La Voce 70 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - marzo 2022

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Sui dubbi di una compagna che lotta in prima linea

Una compagna mi ha esposto alcuni dubbi riguardanti la sua riforma intellettuale e morale (RIM). Sono dubbi che sorgono in chi sta in prima linea nella guerra tra le classi. I compagni che lottano in prima linea non possono tenersi incertezze legate a modi di pensare e a contenuti sbagliati (contrasto tra giusto e sbagliato), arretrati (contrasto tra nuovo e vecchio) o propri delle concezioni del mondo della borghesia e del clero (contrasto tra proletariato e borghesia). Sono una zavorra che nel migliore dei casi impedisce loro di avanzare, nel peggiore sono un varco in cui il nemico si insinua e prima o poi li porta ad arretrare (e fino anche a disertare). Questi dubbi non sono limiti individuali, sono un indice delle difficoltà, in particolare nei paesi imperialisti, a trasformare in comunisti, in dirigenti della guerra popolare rivoluzionaria uomini e donne, giovani e adulti formati dalla società borghese (1) e della necessità per i comunisti di “trasformarsi per trasformare il mondo”.(2) I compagni devono quindi esporli nel Partito ed è dovere dei dirigenti contribuire alla soluzione dei loro dubbi. Avere dubbi non è un difetto, tenerseli lo è. Avere dubbi presenta anche aspetti positivi: trattando apertamente nel Partito i dubbi, valorizziamo gli aspetti positivi.

I dubbi che la compagna mi ha esposto sono di due tipi.


1. Rientrano nelle problematiche specifiche della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti di cui abbiamo trattato in VO 56 - luglio 2017 (Il salto epocale in campo economico-sociale che l’umanità deve compiere). “Nei paesi capitalisticamente arretrati come la Russia e la Cina nel secolo scorso era ampiamente conosciuto quali progressi gli uomini potevano e dovevano fare (ma che era impossibile fare con i nobili e la borghesia al comando): donde la rivoluzione di nuova democrazia.

Oggi nei paesi capitalisticamente arretrati (i paesi oppressi dal sistema imperialista), quali progressi e quale trasformazione della loro condizione sono possibili, tutti i malcontenti dello stato presente delle cose lo vedono nei paesi imperialisti.

Nei paesi capitalisticamente avanzati (i paesi imperialisti) solo una scienza profonda del corso delle cose rende capaci di capire quale trasformazione è possibile e necessaria. Nei paesi imperialisti sono esperienza diffusa e anche senso comune i danni che i progressi fatti generano, ma 1. che la causa dei danni sono i progressi fatti sotto la direzione della borghesia e 2. quale è la soluzione, sono due cose che comprende solo chi ha in una certa misura assimilato la concezione comunista del mondo (e questa sono i comunisti che devono portarla “dall’esterno” alla classe operaia e al resto delle masse popolari, dandosi i mezzi per superare loro gli ostacoli posti dalla condizione pratica delle masse popolari e dalla controrivoluzione preventiva). Le masse popolari devono distruggere di loro iniziativa un ordine che le soffoca ma che sia pur malamente le nutre e devono costruire un nuovo ordine che non conoscono, che la borghesia nasconde e denigra con mezzi raffinati e da cui cerca di distoglierle in mille modi. Questa contraddizione è l’elemento comune di tutte le contraddizioni in cui le masse popolari si dibattono: la contraddizione tra sistema economico nazionale (locale) e sistema economico mondiale (globalizzazione e mondializzazione), tra mercato e monopolio, tra pieno impiego e produttività del lavoro, tra diritti e responsabilità, tra rivoluzione e abbrutimento, tra economia e politica. Solo le masse popolari sono in grado di dare soluzione alle contraddizioni in cui si dibattono, esse hanno pienamente la forza per farlo, ma sono in grado di farlo solo sotto la direzione di una loro parte speciale, i comunisti, che devono quindi porsi e imporsi come Stato Maggiore della lotta delle masse popolari contro la borghesia, il clero e i loro seguaci”.

