La Voce 6

Lettere a La Voce

sabato 4 novembre 2000.
 

Giugno 2000

Carissimi compagne e compagni, ciao.

Ho letto con molto interesse ed attenzione il Progetto di Manifesto Programma per la fondazione di un nuovo partito comunista , così come diversi numeri di La Voce e in particolare Martin Lutero . Nello stesso tempo ho seguito con rabbia la persecuzione del potere nei vostri confronti (perquisizioni, ecc.).

Tuttavia c’è qualcosa che non mi torna in tutti questi eventi, così come della presa di distanze che “tutti” i “comunisti” assumono nei confronti dei compagni delle Brigate Rosse - per il Partito Comunista Combattente.

Vediamo se riesco ad esternare i miei dubbi e le mie domande.

La necessità di un nuovo partito comunista è fuor di dubbio. Quindi è la sola scelta possibile se si vuole veramente modificare lo stato di cose presenti. Tuttavia è indubbio che, almeno per quello che ho letto, non si parla mai di lotta armata, ma di generica lotta proletaria che vuol dire tutto e niente.

Un partito comunista, attuale, che nelle sue tesi di fondazione non indica in termini chiari in che modo intende operare per la conquista del potere politico, mi lascia perplesso! Per il momento.

Così come il fatto di accusare il potere perché “vi marca da vicino” ... visto che intendete fondare un nuovo partito comunista fuori dagli schemi istituzionali.

Di conseguenza mi pare più che ovvio di avere sulla schiena sbirri e magistrati. Infatti il potere non permetterà mai la costituzione di una forza politica che può fargli anche solo “ombra”. ... È chiaro vero? Di conseguenza esiste esclusivamente la clandestinità, se le vostre proposte mirano alla rivoluzione e non invece ad una forza di sinistra da contrapporre agli attuali DS, PRC, PDCI, ecc. Perché questa ultima opzione lo sapete che è fallimentare.

Poi non capisco questo “attrito” con le BR-PCC. Qual era il motivo della critica del Martin Lutero , visto che alla fine dell’opuscolo non ci sono proposte concrete?

Secondo me, quella critica anche se fatta con spirito unitario, era meglio lasciarla fare a qualcun altro ... Perché tutte queste critiche, tesi, controtesi non fanno altro che portare sgomento nelle menti dei compagni-compagne, già fin troppo bombardati dai massmedia del regime, [ due parole illeggibili più forse anche una riga ] diciamocelo ben chiaro, solo l’unione delle forze schierate contro il nemico di classe è positiva.

Tutto il resto credo che alla fine faccia il gioco della borghesia.

Quindi credo che i compagni-compagne dovrebbero invece sedersi attorno ad un tavolo e discutere in che modo si può vincere questa guerra, portando-contribuendo ognuno al proprio livello di conoscenza, coscienza, esperienza. In soldoni, la guerra la si vince solo in un modo: contando i morti ogni mattina! Tutto il resto sono chiacchiere.

Non vi viene il dubbio che qualcosa non ha funzionato negli uomini, non nella dottrina del marxismo-leninismo, se tutti ma proprio tutti i partiti comunisti e gli Stati sono oggi “in brache di tela”? Eppure, scusatemi, ma abbiamo avuto fior fior di politici nel nostro campo, ma guarda caso la più parte di questi spinti in un angolo. Solo perché dicevano cose che davano fastidio ai detentori del potere.

Insomma, l’abc del marxismo-leninismo è prassi-teoria-prassi. Si può e si deve, secondo me, essere dei materialisti dialettici. È cioè nella guerra che si costruisce la teoria e non viceversa ... La resistenza dei maquis insegna. La prassi e la teoria non possono vivere disgiunte, sono assimilabili e solo nel corretto rapporto dialettico funzionano. Questo è chiaro vero?

