La Voce n. 11


Alcuni passi nella direzione giusta?

 

A proposito del Comunicato delle nuove BR-PCC

 

INDICE:

Avvertenze

1. Introduzione

2. Perché è necessario confutare le concezioni dei militaristi

3. La via all'instaurazione del socialismo

4. Il campo della borghesia imperialista

5. La relazione tra i due campi

6. Il campo della classe operaia

7. Il bilancio del movimento comunista secondo le nuove BR-PCC

8. Conclusione

Note


 

1. Introduzione

Chiunque siano gli autori del Comunicato con cui è stato rivendicato l'attentato che lo scorso 19 marzo ha posto fine alla sporca attività di una delle teste d'uovo della borghesia imperialista, esso pone chiaramente alcune importanti questioni che riguardano la concezione del mondo (l'ideologia, la scienza comunista), il programma, il metodo e la linea del nuovo partito comunista. Si tratta di questioni su cui oggi tra le FSRS del nostro paese, anche tra quelle che si dicono impegnate nella ricostruzione di un vero partito comunista, non esiste ancora una posizione chiara e neppure una netta contrapposizione di posizioni.  Per costituire un vero partito comunista è invece necessario che le posizioni siano chiaramente definite e che siano chiarite le implicazioni pratiche delle diverse posizioni. È inoltre utile mettere a confronto alcune tesi espresse nel Comunicato di quest'anno con quelle espresse nel Comunicato con cui fu rivendicato l'attentato del 20 maggio '99 contro un'altra delle teste d'uovo della borghesia. Infatti confrontando i due Comunicati alla luce delle critiche fatte nell'opuscolo Martin Lutero, si vede che il Comunicato di quest'anno contiene alcuni importanti passi avanti rispetto a quello del '99. Se questi passi sono stati compiuti consapevolmente da una FSRS che si propone di mantenerli fermamente e svilupparli coerentemente, essi sono un segnale positivo per la ricostruzione di un vero partito comunista a cui la CP sta lavorando e a cui senza posa chiama tutte le FSRS a lavorare.

1. In primo luogo gli autori del Comunicato di quest'anno lasciano silenziosamente del tutto cadere la tesi, presente  nel precedente (assieme al suo contrario: ma questo faceva parte dell'eclettismo e del pressappochismo del documento),(1) che la borghesia in questa fase cercherebbe di distogliere la classe operaia del nostro paese dai suoi interessi storici e strategici (la conquista del potere politico per andare verso il comunismo) facendole concessioni sul piano degli interessi diretti e immediati (salari, condizioni di lavoro, ecc.). Gli autori del Comunicato di quest'anno invece sostengono (prg. 35) che la borghesia da trent'anni a questa parte ha aumentato anche lo sfruttamento del proletariato dei paesi imperialisti, che essa limita o elimina le conquiste di benessere e di civiltà che la classe operaia dei paesi imperialisti aveva strappato negli anni precedenti (prg. 25), che anche nei paesi imperialisti i salari reali sono diminuiti e le condizioni di vita e di lavoro peggiorate e che si tratta di un "processo che, come hanno dimostrato i trent'anni trascorsi, non c'è politica economica che possa invertire" (prg. 13). Questo è un importante passo verso il riconoscimento della realtà. Per impostare una giusta linea politica, i comunisti devono tener conto con fermezza e coerenza che la borghesia imperialista, sospinta dalla nuova crisi generale del capitalismo, da trent'anni a questa parte, anche nei paesi imperialisti,  cerca continuamente di aumentare lo sfruttamento sia della classe operaia vera e propria, sia del resto del proletariato, sia dei lavoratori autonomi (attraverso imposte, interessi, usura, racket, assicurazioni, diritti, prezzi di monopolio, riduzione dei servizi gratuiti e altre angherie). Ne deriva che la lotta delle masse popolari in difesa delle conquiste e per la tutela dei loro interessi diretti e immediati è, anche nei paesi imperialisti, un'importante scuola di comunismo che, se i comunisti la dirigono, può contribuire a portare le masse popolari a contrapporsi alla borghesia imperialista; mentre se è diretta dalla borghesia porterà le masse popolari alla lotta tra loro e alla guerra. La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo è il terreno su cui i comunisti si scontrano con le forze politiche borghesi. La posta dello scontro è se nei prossimi anni prevarrà la mobilitazione rivoluzionaria delle masse (guerra rivoluzionaria contro la borghesia in ogni paese, rivoluzione socialista) o la mobilitazione reazionaria delle masse (guerre tra paesi, tra popoli, tra nazioni).

