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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - novembre 2021

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

 

Note sull’articolo Contro il diffuso atteggiamento antiscientifico e irrazionale di Rapporti Sociali n.26/27

La discussione sulla linea del P.CARC in materia di vaccinazione dei suoi membri mi ha spinta a cercare nella pubblicistica della Carovana qualcosa che mi aiutasse a capire le resistenze ideologiche che ho espresso, e che esprimo, ad affrontare in maniera costruttiva questo tipo di discussione.

Ho deciso di approfondire il tema a fronte del fatto che, per quanto il dibattito sia stato utile a mettermi in moto, non mi era bastato. Non tanto per convincermi della giustezza della linea che abbiamo adottato, ma per capire

- in che modo il dibattito potesse essere utile ai fini della mia RIM e CAT,

- in che modo il dibattito potesse essermi utile a migliorare la mia attività politica in funzione dei compiti stabiliti dal Partito (tra cui anche vaccinarmi e far vaccinare i compagni per evitare che Polizia e Carabinieri approfittino della non vaccinazione per ostacolare la nostra attività politica),

- in che modo adottare un approccio non burocratico alla linea.

Sono così approdata all’articolo Contro il diffuso atteggiamento antiscientifico e irrazionale (in Rapporti Sociali n. 26/27, gennaio 2001), che non conoscevo, e a cui ho associato anche due articoli di RS n.7 (maggio 1990): L’empirismo, il determinismo e il meccanicismo e L’empirismo e la manipolazione arbitraria dell’esperienza.

Dallo studio dell’articolo di RS 26/27 ho ricavato una serie di criteri che mi sono particolarmente utili: utili, nonché necessari, ad adempire meglio ai miei compiti, quindi alla mia elevazione come dirigente comunista.

Il primo criterio fissato nell’articolo è il seguente: noi comunisti abbiamo il dovere di capire i fenomeni che ci stanno intorno e ci coinvolgono e come si producono. A questo fine dobbiamo promuovere tra le nostre file (a partire da noi quadri) un approccio razionale, scientifico alla realtà, contro l’irrazionalismo e il fermarsi all’intuizione.

Questo approccio è fondamentale per non confondere le opinioni personali con la realtà (che è una delle manifestazioni del soggettivismo, di cui conosciamo i nefasti effetti in campo politico).

Questo primo punto non è di certo una scoperta per me. Tuttavia lo studio dell’articolo alla luce del bilancio (complessivo) della mia esperienza mi ha fatto rendere conto meglio che:

- benché sia positiva, la mia tendenza allo studio e alla ricerca è ancora poco pratica, poco finalizzata all’uso, all’azione. Tendo a studiare per sapere e non per fare. Lo studio dell’articolo mi ha fatto capire che il mio problema attiene al fatto che non ho ancora assimilato che il materialismo dialettico non è solo un metodo per conoscere la realtà, ma anche un metodo per trasformarla, per l’azione. Pertanto tendo a eludere una cosa che è fondamentale per un comunista: formarsi e formare per trasformare, non per conoscere o contemplare l’esistente;

- in virtù di quanto scritto sopra, qual è la forza principale della mia azione? Senza scadere in unilateralismi, posso affermare che come tendenza mi baso ancora molto sul mio intuito e su aspetti morali.

Ho sempre considerato il mio intuito un punto di forza. In verità, come spiega l’articolo, l’intuizione è solo il primo stadio della conoscenza, principalmente basato sulla propria esperienza: agire principalmente per intuito è tipico dei bambini o di adulti che non possiedono altri strumenti (culturali, analitici, ecc.).

Basandomi sul mio intuito e sulla mia esperienza, rischio di confondere le mie opinioni personali con la verità.

Il metodo scientifico (scoperto, rodato e sviluppato nell’ambito dello sviluppo della società borghese) ci insegna che bisogna partire dall’osservazione dei fatti (ossia dall’inchiesta), sulla base di essa formulare delle ipotesi che poi andremo a sperimentare più volte (cioè useremo come guida della nostra attività): la sperimentazione ci serve a verificare nella pratica la validità di quelle ipotesi e, laddove valide, potranno essere ulteriormente arricchite con altre sperimentazioni, teorizzate fino a ricavarne dei principi universali: scientifici.

