La Voce 73 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - marzo 2023

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Per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato

Sui tentativi di ricostruzione del partito comunista negli anni ‘70: l’esperienza di “Servire il Popolo”

Mancarono il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria e la linea generale per la rivoluzione socialista in Italia


Nella nostra letteratura ci siamo a più riprese occupati del bilancio dei tentativi di ricostruzione del partito comunista (pc) fatti in Italia negli anni ‘70 del secolo scorso. Il principale tra questi, per gli effetti politici prodotti, fu quello delle Brigate Rosse, sorte nel 1972 sulla base della linea della “propaganda armata”. L’influenza raggiunta dalle BR nella classe operaia delle grandi aziende capitaliste del paese, lo scompiglio che hanno creato nel campo nemico e l’eco mondiale raggiunto dalle loro azioni armate certificano che questa esperienza è di gran lunga quella arrivata più lontano nel tentativo tuttavia fallito di ricostruzione del pc. Il (nuovo)PCI fin dalla sua costituzione si è dichiarato continuatore del tentativo di ricostruzione del pc promosso dalle BR. Imparando dal bilancio dell’esperienza delle BR (sintetizzato nel testo Cristoforo Colombo del 1984) ci siamo candidati a superare i limiti in cui il loro tentativo di ricostruire il pc rimase incagliato, in primo luogo il codismo ideologico verso le teorie della Scuola di Francoforte (piano del capitale, ecc.) e la deviazione militarista che ne conseguì (criticata in Martin Lutero, supplemento di La Voce 3, novembre 1999).

Ma parimenti ci siamo dichiarati continuatori dei tentativi di ricostruzione del pc promossi dalle organizzazioni marxiste-leniniste sorte a partire dagli anni ‘60 e sviluppatesi fino alla metà degli anni ‘70 in rotta con il revisionismo moderno del primo PCI. Tra queste organizzazioni “Servire il Popolo” (SiP) fu quella che si cimentò, senza riuscirvi, nel tentativo di ricostruire il pc rompendo ideologicamente con il revisionismo moderno e tentando di alzare la bandiera del maoismo. L’esperienza di SiP fu senz’altro un tentativo minore di quello delle BR per i risultati politici prodotti, ma non fu minore l’influenza che essa giunse ad esercitare tra gli elementi avanzati della classe operaia e delle masse popolari, anche se in definitiva anche questo tentativo fallì.

 L’organizzazione prese nome dal giornale settimanale dell’Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) fondata nel 1968 e che nel 1972 cambiò nome in Partito Comunista (marxista-leninista) Italiano e con questo nome operò fino al 1978, anno del distacco del gruppo Operai Contro in seguito Associazione per la Liberazione degli Operai (AsLO, nota per la vittoriosa lotta condotta nel 2009 all’INNSE di Lambrate-Milano), e della dissoluzione dei restanti membri nel movimento spontaneo. Per comodità, nel seguito dell’articolo userò la sigla SiP per indicare l’intero percorso del gruppo politico appena indicato.

Fondatore e segretario dell’UCI (m-l) e poi del PC(m-l)I fino agli inizi del 1976 fu Aldo Brandirali, un ex operaio TBB diventato dirigente della FGCI di Milano che alcuni anni dopo la sua fuoriuscita da SiP disertò e passò al campo nemico: nientemeno che nelle file dell’organizzazione integralista cattolica Comunione e Liberazione e poi addirittura in Forza Italia di Berlusconi, di cui è stato esponente di rilievo a Milano tra gli anni ‘90 e 2000. Dopo la fuoriuscita di Brandirali il giornale cambiò nome in Voce operaia e la guida del partito fu assunta da Francesco Leonetti che, dopo il distacco del gruppo Operai Contro, lo diresse fino alla dissoluzione.

La tendenza alla diserzione e al tradimento che contraddistinse i vertici di SiP è quanto manifestatosi anche in altre organizzazioni sorte negli anni ‘70 alla sinistra e in contrapposizione al PCI revisionista. Molti sono infatti i loro dirigenti passati, come quelli del PCI, armi e bagagli al campo nemico con ruoli di primo piano nella politica borghese, nell’apparato mass-mediatico, nell’accademia, ecc.(1) Fu il contrappasso della mancata realizzazione dei compiti politici.