2. In secondo luogo gli autori del Comunicato di quest'anno lasciano silenziosamente del tutto cadere la tesi che gli attentati contro esponenti della borghesia hanno, tra l'altro, lo scopo di indurre la borghesia ad assumere una linea politica più favorevole al proletariato. Essi dichiarano ripetutamente che con gli attentati mirano a indebolire la borghesia e il suo Stato (disarticolarlo, spezzare la sua capacità progettuale, impedire alla borghesia di "governare la crisi e di governare il conflitto di classe", ecc.) per favorire lo sviluppo della lotta del proletariato per il socialismo. Quindi essi lasciano cadere la linea di condizionare il capitalismo tramite attentati, che nel Comunicato precedente conviveva ecletticamente con la dichiarazione che con gli attentati intendevano disarticolare lo Stato borghese. Questo vuol dire rompere con la tendenza ad impiegare la lotta armata come forma di pressione sulla borghesia e come forma di protesta, spontanea o organizzata, contro le sue malefatte e i suoi crimini e proporsi di svolgere un'attività che per sua natura deve essere valutata alla luce della sua efficacia come via per instaurare il socialismo.

3. In terzo luogo gli autori del Comunicato di quest'anno espongono abbastanza chiaramente la concezione del mondo su cui fondano la loro linea d'azione, la loro organizzazione e la proposta che fanno a tutto il proletariato. E in più cercano di giustificare il tutto alla luce 1. delle caratteristiche della nostra formazione economico-sociale e delle sue relazioni con il resto del mondo (il "contesto internazionale"), 2. dell'esperienza storica e internazionale del movimento comunista (di cui tracciano un bilancio) e 3. del patrimonio teorico del movimento comunista (sia pure limitato a Marx, Engels e Lenin: quindi con esclusione di Stalin e Mao). In particolare confrontano l'attività svolta oggi dalle nuove BR-PCC con quella svolta dalle vecchie BR negli anni '70 e mettono a confronto le due fasi, facendo notare continuità e differenze.

Questo terzo aspetto del nuovo Comunicato è di gran lunga il più importante. Infatti con esso le nuove BR-PCC accettano di confrontarsi 1. con la realtà della lotta di classe, 2. con l'esperienza del movimento comunista e 3. con almeno una parte del suo patrimonio teorico (quindi rompono con un aspetto del soggettivismo).(2) Con questi tre elementi tutte le FSRS devono misurarsi fino a raggiungere una concezione del mondo, un programma, un metodo e una linea d'azione che la pratica confermerà essere atti a far avanzare la causa della rivoluzione socialista. È un metro comune a tutte le FSRS, a cui nessuna può sottrarsi. È un metro accessibile a tutti quelli che vogliono usarlo. Assumere questo metro è un'implicita rottura con la mentalità da gruppo e da setta e un'implicita assunzione di una mentalità da partito comunista.

Dall'altra parte, quanto più gli autori del Comunicato cercano di spiegare e giustificare con questo metro la loro concezione del mondo e la loro linea militarista (e il Comunicato resta ancora interamente sul terreno del militarismo - nel senso preciso che risulterà chiaro nel seguito), tanto più chiaramente emerge sia che esse fanno a pugni con la realtà sia che esse contrastano con l'esperienza del movimento comunista e con il suo patrimonio teorico. È la cosa che cercherò di illustrare in questo scritto. Se le nuove BR-PCC sono veramente un gruppo che lotta per eliminare il capitalismo in continuità col movimento comunista, non mancheranno di dimostrare la loro coerenza con il metro sopra indicato.

 

2. Perché è necessario confutare le concezioni dei militaristi

È vero che i comunisti chiuderanno realmente i conti con il militarismo (nella sua espressione attuale che consiste nel sostituire la costruzione di organizzazioni comuniste combattenti (OCC) alla costruzione del partito comunista) solo quando il nuovo partito comunista avrà sviluppato la sua opera ad un livello superiore all'attuale e in particolare avrà costruito le forze armate delle masse popolari. Allora il partito mostrerà nella pratica come i comunisti promuovono e conducono la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata in un paese imperialista e assorbirà anche quelle energie e risorse delle masse popolari che oggi ancora si disperdono nei rivoli del militarismo. Finché non avremo raggiunto quello stadio, è probabile che, come è successo in più fasi (e su grande scala proprio alla vigilia della prima ondata della rivoluzione proletaria), continueranno a trovare qualche spazio nelle masse popolari anche quelli che spingono a scendere senz'altro sul terreno dello scontro armato con la borghesia senza curare di creare le condizioni necessarie per farlo vittoriosamente, a colpire in qualche modo l'odiata borghesia (e che un membro delle masse popolari odi la borghesia è certamente una manifestazione di buona salute) (3) "senza attendere il resto delle masse che prima o poi seguiranno l'esempio dei combattenti" (dicono gli spontaneisti), "senza impegnarsi a creare le condizioni necessarie perché le masse assumano nella guerra popolare rivoluzionaria il ruolo decisivo che solo esse possono svolgere" (diciamo noi). Quindi il militarismo (nella sua forma attuale) sarà sconfitto definitivamente solo nella pratica e con un'azione positiva, ossia con lo sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria. Tuttavia bisogna approfittare di ogni occasione per mostrare l'inconsistenza della concezione del mondo e della linea politica dei militaristi; bisogna quindi vagliare le loro concezioni e le loro proposte, onde evitare o ridurre la dispersione di forze e di risorse che il militarismo oggi comporta. Inoltre la lotta contro le concezioni sbagliate è uno strumento indispensabile per rafforzare le idee giuste. Infine la lotta contro le loro idee sbagliate è il modo principale in cui riconosciamo che i militaristi sono oggi interni al campo che lotta contro la borghesia imperialista.

