La Voce 76 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXVI - marzo 2024

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Combattere a modo nostro!

Rafforzare nei comunisti la concezione necessaria per promuovere e dirigere la guerra con cui la classe operaia e il resto delle masse popolari instaureranno il socialismo


Il futuro dipende principalmente dall’azione di noi comunisti. Succederà quello che le masse popolari organizzate con i comunisti alla testa faranno succedere. Da parte della borghesia imperialista, andremo di male in peggio: la spirale distruttiva di guerra, miseria e devastazione ambientale in cui ha sprofondato e sprofonda il mondo è il “meglio” che la borghesia imperialista è riuscita e riesce a fare da quando, a causa dell’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976) e del conseguente declino del movimento comunista, ha ripreso in mano il dominio del mondo. Ci sono tutte le condizioni oggettive per fare un deciso passo avanti nella rivoluzione socialista. Perché questo avvenga, occorre che in ogni paese i comunisti abbiano un piano d’azione e lo attuino con tenacia e flessibilità.(1)


1. Devono cioè, come indicato da Lenin nel 1905, “organizzare la rivoluzione”, adottare la “tattica piano” di contro alla “tattica processo” caldeggiata dagli opportunisti di tutti i paesi che consisteva e consiste nel “determinare la propria condotta caso per caso, adattarsi agli avvenimenti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici, dimenticare gli interessi vitali del proletariato e i tratti fondamentali di tutto il sistema capitalista e di tutta l’evoluzione del capitalismo, sacrificare questi interessi vitali a un vantaggio reale o supposto del momento” (in Marxismo e revisionismo, del 1908, sempre Lenin indicava questa tendenza come l’essenza della politica revisionista del marxismo promossa da E. Bernstein all’insegna della parola d’ordine “il movimento è tutto, il fine è nulla”). Essere leninisti vuol dire usare gli insegnamenti di Lenin, non proclamarsi leninisti!


A sua volta, tracciare un piano d’azione adeguato alla situazione presuppone una strategia: una comprensione giusta, fondata cioè sull’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e sull’analisi della lotta di classe in corso, della forma della rivoluzione socialista (della via per instaurare il socialismo, del modo in cui il movimento comunista prepara e attua la conquista del potere).

Abbiamo più volte illustrato la strategia che il (n)PCI segue e che ha presieduto alla sua fondazione (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata) e i piani d’azione in cui di fase in fase l’ha tradotta, in particolare il piano d’azione che ha adottato da quando, nel 2008, la crisi generale del capitalismo è entrata nella fase acuta e terminale. Esso è sintetizzato nella linea del Governo di Blocco Popolare e della creazione delle condizioni per la sua costituzione. Abbiamo anche spiegato

- che definire la strategia del partito comunista significa dare una risposta scientificamente fondata alla domanda se per porre fine al catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista è necessaria una guerra (di tipo particolare: popolare e rivoluzionaria) oppure basta la moltiplicazione delle lotte rivendicative e la partecipazione alla lotta politica borghese accompagnate dalla propaganda del socialismo, della storia del movimento comunista e delle sue conquiste, dell’esperienza dell’URSS e degli altri paesi socialisti;

- che la concezione della rivoluzione come guerra popolare rivoluzionaria è l’antitesi 1. della concezione dei comunisti come principalmente promotori delle lotte rivendicative e/o della partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese, 2. della concezione della rivoluzione come colpo di mano di una minoranza illuminata o come rivolta popolare che scoppia (le concezioni tra le quali oscillavano partiti ed esponenti dell’Internazionale Comunista nei paesi imperialisti);

- che dalla concezione della rivoluzione socialista discende il tipo di partito comunista che occorre e il piano di avvicinamento all’instaurazione del socialismo.

Dalla pandemia alla guerra prima in Ucraina e poi anche in Medio Oriente, tutto quello che è successo dal 2020 ad oggi alimenta nel movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese l’idea che “il tema gramsciano della rivoluzione in occidente - e specificamente in Italia e in Europa - torna drammaticamente ad essere d’attualità” (Francesco Cori, Verso la terza guerra mondiale, in La Città Futura - 08.03.2024) e rafforza la convinzione che “all’illusione di uscire dall’attuale condizione di arretratezza e isolamento [dei comunisti- ndr] con mere operazioni elettorali [bisogna] contrapporre un impegno serio, costante e prioritario nello sforzo per far avanzare il processo della ricostruzione comunista su ben altre basi: una teoria rivoluzionaria, l’individuazione delle direttrici fondamentali di una strategia rivoluzionaria nel XXI secolo, la difesa della storia del movimento operaio e comunista combinata con un bilancio critico condiviso, la difesa della concezione leninista dell’imperialismo, la convergenza effettiva delle avanguardie politiche e dei settori più avanzati della classe operaia e del movimento sindacale, il superamento delle forme organizzative attuali in favore di una forma-partito adeguata: il partito leninista” (Risoluzione del Comitato Centrale del Fronte della Gioventù Comunista, in Nuove Resistenti - 03.03.2024).(2)