Il potere dominante non permetterà mai a nessuno di vincere, salvo se i [ parola illeggibile ] gli danno tutte le garanzie della continuità, come nel caso degli ex PCI. Solo con la guerra di classe, attraverso l’armonizzazione delle forze che combattono ognuna al proprio livello di coscienza ma unite dalla prospettiva strategica, si può vincere e in nessun altro modo! L’economia delle forze ai fini insurrezionali non ha mai funzionato senza l’intervento di agenti esterni, per esempio la guerra imperialista.

Bene, questo è quello che vi volevo dire. Spero che lo accogliate come un sincero contributo alla comprensione generale, nell’interesse solo ed esclusivamente della classe operaia e del proletariato.

Comunque, spero di sentire le novità dovute ad un buon lavoro. Nell’attesa, invio a voi tutte-tutti un caloroso saluto comunista.

Un rivoluzionario prigioniero*

 

 

*Il mittente non ci ha autorizzato espressamente a indicare le sue generalità

 

 

Anzitutto grazie di averci scritto. Speriamo che questo nostro saluto ti arrivi in tempi ragionevoli. Non ti rispondo sui mille punti su cui intervieni. La risposta è nelle pagine della rivista, nei vari numeri, che spero un po’ alla volta riuscirai a leggere. Le risposte che chiedi, le trovi in forma sistematica nel n. 1.

Dico solo: non essere suscettibile tu, per le nuove BR-PCC. Loro non se la sono presa per le nostre critiche. Perché erano critiche franche, non generiche e mettevano chiaramente in risalto le divergenze che effettivamente ci sono. Far finta che non ci siano, vuol dire trascinarle in lungo, con una sequela di malintesi. Quando le divergenze sono chiare, se non ci si arriva con il ragionamento (cioè con l’esperienza passata), sarà la nostra stessa esperienza di lotta a dire con i risultati dove sta la ragione e dove il torto. E prima o poi le cose si chiariranno.

Noi siamo più che convinti che senza partito comunista non si va da alcuna parte. Neanche la guerra incomincia, neanche i maquis. E le nuove BR-PCC non hanno mai nemmeno tentato di spiegare come costruirebbero il partito con i gruppi combattenti e con qualche attentato. In condizioni molto diverse dalle attuali (la classe operaia era ancora piena di fiducia in se stessa e in gran movimento) le vecchie BR ci hanno provato con la propaganda armata. Nelle condizioni di allora la cosa era chiara. Ma ora?

Noi siamo certi che la politica rivoluzionaria vincerà perché diventerà di massa e che il compito dei piccoli gruppi e del partito consiste nel promuovere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Ma come potremmo vincere se davvero la classe operaia non potesse muoversi perché appena caccia fuori la testa, la borghesia la fredda? Ma va la, gli operai si sono mossi persino sotto il fascismo e il nazismo, in piena guerra! Figurati se ora non si muovono per paura di Amato o del Berlusca. Neanche Rutelli fa molta impressione. Se non si muovono, i motivi sono altri. È lì che dobbiamo lavorare.

Quanto poi ai morti della mattina ... scusa, ma mi sembra di sentir parlare non Mao, ma McNamara! I nostri compiti oggi si sintetizzano nel raccogliere, educare e accumulare le forze rivoluzionarie. Se ci proponessimo come linea generale di questa fase l’eliminazione delle forze nemiche, saremmo completamente fuori strada. La sproporzione in campo è tale che non capisco come puoi ripetere simili cose. Era sbagliata anche nel 1980, e si è visto, figurati oggi! Noi dobbiamo conquistare il cuore delle masse popolari. Non per preparare l’insurrezione, che come te l’immagini tu esisteva solo nella testa degli autori che assunsero lo pseudonimo collettivo di A. Neuberg. La nostra strategia è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. In questo campo i nostri maestri sono Lenin, Stalin, Mao. Da loro e dall’esperienza impariamo a fare la guerra, come conviene al nostro campo, non come l’insegnano gli ufficiali del Pentagono, o quelli che, nel nostro campo, sostenevano che “la guerra è la guerra”, come se il proletariato non dovesse condurre la guerra sfruttando i suoi punti forti e quelli deboli del nemico. No, non siamo d’accordo: non è vero che "la guerra la si vince solo in un modo". Anche nella guerra esistono classi diverse e hanno strategie e tattiche diverse. I comunisti hanno dimostrato di saper condurre le masse popolari a fare la guerra contro la borghesia e di saperle condurre alla vittoria. Chi sono i comunisti che sono stati “spinti in un angolo”? Per non farci “bombardare dai massmedia di regime” noi comunisti usiamo leggere e studiare anzitutto le opere dei nostri grandi dirigenti e le memorie dei protagonisti della prima ondata della rivoluzione proletaria e cerchiamo di imparare da loro. È vero che le masse sono bombardate dalla borghesia, ma noi possiamo sottrarci al bombardamento e così aiutiamo anche quelli che vi sono sottoposti.

