Indice de La Voce n.7


Non è solo una questione di nomi

Chiamare salario sociale o salario differito le conquiste del capitalismo

dal volto umano è incompatibile con la concezione marxista della società

e impedisce la comprensione del movimento reale in corso

 

Il salario è un aspetto del rapporto capitalista-proletario, elemento costitutivo essenziale del modo di produzione capitalista fin dal suo sorgere. Le conquiste del capitalismo dal volto umano sono una delle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS v. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Grundrisse), in Opere complete vol. 29 pag. 92 e Rapporti Sociali n. 4 pag. 20): sono una manifestazione della decadenza in atto del capitalismo, dell’inevitabile e inarrestabile transizione dal capitalismo al comunismo. Sono una delle mediazioni tra il carattere già sociale assunto dalle forze produttive e dall’attività economica e la sopravvivenza di rapporti di produzione capitalisti.

Nascondere questa differenza tra salario e conquiste, omologare le conquiste al salario (fare di esse una specie di salario: “salario sociale”, “salario differito”, “salario indiretto”) è nascondere la trasformazione qualitativa in corso dello stato presente delle cose (il comunismo), è nascondere una delle dimostrazioni più lampanti e su vasta scala del carattere storico (transitorio) del modo di produzione capitalista, è nascondere l’avanzata di una nuova società, è un prodotto spontaneo (in campo intellettuale) della resistenza della borghesia imperialista all’avanzata del movimento comunista L’adesione di alcune FSRS a questo occultamento è la manifestazione e il sintomo di una certa loro subordinazione in campo ideologico alla borghesia imperialista.

Una giusta concezione in questo campo ha importanti riflessi in campo politico. Essa infatti è connessa con la comprensione del carattere storico (transitorio) del capitalismo e con la comprensione che la trasformazione della società capitalista in società comunista non è un sogno, un auspicio, una speranza o un imperativo morale, un bisogno per la cui realizzazione forse non esistono i mezzi e le condizioni necessarie, ma è un processo inevitabile e inarrestabile che si produce sotto i nostri occhi dall’interno stesso della società borghese che si sviluppa per le sue proprie contraddizioni, solo che esso può procedere o in un modo lento, tormentoso e distruttivo finché la borghesia imperialista riesce a mantenere la direzione della società, o nel modo più semplice, rapido e meno doloroso e distruttivo se la classe operaia riesce a prendere la direzione della società: è, per fare un paragone, la differenza che esiste in campo umano tra una gestazione e un parto indesiderati, nascosti e avversati e una gestazione e un parto voluti, attesi, assistiti e curati. Con la differenza che la trasformazione della società capitalista in società comunista sotto la direzione della borghesia imperialista non può comunque arrivare a compimento che creando prima o poi le condizioni perché la classe operaia prenda la direzione della società.

La mondializzazione avanza, ogni società è sempre più integrata e la produttività del lavoro umano aumenta: la borghesia imperialista non può invertire questo corso che è l’ossatura di quella trasformazione dello stato presente delle cose che noi marxisti chiamiamo comunismo; può solo, finché ha la direzione della società, frenarlo e condurlo a sua maniera, che è la maniera più distruttiva, dolorosa e devastante per gli uomini e per il loro ambiente. Sotto la direzione della borghesia imperialista, ogni integrazione dell’economia a livello mondiale o nazionale e ogni aumento della produttività del lavoro si realizzano con il fallimento delle vecchie aziende, il licenziamento dei lavoratori in esse impiegati, la rovina dei lavoratori autonomi, la degradazione delle condizioni di civiltà da essi raggiunte, la rovina dei vecchi insediamenti, la devastazione delle regioni in cui insedia i nuovi, lo sfruttamento più selvaggio dei nuovi lavoratori, il regresso civile e l’aumento della conflittualità generale. Così essa compie quella trasformazione che la classe operaia potrebbe invece condurre e condurrà con la mobilitazione e la partecipazione consapevoli e crescenti delle vaste masse dei lavoratori stessi e della massa della popolazione, quindi con uno sviluppo universale della civiltà: della collaborazione, della libertà, dell’uguaglianza, della coscienza e della partecipazione cosciente dell’intera popolazione del mondo alla direzione della propria vita.(1)

 

Nei primi 30 anni dopo la 2° guerra mondale, le masse popolari, guidate dalla classe operaia tramite il suo partito comunista, hanno strappato alla borghesia imperialista molte conquiste.(2) Queste misure nel loro complesso costituiscono quello che chiamiamo il “capitalismo dal volto umano” dei primi decenni del secondo dopoguerra, un periodo che nella letteratura borghese è indicato a volte anche con l’espressione “i trent’anni gloriosi”. Queste conquiste dal lato delle masse popolari furono il risultato da esse strappato con le loro lotte, il sottoprodotto della rivoluzione fallita dei decenni precedenti. Dal lato della borghesia imperialista furono concessioni fatte sotto l’incalzare del movimento comunista per distogliere le masse dalla rivoluzione socialista.