2. Tra quanti si dichiarano comunisti, c’è anche chi continua a rammaricarsi che “a fronte di un così enorme furto di ricchezza, sono poche le lotte, gli scioperi, le manifestazioni dure e durature che vi oppongano una efficace resistenza” o, se ci sono, “tali manifestazioni rimangono a livello di rivolte, non producendo un involucro politico o una classe dirigente in grado di contendere il potere” per concludere che “è difficile immaginare quale sia il bandolo della matassa della mobilitazione” e che “appare doveroso muovere da una seria analisi storica dei movimenti antielitaristi comparsi in occidente, per capire quali siano gli insegnamenti per uscire in modo organizzato da un declino sociale ogni giorno più grave. Contemporaneamente, è sempre più necessario organizzarsi attivamente e laicamente per la controinformazione, per costruire media indipendenti, al fine di avvicinare quanti più cittadini possibile a scoprire le bugie dei mezzi di produzione del consenso” (Enzo Pellegrin, Italia ed Europa verso il suicidio economico: a quando la resistenza?, in Marx21 - 23.02.2024). O chi invece esalta la “straordinaria mobilitazione dal basso” che porta “migliaia di giovani e non giovani nelle piazze contro la violenza poliziesca del governo Meloni e contro il genocidio del popolo palestinese” e poi conclude che i comunisti devono avere “pazienza, ascolto e attenzione, rinunciare alle nostre certezze per rimettere in gioco anche una strategia comunicativa semplice e diretta che rimetta insieme le istanze politiche a quelle sociali, le rivendicazioni di settore a una critica complessiva verso l’operato dei governi (La straordinaria mobilitazione dal basso e il ruolo dei comunisti, in Futura Società - marzo 2024).


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Il nostro piano d’azione - schema sintetico

Nel nostro paese il percorso generale è la Guerra Popolare Rivoluzionaria [MP cap. 3.3]: costruzione del nuovo potere, il potere delle masse popolari organizzate (classe operaia in testa) e aggregate attorno al partito comunista che culmina nell’instaurazione del socialismo. La costruzione del nuovo potere passa attraverso tre fasi: difensiva strategica, in cui l’obiettivo del partito è raccogliere forze rivoluzionarie, elevarne il livello ed estendere influenza e direzione del partito (1° fase); equilibrio strategico, in cui il partito forma proprie forze armate inquadrando militarmente una parte delle masse popolari e tramite il passaggio alla rivoluzione di una parte delle forze armate nemiche (2° fase); offensiva strategica (3° fase), in cui il partito è in grado di lanciare le proprie forze all’attacco per distruggere le forze nemiche e instaurare il nuovo potere in tutto il paese. È un percorso definito oggettivamente, legato alla natura della società in cui siamo: la società borghese che deve arrivare all’instaurazione del socialismo.

Il percorso generale lo abbiamo suddiviso in tappe dettate dagli sviluppi che ha avuto la rivoluzione socialista dopo il 1917 fino a oggi. La fase attuale parte con l’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (che si completa nel 1976), i tentativi falliti di ricostruzione del partito comunista (Nuova Unità da una parte e Brigate Rosse dall’altra), l’inizio della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato (1985, pubblicazione della rivista Rapporti Sociali).

I passaggi sono stati i seguenti.

1. Creazione delle condizioni per la ricostituzione del partito comunista (1985-2004), che si suddivide in tre sottofasi: costituzione dei CARC (1985-1992), costituzione della Commissione Preparatoria (1992-1998), fondazione del (n)PCI (1999-2004). Con la costituzione dei comunisti in partito sulla base della loro unità ideologica e della riunione delle condizioni organizzative minime indispensabili per il funzionamento, si conclude il primo stadio della costruzione del partito.

2. Secondo stadio della costruzione del partito (conquista degli operai avanzati al partito comunista al fine di farlo diventare, anche come composizione, l’avanguardia organizzata della classe operaia). Il (n)PCI elabora e attua il Piano Generale di Lavoro per la prima fase della guerra popolare:

a. consolidamento e rafforzamento del partito attraverso il potenziamento della struttura clandestina centrale e la moltiplicazione dei Comitati di Partito di base (cellule) e intermedi,

b. lavoro di massa consistente nel promuovere, organizzare, orientare e dirigere la lotta delle masse popolari su quattro fronti: resistenza alla repressione (1° fronte); intervento nella lotta politica borghese e in particolare irruzione nelle assemblee elettive e rappresentative (2° fronte); promozione di lotte rivendicative e proteste per strappare migliori condizioni di vita e di lavoro e difendere le conquiste strappate nel corso della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (3° fronte); creazione di strumenti e organismi con cui le masse popolari soddisfano direttamente i propri bisogni ed estendono la loro partecipazione al patrimonio culturale della società (4° fronte).

