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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Comunicato CP 27/09 - 3 dicembre 2009

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Salviamo il Pianeta dal capitalismo!

 

Conduciamo l’umanità fuori dal marasma culturale e morale, dalla crisi economica e politica e dal disastro ambientale in cui la borghesia e il clero l’hanno impantanata!

 

A Copenhagen dal 7 al 18 dicembre si riuniranno i capi di gran parte dei circa 200 Stati e delle maggiori organizzazioni mondiali e regionali costituiti sul Pianeta. Per la stragrande maggioranza si tratta di individui che sono stati promossi alla carica che occupano nel loro paese e nel mondo e vi restano grazie alla convenienza di classi dominanti il cui ruolo principale nella società consiste nell’aumentare il capitale. Ogni loro membro deve accrescere il suo denaro e quello che amministra; la sua morale, la sua mentalità e il resto delle sue relazioni sociali sono formati principalmente da questo ruolo sociale.

Tra le personalità che si riuniranno a Copenhagen, ben poche sono quelle che sfuggono a questa definizione. Vi sfuggono i portavoce dei governi di Cuba, del Venezuela, della Bolivia, della Corea del Nord e di pochi altri paesi. Non a caso i governi di Cuba, Venezuela, Bolivia e degli altri paesi dell’ALBA (Alternativa Bolivariana) a fine novembre si sono riuniti in vista della Conferenza di Copenhagen a cui avrebbero partecipato e, come sintesi della loro posizione rispetto ai temi posti all’ordine del giorno a Copenhagen, hanno stilato una dichiarazione intitolata “Salviamo il Pianeta dal capitalismo!”.

Quindi, tolte poche eccezioni, i personaggi che si riuniscono a Copenhagen sono delegati, rappresentanti ed esponenti delle classi responsabili del percorso che fin qui l’umanità ha seguito, quindi in particolare anche dell’attuale disastro ambientale. Ma si guarderanno bene dall’esporre sinceramente le loro responsabilità e indicarne le ragioni.

 

La crisi ambientale non è un incidente di percorso nella storia dell’umanità, non capita per caso, non è neanche un disastro naturale. È il risultato di comportamenti umani, ma non è frutto di errori o di ignoranza, di comportamenti individuali, strani, isolati e correggibili da singoli individui cambiando ognuno per conto suo la propria condotta. Al contrario! È il risultato necessario, per così dire naturale, del sistema mercantile e capitalista di relazioni sociali, cioè del sistema che sempre più ampiamente ha regolato la condotta dell’umanità da alcuni secoli a questa parte e che ha portato l’umanità all’attuale livello di civiltà. È il sistema di cui sono espressioni e beneficiarie le classi che hanno nominato e mantengono in carica i personaggi che si riuniranno a Copenhagen e che esse impongono e difendono con ogni mezzo, con l’astuzia e con la violenza in ogni angolo del mondo e in ogni campo di attività. La privatizzazione dell’acqua e del trattamento rifiuti appena decretata dalla banda Berlusconi è solo un esempio tra tanti.

Comprendere chiaramente la natura e l’origine della crisi ambientale è una questione pratica di importanza decisiva per affrontarla con efficacia. Per porre fine alla crisi ambientale occorre comprenderne chiaramente la natura e la causa: cosa l’ha generata e che cosa la aggrava, con quali altri aspetti del comportamento umano è collegata, che effetto ha su questi ognuno degli interventi adottato per far fronte alla crisi ambientale, chi è interessato al corso delle cose che l’ha generata e l’aggrava, chi invece è interessato senza riserve a cambiare il corso delle cose e chi ha qualcosa da perdere dal cambiamento del corso attuale delle cose.

 

In proposito esistono concezioni differenti e opposte. Noi abbiamo interesse a metterle ben in chiaro. Chi cerca di passare sopra alle differenze, ha qualcosa da nascondere.

Alcuni sostengono che la causa della crisi ambientale sono i limiti delle risorse (terra, acqua, minerali, petrolio, fonti energetiche) disponibili sul Pianeta. Vista da un altro punto di vista, questa tesi equivale a dire che gli uomini sono troppi o che crescono troppo, oppure che gli uomini usano troppe risorse. Da questa concezione della causa della crisi ambientale vengono le mille proposte più o meno coerenti e radicali di fermare la crescita e addirittura della decrescita: gli uomini dovrebbero ritornare a una vita più primitiva.

In prima istanza non ha alcuna importanza se chi sostiene simili concezioni ci crede veramente, se è in buona o cattiva fede, se è sincero e coerente ad esse nel suo comportamento personale: trascuriamo quindi simili impostazioni pretesche della discussione. Quello che importa è che le classi dominanti della società borghese avanzano simili teorie da due secoli a questa parte.