A questo si aggiungono

- le tre tare (elettoralismo, economicismo, militarismo) che il movimento comunista cosciente e organizzato dei paesi imperialisti non ha ancora superato: la parte del FGC che si è staccata dal PC Rizzo aveva posto la questione della rottura con l’elettoralismo, però il FGC vi ha fatto fronte cadendo nell’economicismo;

- le tre trappole (sistema di intossicazione, confusione e diversione dalla realtà, attività correnti, mondo virtuale).

Inoltre dobbiamo tenere conto che la pandemia ha agito in due sensi: da una parte ha allargato il distacco tra masse popolari e borghesia imperialista, dall’altra ha alimentato la tendenza a cercare rifugio nella famiglia per fare fronte alla situazione.


2. Vedi l’articolo Riforma intellettuale e morale dei suoi membri, perché il Partito sia all’altezza del suo compito, in VO 50 - luglio 2015.



Dubbi sulla relazione tra ambito politico e ambito personale

La compagna si chiede: “È giusto far prevalere gli obiettivi del Partito e gli obiettivi della nostra causa rispetto alle persone e ai rapporti personali?”. È una domanda che anche altri compagni si pongono, in particolare nelle fasi di svolta della loro vita (assunzioni di nuove responsabilità nel Partito, nuovo rapporto di coppia, nascita di un figlio, ecc.) e della lotta di classe (come quello che stiamo vivendo in questo periodo con la pandemia e le operazioni di guerra). Ciò che la compagna vede come distinto e non sa come unire sono le relazioni politiche e quelle personali. Le due relazioni sono campi distinti: la loro opposizione è in ciascuno di noi tra essere collettivo (membro del Partito) e individuo. Una delle cose che noi comunisti dobbiamo esercitarci a fare è unire cose distinte, nella misura e nel modo in cui per loro natura e nelle circostanze particolari sono concretamente unibili.(3)

L’errore che genera il dubbio è già nella domanda. Non si tratta di piegare le relazioni ai fini del Partito ma di dare alle proprie relazioni una direzione da membro del Partito comunista.

Anzitutto bisogna stabilire se le persone oggetto della relazione personale sono per la loro posizione di classe e il loro ruolo antagoniste alla nostra causa (membri del campo della borghesia imperialista) o sono membri del campo delle masse popolari e di quale classe.(4)


3. Quello che la compagna vede nell’individuo come distinto e che può essere separato, nella realtà è unito dialetticamente. Ogni cosa e quindi anche la vita di una persona è inserita in un groviglio di movimenti, azioni e fatti contraddittori, che a prima vista appare come un insieme caotico e incomprensibile. In parte è cosi (il mondo è infinitamente conoscibile), da qui l’importanza di usare il materialismo dialettico in ogni campo. Usare il materialismo dialettico come strumento per comprendere significa partire in ogni circostanza dall’idea che ogni cosa, ogni persona, ogni aggregato sociale, ogni società è in via di trasformazione con propri tempi e leggi. Niente è statico e immutabile. Ogni cosa è inserita in un processo che l’ha generata, attraversa un processo di sviluppo e avrà fine: quanto più a fondo comprendiamo questo processo, meglio orientiamo e dirigiamo la trasformazione. Ogni cosa è composta e ha in sé contraddizioni tra le parti che la compongono. Niente è tutto d’un pezzo. Ogni cosa è legata ad altre. Niente è isolato. Ogni cosa si trasforma sotto l’impulso delle proprie contraddizioni interne (che definiscono la sua natura) e sotto l’effetto delle circostanze esterne. Nel concreto ogni avvenimento ha una causa, un perché, una fonte, una madre e un padre, una ragion d’essere.


4. Vedi Manifesto Programma cap. 2.2. Analisi di classe della società italiana.


Se si tratta di membri del campo nemico, bisogna chiarire qual è la base della nostra relazione con loro e come possiamo usare la relazione a vantaggio della nostra causa.