1. Un valido esempio di questo marciume è andato in onda in prima serata RAI il 13 gennaio 2023 con la trasmissione di un documentario di Aldo Cazzullo su Lotta Continua, vera e propria fiera di rinnegati, disertori e traditori del genere descritto.

 

L’esperienza di SiP è particolarmente importante oggi per tutti coloro che ritengono che il ristabilimento dei principi della concezione comunista del mondo (rigettati dai revisionisti moderni e vilipesi dalla sinistra borghese) sia la via maestra per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO) a fronte della sua debolezza e della diffusione di teorie della sinistra borghese che alimentano disfattismo e attendismo. Insieme all’altro tentativo di ricostruzione del pc deviato nel dogmatismo (quello di Nuova Unità di Fosco Dinucci), SiP ha dimostrato su grande scala, ampia quanto era ampia la sua influenza tra le masse (piccola rispetto al PCI revisionista ma considerevole a confronto con le attuali capacità di mobilitazione del MCCO), che per ricostruire un pc rivoluzionario non basta opporre all’eclettismo e alla promiscuità ideologica il ritorno ai principi della teoria rivoluzionaria comunista. Decisivo è l’uso della teoria rivoluzionaria per la definizione e la pratica di una strategia e di tattiche rivoluzionarie, in rottura e alternativa alla linea seguita dai fautori della liquidazione, del disfattismo e dell’attendismo. Senza quest’uso della teoria rivoluzionaria, pur mossi da aspirazioni di tutt’altro tenore, si può facilmente scadere nel ricalcare le orme della destra sedicente comunista (allora i revisionisti moderni del PCI) soprattutto se la destra indica un percorso e una linea (allora era strappare conquiste economiche e sociali alla borghesia) in una certa misure convincenti e la sinistra non è in grado di indicare linee alternative. Questo insegna l’esperienza di SiP come già ebbero ad insegnarlo Pietro Secchia e la sinistra del primo PCI nel periodo successivo alla Resistenza antifascista 1943-45.(2)


2. Per approfondimenti rimandiamo all’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni, in La Voce 26, luglio 2007.


Tra il 1968 e il 1976 SiP suscitò grandi aspettative in un numero consistente di comunisti e lavoratori avanzati che però non ottennero il salto di qualità ricercato, cioè la ricostruzione di un pc capace di riprendere in mano la bandiera della rivoluzione socialista ammainata dal primo PCI.

 Per conoscere quale fosse il potenziale a disposizione di SiP invito alla lettura del libro Maoisti in Calabria di Alfonso Perrotta, pubblicato nell’ottobre 2022 (edizioni Eta Beta), una raccolta di testimonianze sulla storia di SiP e in particolare sul radicamento raggiunto in Calabria, regione che era uno dei suoi maggiori concentramenti di forze a livello nazionale. Le esperienze riportate nel libro di Perrotta mostrano in modo chiaro anche i limiti politici che impedirono a SiP di assumere il ruolo a cui si era candidato. Ne illustro due.

 