Insomma, con la testa proprio non ci siamo! Ma ci ha fatto piacere sentirti e sapere che sei in buona salute. Fatti vivo quando puoi. Tutti ti mandano saluti.

 

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Cari compagni,

... Nel n. 2 della Voce , nell’articolo La concezione della società di Ciriaco De Mita e la nostra , Rosa L. dice che di fronte al procedere della crisi generale del capitalismo nella borghesia si formano due correnti principali: una reazionaria e una conservatrice. D’Amato, presidente della Confindustria, sarebbe reazionario; Cofferati sarebbe conservatore. Effettivamente questi vuole conservare gli interessi del mastodontico apparato di cui è parte. Non certamente gli interessi della classe operaia della quale annuncia più volte sulle pagine dei giornali la scomparsa o il basso peso che avrebbe nell’era dell’informatizzazione. Sono oramai anni che il sindacato CGIL porta avanti una politica di cedimento delle conquiste economiche, sociali e statutarie dei lavoratori. La sua scelta nella sostanza non è dissimile da quella che fanno i padroni sia rappresentati dalla destra politica sia dalla sinistra. In effetti si distinguono solo per le modalità e i tempi di impiego delle trasformazioni da adottare nel campo delle regole dei rapporti tra capitale e lavoro. D’Amato è conservatore allo stesso modo di Cofferati perché il padronato, nel dipanarsi della crisi, cerca affannosamente di mantenere i suoi privilegi oltre che lottando nel suo seno, cercando di rifarsi sui lavoratori che nel periodo dello sviluppo hanno migliorato le loro condizioni di lavoro e di vita. D’Amato è un reazionario nelle modalità e tempi della politica dei sacrifici da fare ingoiare ai lavoratori. Tutto e subito è il suo slogan. Cofferati e D’Amato sono entrambi reazionari e conservatori? ...

 

 

I nomi sono puri purissimi accidenti. Si tratta di capire cosa si vuole indicare con un nome e cosa con un altro. Cinque anni fa vi era in Italia nella borghesia una divisione abbastanza forte tra chi pensava di poter togliere tutto e subito alle masse popolari e chi pensava che bisognava andare con metodo, avere la collaborazione dell’aristocrazia operaia (sindacati di regime, ecc.), evitare casi clamorosi, ecc.

Noi abbiamo chiamato i primi reazionari (volevano ritornare al periodo del liberismo selvaggio, tipo inizio del secolo) e i secondi conservatori (ritenevano necessario mantenere in vita alcuni istituti del capitalismo dal volto umano, o almeno eliminarli un po’ alla volta). Oramai la distinzione si è molto smorzata. “Nella sostanza” erano simili anche cinque anni fa. Ora lo sono di più anche nella politica concreta, nei tempi e nei metodi: molto di più di cinque anni fa. Ma attenzione a non cadere nell’estremismo, per cui per combattere Cofferati devi dire che è eguale a D’Amato o peggio. Nella tua osservazione sento l’eco di interminabili discussioni su chi è peggio. Se per le masse popolari è peggio la destra borghese o la sinistra borghese. Se è peggio il borghese o il riformista (magari senza distinguere chi fa il riformista per imbrogliare e ci marcia, da chi si professa riformista perché spera ancora di non dover venire alle mani).