Nella mia attività non posso di certo dire di non aver mai adottato questo metodo, ma tendo a farlo con poca consapevolezza della sua necessità (validità) e delle mie possibilità (quindi valorizzando poco le mie possibilità). Questa mancata assimilazione emerge chiaramente, e nettamente, soprattutto in quegli ambiti di lavoro politico che conosco meno (e su cui posso far valere meno l’esperienza accumulata e quindi l’intuito) e in quegli ambiti della mia vita in cui la sfera emotiva “gioca” maggiormente (direzione dei rapporti personali che per me sono il “regno dell’ignoto”).

Il mio approccio tendenzialmente antiscientifico credo che derivi

- dalla mancanza di una cultura scientifica, frutto del tipo di percorso scolastico e accademico che ho fatto, ma anche del clima familiare in cui sono cresciuta (dove tutto ciò che è collegato alle “versioni ufficiali” è da rigettare, che si tratti di politica piuttosto che di medicina, ecc.);

- dal fatto che le problematiche concrete, materiali, costanti (più o meno tipiche della condizione proletaria) sono il brodo di coltura di un approccio teso a cercare soluzioni definitive e a valutare le cose secondo criteri come “funziona o non funziona”, è “buono o non è buono” che è il contrario dell’approccio scientifico il quale indica, per poter arrivare alla verità, la verifica costante dei dati ripetuta varie volte.

Il metodo scientifico è il metodo più rigoroso che abbiamo benché non sia infallibile.

Dunque si tratta di rimuovere le cause dell’ostilità nei confronti del metodo scientifico per assimilarlo e usarlo, perché ci consente di conoscere la realtà usando la qualità più preziosa che ha l’essere umano, cioè la nostra intelligenza.


***

Cosa vogliamo dire quando diciamo “rendere scientifica la nostra attività, elaborare scientificamente la nostra attività, ecc.”?

1. Selezionare, sottoporre a esame critico e completare le nostre singole idee sulla materia in oggetto e connetterle tra loro a formare una ricostruzione della realtà nella nostra mente (concreto di pensiero - vedi Marx Il metodo dell’economia politica).

2. Sottoporre la nostre pratiche (azioni, procedure, ecc.) alla sperimentazione, elaborare procedure e strumenti di sperimentazione per verificare e provare (o sconfessare - riprovare) le nostre idee e ricostruzioni (laboratorio e impianto pilota).

3. Usare il concreto di pensiero (la ricostruzione della realtà nella nostra mente) per definire attività e percorsi, trasformare il mondo (impianto industriale), cambiare la natura, la società e noi stessi.

Questi tre processi sono da considerare separati (analisi ma anche esecuzione e progettazione separate e persino fatte da soggetti distinti e specializzati), ma da combinare tra loro, in particolare il primo e il secondo. Non sono un prima e un dopo, perché altrimenti vorrebbe dire

- che si riduce il primo a critica delle idee con idee, a confronto tra idee, cioè a un processo idealistico;

- che si riduce il secondo a sperimentazione cieca, istintiva, intuitiva, a fantasia, non mirata a provare (e riprovare);

- che non si adopera il terzo per sviluppare ulteriormente i primi due né i primi due per progettare e condurre il terzo.

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Un secondo criterio indicato nell’articolo e che mi ha colpito molto è il seguente: l’analisi scientifica è la base del metodo politico dei comunisti. Non ho scoperto l’acqua calda però ho aggiunto la seguente riflessione: la conservazione dell’ignoranza è una necessità vitale per una società che si basa sull’interesse privato, sulla competizione di tutti contro tutti (in cui vige, cioè, la legge della giungla). Una società evoluta, invece, non ha bisogno di perpetuare l’ignoranza anzi ha bisogno della diffusione capillare della conoscenza, che si traduce nella generalizzata capacità di ognuno di collaborare allo sviluppo di tutti.

Ebbene, come conquistare questo metodo? Sicuramente il primo passo è spostare la centralità del problema da se stessi e cercare al di fuori di sé il criterio di analisi: la ricerca non dev’essere funzionale a confermare le proprie tesi, ma a capire. E questo, nel caso dei comunisti, avvalendosi del proprio collettivo.