Se si tratta di persone del campo delle masse popolari, il termine giusto non è “prevalere”, ma è “dirigere”: assumersi la responsabilità di farlo. Un genitore dirige un figlio quando gli insegna a camminare. Nel movimento comunista il dirigente non prevale sul diretto come nella fabbrica il padrone prevale sull’operaio e nel feudo il signore prevaleva sul servo. Il dirigente comunista dirige il diretto e arriva anche a imporsi sul diretto nell’interesse del diretto, allo scopo di formarlo alla lotta di classe, di aiutarlo a emanciparsi combattendo il degrado intellettuale e morale a cui lo spinge il sistema sociale in putrefazione in cui siamo immersi, nel migliore dei casi allo scopo che diventi egli stesso un dirigente.

La compagna che usa il termine “prevalere” ha il dubbio che ciò che sta facendo è “usare” le persone a proprio vantaggio. Qui lei ha dubbi quando ha a che fare con elementi che non sono del Partito, con i quali ha legami familiari, d’amore, d’amicizia. Teme che porsi di fronte a loro come membro del Partito, che vuole coinvolgerli ciascuno a suo modo e in varia misura nella rivoluzione socialista, sia in qualche modo approfittare di loro che sono in relazione con lei per altri motivi.

Il suo timore è generato da un modo di pensare che separa le cose in modo unilaterale, dove da un lato il Partito è tutto (e né in ognuno di noi né nel mondo esiste altro che non è compreso nel Partito) e dall’altro il Partito è nulla (cioè esistono cose in cui il nostro essere membri del Partito c’entra poco o nulla).

Il Partito non è il tutto, né nel singolo né nella società. Il Partito è una parte. Il Manifesto Programma del (nuovo)PCI spiega (pag. 182), tra le altre cose, che il Partito è “la parte d’avanguardia e organizzata della classe operaia, che incarna ed elabora la coscienza della classe operaia in lotta per il potere ed è lo strumento della sua direzione sul resto delle masse popolari”.

Qui impariamo non solo che il Partito è parte, ma anche quale parte è: è coscienza della classe operaia, come il cervello lo è per l’organismo. Noi non diciamo che il cervello, quando dirige gli occhi da una parte o la mano da un’altra, li sta usando ai propri fini e tanto meno che “prevale” su di essi. Qui impariamo anche che il Partito è strumento, quindi è la classe operaia che usa il Partito per costruire nuove relazioni sociali adeguate allo sviluppo che l’umanità ha raggiunto. Una persona che si lega a noi per sentimento di amicizia o d’amore e che noi temiamo di usare, a sua volta (consapevolmente o meno) ci usa, si giova di noi se noi diamo un giusto indirizzo al suo percorso, perché abbiamo la vista più lunga: “chi è uno ha due occhi, il Partito ha mille occhi” (Brecht, Lode del Partito). Noi serviamo lui (“servire il popolo” è una nostra parola d’ordine). A seconda del suo livello di coscienza, questa persona si sente legata a noi più (o solo) sul piano personale che su quello politico. Come potrebbe essere diversamente se non ha posto mente alla pratica della lotta di classe e all’elaborazione scientifica di essa ed è sotto la pressione continua della classe dominante che con tutto l’apparato del primo pilastro della controrivoluzione preventiva la svia dall’imparare a pensare? Anche se questa persona non tiene conto della lotta di classe benché vi sia oggettivamente coinvolta, però è proprio il ruolo che noi svolgiamo nella lotta di classe ciò che più ci contraddistingue e quindi è causa o una delle cause della simpatia (o come minimo, non è un ostacolo alla simpatia) nei nostri confronti. Lei ci vede diversi e perciò sente attrazione, come si attraggono il ferro e la calamita.(5)