Questa lotta è tanto più necessaria perché in questa fase la borghesia imperialista non perde occasione di usare su grande scala le imprese dei militaristi per contrastare la ricostruzione del partito comunista. È già di per sé significativo il contrasto tra il clamore che essa fa in questo periodo attorno agli attentati e il silenzio (il "black out") che essa praticava alla fine degli anni '70 rispetto alle iniziative delle vecchie BR, quando il suo obiettivo immediato era rompere completamente il legame che le vecchie BR avevano con le masse. In questo periodo invece a volte la borghesia addirittura si sostituisce ai militaristi e promuove o facilita attentati che vengono anch'essi "rivendicati" a nome della rivoluzione (strategia della tensione) o attribuisce a forze rivoluzionarie attentati da essa compiuti nell'ambito della controrivoluzione preventiva o della lotta tra gruppi imperialisti, giocando sul fatto che nell'attuale situazione la massa della popolazione non ha elementi per distinguere con sicurezza chi sono gli autori di un  determinato attentato. Infatti, e non lo si ripeterà mai abbastanza, nello scontro di questo periodo tra classe operaia e borghesia imperialista, ciò che pesa non è in primo luogo chi è l'autore di una determinata azione. In questa fase ciò che principalmente pesa è l'effetto che quell'azione ha, in ognuna delle classi che compongono la società, sull'orientamento e sullo schieramento politici della sua sinistra, del suo centro e della sua destra. In questo periodo la borghesia imperialista, non solo del nostro paese ma a livello mondiale, sta compiendo uno sforzo gigantesco e non risparmia risorse e crimini per compattare, attorno ai settori più oltranzisti in ogni paese e attorno ai gruppi imperialisti americani a livello mondiale, le sue frazioni sempre più tra loro contrapposte a causa del procedere della crisi generale; per spingere le masse popolari preoccupate per gli effetti della crisi e disorientate per la debolezza del movimento comunista a cercare protezione e sicurezza sotto la sua direzione; per isolare i gruppi e le forze rivoluzionarie e in particolare impedire la ricostruzione di veri partiti comunisti. Questo è certamente un indizio che, a causa del procedere della crisi generale del capitalismo, la borghesia imperialista deve far fronte a crescenti difficoltà. Ma è anche, da parte sua, un mezzo per stare a galla promuovendo la mobilitazione reazionaria delle masse.

Benché le nostre forze siano ancora deboli, noi comunisti possiamo e dobbiamo volgere a nostro favore lo stato di allarme creato dalla borghesia. Una delle forme per perseguire questo obiettivo è affrontare chiaramente le concezioni e le linee che essa con tanto clamore e agli occhi delle masse attribuisce ai rivoluzionari. La borghesia oggi distoglie l'attenzione delle masse dal suo ordinamento sociale e dalle sue malefatte e la concentra sulle attività dei rivoluzionari. Ebbene approfittiamone ed estendiamo tra le masse la discussione su quali sono le diverse concezioni e linee che hanno corso nel movimento rivoluzionario e su quale deve essere la concezione del mondo e quale la linea che le masse popolari devono seguire per liberarsi dai malanni che le affliggono e dalla classe (la borghesia imperialista) che li impone loro. L'esistenza di una stampa clandestina e la sua circolazione (per quanto ancora limitata) permettono di farlo in completa libertà, esprimendosi chiaramente, senza tema di incriminazioni per apologia di reato, incitamento all'odio di classe o altri simili reati che la borghesia ha inscritto nel suo codice penale e senza tema di ritorsioni per via di fatto a cui la borghesia non ha alcun ritegno a ricorrere quando ritiene che le convenga. In questo campo la stampa clandestina può promuovere, completare e sostenere l'opera della stampa legale.