Molte di queste conquiste (sistema scolastico pubblico, sistema sanitario, sistema pensionistico per invalidità, inabilità, malattia e vecchiaia, servizi sociali, prezzi ridotti per alcuni servizi e beni, trasferimenti di denaro ai singoli come contributi o sussidi, ecc. avevano un corrispettivo nel bilancio dello Stato e degli enti locali. Una parte della spesa della pubblica amministrazione (centrale e locale) era destinata a finanziare le conquiste: a pagare il personale delle istituzioni addette a prestare servizi, a pagare le merci acquistate da queste istituzioni, a ripianare i bilanci delle aziende che fornivano al pubblico a prezzi ridotti (“politici”, cioè stabiliti dalla pubblica autorità e non dall’azienda che li vendeva) servizi o beni da esse prodotti, a erogare trasferimenti diretti di denaro (pensioni, contributi, sovvenzioni, sussidi, ecc.) ai singoli cittadini. Questo fu uno dei fattori (accanto alle spese militari e per la repressione e alla politica economica) del gonfiamento della spesa pubblica (spesa della pubblica amministrazione) che arrivò in tutti i paesi imperialisti a circa la metà del PIL. La parte della spesa pubblica destinata a finanziare le conquiste arrivò alla fine degli anni ‘70 a cifre ingenti, al punto che una corrente di politici e di studiosi borghesi (tra i quali alcuni si proclamavano di destra e altri di sinistra: per l’Italia basti ricordare Toni Negri) era arrivata negli anni ‘70 a predire che gli Stati e i regimi capitalisti sarebbero crollati a causa della esplosione della loro spesa pubblica. Destra e sinistra borghesi si distinguevano poi perché quelli di destra (per l’Italia ad es. Ugo La Malfa) chiedevano il “contenimento della spesa pubblica per salvare lo Stato”, mentre quelli di sinistra chiedevano “l’espansione della spesa pubblica per far saltare lo Stato”. Alcuni pubblicisti e studiosi chiamavano e chiamano  “salario sociale”, “salario differito” o con altre denominazioni analoghe la massa di denaro usata dalla pubblica amministrazione per finanziare le conquiste. Questa denominazione ha un certo corso anche tra le FSRS che non colgono il fatto che essa è in contrasto con l’analisi marxista del capitalismo e che mistifica i reali processi in corso. È quanto cercherò di mostrare nelle righe che seguono.

Salario è il nome di una categoria della critica marxista dell’economia politica del capitalismo e sta a denotare un elemento di un preciso rapporto di produzione, il lavoro salariato. Questo rapporto è quello che si instaura tra capitalisti e proletari (operai). Non sto qui a illustrare queste due categorie storiche,(3) richiamo solo l’attenzione sul fatto che si tratta di categorie storiche, cioè di categorie relative a fenomeni sorti ad un certo punto della storia e in determinate circostanze sociali. Ignorare il carattere storico di queste categorie e (contemporaneamente e di conseguenza) confonderne il significato raggruppando sotto la stessa denominazione fenomeni sociali (del passato o contemporanei) che hanno qualche somiglianza superficiale o formale con quelli che l’economia borghese classica (Smith, Ricardo, ecc.) e il marxismo hanno sintetizzato in queste categorie: questa è una prassi costante dell’economia volgare invalsa a partire dalla metà dell’Ottocento, della scienza economica borghese nel periodo di declino della borghesia cioè nel periodo caratterizzato dal fatto che la borghesia è oramai impegnata a difendersi dal proletariato e quindi, in campo teorico, a confondere le acque.

Confondere il significato delle categorie storiche, raggruppare tra loro, come se fossero omogenei, fenomeni sociali che hanno in comune solo somiglianze superficiali o aspetti formali, è un’operazione culturale con una notevole importanza pratica: dal punto di vista della lotta tra le classi ha lo scopo di impedire che i proletari acquisiscano delle lotte che stanno combattendo la comprensione necessaria a condurle con successo; dal punto di vista scientifico impedisce ogni scienza della società, ogni comprensione veritiera dei nessi necessari e genetici (dialettici) che legano tra loro i distinti fenomeni sociali, per cui apre la via allo stuolo di predicatori di riforme sociali e di rimedi ai guai correnti, irrealizzabili ma utili a distogliere dalla rivoluzione socialista.

Faccio un esempio. Un tempo gli studiosi del mondo animale e del mondo vegetale raggruppavano gli animali (o le piante) secondo l’una o l’altra delle loro caratteristiche (gli animali che strisciavano, quelli che volavano, quelli che camminavano su due gambe, quelli che camminavano su quattro gambe, quelli che abitavano sulla terra ferma, quelli che abitavano nell’acqua, quelli con le piume, ecc.). La zoologia e la botanica come scienze moderne sono incominciate quando gli studiosi hanno incominciato a raggruppare gli organismi in specie e generi secondo la loro anatomia (cioè secondo gli organi e le funzioni che compongono gli organismi animali o vegetali) e non più secondo alcuni loro aspetti esteriori e formali (fattori estrinseci). La scoperta dell’evoluzione delle specie e una maggiore conoscenza storica di essa (e la sua riproduzione in laboratorio) consentiranno di classificare gli organismi animali e vegetali secondo la loro genesi.