Anche nella borghesia esistono sempre distinzioni, differenze e contraddizioni, che a certi fini sono utili e sono sfruttabili. A quello che dice che Cofferati è di sinistra, tu non devi dare un pugno in faccia e volere che giuri che è come D’Amato. Perché D’Amato è il padrone e Cofferati è il suo aiutante a tener buoni i lavoratori. A un certo punto ad esempio D’Amato può convincersi di non aver più bisogno di Cofferati e licenziarlo. Oppure Cofferati per alzare il suo valore presso D’Amato, può aver bisogno di attizzare un po’ le rivendicazioni dei lavoratori. Possono darsi molti altri casi in cui emergono contrasti. Il tuo interlocutore tu, fatte salve le differenze tra D’Amato e Cofferati, devi portarlo a vedere a cosa gli serve e a cosa gli è servito Cofferati e se può cavarsela rimettendosi a Cofferati. Il corso delle cose darà ragione a te, se non pretenderai di dire che Cofferati e D’Amato, servo e padrone, sono eguali sotto tutti gli aspetti o che addirittura il servo è sempre peggio del padrone. Diventerebbe una di quelle discussioni senza fine sulla zuppa e il panbagnato.

La discussione se Cofferati è peggio, eguale o meglio di D’Amato è una discussione metafisica, oziosa, male impostata. Noi dobbiamo chiarire e propagandare in cosa concretamente Cofferati è eguale a D’Amato, in cosa è meglio e in cosa è peggio di D’Amato. Perché esistono tutti e tre questi aspetti. E nella lotta politica dobbiamo tener presenti tutti e tre questi aspetti. In alcune situazioni occupa il primo piano un aspetto (es. se si tratta di convincere gli operai a fare una cosa piuttosto che un’altra, certamente Cofferati ha più frecce nel suo arco di D’Amato e quindi è più pericoloso), in altre occupa il primo piano un altro aspetto. Noi non dobbiamo essere unilaterali. Tu poni un problema reale, che non risolvi e non viene in generale risolto perché si fanno errori di dialettica, cioè non si parte dal problema concreto e non si vedono le connessioni tra le cose e i vari aspetti di ogni cosa. Il problema reale e pratico che devi affrontare (e quindi il modo in cui lo devi porre) non è se Cofferati è meglio o peggio di D’Amato, ma: dati due nemici degli operai, Cofferati e D’Amato, in che cosa la posizione dell’uno si distingue dalla posizione dell’altro e, di conseguenza, in quali circostanze l’uno è per gli operai e per la causa del comunismo, un nemico più pericoloso, più forte o più insidioso dell’altro? Con quali armi affrontare l’uno e con quali l’altro? Se poni il problema in questi termini, che sono gli unici termini pratici e quindi teoricamente giusti, anche le risposte ti diventano chiare.

Chi pone il problema nei termini se Cofferati è meglio o peggio di D’Amato, o sbaglia ingenuamente (fa un errore di dialettica) o provoca: cerca di metterti in difficoltà, di invischiarti in una discussione senza capo né coda e di contrapporre tra loro gli operai indignati per l’opera subdola di Cofferati ai danni degli operai da una parte e dall’altra gli operai con maggiore istinto di classe e politicamente più ingenui che “sentono” che D’Amato è il padrone e Cofferati è solo il suo servo e che, più in generale, sentono che l’aristocrazia operaia è subordinata alla borghesia imperialista, non è la stessa cosa della borghesia e, a sua volta, in determinate circostanze, viene colpita dalla borghesia - come i socialdemocratici negli anni 20 e 30 che aprirono sì la strada al fascismo e al nazismo, ma poi vennero anch’essi colpiti dal fascismo e dal nazismo. Ma d’altra parte l’aristocrazia operaia può inserirsi in alcune contraddizioni della classe operaia per conto della borghesia e con più efficacia.

La contesa su chi è peggio in assoluto, Cofferati o D’Amato, ha senso pratico per chi deve decidere con chi mettersi - che stante il concreto rapporto di forze oggi vuol dire semplicemente a chi subordinarsi. Non ha alcun senso pratico per noi, che dobbiamo anzitutto ricostruire il partito comunista, cioè affermare l’autonomia della classe operaia, fare della classe operaia un protagonista in proprio della lotta politica e quindi distinguerci bene sia da D’Amato sia da Cofferati.