 

3. La via all'instaurazione del socialismo

Gli autori del Comunicato in questione danno una definizione abbastanza giusta del compito generale che deve essere assolto per arrivare alla rivoluzione socialista. Una definizione che, oltre che applicata, va propagandata senza tregua contro le tendenze economiciste, riformiste e opportuniste. Nella società moderna il contrasto tra il carattere collettivo delle forze produttive e dell'attività economica da una parte e i rapporti di produzione capitalisti dall'altra delimitano nettamente due campi che hanno interessi oggettivamente contrapposti. Questa contrapposizione oggettiva è un dato. Il compito di noi comunisti è farla diventare anche una contrapposizione politica, una guerra delle masse popolari dirette dalla classe operaia tramite il suo partito comunista contro la borghesia imperialista per distruggere il suo potere politico (il suo Stato), instaurare il potere politico della classe operaia (dittatura del proletariato) e dar inizio alla trasformazione dei rapporti di produzione e dell'insieme dei rapporti sociali. Le nuove BR-PCC condividono molti aspetti di questa definizione. Sostengono anch'esse che il compito generale consiste nel trasformare il contrasto che oggettivamente, sulla base dei loro interessi immediati e diretti, oppone milioni di lavoratori alla borghesia imperialista, nella guerra di questi milioni di lavoratori contro la borghesia per distruggere la macchina statale che realizza la dittatura della borghesia e ne tutela gli interessi e per instaurare la dittatura del proletariato e il socialismo: omettono però il ruolo del partito comunista.(4) Esse riconoscono anche che le forze già oggi mobilitate per questo obiettivo sono "esigue avanguardie" e giustamente pongono la domanda: "Cosa devono fare fin da subito queste esigue avanguardie per trasformare quel contrasto oggettivo di interessi in una guerra inevitabilmente di lunga durata"?

Tutte le FSRS, e in particolare tutti i comunisti, devono dare una risposta chiara a questa domanda ed essere nella pratica conseguenti alla loro risposta. A meno che vogliano proseguire la tradizione di quel dottor Grillo di cui parla Gramsci: e in realtà ce ne sono di persone che la proseguono!(5) La risposta a questa domanda è la strategia (la via alla rivoluzione) che guiderà il nuovo partito comunista fino alla conquista del potere, la strategia in conformità alla quale ci muoveremo nei prossimi anni, elaborando di situazione in situazione tattiche atte a realizzarla e verificandone la validità nella pratica. Su questa strategia la CP ha già esposto la propria posizione nel n. 1 di La Voce e l'ha più volte illustrata, da ultimo nell'articolo di Nicola P. dedicato al maoismo (La Voce n. 10).

Nella risposta che gli autori del Comunicato danno a questa domanda e nei ragionamenti con cui cercano di giustificarla si manifesta chiaramente la natura della loro concezione del mondo e il velleitarismo della loro proposta.

Secondo le nuove BR-PCC "lo sviluppo della guerra [rivoluzionaria] è passaggio da circoscritte iniziative combattenti alla stabilizzazione delle offensive della guerriglia, di una sufficiente capacità offensiva disarticolante, ecc." (prg. 110) e la costruzione del partito comunista sarà, come la distruzione dello Stato borghese, un risultato del successo di questa guerra condotta da organismi di guerriglia (prg. 72 e 99). Secondo le nuove BR-PCC a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha trasformato l'ordinamento economico-sociale e organizzato il suo potere in modo tale che nei paesi imperialisti il suo Stato riesce di fase in fase, mediante opportune manovre politiche, a smorzare ogni istanza e tendenza antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere nel proletariato (nel "conflitto di classe"), fino a renderle compatibili con gli interessi della borghesia imperialista, a  integrarle e incanalarle nel suo sistema di rapporti, ad evitare che si sviluppino in guerra rivoluzionaria. La borghesia imperialista deve fare i conti con la crisi del proprio sistema economico che si sviluppa per cause che "sono intrinseche al meccanismo di esistenza del capitale, al meccanismo dell'accumulazione, alla sua propria natura, non sono cause esterne" (prg. 32). "Niente impedirebbe al proletariato di prendere possesso dei mezzi di produzione o dei beni di sussistenza che usa e produce, se lo Stato non ne difendesse la 'legittima' proprietà privata con l'azione concreta dei suoi apparati militari" (prg. 63). Ma la borghesia riuscirebbe a tenere sotto controllo e a "governare" sia la crisi del proprio sistema economico sia un proletariato pronto a prendere possesso dei mezzi di produzione e dei beni di consumo. Il proletariato riuscirebbe a sviluppare le istanze e tendenze antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere in esso fino a condurre una lotta per il potere solo se le avanguardie rivoluzionarie, che capiscono questa novità della situazione (determinatasi a partire dagli anni '40 del Novecento) e hanno il coraggio di farsene carico per esigue che siano, di fase in fase riescono a individuare quelle determinate manovre politiche e intervengono con operazioni offensive (preferibilmente attentati a personaggi chiave del mondo politico (prg. 107)) a scompaginare la coalizione di forze che le promuove o comunque ad impedirne l'attuazione. Se questo avviene, queste forze rivoluzionarie "catalizzerebbero" anche il possibile sviluppo delle istanze e tendenze antagoniste del proletariato, in quanto in esso si potenzierebbero organizzazioni che seguono la strada proposta e praticata dalle forze rivoluzionarie e si impegnano anch'esse in attività di guerriglia. Per questa via il contrasto di classe si trasformerebbe gradualmente in lotta per il potere e arriverebbe a distruggere lo Stato borghese e a costruire il nuovo partito comunista. Da qui si avvierebbe il passaggio al comunismo. Quindi le nuove BR-PCC non propongono una generica moltiplicazione di OCC e di attentati, ma iniziative militari condotte fin da subito da piccole avanguardie e mirate a impedire l'attuazione delle manovre politiche chiave messe in atto dalla borghesia per "governare la crisi e governare il conflitto di classe". Queste iniziative sarebbero indispensabili per aprire la strada alla lotta del proletariato per il potere. Esse, a quanto si deduce dal Comunicato, combinate con le condizioni oggettive della crisi generale in corso, si moltiplicheranno fino a trasformarsi in guerra rivoluzionaria.