Il primo che le ha formulate sistematicamente (nel 1798) è stato il prete ed economista inglese Thomas Malthus (1766-1834). Al culmine del periodo del “capitalismo dal volto umano”, alla fine degli anni ’60, sono state riprese e rilanciate su grande scala dal Club di Roma promosso da Aurelio Peccei (I limiti dello sviluppo). A chi esamina queste concezioni è facile constatare che esse sono incoerenti e unilaterali e che la loro nascita è strettamente legata alle difficoltà che la borghesia e le altre classi dominanti incontrano nel giustificare e mantenere il loro dominio sulla massa della popolazione. Quando si sono trovate a dover spiegare perché una parte importante della popolazione è condannata alla miseria, la risposta è stata: “Perché ci sono troppi uomini e non ce n’è per tutti”. Sottinteso: se gli uomini in miseria sparissero, non ci sarebbe più alcun problema, non ci sarebbe più miseria. La colpa della povertà è dei poveri: se levassero il disturbo ...

A questo i socialisti e i comunisti, i portavoce dei lavoratori hanno da tempo obiettato: la miseria dei lavoratori e del resto delle masse popolari è l’altra faccia della ricchezza, del lusso e dello spreco della borghesia, del clero e delle altre classi dominanti. E non si tratta solo della miseria: accanto ad essa ci sono anche l’emarginazione sociale, l’esclusione dal patrimonio culturale e spirituale della società, la condanna di tanta parte dell’umanità (in particolare delle donne, dei popoli delle colonie, delle minoranze nazionali, religiose, ecc. ecc.) a svolgere solo compiti puramente esecutivi, ad “obbedire e combattere”, il monopolio della cultura e del potere nelle mani di una minoranza privilegiata e ricca. La borghesia usa l’estrema miseria di una parte della popolazione come arma di minaccia e di ricatto per rendere docile quella parte che “ammette” a lavorare. Un borghese inglese conservatore e spregiudicato, Benjamin Disraeli (1804-1881), diceva: “Ci sono in Inghilterra due nazioni: vivono una accanto all’altra e si ignorano reciprocamente. Per la nostra sicurezza noi dobbiamo occuparci anche dell’altra”. È vero, rispondevano i socialisti, che ci sono due nazioni, ma non si ignorano reciprocamente: una è costituita da un pugno di ricchi e di parassiti, comanda sull’altra e vive alle spalle dell’altra che è costituita dalla massa della popolazione. Responsabile e fonte della miseria dei lavoratori e del resto delle masse popolari, di tutti gli altri disordini sociali e delle conseguenti malattie e perversioni individuali sono l’oppressione di classe e lo sfruttamento. Per eliminare la miseria, bisogna eliminare l’oppressione e lo sfruttamento, bisogna eliminare la divisione dell’umanità in classi, bisogna instaurare un nuovo e diverso sistema di relazioni sociali: i progressi raggiunti oggi dall’umanità consentono finalmente di eliminare la divisione dell’umanità in classi sociali. Non è che oggi non ce n’è per tutti. È che è distribuito male ed è distribuito male perché è prodotto sotto la direzione e per iniziativa dei capitalisti: produciamo quello che a loro conviene, se, quando e come a loro conviene. Per eliminare la miseria, bisogna eliminare la proprietà privata capitalista delle forze produttive, cioè bisogna eliminare il capitalismo e la produzione mercantile che è la sua base. È la premessa indispensabile per eliminare anche molti se non tutti gli altri mali di cui soffrono gli uomini.

Oggi gli uomini sono all’incirca dieci volte quelli che erano duecento anni fa, 6 miliardi di fronte a 600 milioni. Evidentemente ci sono le risorse per assicurare un livello di vita enormemente più alto di quello di duecento anni fa a un numero di persone dieci volte più grande. E il livello di vita non è cresciuto per grazia di dio o per la bontà d’animo dei ricchi: è cresciuto perché i lavoratori si sono organizzati, hanno creato un movimento comunista cosciente e organizzato, hanno lottato, hanno condotto lotte rivendicative d’ogni genere e hanno perfino creato i primi paesi socialisti. Quindi le teorie malthusiane sono state smentite dai fatti.

Ma oggi i loro sostenitori le ripresentano con rinnovata energia e con argomenti in parte nuovi. Non solo la miseria, la fame, la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione, di assistenza sanitaria, delle altre condizioni per una vita dignitosa (cioè i mali che già colpivano e in maniera persino più grave di oggi una parte dell’umanità duecento anni fa) colpiscono ancora più di un terzo dell’umanità, più di 2 miliardi di persone su 6, ma ci sono problemi nuovi e gravi come l’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria, il riscaldamento climatico, la cementificazione del suolo, la deforestazione, la riduzione della varietà delle specie animali e vegetali, ecc. ecc. E il petrolio, l’uranio, ecc. che prima o poi finiranno, i disastri naturali (alluvioni, terremoti, ecc.) che aumentano. La fine del mondo che incombe. Questi i nuovi problemi che metterebbero in primo piano i limiti delle risorse del Pianeta, indipendentemente dal sistema di relazioni sociali.