Qualcosa di analogo vale anche nello studio della società umana. Non a caso Marx nella Introduzione del 1859 a Per la critica dell’economia politica proclama, usando una metafora, che l’economia politica è l’anatomia della società civile. Lo studio delle classi, dei rapporti di produzione, dei processi lavorativi (delle forze produttive) ha per la comprensione di ogni società (quindi per una scienza delle società umane, delle varie formazioni economico-sociali, della loro natura e della loro trasformazione, della loro storia) un ruolo analogo a quello che ha lo studio dell’anatomia per la comprensione degli organismi animali e vegetali. Il materialismo storico ha dato così inizio alla scienza moderna delle società e del loro sviluppo.

Ma chi confonde tra loro i vari organi e le varie funzioni non conosce l’anatomia degli esseri viventi e tanto meno conosce gli esseri viventi stessi. Cioè, fuor di metafora, non conosce né la singola società e le leggi secondo le quali essa si sviluppa né le differenti società. “Il capitalismo è sempre esistito, infatti persino gli antichi romani e popoli ancora più antichi adoperavano l’aratro e altri strumenti di lavoro”: questa è la scienza dell’economia volgare. Dove volete che arrivino con tanta scienza? Solo a imbrogliare per un po’ di tempo qualcuno, insinuandogli nella coscienza l’idea che il capitalismo è eterno e che quindi volerlo eliminare è un’utopia (magari “generosa”).

A questo punto credo sia chiaro il problema che dobbiamo risolvere: le conquiste del capitalismo dal volto umano e il salario sono la stessa cosa?

Guardando alla sostanza delle cose (perché analogie e somiglianze si trovano anche tra un cavallo e un masso e i paragoni e le metafore le illustrano) si tratta di due fenomeni assolutamente diversi, anzi antitetici e che si escludono reciprocamente, benché le conquiste del capitalismo dal volto umano derivino dal rapporto di lavoro salariato, cioè siano un prodotto della lotta dei proletari (operai) contro i capitalisti. Non a caso la tendenza prevalente oggi tra i capitalisti (per ragioni che qui non sto a ripetere) è proprio “eliminare le conquiste e ricondurre i proletari a vivere solo del loro salario”. “L’assistenza sanitaria, l’istruzione, la pensione di vecchiaia, ogni servizio, l’asilo nido, ecc. devono ritornare ad essere delle merci, devono cessare di essere dei diritti, cose di cui a tutti è garantito il godimento”. La sostituzione del sistema pensionistico nazionale con le assicurazioni e i fondi pensione realizzano un aspetto di questo “ritorno”.

Ciò che distingue le conquiste del capitalismo dal volto umano dal salario è infatti che le conquiste non dipendono direttamente dal rapporto di lavoro salariato, mentre il salario è un elemento costitutivo essenziale del rapporto di lavoro salariato. Se un proletario non ha lavoro, niente salario; le conquiste invece restano. Se un padrone non può pagare un salario, niente lavoro del proletario per lui. Se invece il padrone elimina il servizio sanitario, la pensione pubblica o la scuola pubblica, il proletario lavora di più. Le conquiste non dipendono direttamente dal rapporto capitalista-proletario. Le conquiste non sono (direttamente) un mezzo di arricchimento del capitalista, un mezzo di valorizzazione del capitale: sono anzi, come vedremo, una decurtazione della parte del plusvalore che va al capitalista. Il monte salari (il capitale variabile) è la misura della valorizzazione del capitale, cioè del plusvalore estorto agli operai. Questo, a parità di altre condizioni, cresce in proporzione alla crescita del capitale variabile. Invece il corrispettivo finanziario delle conquiste (la spesa per finanziare le conquiste) è per i capitalisti una spesa secca, infruttifera. Un capitalista paga un salario se ne ricava un plusvalore e cessa di pagarlo se non ne ricava abbastanza; invece un capitalista deve devolvere al finanziamento delle conquiste una parte del plusvalore che ha estorto. Il salario è una spesa produttiva, le conquiste sono una spesa improduttiva: così stanno le cose per il capitalista. Anzi, non solo improduttiva, ma addirittura dannosa perché rende meno forte il capitalista nei rapporti coi suoi salariati e quindi rende i suoi salariati meno docili, meno solerti e meno produttivi. Le conquiste non sono legate alla qualità della forza lavoro che il proletario vende. La loro misura non dipende né dalla quantità né dalla qualità del lavoro erogato dal proletario. Non dipendono dall’andamento dell’economia capitalista, dall’andamento degli affari. Non sono oggetto della concorrenza tra proletari nella vendita della loro forza-lavoro ai capitalisti. Non sono strumento del ricatto dei capitalisti sui lavoratori. Non sono oggetto della trattativa tra proletario e capitalista. Cioè le conquiste non seguono nessuna delle leggi proprie del salario. Le conquiste sono beni e servizi di cui usufruisce ogni uomo, donna, bambino e anziano solo perché è membro della società. Indipendentemente dal fatto che lavori o non lavori, che sia proletario, semiproletario, lavoratore autonomo, borghese. Le conquiste “liberano” il proletario dal salario, dalla dipendenza dal capitalista: anche se solo per alcune poche cose, con mille limitazioni, in infima misura e spesso ricreando rapporti di dipendenza personale (clientelismo e corruzione), finché il capitalista continua ad esistere e a dirigere la società.