Le nuove BR-PCC rivestono di molti particolari e sviluppi questa concezione del mondo, la linea d'azione e la proposta che ne derivano. Ma questo è il nocciolo che ogni lettore può riscontrare nel Comunicato e che riassume fedelmente la concezione del mondo e la proposta dei suoi autori. Come si vede, si tratta di un tipico caso di strategia "studiata a tavolino", senza alcun riscontro sui modi e sulle forme in cui nella realtà le classi oppresse lottano contro la borghesia da che siamo nell’epoca imperialista. Ma vediamo uno per uno i passaggi su cui le nuove BR-PCC fondano il loro piano.

È vero che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha acquisito la capacità di "governare la crisi del suo sistema economico" e quindi di evitare che le vicende del suo sistema economico sconvolgano il suo ordinamento sociale? È vero che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha acquisito la capacità di neutralizzare, smorzare, isterilire, integrare nel suo sistema di rapporti sociali le istanze e tendenze antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere nella classe operaia? Ma, soprattutto, sono gli attacchi, compiuti da avanguardie anche esigue e secondo i criteri indicati nel Comunicato, fattori necessari e sufficienti per far sì che la classe operaia dia vita a una lotta per il potere?

La prima domanda riguarda principalmente lo sviluppo dei rapporti interni al campo della borghesia imperialista. La terza riguarda principalmente lo sviluppo dei rapporti interni al campo della classe operaia. La seconda riguarda i rapporti tra i due campi. Le risposte delle nuove BR-PCC alle prime due domande non sono affatto nuove.

 

4. Il campo della borghesia imperialista

Già alla fine dell'Ottocento, prima dal seno della cultura borghese (Sombart, Liefman, Schulze-Gävernitz e gli altri teorici del "capitalismo organizzato") e poi dall'ala opportunista del movimento operaio (Bernstein e gli altri propagandisti del primo revisionismo), è stata avanzata la tesi che il capitalismo aveva oramai, grazie agli sviluppi delle FAUS,(6) raggiunto la capacità di evitare le crisi o almeno di governarle, di evitare che avessero effetti catastrofici sul sistema politico e sull'ordinamento della società. Quanto la realtà nella prima metà del Novecento abbia smentito tale tesi è a tutti noto. A partire dagli anni '50 del Novecento, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'ala revisionista del movimento comunista (Kruscev, Togliatti e gli altri propagandisti del revisionismo moderno) ha ripreso e avanzato la stessa tesi senza portare a suo sostegno migliori argomenti che i suoi sostenitori di fine Ottocento.

Che nei paesi imperialisti la borghesia avesse integrato la classe operaia nel suo sistema, neutralizzandola come classe rivoluzionaria, era una tesi e addirittura un luogo comune e una parola d'ordine che a partire dalla fine degli anni '50 del Novecento le teste d'uovo della Scuola di Francoforte (H. Marcuse, M. Horkheimer, T.W. Adorno, F. Pollock, W. Benjamin, ecc.), gli intellettuali operaisti e i loro seguaci hanno ampiamente diffuso sia tramite il potente apparato culturale delle università e delle case editrici borghesi sia tramite le pubblicazioni della "nuova sinistra": dai Quaderni Rossi di Raniero Panzieri ("sinistra" socialista) e dai Quaderni Piacentini dei ricchi fratelli Bellocchio in giù. Ciò non ha impedito che esplodessero l'Autunno Caldo (1969) e gli "anni '70". La loro tesi era il riflesso lagnoso e "di sinistra" della tesi borghese che il capitalismo è capace di "competere col comunismo", di dare una soluzione soddisfacente e felice a tutti "i problemi sociali su cui fa leva il movimento comunista". La tesi dei francofortesi viaggiava allora nella sinistra in parallelo con la tesi sostenuta dai revisionisti moderni (Kruscev, Togliatti, Sakharov, ecc.) della "convergenza dei due sistemi sociali".