Nel 2008, a seguito del precipitare della crisi generale nella fase acuta e terminale prima che il Partito avesse già raggiunto un certo grado di consolidamento e rafforzamento, abbiamo cambiato la linea tattica del nostro lavoro di massa e adottato la linea del Governo di Blocco Popolare (GBP).

Più in dettaglio, dal 2008 il percorso è, e salvo cambiamenti nel corso delle cose resta, la successione di due tappe divise tra loro dalla costituzione del GBP:

1. prima tappa: creazione delle condizioni necessarie alla costituzione del GBP,

2. seconda tappa: lotta per difesa del GBP ed espansione della sua attività.

Nel corso della seconda tappa ci saranno prima il passaggio al terzo stadio della costruzione del partito comunista (il partito è diventato e agisce come Stato Maggiore effettivo della classe operaia) e poi il passaggio della GPR alla seconda fase. La seconda tappa si conclude con l’instaurazione del socialismo.

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Se chi li dichiara vi darà seguito, sono idee e propositi forieri di sviluppi positivi per la rinascita del movimento comunista. In ogni caso sono una manifestazione del fatto che tra i comunisti del nostro paese si fa strada l’idea che “adesso ci sono le condizioni per il socialismo”, per un nuovo “assalto al cielo” e che bisogna attrezzarsi di conseguenza.(3)


3. L’idea che adesso si sono finalmente create le “condizioni per il socialismo”, in positivo, spinge numerosi compagni a scuotersi di dosso la demoralizzazione dovuta alla sconfitta che noi comunisti abbiamo subito nel secolo scorso e a dedicarsi con maggiore energia e passione a promuovere la mobilitazione delle masse popolari. In negativo, siccome le “condizioni per il socialismo” esistono da quando la società borghese è entrata nell’epoca imperialista (l’imperialismo non è solo l’epoca della decadenza della società borghese, ma è anche e soprattutto l’epoca della rivoluzione proletaria), questa idea impedisce di tirare lezione dal bilancio del primo “assalto al cielo” (la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria). Porta ad aggirare la domanda del perché, pur essendocene le condizioni, nel secolo scorso non siamo riusciti a instaurare il socialismo in nessun paese imperialista. Per trasformare le masse popolari che hanno rotto con il regime politico vigente nel nostro paese in una forza rivoluzionaria che lotta per instaurare il socialismo, i comunisti devono dare una risposta scientificamente fondata a questa domanda. Solo così eviteranno di ripetere gli errori e di trascinarsi nei limiti del passato.


Da qui anche le domande e obiezioni che, in particolare da due anni a questa parte, vari compagni ci fanno: per quelle sulla linea del GBP rimando agli articoli Costituire il Governo di Blocco Popolare (VO 71 - luglio 2022) e Ma questo Governo di Blocco Popolare lo facciamo o no? (VO 75 - novembre 2023), qui mi occupo invece delle domande e obiezioni che alcuni compagni di recente ci hanno posto sulla strategia della guerra popolare rivoluzionaria.(4)


4. Anche se è nuovo il contesto in cui ci vengono poste, varie di queste domande e obiezioni non sono nuove e quindi per trattarle mi avvalgo anche di quanto abbiamo già detto in proposito nel MP e in articoli passati di VO, pur non citandoli esplicitamente.


- La rivoluzione socialista avviene e non può che avvenire sulla base delle condizioni economiche, politiche, sociali, culturali e storiche specifiche di ogni paese, quindi in modo diverso da paese a paese: non c’è un “modello di rivoluzione” valido per tutti.

L’unità economica del mondo, creata dal capitalismo, si riflette nel carattere internazionale della situazione rivoluzionaria che permette alla classe operaia di prendere il potere e nel carattere mondiale che avrà il comunismo. Ma lo squilibrio nello sviluppo materiale e spirituale dei diversi paesi e delle diverse parti dell’economia mondiale sotto il capitalismo si riflette nel fatto che (…) la transizione dal capitalismo al comunismo inizierà in tempi diversi e procederà a ritmi diversi e con forme diverse nei vari paesi”: così scrivevamo nel Manifesto-Programma, distinguendoci da quella parte del movimento comunista italiano che, di fronte alle difficoltà della rivoluzione nel nostro paese, si buttava sulla “rivoluzione mondiale”. Ma la diversità di forme non significa che la rivoluzione socialista non avvenga secondo leggi valide per tutti i paesi: la legge di gravità spiega sia la pietra che cade sia l’aereo che si leva in volo! Significa che bisogna distinguere le leggi universali della guerra popolare da quelle particolari, proprie di un paese o di un gruppo di paesi. Detto in altri termini: l’adozione del marxismo-leninismo-maoismo, quindi l’assimilazione delle leggi universali della GPR, non esime dall’elaborazione di una concezione e di una linea basata sulle caratteristiche specifiche di ogni paese.