Ogni persona, anche il proletario, usufruisce dell’assistenza sanitaria (quella fornita dal servizio sanitario nazionale) come usufruisce dell’aria ... un tempo avrei detto anche come usufruisce dell’acqua. Ma oggi non si può più dire, perché acqua, fogna, strade, luce, ecc. sono sempre più disponibili solo come merci, per chi ha i soldi per pagarle e nella misura e qualità corrispondenti alla quantità dei soldi di cui il singolo dispone. Siccome il proletario si procura i soldi solo tramite la vendita della sua forza-lavoro, cioè tramite il suo salario, l’eliminazione delle conquiste riduce nuovamente il proletario al suo salario.(4) Ogni individuo proletario è più solo di fronte al capitalista, in concorrenza con gli altri proletari. Il vincolo sociale viene allentato in proporzione alla riduzione delle conquiste. Nessuna meraviglia che “la gente diventa più cattiva”, l’ansia, la depressione, lo stress e altri disturbi psichici colpiscono gran parte della popolazione, “la gente diventa più aggressiva”, i rapporti familiari si allentano (separazioni in aumento, natalità e matrimoni in calo, abbandoni e sfruttamento di minori, crudeltà e delitti in famiglia), “la gente si occupa meno di politica e delle attività sociali” (finché l’educazione di mio figlio dipendeva dalla scuola pubblica, il mio affetto per mio figlio si esprimeva nello sforzo per migliorare la scuola pubblica: ciò faceva confluire gli sforzi di milioni di uomini su un comune obiettivo e univa gli adulti tra loro e ai minori. Oggi si esprime nella ricerca della migliore scuola privata e nella ricerca dei soldi per mandare mio figlio a quella scuola e ciò mi divide dagli altri adulti e da mio figlio), “ognuno è sempre più solo”, “aumenta il disagio psichico” (cioè le difficoltà nelle relazioni con gli altri e con la natura, compreso se stesso), ecc. ecc.

Porre conquiste del capitalismo dal volto umano e salario come cose omogenee è come porre beneficenza (elemosina), libera disponibilità delle cose (ricchezza, proprietà), salario, ecc. sullo stesso piano. In realtà si tratta di categorie sociali del tutto diverse e per alcuni versi opposte e tra loro incompatibili (la beneficenza è massima quando il salario è minimo), al massimo si assomigliano in quanto modi diversi per arrivare (entro certi limiti) alla stessa cosa (es. la bistecca). E a questa “stessa cosa” si appigliano gli imbroglioni per dire che “in definitiva”, “quindi” diritto, elemosina, proprietà, salario sono all’incirca (“differito”, “sociale”) la stessa cosa, conquiste e salario sono due cose omogenee, due forme della stessa cosa (il reddito del lavoratore), due nomi diverse per due diverse parti costitutive della stessa cosa (e, quindi, “perché fate tante resistenze a cedere conquiste in cambio di salario?”, dicono i padroni).(5) Ma con lo stesso “acume” potrebbero assimilare al salario anche l’ammontare della beneficenza pubblica e privata, la clemenza del clima (che alleggerisce la spesa per vestiario, alloggio e riscaldamento), la ricchezza naturale dell’ambiente circostante (che diminuisce il monte delle cose che devono essere comperate).

La mercede del soldato, la remunerazione del dipendente pubblico, il compenso all’impiegato del “mondo antico” quando impiegato era sinonimo di uomo di fiducia del padrone, l’assegno dei membri dei consigli di amministrazione  e dei sindaci delle società per azioni, il mensile del socio-lavoratore delle vere cooperative,(6) quello che il padrone preleva dal ricavo della sua azienda per le sue spese personali, il salario del proletario, la prebenda del cardinale e del ministro: sono elementi costitutivi di rapporti sociali diversi, al di là della loro differenza quantitativa (che anzi questa si spiega solo grazie alla differenza qualitativa e da essa proviene). Non a caso il nostro Progetto di Manifesto Programma (vedi Analisi di classe della società italiana, pag. 89 e segg.) distingue la classe degli operai dalle classi degli altri proletari (dipendenti pubblici, ecc.).