A questi nuovi sostenitori delle vecchie teorie malthusiane noi comunisti diciamo: tutto quello che dite è vero, ma voi confondete la natura del mondo con la natura del capitalismo e la fine del mondo con la fine del capitalismo. Tutti i mali che voi denunciate sono veri. I lavoratori avanzati, i loro portavoce, i comunisti, i sinceri democratici li denunciano da tempo. Vi sono anzi anche altri mali che voi ignorate o su cui sorvolate: la miseria di tanta parte della popolazione, la privazione delle condizioni di una vita dignitosa, l’emarginazione sociale, la disoccupazione, l’oppressione razziale, religiosa e di genere (contro le donne), l’esclusione della massa della popolazione dal potere e dal sapere, da una vita spirituale all’altezza delle possibilità di oggi, la riduzione di ogni bene a merce a disposizione solo di chi ha soldi per pagarla, l’abbrutimento consumistico di una parte delle masse popolari, l’ignoranza, la criminalità organizzata, la violazione sistematica dei diritti conquistati, delle leggi e delle costituzioni firmate dopo la vittoria sul nazifascismo, l’arroganza e la violenza delle Autorità, del clero e dei ricchi, la repressione, le prepotenze, le basi militari, il militarismo, il segreto politico e militare, le aggressioni e le guerre, la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia conduce contro le masse popolari in ogni parte del mondo. Ma la causa di questi mali non sta né nei limiti delle risorse né nella quantità della popolazione: sta nella natura del capitalismo. È a causa del capitalismo che gli uomini non possono adottare soluzioni adeguate ai problemi attuali, che addirittura non possono conoscerli né ricercare le soluzioni adeguate.

Crisi ambientale, crisi economica, crisi culturale e crisi politica sono strettamente connesse. Hanno la stessa fonte: i limiti del capitalismo. Il sistema di relazioni sociali basato sulla produzione commerciale e sul capitalismo è giunto a fine corsa: l’umanità deve cambiare sistema di relazioni sociali, altrimenti il capitalismo trascina tutta l’umanità nella sua rovina. A chi ci viene a dire: “Ma comunque il numero degli uomini non potrà mica crescere illimitatamente”, noi rispondiamo: “Non è questo il problema. Noi oggi siamo di fronte a problemi ambientali, economici, culturali che riguardano 6 miliardi di uomini che verosimilmente saranno 9 miliardi tra 15 o 20 anni. Questi problemi sono tutti risolvibili instaurando il socialismo. I problemi che forse si porranno dopodomani, li affronteranno gli uomini di domani, con i mezzi e le conoscenze che loro avranno. E l’esperienza ci mostra che i mezzi e le conoscenze degli uomini crescono esponenzialmente con il numero di uomini che si dedicano a cercarli e metterli a punto. Immaginate che gli uomini di mille anni fa si fossero posti i problemi che noi fronteggiamo e che oggi possiamo risolvere: si sarebbero disperati. In sostanza voi oggi ci dite: È inutile instaurare il socialismo, perché tanto prima o poi saremo troppi, tanto prima o poi il mondo finirà. In sostanza voi, che ve ne rendiate o no conto, difendete lo status quo, difendete la borghesia, il clero e le altre classi dominanti che di tutto sono disposte a chiacchierare a condizione che non ci si proponga concretamente di instaurare il socialismo”.

Ecco le due vie fondamentali di fronte alla crisi ambientale, le due linee e le due concezioni. Fanno capo a due classi differenti e opposte: la borghesia e il proletariato.

 

Noi oggi abbiamo a che fare non con risorse limitate. Abbiamo a che fare con classi dominanti espressione di un sistema mercantile e capitalista di relazioni sociali per cui inquinano e saccheggiano il Pianeta, privano di cibo e di acqua potabile una parte importante dell’umanità, costringono ad un lavoro penoso, alla disoccupazione, all’emigrazione e all’abbrutimento e relegano nell’ignoranza e nella superstizione la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne, coprono con il segreto politico e militare parti importanti delle attività, impediscono le ricerche e le applicazioni che non producono denaro. Queste classi dominanti sono espressione, beneficiarie e difensori di un sistema di relazioni sociali che costringe la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne a impiegare la loro intelligenza, le loro energie e la maggior parte del tempo della loro vita a procurarsi di che vivere, come se l’umanità fosse ancora all’età delle caverne. Tutto quello che gli uomini producono e anche le risorse naturali sono proprietà di queste classi dominanti. Esse fanno produrre per vendere e mettono in vendita anche le risorse naturali: tutto è finalizzato ad aumentare il denaro. Il denaro è l’inizio e il fine di ogni attività. Non si fa nulla senza denaro e ogni attività che fa crescere la quantità di denaro va bene. Le attività che non rendono denaro vanno fermate.

È un sistema di relazioni sociali che esse impongono dovunque, in ogni paese e in ogni campo dell’attività umana. E lo difendono con le unghie e con i denti, con la potenza e la ferocia degli strumenti di repressione e controllo e delle armi che non a caso aumentano e perfezionano incessantemente.

Così si pone oggi la crisi ambientale. In questo contesto si pone la Conferenza di Copenhagen. Da qui dobbiamo partire per capire cosa possiamo riprometterci dalla Conferenza di Copenhagen e come ottenerlo.