La tesi che la GPR è la strategia universale della rivoluzione (per i paesi imperialisti e per i paesi oppressi) è confermata dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria sia dove essa è stata assunta consapevolmente come strategia, sia dove essa non è stata assunta consapevolmente come strategia, sia nelle rivoluzioni vittoriose, sia nelle rivoluzioni sconfitte. La storia delle lotte dei partiti dell’Internazionale Comunista nei paesi imperialisti, dalla loro fondazione fino alla fine degli anni ’40 (nel contesto della prima crisi generale del capitalismo e della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo) mostra infatti con singolare uniformità lo stesso andamento.

1. Nonostante l’incertezza dell’orientamento strategico, questi partiti in generale nella pratica hanno condotto la prima fase della GPR, quella dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie, con risultati tanto buoni che quasi in ogni paese la borghesia a causa di essa scatenò o minacciò di scatenare la guerra civile.

2. Essi in generale di fronte alla minaccia di guerra civile arretrarono, perché erano ideologicamente e politicamente impreparati a raccogliere la sfida che per contrasto avrebbe mobilitato contro la borghesia ampie masse popolari sul terreno della guerra civile: avrebbe cioè prodotto il salto di qualità che l’accumulazione delle forze rivoluzionarie deve portare e che quelli che rifiutano la strategia della GPR affidano o all’esplosione del malcontento delle masse (gli attendisti) o all’efficacia dell’esempio e delle dimostrazioni (i militaristi) o a colpi di mano (i putschisti).

3. Dove prima o poi, per un motivo o l’altro quei partiti scesero sul terreno della guerra civile che la situazione comportava (Spagna, Francia, Italia), essi nonostante il loro incerto orientamento strategico mobilitarono ampie masse popolari sotto la loro direzione fino a realizzare, per quanto possibile a chi agisce senza cognizione di causa, le condizioni dell’equilibrio strategico (seconda fase della GPR).

4. Essi, proprio per l’errato orientamento strategico, in nessuno dei casi condussero la guerra civile con la concezione della GPR e quindi non arrivarono mai alla terza fase, quella dell’offensiva strategica.

5. Ogni volta che i partiti si opposero al corso delle cose e cercarono di imprimere ad esso un andamento in contrasto con le leggi della GPR, anche il lavoro già fatto andò in fumo.

In sintesi: la pratica spingeva verso la GPR.

La stessa lezione viene dall’esperienza sovietica: la fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie (condotta dal partito clandestino, in condizioni quindi di un sistema di potere indipendente e in contrasto col potere zarista) sfociò nel 1917 nella seconda fase (quella dell’equilibrio strategico, del “doppio potere”) che a sua volta dette luogo alla fase dell’offensiva strategica. Lenin non elaborò la strategia della GPR, ma la sua costante lotta per una concezione dialettica della realtà fu una lotta perché il partito aderisse nella sua direzione delle masse alle leggi che la realtà della rivoluzione seguiva nel suo corso.

- La guerra popolare andava bene per un paese semifeudale e semicoloniale come la Cina del secolo scorso e probabilmente funziona anche per gli attuali paesi oppressi dall’imperialismo, ma non per l’Italia: seriamente pensate che è possibile creare basi rosse (zone liberate) nei paesi imperialisti come il nostro?

Che sono le masse popolari mobilitate dalla classe operaia guidata dal suo partito comunista a costruire il sistema del nuovo potere e a eliminare il sistema di potere della classe dominante (quindi l’accumulazione di forze rivoluzionarie intorno al partito comunista) è una legge universale della guerra popolare: in Russia per i comunisti ha voluto dire i soviet degli operai, dei contadini, dei soldati e in Cina le zone liberate. Noi oggi in Italia non ci mettiamo né a promuovere soviet di operai, contadini, soldati né a creare zone liberate, ma applicando la stessa legge promuoviamo la moltiplicazione, il rafforzamento e il coordinamento delle organizzazioni di lavoratori nelle aziende capitaliste e pubbliche e delle organizzazioni popolari territoriali e tematiche.