Non è per liquidare con un facile espediente polemico che  ricordo questa reale ascendenza infamante delle teorie oggi professate dalle FSRS più arcirivoluzionarie e più intransigenti (così i militaristi presentano se stessi) del nostro paese. È in primo luogo per allarmare su questo filone di continuità che lega le nuove BR-PCC ad un aspetto negativo delle vecchie BR (nella concezione del mondo delle vecchie BR le teorie della Scuola di Francoforte si contendevano il terreno con il marxismo-leninismo).(7) In secondo luogo per ricordare che le teorie della Scuola di Francoforte ebbero un certo influsso nel movimento rivoluzionario dei paesi imperialisti per motivi concreti. In primo luogo perché si presentavano come una spiegazione e una protesta contro la liquidazione della lotta della classe operaia per il potere fatta dai revisionisti moderni nei paesi imperialisti alla fine della seconda guerra mondiale. In secondo luogo perché erano in qualche misura avvalorate dalle grandi conquiste economiche, culturali e politiche che la classe operaia dei paesi imperialisti ha strappato nell'ambito del sistema capitalista nei trent'anni seguiti alla seconda guerra mondiale e che esse condannavano moralisticamente come "consumismo" e "integrazione nel sistema", invece di studiarne l'origine, il significato storico e lo sbocco.

Detto questo, resta però il fatto che nei paesi imperialisti a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo la liquidazione della Resistenza, quindi da mezzo secolo a questa parte, la lotta della classe operaia per il potere (per instaurare il socialismo) è declinata fino a scomparire, nonostante qualche sussulto (come in Italia negli "anni '70"). Noi e con noi tutta quella parte del movimento comunista che si oppose al revisionismo moderno (sotto la direzione di Mao Tse-tung, Enver Hoxha e altri) sosteniamo che questo declino fu l'effetto del prevalere del revisionismo moderno nella direzione del movimento comunista e dei partiti che lo componevano, cioè l'effetto della piega presa da quel "fattore soggettivo" che tanta importanza ha nella lotta di classe (come anche le nuove BR-PCC a loro modo riconoscono, ma solo per il periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale (prg. 86)). Francofortesi, operaisti, ricercatori di "nuovi soggetti rivoluzionari" e con loro (ma con una risposta del tutto diversa) le nuove BR-PCC sostengono invece che quel declino fu l'effetto della capacità acquisita dalla borghesia di integrare nel suo sistema le istanze e tendenze antagoniste della classe operaia e del resto del proletariato. Quindi noi e la nostra compagnia sosteniamo che la causa del declino fu un fatto interno al campo della classe operaia. Le nuove BR-PCC e la loro compagnia sostengono invece che la causa del declino fu un fatto interno al campo della borghesia. Chi ha ragione?

Per rispondere a queste domande dobbiamo considerare la storia del movimento comunista e della lotta tra borghesia e proletariato che si è svolta nei 150 anni che essa copre. La risposta deve essere coerente con tutta la scienza della società capitalista (l’ideologia) che il movimento comunista ha costruito. Si tratta di una questione di grande importanza che non si può risolvere accampando in modo pressappochista qualche elemento preso qua e là, che sia i sostenitori di una tesi sia i sostenitori della tesi opposta possono sicuramente addurre.

La borghesia imperialista ha imparato molto dalla storia e il capitalismo ha continuato a trasformarsi.(8) Le FAUS (mediazioni tra il carattere collettivo già assunto dalle forze produttive e la sopravvivenza di rapporti sociali capitalisti) hanno assunto un ruolo crescente nelle formazioni economico-sociali imperialiste e in tutto il mondo. Basti pensare alla creazione di una moneta fiduciaria mondiale (tramite il FMI), ai sistemi previdenziali e di ammortizzatori sociali, alle politiche economiche degli Stati e delle loro associazioni mondiali. Contemporaneamente la controrivoluzione preventiva ha fatto passi da gigante e si è continuamente affinata. Ma resta il fatto che tutte le conquiste di civiltà e di benessere strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti sono frutto della prima ondata della rivoluzione proletaria: in parte come sue conquiste e come sottoprodotto della sua sconfitta e in parte come effetto del prevalere del revisionismo moderno nel movimento comunista. Resta il fatto che quelle conquiste e le altre FAUS hanno accentuato il carattere collettivo delle forze produttive e dell'attività economica. Quindi le hanno rese ancora più contrastanti, incompatibili con la sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti, ingestibili nel loro ambito, causa nel loro ambito di effetti più devastanti sulla società umana e sul suo ambiente. Ciò è emerso con maggiore forza a partire dalla metà degli anni '70, quando l'inizio di una nuova crisi generale ha posto fine ai trent'anni di ripresa dell'accumulazione capitalista e di espansione delle attività produttive che aveva seguito la fine della seconda guerra mondiale.