5. Nel rapporto di noi comunisti con le masse dobbiamo considerare che oggi in ampi settori delle masse popolari sono più diffuse di ieri la sensazione e la convinzione che “così non si andrà avanti a lungo”, che grandi cambiamenti sono in corso e che in tempi brevi ci troveremo a dover fare delle scelte impensabili fino a ieri. La borghesia imperialista non può che peggiorare il corso già disastroso delle cose. È in questo contesto che bisogna collocare il ragionamento sulle relazioni politiche e le relazioni personali. Lasciare che siano travolti o raccogliere quanti cercano una via e un punto di riferimento, anche se partono dalla ricerca di relazioni personali e sociali per affrontare le paure e la rabbia impotente che l’attuale sistema produce in loro? Dedicarsi a trasformare il mondo è il modo migliore per prevenire in alcuni casi e curare in altri l’ansia, la disperazione e la paura sempre più diffuse tra le masse popolari.



Dubbi sull’essere usati entro il Partito

Fin qui ho parlato delle relazioni politiche e delle relazioni personali come tra interno ed esterno, come di chi sta nel Partito con chi ne sta fuori. I dubbi della compagna riguardano però anche le relazioni interne al Partito. Chi esita nell’avanzare all’esterno per timore di usare gli altri (le masse), esita a svolgere i compiti assegnatigli da chi lo dirige perché teme che il suo dirigente lo usi. La compagna riflette sul caso particolare per cui nel Partito lei si cura dei compagni che sono di spinta, che esprimono fiducia nell’azione del Partito e in se stessi come suoi membri e li mostra ad esempio (non diversamente, in fondo, dai monumenti e dalle raffigurazioni dei primi paesi socialisti che mostrano la fierezza, l’entusiasmo, la solarità dei proletari che marciano verso il futuro, che gli intellettuali borghesi scambiano per forme di rozza propaganda). La compagna considera che il Partito non fa lo stesso con compagni che hanno dubbi, che esitano, che tendono a chiudersi in se stessi. Quindi ritiene che il Partito usa gli individui, favorisce l’assenziente e tralascia il dissenziente, che non indaga sui motivi interni, le emozioni, i sentimenti del dissenziente. Sono giuste queste critiche della compagna? I suoi timori sono fondati?

Indipendentemente dal fatto che le critiche della compagna siano giuste o sbagliate, chi la dirige deve tenerne conto.(6) Già esprimere una critica è un pregio. Uno esprime una critica, altri si limitano a pensarla. Ovviamente anche l’esprimere critiche ha un limite, nel senso che se sfocia nel porre critiche a ogni atto del dirigente e del Partito, allora si finisce nel dibattito all’infinito e qui arrivano i vari opportunisti, quelli che sono tanto innamorati delle proprie idee da non metterle in discussione e tanto meno alla prova della pratica, quelli che contrabbandano la sofistica per dialettica. Sofistica è non distinguere in ogni cosa qual è l’aspetto principale e quale il secondario, accostarli indifferentemente: attitudine tipica di chi non traduce l’interpretazione della cosa in azione per trasformarla. In Lode del dubbio Brecht spiega bene la differenza tra il dubbio utile ad avanzare e quello posto per impedire di avanzare. Quando due hanno giudizi opposti, li devono verificare nella pratica. Nel caso del Partito, se chi è diretto ha da ridire su ogni atto del suo dirigente perché pensa che sbagli, allora si deve dare da fare perché il Partito intervenga, lo corregga o lo sostituisca, perché ne va del bene collettivo. Se poi un compagno non ha fiducia nel Partito in generale, che si dia da fare per cambiarlo o ne costruisca un altro, perché senza Partito comunista la classe operaia non può cambiare la sua condizione. Questa è la norma.