 

 

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Cari compagni,

  ... Alcuni però sostengono che la vostra è una pratica avventurista. Voi mettete in difficoltà i compagni delle FSRS legali e dei CARC in particolare, che se mantengono rapporti con voi sono suicidi. Voi costringete anche gli altri ad abbandonare la lotta o a darsi alla clandestinità. Secondo loro è un fatto oggettivo, anche se voi non lo volete. A me pare abbiano torto, però non so spiegarglielo con convinzione. Forse perché anch’io non sono del tutto convinto di alcune cose. Dovevate per forza dire che l’ex segretario nazionale dei CARC fa parte della CP? Perché insistete a richiamarvi al patrimonio teorico dei CARC: non è un modo per esporli alla repressione? ...

 

 

Perché dichiarare che alcuni membri della CP provengono dai CARC? Perché dichiarare che la CP fa proprio il patrimonio ideologico, di analisi, di linea, ecc. elaborato dai CARC e prima ancora dalla redazione di Rapporti Sociali? Perché riferirci come spesso facciamo alle FSRS legali e imbastire a distanza un dialogo con loro?

Quelle che poni sono questioni che serpeggiano anche in persone che non le esprimono apertamente. Sono questioni importanti. Ragioniamone, non basta essere convinti a metà. Fanno parte della questione più generale della combinazione tra lavoro clandestino e lavoro aperto di una organizzazione clandestina. Un aspetto particolare di questa combinazione è poi la combinazione tra lavoro delle organizzazioni clandestine e lavoro delle organizzazioni legali. È una combinazione che non implica un accordo organizzativo e di dipendenza: basta una certa concordanza di obiettivi e di concezioni. E come potrebbe non esserci se lavoriamo per lo stesso obiettivo, nello stesso paese, tra le stesse masse?

Un partito comunista clandestino non è fuori dal mondo. Alcune delle cose che fa sono le stesse che fanno anche le FSRS legali. È il contesto che è diverso, perché le cose in comune con le FSRS fatte dal partito clandestino si legano a cose che le FSRS legali non fanno e il tutto costituisce una qualità diversa. Ma il partito clandestino è necessario per condurre fino alla vittoria la causa della rivoluzione? Se sei d’accordo sulla risposta, capirai anche che è inevitabile che ci sia una relazione con ogni FSRS: di unità e di lotta. In alcuni casi o momenti è principale l’unità (lavoriamo in sintonia), in altri la lotta. Ma non solo con le FSRS, ma con ogni organismo e individuo della società: non siamo marziani! Chi è convinto che un partito clandestino non è necessario perché siamo in una società democratica, ci spieghi invece lui perché alla borghesia da fastidio, perché perseguita FSRS legali accusandole di rapporti col partito clandestino, perché la borghesia ha tanti apparati clandestini (Gladio, P2, Servizi: per citare solo quelli la cui esistenza è diventata di pubblico dominio).

In particolare: perché parliamo apertamente del “legame d’origine” dai CARC? I CARC sono conosciuti da una certa parte dei lavoratori e presso alcuni hanno accumulato un certo prestigio. La CP dichiarando il proprio legame di origine dai CARC ha tolto alla borghesia e a tutti gli avversari della ricostruzione del partito comunista la possibilità di gettare ombre e dubbi, di spargere calunnie sulla natura, provenienza e obiettivi della CP. Nel nostro paese ancora oggi si dice che le BR forse erano manovrate dal KGB, forse dalla CIA, forse da Andreotti, forse da Gelli, forse da tutti assieme. In Spagna per anni e ancora oggi la borghesia diffonde la voce che il PCE(r) e i GRAPO sono organismi oscuri. Dell’ETA e organizzazioni nazionaliste dicono che sono naziste. È un’arma codificata, prevista e programmata della controrivoluzione quello di diffondere tra le masse calunnie, dubbi e sospetti sulle organizzazioni rivoluzionarie. Noi abbiamo fatto quello che potevamo per neutralizzare o spuntare quest’arma della controrivoluzione. Contemporaneamente ciò dava fiducia e veniva incontro ai dubbi onesti degli onesti lavoratori. È il motivo per cui si è confermato anche il nome di un membro della CP.

