto del poco tempo che ha.

Il compagno a questo punto obietta che un RdP se ha ruolo di direzione verso altri compagni anche loro membri del Partito e ha a che fare solo con loro, quando deve cercare strumenti utili per la sua attività (abitazioni in cui fare riunioni protette, auto “pulite”, denaro, aiuto per fare sopralluoghi, ecc.) non ha altri che loro a cui chiedere, ma a loro non può chiedere perché essendo membri del Partito è molto probabile che i loro mezzi e le loro case siano controllati, né è possibile chiedere loro denaro perché già ne versano all’organismo di cui sono parte, ecc.

Di conseguenza questo compagno pensa che chi lavora in fabbrica, in un ospedale, in una scuola, in un’amministrazione pubblica, insomma uno che lavora per vivere come un qualsiasi elemento delle masse popolari, è messo molto meglio di lui che dedica tutto o quasi il tempo all’attività politica.

Gli spiego che chi pensa in questo modo non distingue nel modo giusto tra masse popolari e comunisti, non ha sufficientemente inteso la relazione dialettica tra l’uno e l’altro elemento. Comunisti e masse popolari sono distinti e uniti al tempo stesso e quanto più sono distinti, tanto più sono uniti. Infatti i comunisti si distinguono dalle masse popolari come rappresentanti di esse, capaci di sintetizzare i loro interessi e le loro aspirazioni e indicare ad esse il percorso per realizzarli. La legge è questa. I comunisti sorgono dalle masse popolari (pur essendo possibile che anche un membro della borghesia imperialista diventi comunista), ma questo non significa che uno fino a un certo punto fa parte delle masse popolari poi diventa comunista e delle masse popolari non fa più parte (quindi non sa come trovare tra di esse case, auto, denaro, ecc.). È un modo di ragionare unilaterale, che

- o ritiene i comunisti distinti dalle masse popolari (e da ciò sorgono fenomeni negativi uno dei quali è il settarismo, cioè il ritenersi una cosa a parte rispetto alle masse popolari),

- o ritiene i comunisti uniti, la stessa cosa delle masse popolari (e da ciò sorge il codismo, l’appiattirsi sull’esperienza delle masse, muoversi solo quando esse si muovono, prendere per buono tutto quello che esse pensano mentre parecchio di ciò che esse pensano è derivato dall’influenza della classe nemica o è muoversi d’istinto, ecc.).

Nel primo caso non troviamo strumenti perché non saremmo più masse popolari. Nel secondo caso non troviamo strumenti perché non è cosa da masse popolari mettersi a cercare la strumentazione che serve al lavoro clandestino. Effettivamente se noi fossimo una stessa cosa con le masse popolari, nemmeno ci penseremmo, oppure penseremmo che in fondo tutto questo non serve, che possiamo muoverci sul terreno delle rivendicazioni o della lotta politica pubblica o al massimo che ci serviremo degli strumenti necessari alla lotta clandestina quando la parola sarà alle armi, quando la repressione ci avrà tolto ogni libertà e allora le masse popolari ci daranno volentieri gli strumenti che cerchiamo. Tutto questo fa parte dell’armamentario del vecchio movimento comunista, della clandestinità come strumento da adottare quando saremo costretti, della rivoluzione che scoppia.

Se capita che ci sentiamo oppressi e impotenti, che, come nel caso specifico, non possiamo costruirci una rete di sostegno, è perché siamo fermi a questo modo di pensare. Se restiamo fermi a questo modo di pensare o non avanziamo o avanziamo lentamente, a spinta.