Per ogni partito comunista si tratta

1. di individuare le fasi per arrivare all’instaurazione della dittatura del proletariato, di scoprire per ogni fase gli obiettivi e le linee giuste (cioè conformi all’oggettivo sviluppo delle contraddizioni del mondo e dello specifico paese) e di organizzarsi in modo adeguato per realizzarli;

2. di mobilitare ogni classe e gruppo delle masse popolari a difendere con la maggiore efficacia di cui è capace ogni suo interesse particolare contro la borghesia imperialista e di sfruttare in ogni modo le croniche lotte di interessi che si svolgono nella società borghese e nelle sue istituzioni come aspetto ausiliario dello sviluppo del processo rivoluzionario;

3. di portare, identificandosi con la sua avanguardia organizzata, la classe operaia ad agire in conformità alle linee e agli obiettivi indicati dal partito e ad assumere la direzione del resto delle masse popolari;

4. di muovere in ogni circostanza le parti avanzate delle masse in modo da aprire la strada della lotta alle parti più arretrate che possono radicalizzarsi solo se danno espressione pratica alla tendenza anticapitalista dettata dall’esperienza pratica dell’oppressione e dello sfruttamento;

5. di costruire e dirigere (direttamente o indirettamente) dal di fuori dei rapporti politici borghesi (quindi il partito è per forza di cose clandestino) il fronte più ampio possibile di classi e di forze politiche per realizzare gli obiettivi di ogni fase, promuovendo la massima organizzazione delle masse in organismi pubblici e clandestini, legali e illegali, pacifici e combattenti;

6. di curare in ogni modo lo sviluppo di forze armate rivoluzionarie dirette dal partito perché in definitiva alla lotta armata spetta un compito decisivo e conclusivo per realizzare le aspirazioni delle masse popolari e instaurare la dittatura del proletariato (“il potere nasce dalla canna del fucile”).

Si tratta in sintesi di sviluppare tutto il potenziale della guerra popolare rivoluzionaria, costruendo un ampio fronte di forze e classi rivoluzionarie.

- Parlate di guerra popolare, ma in realtà intendete lotta armata...

È una deformazione grottesca della strategia della guerra popolare pensare o dare a intendere che voglia dire sempre e solo lotta armata, organizzazione militare, accumulazione di armi e munizioni, preparazione di insurrezioni. La rivoluzione russa non è stata sempre lotta armata: l’insurrezione dell’ottobre 1917 è stata preceduta dal lavoro di accumulazione delle forze diretto dal partito a partire dal 1903 e dal lavoro più mirato fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917. Lo stesso la Resistenza in Italia: l’insurrezione del 25 aprile 1945 è stata preparata dalla lunga resistenza clandestina al fascismo promossa dal PCI negli anni 1927-1943 e poi dal lavoro più specifico svolto tra la fine del 1943 e l’inizio del 1945. In entrambi i casi, con una combinazione di attività legali, semilegali e illegali, non con la lotta armata dall’inizio alla fine.

La guerra popolare rivoluzionaria non incomincia con la lotta armata, ma con l’esistenza del partito comunista clandestino, costituito in modo da esistere e operare con continuità in vista della conquista del potere e capace di svolgere la sua attività di reclutamento, elaborazione, formazione, orientamento, aggregazione, propaganda, mobilitazione e direzione tramite la sua rete organizzativa e il suo sistema di relazioni, di contatti e di influenze, nonostante tutti gli sforzi che la borghesia compie per ostacolarlo, isolarlo dalle masse, distruggerlo. Il partito comunista non è il partito più di sinistra dell’insieme dei partiti della Repubblica Pontificia, è il nucleo del nuovo potere alternativo al potere borghese.

Quanto alla lotta armata, noi comunisti non amiamo la guerra: è un mostro terribile che porta distruzione e sangue. Noi siamo contrari alla guerra e siamo certi che in un avvenire non lontano gli uomini metteranno anche la guerra nel museo delle antichità. Ma non temiamo le guerre. Siamo decisi a impedire che le masse popolari subiscano passivamente i soprusi, le mutilazioni, le ecatombi e le guerre che l’ordinamento sociale attuale impone. Solo cambiando l’ordinamento della società porremo veramente fine alle guerre. La borghesia ci ha dato ripetute e sanguinose lezioni che essa non lascerà il potere senza guerra civile. Quindi noi comunisti dobbiamo essere fin d’ora decisi a non cedere alla borghesia perché minaccia la guerra civile, ma preoccuparci di arrivare alla guerra civile nelle condizioni per noi più favorevoli per vincere. La nostra responsabilità verso le masse popolari ci impone di costruire il sistema del nuovo potere in vista di affrontare vittoriosamente la guerra civile. Essa inizierà inevitabilmente, anche questo l’esperienza ce lo ha ripetutamente insegnato, quando l’accumulazione delle forze rivoluzionarie e l’instaurazione del nuovo potere avrà raggiunto un certo livello. Non possiamo evitarla. Quello che possiamo e dobbiamo fare è arrivarci nelle condizioni più favorevoli alla vittoria delle masse popolari.

- Nei paesi imperialisti non può esistere un partito comunista clandestino: con gli strumenti che ha, la borghesia nel giro di breve tempo riesce facilmente a conoscere chi sono i suoi membri e dove stanno.