 

Ovviamente non stiamo parlando delle intenzioni, delle aspirazioni, delle idee e dei convincimenti personali dei singoli personaggi che si riuniranno a Copenhagen. Mettersi a parlare dei convincimenti e delle aspirazioni personali di questo o di quel personaggio è una diversione: serve a perdere tempo, a confondere le idee e a distogliere l’attenzione dalla sostanza delle cose. Tanto meno parliamo delle loro dichiarazioni. Stiamo parlando di quello che faranno, del ruolo che sono chiamati a svolgere e che svolgeranno a Copenhagen, di quello che ci dobbiamo e possiamo aspettare da loro dopo Copenhagen, per arrivare a quello che possiamo costringerli a fare.

Ogni e qualsiasi classe dominante ha bisogno, per conservare il suo dominio, di due funzioni sociali: quella del militare e quella del prete. Il militare deve soffocare o prevenire con la forza l’indignazione e la protesta degli oppressi. Il prete deve consolare gli oppressi, farli sperare in un futuro migliore entro il quadro del dominio di classe e con ciò conciliarli con questo dominio, allontanarli dalle azioni rivoluzionarie, prevenire le azioni rivoluzionarie. Le classi dominanti hanno oggi più bisogno che nel passato di persone che svolgono questi due ruoli, perché grande è la contraddizione tra la penosa situazione in cui costringono l’umanità e quello che l’umanità può fare, le forze produttive e le conoscenze di cui oggi dispone, l’esperienza e la coscienza che la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale ha ampiamente diffuso tra le masse popolari.

A Copenhagen i delegati della classi dominanti si riuniscono nella veste di preti. Anche quelli che hanno le mani sporche di sangue ancora fresco, anche Barack Obama che ha appena annunciato (laltro ieri 1° dicembre) che invierà altri 30 mila soldati a massacrare e terrorizzare in Afghanistan e ha appena chiesto ai suoi alleati, soci e satelliti di inviarne a loro volta, a Copenhagen ci vanno per fare promesse di un futuro migliore. Quindi certamente da Copenhagen usciranno con promesse e tante buone parole, anche se i contrasti tra loro sono molto acuti e ciascuno vuole portare via qualcosa all’altro. È lo spettacolo che gli stessi governi hanno dato anche al “Convegno contro la fame nel mondo” organizzato dalla FAO poche settimane fa (dal 16 al 19 novembre) a Roma.

Tolte le poche eccezioni a cui abbiamo accennato, gli individui che si riuniranno a Copenhagen sono i caporioni che gli affamatori, gli sfruttatori, i parassiti, gli aguzzini e il clero hanno messo e mantengono a capo dei singoli paesi. Sono i promotori degli affari che hanno condotto l’umanità al disastro economico e ambientale e al marasma intellettuale e morale in cui ci troviamo o, nei casi migliori, sono individui per i più vari motivi rassegnati a mettere questi affari davanti agli interessi delle masse popolari. Il principale dei compiti loro assegnati e per cui sono stati nominati e sono mantenuti a capo dei rispettivi Stati è che assicurino ai capitalisti le condizioni per continuare i loro affari al riparo dalle protesta e dalle rivolte dei lavoratori e delle masse popolari e assicurino ai ricchi e al clero di continuare a godere dei loro privilegi.

Tutto quello che decideranno, qualunque cosa dicano, comunque lo presentino, la sostanza sarà come continuare a mantenere buona la gente pur continuando a fare gli affari che comportano il disastro a cui ci hanno condotto, a spremere dai lavoratori i privilegi e le ricchezze che finora hanno spremuto. Solo se abbiamo ben chiaro questo e ci basiamo su questa realtà, mille volte confermata dall’esperienza che abbiamo alle spalle e contro cui nessuno può portare alcuna seria obiezione fondata sulla realtà e non su vuote speranze, possiamo andare oltre e sia capire perché quei caporioni hanno organizzato con tanto clamore la Conferenza di Copenhagen sia ragionare seriamente su cosa dobbiamo e possiamo fare. Chi invece si attende che simili persone prendano decisioni atte a porre fine alla crisi ambientale o è uno sciocco o è un vigliacco. Illude se stesso e chi lo ascolta.

 

Perché, pur non potendo porre fine alla crisi ambientale, i portavoce e delegati dei responsabili del disastro ambientale e della crisi economica si riuniscono a Copenhagen e fanno tanto clamore attorno alla loro riunione?

Perché il malcontento e l’indignazione delle masse popolari di fronte al disastro ambientale e alla crisi economica sono grandi e si estenderanno ancora di più. Perché in molti paesi il malcontento e l’indignazione delle masse popolari sono diventati strumento di ricatto che ogni gruppo della classe dominante usa contro l’altro. Perché le classi dominanti hanno paura che si estendano tra le masse popolari l’orientamento, le azioni, i movimenti e le organizzazioni rivoluzionarie. Devono quindi fare qualcosa per creare illusioni e speranze più grandi del poco o nulla che faranno: fare un po’ di fuoco per creare molto fumo, guadagnare tempo e disperdere ogni intesa e slancio rivoluzionari.