Le conquiste del capitalismo dal volto umano erano un passo avanti della civiltà, verso il comunismo. Non a caso erano frutto dell’avanzata del movimento comunista, che però non aveva ancora vinto. Declinano col declinare del movimento comunista. La barbarie capitalista (il regno della necessità, della costrizione per i proletari e per i poveri in generale, della libertà dei capitalisti e dei ricchi e dell’onnipotenza del denaro) rioccupa anche i piccoli spazi che il movimento comunista aveva pulito. L’eliminazione delle conquiste è la cancellazione di progressi della civiltà (della libertà per la massa della popolazione, dell’eguaglianza, ecc.) che il movimento comunista aveva in qualche misura introdotto nella società limitando in qualche misura la barbarie capitalista (secondo cui il mangiare è garantito solo ai possidenti: solo il ricco, cioè oggi circa il 10% della popolazione, consuma secondo i propri bisogni e decide la sua attività secondo le proprie aspirazioni). Un aumento di salario non compensa un aumento delle tariffe ferroviarie o la tassa sui rifiuti. Infatti io, se il mio salario è aumentato, potrò andare a trovare gente come prima, ma la gente non potrà venire a trovare me come prima se non ha avuto pari aumenti di salario. Grazie al mio salario aumentato potrò scaricare rifiuti, ma ci vorrà qualcosa di più per trasferirmi in una zona dove abitano solo persone che tutte scaricano i loro rifiuti (e bisognerà raggrupparsi per abitazioni a secondo del reddito: infatti crescono i quartieri chiusi ed esclusivi) e non sentire la puzza dei rifiuti di quelli che non li scaricano.

Chiamare le conquiste “salario differito” o “salario sociale” è fare propria una concezione che esclude ogni conoscenza scientifica della società; contemporaneamente è assumere il punto di vista del capitalista. Questi, ad un certo livello, ragiona così. Le conquiste lo obbligano a dare i suoi soldi agli operai (e “persino” a quelli che non lavorano: un povero che non lavora è un vizioso - vuole imitare il ricco, un disoccupato che esige un lavoro è un violento - vedi gli LSU di Bari o di Napoli). Dal ricavato della sua attività, egli ritiene giusto sottrarre le spese di produzione, gli pesa dover pagare gli operai, gli pesa ancora di più dover pagare per non si sa che cosa, per cose che diminuiscono il plusvalore che resta a lui e di cui non vede l’utilità che invece vede nel salario. Di cui anzi vede la “disutilità”: rendono il proletario meno dipendente da lui. Sono faux frais de production, spese generali della società, che gli pesano sul cuore ancora più delle spese generali della sua azienda. Perché ad ogni soldo che esce dalle sue tasche, egli vuole vedere un corrispettivo che gli entra da qualche altra parte: scambio, mercato! Tutto deve essere merce. Il denaro è prezioso, perché può essere impiegato per fare altro denaro. Tutto quello che va a riempire la pancia o comunque va in benessere delle classi inferiori (e per il capitalista la classe inferiore per eccellenza è il proletariato) è salario, diretto o indiretto, immediato o differito. Bisogna ridurre al minimo il salario, ad ogni erogazione di salario deve corrispondere una ben definita prestazione di lavoro (cioè il salario diretto è meglio, è più produttivo del salario indiretto). Il proletario che non lavora, non mangia (non vede la TV, non fa l’amore [Celentano dixit], non viaggia, non manda i figli a scuola, respira perché il contatore sull’aria ancora non esiste ma respira merda, ecc.). Noi comunisti diciamo: “L’uomo che non lavora non mangia”, ma è solo la via provvisoria (il socialismo), una grande “coercizione universale” per educare tutti (anche gli attuali ricchi e anche gli uomini che il loro esempio ha educato a voler fare come i ricchi anche se non hanno i mezzi per fare come i ricchi) a una vita civile, in cui tutti mangeranno e ognuno farà la sua parte nella vita sociale, è la strada per passare su grande scala e in modo definitivo dalla barbarie alla civiltà, dalla preistoria alla storia, dal regno della necessità al regno della libertà (da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni).

Beninteso, la borghesia imperialista non arriverà ad eliminare tutte le conquiste del capitalismo dal volto umano. Non solo perché la rinascita del movimento comunista non gliene lascerà il tempo. Ma anche perché di alcune conquiste può sì ridurre la misura, ma non può eliminarle. Come non potrà impedire che la merda dei poveri finisca nelle fogne, anche se questi non pagano il prezzo della raccolta e dello smaltimento. La marcia della società verso il comunismo è inarrestabile: può avvenire in modo razionale sotto la direzione della classe operaia, o in modo doloroso e tormentoso sotto la direzione della borghesia imperialista, ma la marcia prosegue. Le conquiste del capitalismo dal volto umano sono FAUS. Sono uno sviluppo generale della civiltà imposto dal carattere sociale delle forze produttive. Il capitalista non può illuminare le scale solo per i condòmini che pagano le spese, non può far pulire e asfaltare le strade solo per i cittadini che pagano, anche aumentando prigioni, telecamere e poliziotti non potrà distogliere i proletari dagli espropri, ecc. ecc.