Abbondano gli episodi a conferma del fatto che la borghesia imperialista, nonostante i mezzi di cui dispone, il controllo capillare, ecc., non è onnipotente: dalle organizzazioni comuniste combattenti sorte negli anni ’70 in Italia e in altri paesi imperialisti (Germania, Francia, Spagna, Belgio, Giappone, USA) all’attività di Assange, Snowden e altri, dall’operazione “Tempesta di Al-Aqsa” di Hamas e altre forze della resistenza palestinese alle cellule islamiste che operano nei paesi imperialisti. Ma facciamo un passo indietro. Il partito comunista clandestino è necessario. Per promuovere e dirigere la guerra popolare, il partito comunista non può dipendere da persone che la borghesia conosce, controlla e può quindi infiltrare, corrompere, minacciare, ricattare, arrestare, uccidere; da canali di finanziamento che la borghesia conosce, controlla e quindi può interrompere; da sedi pubbliche che la borghesia può occupare, perquisire, saccheggiare, devastare, chiudere. Non può essere un “partito rivoluzionario nei limiti della legge”… pena ridursi come il PRC che si appella a Mattarella perché il governo Meloni cambia le regole per le elezioni europee! Deve essere un partito che esiste e opera come il partito di Lenin nell’impero zarista fino al 1917, come i partiti della prima Internazionale Comunista dei paesi imperialisti quali l’Italia (1926-1945), la Germania (1933-1945), la Spagna (1939-1956), la Francia (1940-1945), gran parte dei paesi dell’Europa Orientale degli anni ’20, ’30 e ’40.

Che il partito comunista deve essere clandestino, anche solo come misura per impedire che la borghesia lo decapiti, ce lo insegnano in negativo Gramsci arrestato nel 1926, Thälmann (Germania) arrestato nel 1933, Zachariadis (Grecia) arrestato nel 1936, Cunhal (Portogallo) arrestato nel 1949 e tanti altri eroici dirigenti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti, tra i quali emergono Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht assassinati nel 1919. Ce lo insegna in positivo Lenin, che contro i menscevichi difese strenuamente e praticò la clandestinità del partito anche quando l’impero zarista, dopo la rivoluzione del 1905, si diede ordinamenti politici ispirati alla democrazia borghese.(5)


5. Lenin fu condotto a questa concezione del partito comunista dapprima dalle condizioni concrete particolari dell’Impero russo dove l’attività politica era legalmente vietata alla massa della popolazione, ma poi, man mano che conobbe l’esperienza del movimento comunista dei paesi imperialisti europei e degli USA, trovò che essa valeva per tutti i paesi imperialisti, fermo restando ovviamente che dobbiamo applicarla nelle forme dettate dalle condizioni particolari sia del paese sia del momento (bando alla ripetizione e al dogmatismo!). Quando dopo la rivoluzione del 1905 l’Impero russo adottò istituzioni politiche affini a quelle dei paesi europei, Lenin difese questa concezione contro quelli che volevano liquidare la clandestinità del partito. Quando a partire dal 1914 gli Stati dei paesi imperialisti lanciarono le masse popolari di un paese contro quelle di un altro, Lenin non solo criticò la collaborazione dei social-traditori con la borghesia del proprio paese, ma mostrò che la debolezza dell’ala sinistra dei partiti socialdemocratici, pur fedeli alla causa rivoluzionaria, derivava dalla mancata formazione alla clandestinità e alla professionalità rivoluzionaria. Contro questo, nelle Tesi sulle condizioni d’ammissione all’Internazionale comunista approvate dal II congresso (luglio-agosto 1920) venne fissato (Tesi 3) che i partiti dell’IC “sono tenuti a creare dovunque un apparato organizzativo clandestino parallelo, che al momento decisivo aiuterà il partito a compiere il suo dovere verso la rivoluzione”.

L’opposizione alla linea di Lenin a favore della clandestinità e del carattere professionale dell’attività rivoluzionaria era tuttavia radicata anche nei partiti che avevano aderito e volevano aderire all’IC e tale rimase, alacremente alimentata dalla borghesia imperialista. Neanche la persecuzione scatenata prima dal regime fascista di Benito Mussolini in Italia e poi dal regime nazista di Adolf Hitler in Germania la fecero sparire.