Il secondo passo è acquisire una comprensione concreta che l’argomento da analizzare è parte di un sistema integrato e non un frammento isolato. Questo aspetto è per me molto importane per non cascare nell’empirismo (che nulla ha a che fare con il metodo scientifico).

L’empirico ragiona sul fatto in sé e formula la teoria o il principio sulla base della manifestazione fenomenica del fatto in sé (funziona o non funziona, è o non è, è e basta, ecc.).

Il materialista dialettico invece colloca il fatto nel processo di cui fa parte, cioè considera che:

- ogni fatto è compreso nel suo significato solo alla luce del processo a cui appartiene e di cui è manifestazione;

- ogni fatto è compreso nel suo significato solo alla luce dei legami che ha con altri fatti.

Sicuramente uno dei motivi per cui in alcuni casi (o meglio come tendenza) devio nell’irrazionalità o mi fermo all’intuizione è che non tengo conto di questo criterio (per l’appunto il fatto che la realtà procede e si sviluppa sulla base di un movimento contraddittorio delle diverse parti che la compongono e che sono tra di loro collegate) e quindi scado nell’empirismo e nell’unilateralismo.

Infine, l’articolo mi ha fatto riflettere su un altro aspetto importante. Le basi materiali su cui l’umanità può rendersi libera sono state poste dallo sviluppo dell’industria, della scienza e della tecnica, ma è solo in un sistema organizzato tenendo razionalmente conto di queste conquiste (quindi cambiando i vigenti rapporti sociali) che si potrà parlare di reale sviluppo umano. Questo è il motivo per cui oggi il progresso scientifico e tecnologico, pur essendo progresso, non è tale in relazione alle condizioni di vita delle masse popolari perché è nelle mani dei padroni e degli sfruttatori che usano tale progresso solo per valorizzare il loro capitale (fare profitti). Detto questo, quel progresso tecnologico e scientifico è per l’appunto base materiale: non va né negato né rinnegato. Del resto Mao stesso spiega bene che le tre fonti della verità (nonché dello sviluppo della società) sono 1. la lotta contro la natura, 2. la lotta di classe, 3. la ricerca scientifica.

Io tendo a considerare solo la lotta di classe come il motore del mondo, della società e come fonte della verità. Motivo per cui, tendenzialmente, per me tutto quello che è frutto di questa società è marcio. Tuttavia, questo tipo di concezione nega il principio scientifico per cui il socialismo è quel sistema di relazioni sociali i cui presupposti sono generati dal capitalismo stesso e pone il socialismo come una sorta di “paradiso” che prima o poi si affermerà e che deve affermarsi perché questa società fa “schifo” e che si afferma quindi per un movimento principalmente soggettivo.

Lo studio di questo articolo mi ha stimolato molto nel mettere a fuoco:

- le mie attuali resistenze ideologiche e l’origine di esse;

- perché queste resistenze ideologiche sono un ostacolo nel mio lavoro politico e quindi nel fare la mia parte nella lotta di classe;

- come farvi fronte praticamente. E cioè: 1. dedicare maggiore cura all’inchiesta, allo studio dei problemi in tutti i campi (questo vuol dire elevare la qualità del mio lavoro, passare dalla quantità alla qualità); 2. condurre l’inchiesta e lo studio dei problemi alla luce del metodo scientifico (analisi, inchiesta, raccolta elementi, formulazione ipotesi, sperimentazione, bilancio dell’esperienza); 3. cercare al di fuori di me i criteri di analisi e le risposte alle mie domande: fuori di me significa nel metodo scientifico, in quanto già elaborato dal Partito, in quanto scoperto e fissato dall’esperienza del primo movimento comunista e nell’esperienza delle masse popolari.


Lo studio di questo testo mi ha consentito di tirare fuori aspetti positivi e utili al mio lavoro dalla discussione fatta negli organi del Partito sulla questione del vaccino. Detto questo, in tutta onestà, non mi sento di affermare che adesso sono tranquilla nell’andarmi a vaccinare o che non mi sento preoccupata per i compagni che andranno a farlo, però penso di aver fatto un passo in avanti nel conquistare un metodo di ragionamento e di lavoro più costruttivo e utile ai miei compiti.

Una compagna del P.CARC