Proprio facendo leva su questa paura delle classi dominanti è possibile strappare loro alcune concessioni, costringerle a mettere qualche pezza al disastro che hanno combinato e che alimentano, a eliminare alcune delle attività più gravi, ad astenersi da alcune delle iniziative più inique e criminali. E ci riusciremo tanto più, strapperemo tanto più quanto più facciamo loro paura, quanto più il movimento rivoluzionario è forte, quanto più avranno paura di perdere tutto. Su questa base noi comunisti possiamo e dobbiamo stringere accordi temporanei anche con quelli che non vogliono la rivoluzione, ma mettono la difesa dell’ambiente al di sopra dei loro interessi, pregiudizi e legami con le classi dominanti; possiamo sfruttare i contrasti tra gruppi delle classi dominanti.

Ma per poco che le attuali classi dominanti facciano, si tratta di cose contrarie alla loro natura. Quindi ogni gruppo cercherà di farlo a spese di altri gruppi. Cercherà anzi di approfittarne per fare valere meglio i suoi interessi nei confronti di altri gruppi, perché la crisi economica distrugge anche la ricchezza di alcuni di loro. Anche nella crisi, ogni capitalista cerca di ingrandirsi a spese di altri capitalisti, le fusioni e le acquisizioni continuano. Quando un capitalista è nei guai, gli altri capitalisti gli saltano addosso. I capitalisti, i finanzieri, gli speculatori, i ricchi e il clero sono dilaniati da due ordini di contraddizioni: quelle tra tutti loro e le masse popolari e quelle che li mettono in concorrenza tra loro. Questo li rende più deboli e rafforza noi. Ma nello stesso tempo li rende pericolosi, perché cercheranno di coinvolgere le masse popolari nelle loro lotte.

La crisi ambientale continuerà e si aggraverà, al pari della crisi economica, finché la borghesia e il clero domineranno. Di fronte all’insofferenza delle masse popolari, ogni gruppo cercherà di presentare alle masse popolari gli altri come responsabili della crisi e di mobilitarle contro di loro. La guerra è lo sbocco verso cui la borghesia e il clero inevitabilmente conducono l’umanità, se non togliamo loro il potere. Più la crisi ambientale ed economica diventa grave, più pressante diventa l’alternativa: o rivoluzione o guerra. Chi si limita a guardare cosa succede oggi sarà sorpassato e travolto dagli avvenimenti. È il destino dei codisti.

 

La crisi ambientale e la crisi economica aggravano oltre ogni immaginazione le sofferenze delle masse popolari. Esse creano anche le condizioni perché le masse popolari la facciano finita una volta per tutte con il sistema di relazioni sociali mercantili e capitaliste che ereditiamo dalla storia che abbiamo alle spalle e che ci hanno oramai condotto in un vicolo cieco. Le classi dominanti sono in difficoltà, non sanno che pesci pigliare, litigano tra loro. Anche se sono armate fino a i denti e hanno accumulato arsenali enormi, la loro debolezza è massima. Loro hanno tutto da perdere. Alle masse popolari stanno togliendo anche quel poco che avevano, quindi le masse popolari avranno tutto da guadagnare da un rivolgimento generale. Sta a noi comunisti indicare e aprire la strada, perché non si improvvisano rivolgimenti politici e sociali quali quelli di cui l’umanità ha bisogno. Per sua natura la rivoluzione socialista non scoppia. La deve costruire il partito comunista, passo dopo passo.

Ma per fare cosa e come?

 

Non partiamo da zero. La situazione cui noi oggi dobbiamo far fronte non è un avvenimento strano e inatteso. È il culmine del sistema mercantile e capitalista, è la sua agonia. È lo sbocco di un corso delle cose che dura da circa 150 anni. Il movimento comunista da tempo mobilita e organizza le masse popolari e in primo luogo i proletari e gli operai a costruire la nuova società di cui l’attuale società contiene i presupposti. Ha acquisito e accumulato una grande esperienza dai suoi successi e anche dalle sue sconfitte. L’umanità oggi possiede forze produttive e conoscenze sufficienti per far fronte a tutti i problemi che il capitalismo ha creato e non può risolvere.

Nessuno dei mali che ci affliggono è irresolubile. Non è vero che le sofferenze che patiamo derivano dai limiti delle risorse del Pianeta. La borghesia e il clero confondono la fine del loro sistema con la fine del mondo, i limiti del loro sistema di relazioni sociali con i limiti delle risorse e di quello che l’umanità può fare. Come sempre hanno fatto le classi dominanti quando è arrivata la loro fine. Quello che è finito, che non può più durare è la produzione mercantile e capitalista. Lo sforzo di farla durare è la causa principale della crisi ambientale, della crisi economica e del marasma culturale e morale in cui l’umanità si dibatte.