Alla stessa conclusione porta anche l’analisi del regime politico instaurato in tutti i paesi imperialisti nel secondo dopoguerra, anche in quelli dove la borghesia persistette e persiste a dichiararsi democratica: l’instaurazione della controrivoluzione preventiva come cuore dello Stato borghese moderno ha reso sistematico l’impegno della borghesia a prevenire e impedire lo sviluppo del movimento comunista prima di doverne reprimere il successo.(6)


6. Nel 1922, all’indomani della marcia su Roma, Lenin disse che “forse i fascisti in Italia ci renderanno grandi servizi mostrando agli italiani che non sono ancora abbastanza istruiti, che il loro paese non è ancora garantito contro i centoneri. Forse questo sarà molto utile”. Allo stesso modo oggi, forse quello che vari esponenti del movimento comunista italiano chiamano “totalitarismo liberale”, “post-democrazia”, “democratura”, “democrazia autoritaria”, “democrazia illiberale”, ecc. li spingerà a smettere di trascurare o considerare secondari e accidentali la nascita di organismi come FBI, servizi segreti, CIA, ecc. e di comportarsi come se lo Stato vero fosse quello ideale, “democratico”, “di tutto il popolo” e a organizzarsi e agire di conseguenza.


È possibile che in un paese imperialista nasca e operi un partito comunista clandestino? Che esso trovi tra le masse popolari e in particolare tra la classe operaia l’alimento (in persone da reclutare, in collaborazioni, in denaro, in legami, in influenze) di cui ha bisogno per esistere, resistere ai colpi della borghesia e dei suoi apparati di controrivoluzione ed espandere la sua attività? Le esperienze storiche sopra citate rispondono positivamente a questa domanda. La classe operaia ha avuto nel passato partiti clandestini in varie circostanze: nella Russia zarista, nella Cina coloniale e nazionalista, nell’Italia fascista, nella Germania nazista e in molti altri paesi. I revisionisti moderni hanno alimentato l’immagine terroristica della borghesia onnipotente quando hanno voluto togliere alla classe operaia uno strumento indispensabile per la sua lotta rivoluzionaria e la sinistra borghese ha continuato questa loro opera. L’onnipotenza della classe dominante è stato sempre un tema della propaganda terroristica della stessa classe dominante e una giustificazione sia degli opportunisti sia degli sconfitti che non vogliono riconoscere i propri errori e fare autocritica. Se la ferocia e l’intelligenza delle classi dominanti potessero fermare il movimento di emancipazione delle classi oppresse, la storia sarebbe ancora ferma allo schiavismo. La società borghese è ricca di contraddizioni, ha in sé tanti fattori di instabilità, il suo funzionamento è costituito da un numero illimitato di traffici e di movimenti e per il suo funzionamento la borghesia è costretta ad avvalersi delle masse che nello stesso tempo calpesta: insomma è una società che più delle precedenti società divise in classi presenta lati favorevoli all’attività delle classi oppresse, che siano decise a battersi. La possibilità per un partito comunista di costituirsi e operare clandestinamente dipende in definitiva dal suo legame con le masse e questo a sua volta dipende dalla linea politica del partito: se essa è o no conforme alle reali condizioni concrete dello scontro che le masse stanno vivendo (pur avendone esse una coscienza limitata). Questa è la chiave del successo o della sconfitta di un partito comunista. Per quanto feroci e capillari siano la repressione e il controllo della borghesia, essa non è mai riuscita a impedire la vita e l’attività di un partito comunista che aveva una linea giusta e sulla base di questa linea attingeva all’inesauribile serbatoio di energie e di risorse di ogni genere costituito dalla classe operaia, dal proletariato e dalle masse popolari.

- In Russia e in Cina una parte importante del popolo è insorto mettendo a rischio la propria vita perché era ridotto alla fame e alla disperazione (e per di più erano paesi già in guerra), nei paesi imperialisti siamo lontani da questo.

Siamo lontani, ma nei paesi imperialisti, ogni giorno, anche senza essere mandate in guerra o bombardate un numero crescente di persone rischia la vita andando a lavorare, per piogge, valanghe, alluvioni e siccità, perché non ha i soldi per curarsi e gli ospedali sono allo sfascio, perché respira e mangia merda e l’elenco potrebbe continuare: è la guerra di sterminio non dichiarata. Il problema non è che nei paesi imperialisti la gente sta ancora “troppo bene”, ma che in nessuno di essi esiste ancora una direzione autorevole (per il prestigio e per i legami con la massa degli operai) che abbia tratto le lezioni della prima ondata rivoluzionaria e che su questa base promuova la rivoluzione socialista. E, ieri come oggi, senza una direzione adeguata la rivoluzione socialista non può compiersi.(7)


7. La tesi che le masse dei paesi imperialisti non possono fare la rivoluzione perché “hanno la pancia piena” non è nuova. Alla critica di tale tesi è dedicato gran parte dell’articolo La Comune di Parigi e la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti (VO 38 – luglio 2011), di cui riporto un estratto. “Di fronte al fatto che i comunisti nel secolo scorso non hanno instaurato il socialismo in nessun paese imperialista, alcuni esponenti del movimento comunista tirano la conclusione che non lo avevano instaurato perché, anche se le condizioni oggettive dell’instaurazione del socialismo erano maturate già alla fine del secolo XIX, grazie allo sfruttamento dei paesi oppressi la borghesia imperialista avrebbe in vari modi corrotto la classe operaia e le masse popolari dei paesi imperialisti e ridotto con ciò la loro capacità di lotta al punto da rendere impossibile l’instaurazione del socialismo.