Se un RdP ha relazioni solo o principalmente con membri del Partito, per lui si tratta di estendere tramite essi il proprio sguardo. Ogni compagno ha parenti, amici, conoscenti, colleghi di lavoro, ecc., tutto un ambito che un RdP deve comunque conoscere perché gli serve per dirigere quel compagno. Noi dobbiamo sapere quanto più possibile di lui: età, genere, quale lavoro fa, se ha avuto altre esperienze politiche, dove è nato e dove è vissuto, chi sono i suoi genitori e anche i suoi nonni, quali sono le sue relazioni familiari, qual è il suo titolo di studio, con chi è in contatto nelle sua attività quotidiane, ecc. Questo compagno è quindi una finestra sul mondo e un ganglio di infinite relazioni, tra le quali ci sono anche quelle che servono a costruire la rete di sostegno. Solo il rivoluzionario di professione ha mente e tempo per avere accesso a questo universo. Questo è il suo lavoro, che nessuno altro può fare: se lui non lo fa, non sarà fatto. Questa è la sua responsabilità, questo è il suo privilegio. Questo è il significato dell’affermazione di Stalin secondo cui i comunisti sono “fatti di una pasta speciale”. Nel caso di noi comunisti dei paesi imperialisti, di questa pasta dobbiamo e vogliamo diventare.


Ragioniamo un po’ sulla relazione tra un RdP e le masse popolari. Di certo non trova alcun sostegno chi va tra le masse popolari animato dal cosiddetto “odio per gli indifferenti”. Quella dell’odio per gli indifferenti è una delle affermazioni più infelici di Antonio Gramsci, che per altri versi è il dirigente più avanzato che il primo movimento comunista del nostro paese ha avuto. È una delle posizioni che Gramsci assunse prima del Biennio Rosso, prima di costituire il primo PCI, prima di andare in URSS e partecipare ai lavori dell’Internazionale Comunista, prima di avviare la sua lunga riflessione esposta nei Quaderni del carcere, prima, quindi, di imparare i fondamenti del marxismo-leninismo che rigettano qualsiasi forma di odio nei confronti delle masse popolari, siano esse indifferenti o meno. Oggi tutto ciò degenera nell’odiare chi non condivide la nostra ideologia o chi non si impegna nella lotta di classe; si estende nel disprezzo verso quelli che non aderiscono ai partiti della Carovana anche se aderiscono ad altri partiti che si dichiarano anch’essi comunisti, verso quelli che aderiscono ai sindacati di regime e ancora più verso l’aristocrazia operaia di quei sindacati, considerata come un unico aggregato tutto orientato a destra. Questo odio si inasprisce verso chi è al servizio dello Stato borghese e opera nelle sue strutture amministrative e operative e al massimo grado verso le Forze dell’Ordine, tutte considerate una manica di bastardi. Sul piano intellettuale questo odio significa pensare noi dalla parte del bene e il resto del mondo dalla parte del male, noi intelligenti e coraggiosi e stupide e vili le masse popolari che non ci capiscono e si fanno incantare o atterrire dalla borghesia imperialista. Lascio ai compagni di considerare quanto poco questo ha a che fare con il materialismo dialettico (con il vedere la trasformazione delle cose), quanto ha invece a che fare con il pensiero religioso e la pigrizia del pensiero. Chi mantiene modi di pensare di questo genere non troverà sostegno dalle masse popolari, che non si vede perché dovrebbero sostenere chi le considera stupide e vili.

I comunisti non sono la “parte buona” che si distingue dalla “parte cattiva” delle masse popolari. I comunisti sono una evoluzione delle masse popolari. Sono elementi delle masse popolari che si distinguono da esse intellettualmente e moralmente e poi si uniscono a esse come loro interpreti e guide: il partito comunista che li raccoglie è la coscienza e lo Stato Maggiore delle masse popolari. Devono meritare la fiducia delle masse popolari. Se le masse sono indifferenti ai nostri appelli e la cosa ci distoglie dall’azione, siamo noi comunisti a dover capire dove sbagliamo e non distogliere la nostra attenzione da esse come se non la meritassero e fossimo chissà quali aristocratici, mentre altro non siamo che la volpe incapace di arrivare all’uva.

Provino i compagni ad adottare questa morale nella loro condotta e verifichino se serve a estendere la rete di sostegno di cui stiamo parlando.