Le ragioni di comune buon senso che la borghesia imperialista ha addotto e adduce per eliminare le conquiste (la corruzione, l’inefficienza, le ruberie, il parassitismo che crescevano all’ombra delle conquiste) sono l’effetto della gestione borghese di esse e del loro essere inserite su un tronco estraneo, come elementi anomali in una società che è a loro estranea (mentre il salario è costitutivo della società borghese). Le conquiste affermano il comunismo in un mondo che resta borghese. Esse non avvicinano l’umanità ad altri aspetti del comunismo (“da ognuno secondo le sue possibilità”) che sono una premessa indispensabile di quegli aspetti che invece introducono. Come affidare la distribuzione degli “aiuti umanitari” agli speculatori o incaricare i razzisti di porre fine all’apartheid e al razzismo. O si andava avanti o si sarebbe tornati indietro (v. Rapporti Sociali n. 7 pag. 16 nota 1).

L’eliminazione delle conquiste, la privatizzazione dei servizi sociali stanno già producendo i loro anticorpi. In California, paese di dimensioni paragonabili all’Italia, la privatizzazione dell’equivalente dell’ENEL produce in questi giorni (gennaio 2001) i black out dovuti ai contrasti di interessi tra aziende produttrici, aziende distributrici e aziende che gestiscono la rete. I fallimenti e i disordini finanziari, propri delle aziende capitaliste, produrranno l’arresto della distribuzione dell’acqua, l’arresto delle fogne e dello smaltimento dei rifiuti? Finite l’euforia della morte del comunismo e l’orgia della speculazione finanziaria sulla privatizzazione, l’invecchiamento delle reti e le vicissitudini “naturali” delle aziende capitaliste renderanno indispensabili correttivi, regolamenti e nazionalizzazioni.

Le misure del capitalismo dal volto umano hanno avuto un grande ruolo storico. Queste misure di civiltà e di benessere generali oggi anche il comune buon senso le reputa indispensabili per il buon andamento della società e sempre più le reputerà indispensabili man mano che si vedono le conseguenze della loro eliminazione. Tramite esse alcuni aspetti del comunismo (“a ognuno secondo i suoi bisogni”) sono oramai già diventati, in alcuni campi, comune buon senso. Ma finché permane l’ordinamento capitalista della società, esse costituiscono altrettante violazioni ed eccezioni all’ordinamento generale, corpi estranei, altrettanti colpi portati al buon funzionamento delle aziende (perché il singolo capitalista deve farsi carico della maternità delle sue operaie?), altrettante riduzioni della massa del plusvalore di cui i capitalisti dispongono e  per cui muovono l’intera economia della società, altrettante limitazioni alla loro libera iniziativa a cui sottrae mezzi e incentivi per agire. Quindi, a parità di altre condizioni, queste conquiste di civiltà e di benessere rendono le società capitaliste meno efficienti e i capitalisti meno intraprendenti. Da qui il rigetto appena lo stato del movimento comunista l’ha permesso. Una volta dato il modo di produzione capitalista, ognuna delle sue leggi è necessaria, è una legge oggettiva (di natura); se è violata o coartata, tutto l’organismo ne risente.

Queste misure quindi sono state dai capitalisti attuate controvoglia, solo come costrizione su di loro fatta dal movimento comunista (lacci e laccioli). Quindi il movimento comunista si rivela, anche su questo terreno, come il movimento di trasformazione dello stato presente delle cose. I suoi protagonisti, la classe operaia e il resto delle masse popolari che lotta al suo seguito e ne subisce l’influsso, si rivelano come portatori di una superiore civiltà che avanza, i realizzatori del regno della libertà nonostante le grandi costrizioni cui devono ricorrere.(7) I promotori consapevoli del movimento comunista, i comunisti, si rivelano l’avanguardia che promuove le trasformazioni di cui “la società” ha bisogno. Mentre nel contempo la borghesia imperialista si mostra come la classe i cui interessi sono lesi da ogni passo avanti della civiltà, la classe che cerca di corrompere ogni passo avanti della civiltà e sfrutta il fatto che è lei che lo amministra per farne terreno di traffici, corruzione, clientelismo, parassitismo, favoritismi, appropriazione privata di pubbliche risorse, ristabilimento di rapporti di dipendenza personale. Quello che nella storia umana fu il suo ruolo positivo, l’intraprendenza per rendere più produttivo il lavoro e la sostituzione del rapporto di dipendenza personale col rapporto di scambio, si smorza a ogni passo avanti compiuto dalla civiltà. I Cambdessus, i Fazio, i Bazoli e tutti questi altri santi predicatori cristiani del bene comune con la benedizione del papa Woityla e del cardinal Martini, troverebbero assolutamente strano e disdicevole che la loro operosità al servizio del bene comune, oltre che compensata da Dio nell’aldilà, non fosse compensata già qui sulla terra e subito con qualche miliardo l’anno, mentre trovano pretesa eccessiva e irresponsabile le richieste di aumenti salariali di un metalmeccanico (135.000 lire lorde al mese), la tariffa di un idraulico e la protesta di un allevatore che la politica della borghesia imperialista in campo produttivo e scientifico priva della sua azienda.