Lo sfruttamento criminale dei popoli oppressi è stato ed è una realtà indubbia del sistema imperialista mondiale: solo la prima ondata della rivoluzione proletaria ha in una certa misura, per un certo tempo, in alcuni paesi attenuato lo sfruttamento criminale dei popoli oppressi. Ma consideriamo la storia delle masse popolari e della classe operaia dei paesi imperialisti nei 145 anni trascorsi dalla fine della Comune di Parigi (che la borghesia soffocò massacrando circa 23 mila insorti e deportandone circa 40 mila) a oggi.

Tra la fine della Comune di Parigi e lo scoppio della prima guerra mondiale (1914) passano 43 anni e le condizioni della stragrande maggioranza delle masse popolari dei paesi imperialisti sono tali che nessuno, neanche la destra dei partiti socialisti (così allora si chiamavano i partiti del movimento comunista cosciente e organizzato), ha osato dire che gli operai potevano e dovevano ritenersi soddisfatti. Al contrario la destra prometteva che col tempo le condizioni sarebbero migliorate e una parte di essa addirittura arrivava, sia pure contraddicendosi, a esortare anche i popoli delle colonie a pazientare perché sarebbero stati liberati dall’instaurazione del socialismo nei paesi europei (furono queste a grandi linee le tesi della II Internazionale, fino al Manifesto del Congresso internazionale socialista di Basilea - 25 novembre 1912).

Nell’agosto 1914 iniziano 31 anni di guerre mondiali e di dittature naziste e fasciste, che ridussero l’Europa a un campo di macerie e uccisero e mutilarono varie decine di milioni di individui solo in Europa.

Cessata la guerra nel 1945, da allora a oggi abbiamo avuto in Europa 66 anni senza guerre su grande scala in casa propria. I primi 30 anni (1945-1975: i “trenta gloriosi”) furono dedicati alla ricostruzione e a uno sviluppo superiore a quello dell’anteguerra con un effettivo miglioramento anche delle condizioni di vita e di lavoro della massa della popolazione dei paesi europei (le celebri conquiste strappate alla borghesia nel periodo del “capitalismo dal volto umano”). Fu questo l’unico periodo in cui i fatti reali potrebbero avvalorare la tesi della destra che la rivoluzione socialista in Europa non si è fatta perché, con concessioni su larga scala, la borghesia aveva attenuato le contraddizioni di classe e aveva corrotto (comperato) la classe operaia e le masse popolari.

Ma dalla metà degli anni ’70 la borghesia in tutti i paesi europei (e negli altri paesi imperialisti, compresi gli USA) ha iniziato ad eliminare le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari le avevano strappato nei 30 anni precedenti, con i risultati che ognuno può constatare.

Sulla base di questo panorama, quale sostegno ha la tesi che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, diciamo fino agli anni ’50 del secolo scorso, nei paesi imperialisti non si è fatta la rivoluzione socialista a causa delle concessioni che la borghesia avrebbe fatto alle masse popolari? Due guerre mondiali e le dittature naziste e fasciste sono le “concessioni” che la borghesia ha fatto in quel periodo alla classe operaia e alle masse popolari dei paesi europei”.


- Prima di pensare alla strategia, bisogna ricostruire un partito comunista grande e forte. Per chi non ne fa nella sua testa una questione del tipo “viene prima l’uovo o la gallina”, la relazione tra il “forte partito comunista” e lo “sviluppo della strategia rivoluzionaria” è che il partito diventa forte se segue una strategia giusta (giusta perché definita alla luce dell’analisi della società attuale e di quello che l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci insegna in proposito) e se la attua strenuamente, coerentemente, creativamente e quindi è costituito, funziona, seleziona e forma i suoi membri a questo fine. Un tale partito comunista non è il risultato né della partecipazione alle elezioni e della predicazione dei principi del socialismo né della promozione delle lotte rivendicative e delle proteste. Esso è formato dai comunisti che assimilano e applicano gli insegnamenti della scienza comunista delle attività con le quali gli uomini fanno la storia e del bilancio dell’esperienza e che grazie a questo mobilitano e organizzano le masse popolari ad avanzare passo dopo passo nella rivoluzione socialista fino a instaurare il socialismo. Questo è stato il percorso del partito di Lenin e di Stalin. Ed è stato l’unico partito comunista dei paesi imperialisti (sia pure in un paese “anello debole” della catena imperialista) a farlo.

La conclusione è che il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria (l’adozione del marxismo-leninismo-maoismo) non è un complemento o un di più (un optional), ma è alla base della costruzione di partiti comunisti capaci di promuovere la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti.

Ernesto V.