È quindi chiaro il vantaggio del nostro comportamento per la causa rivoluzionaria. Tieni presente che la borghesia imperialista avrebbe diffuso il sospetto che la CP aveva origini oscure. Avrebbe fatto la massima confusione possibile sulla sua origine, natura e obiettivi (in parte lo fa lo stesso, vedi come cerca di confondere la CP con le nuove BR-PCC da una parte e con i CARC dall’altra). Ma la borghesia avrebbe comunque già conosciuto quello che sa oggi. Basta confrontare le posizioni politiche per sapere quello che noi abbiamo dichiarato. La borghesia confronta addirittura lo stile e il modo di esprimersi per sapere chi è l’autore degli scritti. Quindi avrebbe saputo anche che Giuseppe Maj è membro della CP. La borghesia lo avrebbe saputo, le masse no, avrebbero avuto dubbi. Noi abbiamo evitato che la borghesia potesse giocare come voleva su questo e che tra le masse ci fosse confusione. Abbiamo detto noi alle masse quello che la borghesia comunque avrebbe saputo ma nascosto alle masse. Se non l’avessimo fatto, avremmo avuto tutto il danno e nessun vantaggio. Come succede ad alcune “società segrete”, che sono clandestine per le masse e note alla borghesia.

Presso i fautori del comunismo il nostro comportamento ha chiarito la situazione e ha alzato il prestigio sia della CP sia dei CARC. Che danni possono venire? Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare freddamente, “scientificamente”, cosa è la controrivoluzione preventiva e come funziona l’attuale regime politico della borghesia imperialista. Noi crediamo che in generale l’esistenza di un partito clandestino è in realtà una protezione per le FSRS legali e che lo sarà sempre di più. Riduce i vantaggi che la borghesia ricava dalla repressione delle FSRS legali e aumenta i danni che gliene vengono.

Noi non diciamo che la nostra strada è priva di pericoli ed esclude sacrifici. Su questo non c’è discussione da fare. Chi non vuole assumere i sacrifici della lotta che generano la vittoria, si rassegna a subire quelli inutili e avvilenti dello sfruttamento che generano solo profitti per i padroni. Crediamo però che la nostra non sia una strada avventurista, cioè di sacrifici e rischi inutili. È di questo che si deve discutere. Ma questo ci porta a parlare dei motivi per cui la controrivoluzione preventiva può essere neutralizzata, proprio con una linea come quella che abbiamo proposto e proponiamo. Non voglio ripetere: tutta la rivista è piena di questa dimostrazione. Né abbiamo finora sentito cose ragionevoli in contrario.

Ai tuoi conoscenti vorrei ricordare che la paura non è né una vergogna né un ostacolo insuperabile. Come istinto è una cosa come l’avventatezza. Uno è pauroso e un altro è avventato. Questo è un dato di partenza, istintivo. Ma l’uomo non è solo istinto, è anche educazione. Il pauroso può diventare coraggioso e l’avventato può diventare riflessivo. Lavorando su se stesso. Deve essere convinto a lavorare su se stesso e un po’ alla volta, con fatica e sforzo, con la pratica, si trasformerà. Può trasformarsi. Se non è convinto a trasformarsi, il pauroso scappa e noi non ci possiamo fare niente. Bisogna rimproverarlo non perché è pauroso, ma perché cede alla paura, non accetta di “curarsi”. Come bisogna rimproverare quelli che nascondono la loro paura e il loro attendismo dietro critiche a questo o a quel metodo, limite e criterio nostri. Sicuramente facciamo ancora molti errori. Ma aiutateci a farne di meno, se siete d’accordo sull’obiettivo e sulla linea generale!