6. “Alcuni dirigenti se la prendono con i critici perché la loro critica non è completa, perché la loro critica non risulta giusta al cento per cento. Non di rado succede che pretendono che la critica sia esatta in tutti i punti e se non è esatta sotto tutti gli aspetti cominciano a ingiuriare e infamare gli autori della critica. Questo è sbagliato, compagni. È un errore pericoloso. Si accenni ad avanzare una tale pretesa e si chiuderà la bocca a centinaia e persino a migliaia di operai, di corrispondenti contadini, che qualche volta non sono in grado di formulare in modo preciso i loro pensieri. Così avremmo un cimitero e non l’autocritica.

Dovete sapere che gli operai esitano talvolta a esprimere la verità sui difetti del nostro lavoro. Esitano, non solo perché potrebbe “andare loro male”, ma perché ci si potrebbe “beffare” di loro per una critica imperfetta. (...) penso si debba accogliere con favore anche una critica che contiene anche solo il 5-10 per cento di verità (...)” (Stalin, Sull’autocritica, 13 aprile 1928 - Edizioni Nuova Unità 1973, Opere complete vol. 11 pag. 32-33).


È però ovvio che per chi dirige un’operazione un compagno capace di capire e di fare, entusiasta e d’iniziativa è più prezioso di uno esitante, dubbioso, critico o addirittura tontarello. Per dare battaglia ci vogliono soldati se non entusiasti almeno capaci di combattere.

Aggiungo che nel Partito ci sono le stesse contraddizioni che nella società e anzi queste contraddizioni ci sono in forma più acuta. La differenza tra il Partito e il resto della società sta nel fatto che il Partito è laboratorio con la strumentazione adatta per superare quelle contraddizioni che da sole, fuori del Partito, non si risolvono. Non è strano, quindi, e anzi è normale che ce le ritroviamo, inclusa questa del dedicare più attenzione al compagno aperto ed esuberante che a quello chiuso in sé, e magari allo stesso compagno dedicare più attenzione quando è aperto e meno quando si chiude. Un dirigente deve andare oltre l’apparenza e scavare, così magari troverà materie preziose che non sono in superficie. Vale per tutti noi: dobbiamo dedicare attenzione anche a chi non è immediatamente il nostro modello di persona per le idee che ha, a chi esita a lanciarsi nella lotta di classe temendo di perdere qualcosa, a chi è differente da noi in molti aspetti, per posizione di classe, età, provenienza, sesso e altro ancora.

È dovere dei dirigenti migliorare. Questo però non risolve il problema dei diretti chiusi in sé, ribelli e quant’altro. La soluzione decisiva del problema di questi non è nel migliorarsi dei dirigenti nei loro confronti, ma nel loro migliorare se stessi. Se uno è chiuso può avere aiuto ad aprirsi dall’esterno ma in ultima istanza farlo sta a lui. Questo lo dico non come massima morale, perché “così dovrebbe essere”, ma esaminando la cosa tramite la dialettica. Qui la contraddizione è tra essere attivo ed essere passivo. Vediamola insieme.

La contraddizione tra essere passivo e attivo è al centro della linea del Partito. La resistenza spontanea al procedere della crisi è un fenomeno relativamente passivo, nel senso che è reazione all’iniziativa del nemico. Sta ai comunisti trasformarla in attacco, quindi farla diventare attiva. Le masse popolari si muovono in forma relativamente meccanica spinti dalla crisi, si muovono invece in forma cosciente quando si danno come obiettivo il socialismo. Quando un compagno entra nel Partito è perché incarna questa trasformazione, cioè da passivo che era diventa (vuole e aspira a diventare) attivo.

Può di certo succedere che uno è esuberante e solare ma lo è solo in superficie e che ceda al sorgere di ostacoli prossimi futuri. Questo, infatti è successo e succederà. Tra coloro che stanno salendo la montagna (mi rifaccio a quanto descritto in VO 69, pag. 4 e 5), alcuni non continueranno fino alla cima. Avranno comunque contribuito al percorso comune. Altri in cima ci arriveranno sulla base della giustezza della linea e della propria determinazione, dell’essere attivi con costanza.