Gli argomenti che le nuove BR-PCC adducono per avvalorare la loro concezione del mondo sono inconsistenti e sono contraddetti da tutta l'evidenza della realtà.

Le stesse nuove BR-PCC affermano chiaramente che la borghesia non è in grado di porre fine alla nuova crisi generale del capitalismo né invertire il suo corso perché essa è generata ed alimentata da fattori interni al meccanismo capitalista stesso (prg. 32). L'incapacità della borghesia a "governare la crisi" si è fatta più evidente man mano che la crisi si è sviluppata. In tutti i paesi imperialisti e a livello mondiale si è proceduto ad un enorme sviluppo del capitale speculativo che oramai è arrivato a costituire esso stesso una nuova e autonoma causa di instabilità del sistema (le crisi finanziarie che scuotono il mondo). L'espansione del capitale imperialista nel mondo (globalizzazione e mondializzazione), la ricolonizzazione dei paesi semicoloniali, il ritorno in forza dei gruppi imperialisti europei e americani nei paesi ex socialisti, la moltiplicazione delle guerre e delle aggressioni, la concorrenza sempre più accanita (nuova "guerra fredda") tra i gruppi e i paesi imperialisti hanno sempre più caratterizzato le relazioni internazionali. In tutti i paesi il baratro che separa il campo delle masse popolari dal campo della borghesia imperialista si è allargato e approfondito. Interi paesi (Argentina, Turchia, Russia, Ucraina, vari paesi semicoloniali d'Asia, d'Africa e d'America latina in un modo, il Giappone in un altro) sono in preda a depressioni croniche. I regimi politici dei singoli paesi imperialisti sono diventati via via più instabili. Un certo concorso delle masse popolari era diventato un ingrediente indispensabile dei regimi politici instaurati nei paesi imperialisti alla fine della seconda guerra mondiale: ebbene la borghesia ha dovuto spezzarlo perché generava all'interno delle istituzioni politiche una conflittualità insopportabile. Ma il distacco delle masse dalla politica è cresciuto fino a destare allarme nella stessa classe dominante perché anch'esso rende ingovernabile il paese. La borghesia è sempre più tentata di ricorrere a nuovi strumenti di mobilitazione reazionaria delle masse, benché abbia imparato dalla storia che essa può venire dai comunisti trasformata in mobilitazione rivoluzionaria. I gruppi imperialisti americani a partire dagli anni '80 hanno fatto ricorso a un massiccio drenaggio di risorse economiche, finanziarie e umane dal resto del mondo per assicurare una certa stabilità nella loro base d'insediamento. A fronte delle loro pretese crescenti, gli altri gruppi imperialisti sono diventati sempre più ostili ai gruppi imperialisti americani. È questo "governare la crisi" o è rotolare verso un precipizio?

Come è spiegato anche nel Martin Lutero, i piani e le politiche messe in campo dalla borghesia per uscire dalla crisi falliscono uno dopo l'altro e creano condizioni che la aggravano o aprono la strada attraverso cui procede, determinano le forme concrete del suo progredire. Con la politica messa in atto dai gruppi imperialisti americani di succhiare risorse dal resto del mondo per tamponare la crisi negli USA, essi hanno accelerato lo sviluppo della crisi in tutto il mondo e i contrasti con gli altri gruppi imperialisti, quindi la tendenza alla guerra interimperialista. Senza avere stabilizzato più di tanto gli USA, come è confermato anche dagli avvenimenti dell'11 settembre e dalla politica cui l'Amministrazione Bush ha fatto ricorso. Dove e quando i gruppi imperialisti hanno messo in atto politiche "popolari", la crisi si è manifestata come perdita di competitività rispetto agli altri paesi che ha aggravato la crisi. Dove e quando i gruppi imperialisti hanno messo in atto politiche di austerità (per le masse popolari), la crisi si è manifestata come contrazione dei mercati, acuirsi della conflittualità sociale e degrado delle condizioni di convivenza che hanno acuito la crisi. La borghesia non governa la crisi, ma la tampona qua e là, mette ora una pezza e ora un'altra. È travolta dalla crisi e fatica sempre più a stare a galla. È come un uomo caduto nelle sabbie mobili: ogni movimento lo fa sprofondare. Certo, chi si aspetta che il sistema capitalista crolli, che sopravvenga una paralisi generale dell'attività economica e politica, che la borghesia getti la spugna, vedendo che il sistema non crolla continuerà a dire che la borghesia "governa la crisi". Come di chi è in sella a un cavallo imbizzarrito, finché resta in sella si direbbe che dirige il cavallo. La crisi non porta al crollo del capitalismo, porta alla guerra interimperialista o alla rivoluzione proletaria.