Oltre a questo avanzamento nella nostra riforma morale, è indispensabile ancora prima la nostra riforma intellettuale. Nell’articolo Creare una rete di sostegno attorno ai nostri CdP clandestini è possibile c’è un passaggio molto bello. L’autore scrive: “Il senso comune ci spinge nella direzione della concezione borghese del mondo, quindi rende più semplice chiedere in cambio di qualcosa. Non ci rendiamo conto che per le masse popolari è molto più prezioso avere un orientamento, avere la possibilità di contribuire alla costruzione della soluzione al marasma attuale. Non ci rendiamo conto di quanto tutto questo sia ricercato dalle masse popolari”. Tra le nostre file ci sono compagni che non solo di ciò non si rendono conto, ma che non sono affatto convinti di ciò che l’autore dell’articolo scrive. Uno di questi compagni ha obiettato che le masse popolari sono abituate per senso comune a dare qualcosa solo in cambio di qualcosa d’altro. Questa affermazione è sbagliata sotto molti punti di vista.

1. Dare qualcosa in cambio di qualcosa d’altro non è norma d’azione universale tra le masse popolari. È norma nella produzione mercantile semplice e nella produzione mercantile capitalista (vedi al riguardo Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pagg. 9-20). Non vale nel rapporto tra genitore e figlio, non valeva nel rapporto tra servo e padrone, non vale nel rapporto tra il medico volontario di Emergency e i malati che cura, ecc. Il compagno che afferma questo non ha una visione storica e ampia della materia e si limita a ripetere un luogo comune.

2. Dare qualcosa in cambio di qualcosa d’altro è anche dare in cambio di orientamento, perché anche l’orientamento è qualcosa d’altro, anche se di materia diversa da un panino, una birra o una maglietta che vendiamo per raccogliere fondi.

3. Il compagno insiste sul fatto che le masse non chiedono orientamento. Lo chiedono, invece, in ogni momento della giornata e della vita; è il compagno che non sa ancora vederlo. Non sono centinaia di migliaia quelli che affollano piazza S. Pietro quando Bergoglio predica contro “i mali del mondo”? Non sono migliaia quelli che si ammassano a sentire un Vasco Rossi che va cantando che la vita “un senso non lo ha”? O un Piero Pelù, che da ribelle che era è finito a Fiesole con Luigi Di Maio, Ursula Von der Leyen, Christine Lagarde a celebrare l’Unione Europea alla conferenza del 2021 sullo stato dell’Unione? L’uno e l’altro si sono arricchiti alle spalle delle masse popolari, non dando ad esse un orientamento, ma un “non orientamento” che, in definitiva, è lo sforzo di distoglierle dall’orientarsi a costruire la rivoluzione socialista. I compagni del movimento NO TAV non hanno dovuto replicare i corsi di filosofia in valle perché le iscrizioni erano state superiori a ogni aspettativa?

Il compagno che reputa le masse popolari indifferenti rispetto all’avere a disposizione un orientamento e più interessate ad avere qualcosa da mangiare e da bere deve, con molta serietà e attenzione, rivedere la propria concezione.

Sul piano politico non si distingue da chi reputa il popolo interessato solo a panem et circenses, dall’idea reazionaria della Grecia antica secondo la quale “gli schiavi non hanno anima” fino alla sua versione moderna di Winston Churchill (Woodstock, 1874 - Londra, 1965) per il quale i proletari sono animali. Tutte anticaglie della società divisa in classi che inchiodano il compagno che le mantiene e gli impediscono di costruire una rete di sostegno.

Sul piano ideologico, poi, il compagno si lascia tirare in basso dall’idea che una cosa sono panini, birre, ecc. e altra cosa sono parole, sentimenti e pensieri. In realtà tutto è materia. Tutto è energia. Uno può trarre energia prendendo un caffè ma può trarne anche da chi gli rivolge un sorriso. Provi il compagno ad andare tra le masse popolari con il cuore e la mente in festa e porti chiarezza alla loro mente e calore ai loro cuori; che verifichi se con questi strumenti “non materiali” riesce a moltiplicare i nodi della rete che lo sostiene e, se sì, lasci perdere i pregiudizi del vecchio modo di pensare e di sentire e si faccia uomo nuovo.

Gaetano V.