Per i lavoratori organizzati è del tutto possibile porre fine alla crisi ambientale, alla crisi economica e al marasma culturale e morale a cui la borghesia e il clero ci hanno condotti. Ci sono le forze produttive e le conoscenze necessarie per farlo. Oggi gli uomini possono produrre cibo quanto necessario a una popolazione ben più numerosa dell’attuale. Il sole ogni anno fa evaporare acqua dai mari e possiamo quindi disporre sulla terraferma di acqua dolce nella quantità necessaria per una popolazione ben più numerosa dell’attuale. Possiamo produrre case, vestiario e ogni altro ben di dio per tutti. Esistono fonti di energia rinnovabili da cui possiamo ricavare più energia di quanto è necessario all’intera umanità, solo che metterle in opera non è compatibile con il sistema mercantile e capitalista di relazioni sociali. È il sistema di produzione e di distribuzione mercantile e capitalista e il sistema di relazioni sociali connesso che impediscono di mettere in opera tutto questo. Il comunismo non è più solo un progetto. È una necessità per uscire dal vicolo cieco in cui la borghesia e il clero ci hanno cacciato. I primi paesi socialisti ci hanno mostrato la strada con i loro successi e con i loro insuccessi.

La prima ondata della rivoluzione proletaria svoltasi nella prima parte del secolo scorso ha mostrato la via per porre fine alla crisi generale del capitalismo. I primi paesi socialisti, a partire dall’Unione Sovietica, hanno mostrato che i lavoratori organizzati possono liberarsi dai capitalisti e dal clero, possono costruire un sistema socialista e avanzare verso il comunismo. Per questo la borghesia e il clero denigrano in ogni modo l’esperienza dei primi paesi socialisti, dopo essere ricorsi a ogni mezzo per farli deragliare e per stroncarli sul nascere.

In realtà i primi paesi socialisti lungo tutta la prima parte della loro pur breve esistenza hanno mostrato su larga scala che i lavoratori possono costruire un altro mondo che fa tesoro del patrimonio di esperienze e conoscenze che l’umanità ha accumulato nella sua lunga storia e lo usa per creare un livello superiore di civiltà. Per fare questo i lavoratori più generosi e più avanzati devono unirsi nel partito comunista, creare organizzazioni di massa, mobilitare su larga scala le masse popolari a far fronte con efficacia alla borghesia, al clero e alle altre classi reazionarie che con ogni mezzo cercano di mantenere e restaurare l’attuale stato delle cose. La crisi in cui la borghesia ha impantanato tutta l’umanità crea condizioni più favorevoli che nel passato per destare le masse popolari a compiere un’azione storica su una scala maggiore di quella a cui hanno agito nella prima ondata delle rivoluzione proletaria, quell’azione storica da cui la borghesia le ha fin qui distolte: a instaurare il socialismo nei maggiori paesi imperialisti.

 

La borghesia, il clero e i loro seguaci dicono che i primi paesi socialisti sono crollati, che erano paesi economicamente inefficienti, che erano sistemi dittatoriali. In effetti il socialismo e il comunismo richiedono una mobilitazione, un’organizzazione e una partecipazione delle massa della popolazione alla vita sociale che non sono mai esistite e che possono essere create solo passo dopo passo, sulla base dell’esperienza e risolvendo in modo giusto tutti i problemi che strada facendo si pongono e trovando la soluzione giusta sulla base dell’esperienza. Il sistema dello sfruttamento e dell’oppressione è in auge da secoli, si basa su concezioni e relazioni ben note e collaudate, ma oramai ci ha condotto a un punto morto. Quello che gli uomini potevano fare di positivo nell’ambito di tale sistema, lo hanno fatto. Il nuovo sistema è da creare. Come in ogni impresa nuova, alcune cose sono chiare fin dall’inizio, ma altre si mettono a punto strada facendo.

È vero che i primi paesi socialisti sono crollati. L’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese, gli altri paesi socialisti avevano destato l’interesse, la speranza, l’entusiasmo e la mobilitazione dei popoli oppressi e delle classi sfruttate in tutto il mondo. Erano il faro del nuovo mondo, l’alba di un’era di libertà e di civiltà per le classi sfruttate e per i popoli oppressi di tutto il mondo. Sembrava che avessero definitivamente tracciato la strada per tutti. Proprio per questo la borghesia e il clero sono ricorsi a ogni mezzo, ad ogni brutalità e ad ogni astuzia per stroncarli. “Soffocare il bambino nella culla”, fu la linea enunciata da Winston Churchill (1874-1965) e applicata da Mussolini, da Hitler, dal Vaticano, dai governi di tutte le potenze imperialiste dopo la nascita dei primi paesi socialisti. Li hanno aggrediti con ripetute guerre e in ogni paese socialista hanno aiutato senza risparmio di mezzi e in ogni modo le classi spodestate perché mobilitassero la parte ancora arretrata della popolazione e riprendessero il sopravvento. Ancora oggi, ormai da quasi 50 anni, il governo del più potente paese imperialista, gli USA, cerca di soffocare con l’embargo economico un piccolo paese come Cuba e organizza infiltrazioni, attentati, sabotaggi e altre operazioni criminali per cancellare l’esempio contagioso che Cuba dà agli altri popoli in particolare dell’America Latina. Niente di strano che nei paesi socialisti appena creati ci fossero i residui delle vecchie classi privilegiate spodestate, che una parte delle masse popolari non aderisse subito con coscienza ed entusiasmo e con convinzione a un nuovo sistema di vita, che le classi spodestate cercassero di restaurare il loro sistema di privilegi facendo leva sulla parte più arretrata delle masse popolari e sfruttando le relazioni, l’esperienza di organizzazione e di comando che facevano parte della loro eredità di vecchia classe dominante, che i promotori della nuova società avessero dubbi e tentennamenti sulla via da seguire, che il vecchio mondo influenzasse in una certa misura anche una parte più o meno ampia di loro, che nel dirigere di fronte alle nuove difficoltà fossero tentati di ricorrere ai metodi e ai sistemi da secoli impiegati dalle classi dominanti.