Le nuove BR-PCC invece escludono esplicitamente che la borghesia ci stia portando verso una nuova guerra interimperialista (prg. 43). La dimostrazione che adducono è quella che fu da più parti addotta già all'inizio del Novecento per sostenere che una guerra tra le grandi potenze imperialiste era impossibile: l'integrazione tra le economie dei vari paesi, gli investimenti diretti e finanziari che i maggiori gruppi imperialisti hanno in ogni paese, le relazioni e gli accordi tra i vari gruppi imperialisti, la potenza distruttiva delle nuove armi. Cioè quell'insieme di considerazioni che all'inizio del Novecento furono usate per formulare la teoria del "superimperialismo". Questo aspetto della concezione del mondo delle nuove BR-PCC era già chiaramente presente nel Comunicato del '99 ed è già stato trattato esaurientemente nel Martin Lutero a cui rinvio. Basta qui ricordare che nel Novecento è proprio avvenuto quello che i teorici del "superimperialismo" dicevano impossibile. L'integrazione economica e la compenetrazione dei gruppi imperialisti non solo non escludono la guerra tra loro, ma sono la premessa necessaria di ogni guerra interimperialista. I gruppi e gli Stati imperialisti fanno tanti più accordi e trattati quanto più i loro interessi sono intrecciati e antagonisti. La questione è che la borghesia non ci porta alla guerra perché oggi i suoi esponenti già la vogliono, come credono alcuni soggettivisti. La maggior parte dei gruppi imperialisti non va a cuor leggero verso la guerra. Per esperienza sa che dalla guerra interimperialista viene un forte impulso alla rivoluzione proletaria. Ma la difesa dei propri interessi spinge ogni gruppo imperialista a operare in modo da portarci verso la guerra. Solo alcuni gruppi imperialisti, i più cinicamente preveggenti, i più oltranzisti, già la danno per inevitabile e ad essa si preparano consapevolmente e sistematicamente. Gli altri si rassegneranno un po' alla volta. Ad alcuni "le cose sfuggiranno di mano", come si dice.

Quanto alla rivoluzione proletaria, su essa ritornerò più avanti. Qui basti dire che essa non sorge spontaneamente. Essa richiede l'opera assidua, prolungata e mirata di un partito comunista capace di avvalersi di tutta la scienza e l'esperienza accumulata dal movimento comunista, che abbia assimilato profondamente il materialismo dialettico, che sia capace di costruire e impersonare una teoria rivoluzionaria e di dirigere, sulla base di essa, le masse popolari a organizzarsi e a lottare. Ma nessuno conferisce ad un partito queste capacità né l'autorità necessaria per dirigere le masse. Se le deve costruire stabilendo uno stretto legame con le masse e la loro esperienza pratica. E qui entra in ballo la concezione spontaneista che invece le nuove BR-PCC hanno dello sviluppo delle "istanze e tendenze antagoniste" nella classe operaia in guerra rivoluzionaria, di cui parlerò più avanti.

Dicevo dunque che la società capitalista non va verso il crollo del capitalismo, ma va o verso la mobilitazione rivoluzionaria delle masse (via alla rivoluzione proletaria) o verso la mobilitazione reazionaria della masse (via alla guerra interimperialista) o verso una combinazione delle due. In definitiva va o verso una nuova ondata della rivoluzione proletaria o verso la guerra interimperialista o verso una combinazione delle due. In ogni caso va verso una crisi politica generale che è la sola che può porre fine alla nuova crisi generale in corso dagli anni '70. Chiamare questo corso delle cose "governo della crisi" è come dire che l'autista che ha perso il controllo della sua vettura uscita di strada "governa il percorso della vettura" perché fa mosse disperate per riprenderne il controllo senza riuscirci (come riconoscono anche le nuove BR-PCC (prg. 13 e 32)). In realtà alcuni sostengono che la crisi attuale non avrà uno sbocco solo perché non riescono a immaginare come avverrà lo scioglimento del dramma: cosa che oggi è ancora prevedibile solo a grandi linee, perché gli sviluppi concreti dipenderanno dalle forze politiche che concretamente si formeranno e dalla lotta che ognuna di esse saprà condurre.


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