È tutto questo che non vedono, nascondono e spingono a non vedere quelli che chiamano le conquiste del capitalismo dal volto umano “salario sociale”, “salario differito”, “salario indiretto”, ecc.

In definitiva il capitalismo è stato una fase della storia umana nel cui ambito gli uomini, tra dolori, peripezie e tormenti e distruzioni di dimensioni mai prima raggiunte, hanno moltiplicato in misura prima neanche immaginata la produttività del loro lavoro e hanno centuplicato la loro conoscenza e la loro potenza. Tutto quello che prima si produceva con fatica e in misura ridotta, oggi abbiamo le conoscenze e i mezzi per produrlo in misura illimitata, con poca fatica, in tempi più ridotti e di qualità migliore. E vi sono prodotti che prima neanche si erano immaginati. Ma il capitalismo non può sussumere gli aspetti della vita degli uomini oltre un certo limite. Esso non riesce a trasformare in merci (merci-servizi) alcuni rapporti tra gli uomini (l’amore, la maternità, l’amicizia, ecc.) senza nello stesso tempo trasformarli fino a negarli. La produzione ha raggiunto una scala tale che non può più essere gestita nell’ambito di rapporti capitalisti pena diventare distruzione dell’uomo e del suo ambiente.(8) Il capitalismo produce su grande scala cose che si ritorcono contro le stesse premesse che le hanno generate: le nuove epidemie, l’eliminazione di intere popolazioni, la mucca pazza, il buco nell’ozono, l’inquinamento ambientale, il ritorno della schiavitù, la maternità a pagamento, ecc. ecc. La grande rivoluzione dei mezzi e delle conoscenze che gli uomini hanno prodotto nell’ambito del capitalismo, richiede un cambiamento dei rapporti di produzione, dei rapporti sociali e delle concezioni connesse. Il comunismo è questo cambiamento e la classe operaia, per gli interessi particolari generati dalla sua posizione nell’attuale società, è la portatrice di questo cambiamento: emancipando se stessa, essa emancipa tutta l’umanità. È una realtà: per quanto attuare il cambiamento resti un compito duro e per quanto grandi siano le forze materiali e spirituali che si oppongono al cambiamento. La lotta di classe diventa più acuta man mano che la fine del capitalismo si avvicina. Questa semplice ed evidente verità, confermata dai 150 anni di movimento comunista e dagli avvenimenti che si svolgono sotto i nostri occhi, quando Stalin l’ha enunciata ha fatto scandalo presso quanti non vedono che gli uomini procedono non come piante che maturano, ma attraverso la lotta tra classi portatrici di interessi antagonisti. La borghesia imperialista (con le altre classi ad essa assimilate dal capitale finanziario) costituisce non più del 10% dell’intera popolazione mondiale, ma essa dispone delle risorse materiali e spirituali dell’umanità intera e le impiegherà senza risparmio e senza riguardo per difendere il suo potere e il suo sistema di vita, che per essa è, a farla breve, la civiltà. È con la guerra popolare rivoluzionaria che si svilupperà capillarmente in ogni paese, compresi i maggiori paesi imperialisti, che le masse popolari la cancelleranno dalla faccia della terra senza darle la possibilità di dispiegare tutta la sua ferocia.

Rosa L.

 

NOTE

 

1. I paesi socialisti, nella loro pur breve esistenza, hanno dato di ciò una dimostrazione pratica su grande scala, a livello di un terzo dell’umanità. Un’illustrazione dettagliata di questi aspetti della “costruzione socialista” in termini programmatici è data da Lenin, in numerosi scritti del 1917 e 1918. Libri come L’era di Stalin di Anne Louise Strong e Poema pedagogico di A. Makarenko (entrambi Edizione Rapporti Sociali), Fanshen di W.H. Hinton e Rivoluzione culturale in un villaggio cinese di J. Myrdal (edizione Einaudi), tra tanti altri, illustrano questi aspetti nella narrazione di avvenimenti storici particolari.

 

2. Sulle conquiste costitutive del capitalismo dal volto umano (1945-1975) vedi l’opuscolo CARC, Le conquiste delle masse popolari, Edizioni Rapporti Sociali 1997.