Il comunista attivo nel Partito è un individuo che rappresenta un fatto storico epocale: è una espressione del fatto che le masse popolari passano da una condizione di passività e soggezione più o meno rassegnata a una di attività. Un comunista che arriva nel Partito quanto più è torvo tanto più ha una zavorra che lui per primo deve darsi da fare per togliersi. Non ci appartiene il pensare che il Partito sia la scatola dove si ficcano tutti gli scontenti di questo mondo. La scontentezza è un problema morale da togliere tramite la riforma intellettuale, che in questo caso significa fare propria la consapevolezza che possiamo (e dobbiamo) trasformare noi stessi, gli elementi della classe operaia e delle masse popolari con cui abbiamo a che fare e trasformare l’Italia in un nuovo paese socialista.

Chi non fa propria questa consapevolezza, chi non ha fiducia che la trasformazione avverrà, mostra alcune caratteristiche:

- quanto a sé, si irrigidisce nella difesa della propria identità e considera le critiche come accuse;

- quanto agli elementi delle masse popolari con cui ha a che fare, sta a ciò che sono, li descrive per i limiti che hanno, descrive loro la linea senza partire dalle cause che li muovono, preferisce stare con chi gli è simile ed evita quelli più distanti;

- quanto al paese, non pone in primo piano gli appigli per far avanzare la rivoluzione socialista, ma elenca i misfatti della borghesia imperialista e del clero, dei sindacati complici, le arretratezze della sinistra borghese, ecc.

Questo compagno, in definitiva, fotografa la situazione, si mantiene chiuso in sé coltivando l’adesione identitaria,(7) lascia aperta la porta all’idea della rivoluzione che scoppia. Può essere un compagno che fa un grande lavoro e che si impegna anche oltre misura, ma ciò che di buono fa è perché è nella Carovana, così come il vecchio PCI fece cose buone e altrettanto fecero i suoi migliori militanti, ma la fonte della forza era esterna, era l’URSS.


7. Fermarsi all’adesione identitaria porta un compagno a essere incerto e a vedere il negativo in ogni questione e a ogni passo, a lacerarsi (sui suoi limiti veri o presunti, sulle sue capacità e inadeguatezze) o al contrario a declamare la linea. I percorsi di RIM servono a curare, a superare questo modo di pensare e di fare. Senza questa cura un compagno agirà con sempre meno entusiasmo (e alla lunga alcuni finiscono anche con l’abbandonare la lotta). “Noi comunisti siamo anzitutto i promotori della trasformazione nostra (di noi comunisti e degli elementi avanzati delle masse popolari). È quello che non capiscono gli economicisti e i meccanicisti in generale. Essi si fermano alla superficie delle cose: da una parte le masse popolari, dall’altra la borghesia, come se fossero due pugili (guerra simmetrica), due antagonisti della stessa natura, che lottano tra loro e uno dei due vincerà. No! Per sua natura uno dei due è incommensurabilmente più forte, ma l’altro per le attitudini che eredita dalla storia lo tiene sotto alimentando la sua corruzione morale e intellettuale per cui il primo non fa ancora valere, non dispiega ancora tutta la sua forza. Ma via via impara a farlo e la lotta finirà solo quando il primo vincerà” (da I due principali motivi di insoddisfazione e irrequietezza nelle nostre file, in VO 35 - luglio 2010).


Queste sono considerazioni generali sui dubbi. Per superarli servono due cose.

1. Serve l’attività pratica in prima linea nella lotta di classe, dove vediamo svilupparsi la situazione rivoluzionaria e gli effetti della nostra azione.

2. Serve l’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe, che include la nostra riforma intellettuale e morale perché noi siamo soggetto e oggetto della rivoluzione.

Che chi è già in prima linea, metta in campo le qualità che abbiamo per contribuire all’elaborazione, che è fondamento della nostra azione, che distingue il Partito dalle altre forze che si dichiarano comuniste e che lo pone come riferimento per gli elementi avanzati della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese!

Sergio G.