Quando la borghesia e il clero fanno grande scandalo dei sistemi repressivi impiegati dai primi paesi socialisti, nascondono accuratamente che anche nei casi peggiori in cui nei paesi socialisti si è fatto ricorso a sistemi e metodi repressivi, essi erano quelli che la borghesia, il clero e le altre classi dominanti anche dei paesi più civili hanno applicato da sempre e applicano ancora oggi (Guantanamo, Abu Ghraib, Wagram insegnano), che anche di fronte a una lotta di classe condotta dalla borghesia e dal clero senza scrupoli e senza esclusione di colpi, in ogni paese socialista la repressione ha colpito una parte modesta della popolazione a fronte alla libertà, alla cultura e al potere cui invece, tramite le organizzazioni di massa e il partito comunista, il grosso delle masse popolari accedeva per la prima volta nella storia dell’umanità.

L’esperienza ha dimostrato che i paesi socialisti, finché sono stati guidati da veri partiti comunisti, hanno fatto grandi progressi economici e culturali e hanno resistito con successo a ogni aggressione e tentativo di infiltrazione. Ma il comunismo non è un ricettario, un manuale di istruzioni per l’uso, un insieme di regole belle e pronte da applicare. È una concezione del mondo e un metodo di conoscenza e di azione. Il comunismo è un sistema di relazioni sociali che gli uomini nei dettagli devono scoprire e mettere a punto paese per paese e a livello internazionale. Il comunismo per sua natura è internazionale: inizia con rivoluzioni nei singoli paesi ma può imporsi definitivamente solo come sistema mondiale, con l’intesa tra i popoli di tutti i paesi. Durante la prima grande crisi generale del capitalismo, nella prima parte del secolo scorso, il movimento comunista era riuscito a prendere il sopravvento sulle classi reazionarie solo in paesi relativamente arretrati (Russia, Cina), in paesi che nel sistema imperialista mondiale erano oppressi. Non era riuscito a instaurare il socialismo nei paesi più avanzati, nei paesi imperialisti (USA, Europa) dove la borghesia era più forte e il suo potere più consolidato e rafforzato dallo sfruttamento dei paesi oppressi. Tutti questi fattori hanno reso difficile la vita dei primi paesi socialisti e hanno creato incertezze e divisioni sulla via da seguire per consolidare e generalizzare il trionfo della rivoluzione socialista in tutto il mondo, per fare uscire l’umanità intera dalle barbarie del capitalismo.

La decadenza dei primi paesi socialisti è iniziata dagli errori compiuti dai partiti comunisti che li dirigevano. L’Unione Sovietica ha incominciato a perdere slancio negli anni ’50, quando il partito comunista diretto da Krusciov e dai suoi compari ha dato soluzioni di stampo borghese ai problemi di sviluppo del socialismo. La Repubblica Popolare Cinese ha cessato di essere un faro della rivoluzione proletaria nel mondo quando alla fine degli anni ’70 il partito comunista cinese diretto da un vecchio ammiratore della borghesia, Teng Hsiao-ping, ha messo la Cina sulla via del capitalismo. Niente di strano che nel creare un sistema nuovo di relazioni sociali si facciano errori, che molti credano, per i più svariati motivi, di potere e di dovere far fronte alle proprie difficoltà prendendo esempio dai vecchi paesi, senza tener conto che alcune cose ne trascinano inevitabilmente altre. È inevitabile che la vecchia società, le vecchie classi dominanti e il sistema di pregiudizi e di abitudini formatisi nel corso dei secoli esercitino un’influenza sulla nuova società. Il nuovo mondo nasce lottando col vecchio mondo, ma nasce anche sui presupposti che il vecchio mondo ha posto: cosa tenere e cosa gettare e quando, è una questione che va risolta sulla base dell’analisi concreta della situazione concreta. Noi comunisti ci facciamo forti di una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta delle classi e dei popoli oppressi contro la borghesia, il clero e le altre residue classi dominanti. Ma saremmo degli imbroglioni se nascondessimo che molte cose le ignoriamo e le dovremo imparare sulla base dell’esperienza, provando e riprovando.

Ma che forse il mondo è migliorato perché i primi paesi socialisti sono andati fuori strada, e dopo un relativamente lungo periodo di decadenza, sono crollati?

La borghesia e il clero hanno esultato e fatto un grande schiamazzo prima per la deriva e poi per il crollo dei primi paesi socialisti. Ma oggi la masse popolari di tutto il mondo soffrono i risultati della libertà di manovra e di sfruttamento che l’imperialismo USA e il Vaticano hanno riconquistato vent’anni fa con la scomparsa dei primi paesi socialisti.