L’opuscolo illustra le conquiste delle masse popolari italiane, ma il fenomeno fu mondiale. In tutti i paesi imperialisti le masse popolari strapparono conquiste analoghe. In tutti i paesi semicoloniali e coloniali le masse popolari strapparono l’indipendenza politica e varie altre conquiste. Il mondo socialista era complessivamente ancora in fase espansiva, sebbene oramai per forza d’inerzia dovuta allo slancio del periodo precedente: il revisionismo moderno era già all’opera.

3. Per una precisazione delle due categorie vedasi il Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali 1998, pag. 89-93.

 

4. Ma in condizioni per il proletario molto peggiori di quelle esistenti prima del capitalismo dal volto umano. Oggi la proletarizzazione dei lavoratori è aumentata (e con essa è cresciuta l’urbanizzazione e si sono ridotte le economie di sussistenza e l’economia domestica), la sussunzione dell’attività umana nel capitalismo è aumentata. Ciò vuol dire che una parte maggiore della popolazione dipende dal salario per comperare come merci una parte maggiore dei beni e dei servizi necessari alla sua vita: acqua, fogne, strade, aria salubre e financo affetti e relazioni umane.

 

5. Se il proletario obietta al capitalista: “Perché allora tanta premura a eliminare conquiste e promettere salario”, il capitalista (e per lui Fazio o Amato o Prodi o D’Alema o Berlusconi) cambia registro e spiega, a suo modo, la differenza sostanziale tra conquiste e salario.

 

6. La cooperativa è diventata una forma giuridica con cui vengono aggirate alcune leggi fiscali (elusione fiscale) e altre relative agli adempimenti contabili (tipo di contabilità, verifica, deposito del libri, ecc.) e con cui si usufruisce di alcune previdenze (finanziamenti agevolati, ecc.). Quindi oggi molte cooperative sono di fatto aziende capitaliste o aziende familiari. Anche se obbligano tutti o parte dei lavoratori che assumono a versare una quota che li rende nominalmente soci della cooperativa. Ovviamente i dipendenti di simili cooperative sono rispettivamente operai (se la cooperativa è in realtà un’azienda capitalista) o proletari-non operai se la cooperativa è in realtà un’azienda familiare. Mentre fanno parte delle classi popolari non proletarie i soci di effettive cooperative, proprietari associati (con proprietà divisibile o indivisibile) dei propri mezzi di produzione. In proposito si veda PMP pag. 92.

 

7. La quinta della Dieci misure immediate proposte in La Voce n. 5 pag. 43 recita: “Abolizione per tutti i membri della borghesia imperialista di ogni diritto politico e delle libertà di riunione, di organizzazione e di propaganda; confisca di tutti i loro beni personali mobili (denaro, titoli e gioielli) e immobili; iscrizione obbligatoria al Servizio Nazionale del Lavoro”. Ciò per loro non è certo una “liberazione” e riguarda circa il 10% della popolazione del nostro paese (la borghesia imperialista), un percentuale un po’ minore a livello mondale. Per quanto riguarda la massa della popolazione, il socialismo è una grande liberazione ma nel contempo comporta trasformazioni non “spontanee”. La partecipazione alla direzione della società non è un’abitudine acquisita storicamente dalle masse popolari, che anzi storicamente le classi dominanti, e ciò da tempi ben antecedenti a quelli del capitalismo, le hanno tenute lontano da essa. L’esperienza dei paesi socialisti ha mostrato che la trasformazione della forza-lavoro da proprietà individuale in proprietà collettiva è una delle trasformazioni più complesse da attuare nella fase socialista: vedi in proposito Coproco, I fatti e la testa, Giuseppe Maj Editore (ora Edizioni Rapporti Sociali), pag. 52 e segg. Da qui molte delle diversioni e delle divagazioni sull’esperienza dei paesi socialisti e l’impressione contraddittoria (di grande libertà e contemporaneamente di caserma) che essi hanno lasciato tra le masse. La Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) ha fornito grandi insegnamenti in proposito.

 

8. Stalin in un suo scritto sostiene che la borghesia ha preparato e messo a punto il suo modo di produzione nell’ambito della società feudale e, quando rovescia il sistema feudale e prende il potere, essa ha già creato le condizioni economiche del suo dominio politico, mentre di contro la classe operaia non può fare altrettanto nella società borghese, ma deve creare ex novo le basi economiche del suo potere dopo aver preso il potere politico. Ciò per vari aspetti è vero universalmente. È in particolare vero per quanto riguarda la classe operaia che prende il potere in paesi la cui attività economica ha un basso grado di capitalizzazione. Non è però vero nel senso che, nei paesi in cui l’attività economica ha un alto grado di capitalizzazione, la classe operaia trova una attività economica già altamente socializzata, altamente collettiva, che può essere governata a favore del benessere materiale e spirituale degli uomini solo nell’ambito di rapporti di produzione e in generale di rapporti sociali comunisti.

Indice de La Voce n.7