In realtà il movimento comunista ha sì subito un periodo di declino a causa dei suoi limiti di comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe, ma è tutt’altro che morto. Esso sta risorgendo anzi in tutto il mondo guidato dal marxismo-leninismo-maoismo e, dove non è ancora risorto in forza, la resistenza delle masse popolari alle atrocità dell’imperialismo trova altre vie provvisorie con cui dispiegarsi. Le feroci campagne di accerchiamento e annientamento che i governi dell’India e del Pakistan, sostenuti dai consiglieri americani e sionisti, proprio in questi giorni conducono nei rispettivi paesi contro le forze rivoluzionarie, le campagne criminali condotte dai sionisti d’Israele, dal governo USA e dalla NATO nel Medio Oriente, nell’Asia centrale e in Africa, le manovre controrivoluzionarie che i gruppi sionisti e il governo USA conducono in America Latina indicano per contrasto la vitalità del movimento comunista. La rivoluzione di nuova democrazia che perdura in Nepal dà già grandi insegnamenti ai comunisti di tutto il mondo.  

 

Certo, l’instaurazione di un nuovo sistema sociale richiede imprese che nessun individuo può fare da solo nel momento in cui lui ha capito che sono la soluzione necessaria dei mali presenti. Non si tratta della buona volontà di alcuni individui che cambiano la loro condotta: si tratta di instaurare un nuovo sistema sociale.

Ogni individuo che capisce che questo è possibile e giusto, per attuarlo deve unirsi agli altri che pure ne sono convinti e che sono decisi ad attuarlo.

Da subito quanto più siamo organizzati e decisi, tanto più possiamo imporre alle Autorità di adottare i provvedimenti indispensabili per far fronte subito alla conseguenze più gravi della crisi del loro sistema di relazioni sociali. Oggi al mondo esiste una quantità enorme di denaro. Tra contanti, conti bancari e titoli finanziari, il denaro ammonta almeno a 50 volte il Prodotto Lordo mondiale di un anno e le banche e le istituzioni finanziarie ne possono creare ancora in quantità illimitate. I governi dei maggiori paesi vi possono attingere in misura praticamente illimitata e infatti per gli scopi che ritengono necessari non manca mai loro il denaro. Non ci sono quindi limiti finanziari alla azioni che possiamo costringerli a fare. Ma il sistema monetario è per sua natura un castello di carte, per sua natura è instabile, perché dipende dal comportamento dei capitalisti e dei ricchi e usare denaro per soddisfare le necessità delle masse popolari è quanto di più innaturale si possa imporre a un capitalista e a gente educata alla loro scuola.

Quindi anche se con le buone o con le cattive riusciamo a imporre che attuino le misure necessarie e urgenti per far fronte alle situazioni più gravi, le Autorità attuali cercheranno di fare il meno possibile, ritorneranno indietro appena possibile, ricorreranno a ogni mezzo per impedire che imponiamo loro di compiere azioni così contrarie alla loro natura. Ricorreranno a ogni espediente per dividere i lavoratori e metterli gli uni contro gli altri. È quello che già fanno. Questo vale sia per la crisi economica sia per la crisi ambientale.

Per questo non basta rivendicare dai padroni questo o quello: occorre costituire un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari, un governo fatto da persone che vogliono attuare le aspirazioni delle masse popolari, un governo costituito e sostenuto dalle organizzazioni che vogliono impiegare le forze produttive e le conoscenze per soddisfare i bisogni delle masse popolari: un Governo di Blocco Popolare.

Quanto più siamo decisi a costituire un simile governo, tanto più da subito avremo la forza per imporci ai padroni e alle loro Autorità e costringerli ad attuare da subito i provvedimenti più urgenti. Tanto più forti saranno anche le lotte rivendicative.

 

Imporre ad ogni costo e con ogni mezzo alle Autorità e ai padroni i provvedimenti urgenti indispensabili per far fronte agli effetti più gravi della crisi economica e della crisi ambientale!

 

Creare le condizioni per instaurare un governo d’emergenza costituito dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari!

 

Stroncare sul nascere ogni prova di fascismo! Eliminare dai quartieri popolari i focolai dell’infezione fascista e razzista!

 

Le misure per impedire gli effetti più disastrosi della crisi generale del capitalismo e l’instaurazione di un governo di Blocco Popolare che le attui, aprono la via all’instaurazione del socialismo e rafforzano la lotta antimperialista in ogni angolo del mondo!

 

Per questo lotta il nuovo Partito comunista italiano!

Per questa lotta il nuovo PCI chiede il concorso e il contributo della parte più generosa e onesta, della parte più avanzata delle masse popolari del nostro paese!

 

Compagni, operai, proletari, donne, immigrati e giovani: arruolatevi nel (nuovo)Partito comunista italiano!

 

Costituite clandestinamente in ogni azienda, in ogni zona e in ogni organizzazione di massa un Comitato di Partito!