1. La prima riguarda l’intervento di SiP nei Consigli di Fabbrica. Forte del suo radicamento di massa, SiP arrivò a capeggiare un’importante rete di militanti nelle grandi aziende capitaliste e quindi del movimento dei Consigli di Fabbrica dell’epoca, ma anziché mettere al centro del proprio intervento sindacale proprio il rafforzamento del movimento dei Consigli di Fabbrica e il loro ruolo politico quali, diremmo oggi noi della Carovana del (n)PCI, Nuove Autorità Pubbliche, SiP subordinò l’intervento politico a quello nel sindacato. È esaustiva della linea di SiP la spiegazione che Perrotta ne fa a pagina 138 del suo libro: “La vera questione era quella di scacciare i sindacalisti filo-padronali e di affermare nel movimento sindacale la giusta politica di classe e anti-padronale. L’Unione era quindi contraria alla formazione di comitati di fabbrica fuori dai sindacati. Questi comitati potevano essere ottimi strumenti locali di agitazione politica unitaria, ma a livello sindacale gli operai sapevano bene che essi necessitavano di un’organizzazione nazionale, della sua centralizzazione e articolazione a tutti i livelli (aziendale, territoriale, provinciale), che fosse in grado di contrattare con i grandi gruppi monopolistici. Sostituire ai sindacati una serie di comitati locali sarebbe stato per gli operai un passo indietro nella storia dell’organizzazione della lotta sindacale. Per questo l’Unione decise di costituire la Corrente Rossa all’interno della CGIL e, nel caso ci fossero state le condizioni e i numeri sufficienti, anche negli altri sindacati (...) I Consigli di Fabbrica, sorti da alcuni mesi, dovevano invece rappresentare l’unità politica e sindacale della classe operaia in fabbrica (...) La Corrente Rossa, in sostanza, doveva organizzare gli elementi più attivi e più coscienti per assicurare al sindacato una chiara linea proletaria, contrapposta alla linea borghese delle direzioni esistenti, capace (…) di guidare il movimento di massa verso l’obiettivo principale dell’abbattimento della classe padronale e il trionfo della rivoluzione socialista”. La sintesi di Perrotta della linea d’intervento di SiP nel combattivo movimento operaio dell’inizio degli anni ‘70 indica bene i limiti che impedirono a SiP di spodestare l’egemonia del PCI revisionista e avanzare nel compito dichiarato di ricostruire il pc. Per riuscire in questo compito occorreva darsi un piano d’intervento nelle grandi aziende capitaliste che fosse frutto di una strategia e di tattiche con cui sviluppare in senso rivoluzionario il movimento spontaneo e superare l’economicismo del PCI. È quello che fecero le BR con la linea della propaganda armata (anche se successivamente non seppero valorizzare il grande seguito acquisito tra gli operai seguendo questa linea per costruire il pc). È ciò che avrebbe dovuto essere l’intervento sul combattivo movimento dei Consigli di Fabbrica per promuoverne la confluenza in un movimento rivoluzionario, sviluppandone il protagonismo a fronte della difficoltà di PCI e CGIL nel limitarlo alle rivendicazioni sindacali. All’opposto SiP, in questo come in altri terreni di lotta, praticò una linea speculare a quella dei revisionisti che spadroneggiavano nella CGIL, sempre di taglio economicista anche se più combattiva a fronte dei cedimenti del PCI e dei vertici sindacali. SiP tentava vanamente di opporre al loro strapotere nel sindacato la creazione di una propria corrente sindacale.

 

 2. La seconda esperienza illustrata nel libro di Perrotta mostra che contraddittoriamente tali limiti vennero colti ma non furono il punto di partenza per un cambio di linea. Scrive Perrotta a proposito dell’egemonia della destra fascista nei moti di Reggio Calabria, dove SiP ebbe il pregio di essere la sola delle organizzazioni comuniste ad intervenire:“Sarebbe stato giusto che fin dall’inizio gli operai dell’Omeca, i ferrovieri e gli edili di Reggio avessero preso nelle proprie mani la testa della mobilitazione. Dovevano essere le assemblee di fabbrica a prendere il posto dei Comitati d’agitazione in mano a Battaglia e soci. Dovevano essere organizzati i Consigli dove non c’erano e potenziate le Camere del Lavoro come centro di mobilitazione di tutta la popolazione povera. Questa mobilitazione proletaria organizzata, con parole d’ordine giuste, avrebbe immediatamente stretto intorno a sé i lavoratori reggini e isolato le squadre di Valerio Borghese. Se il popolo meridionale si liberava dall’influenza del blocco reazionario, il suo antagonismo naturale nei confronti dello Stato si sarebbe trasformato in un forte movimento rivoluzionario. Il Meridione sarebbe diventata riserva della rivoluzione”.(3)


3. I moti di Reggio Calabria si protrassero dal luglio 1970 al febbraio 1971. Lo spunto fu la decisione governativa di conferire a Catanzaro il ruolo di capoluogo della regione. La sottrazione del ruolo di capoluogo di regione fu la scintilla che incendiò il malessere delle masse popolari reggine per le estreme condizioni di miseria, la mancanza di servizi pubblici e l’arretratezza economica in cui versava il territorio. A causa del mancato intervento del movimento comunista dell’epoca i moti furono ben presto egemonizzati dalle Organizzazioni Criminali tramite il sindaco DC Battaglia e dai fascisti del MSI che trasformarono la scintilla di Reggio in una mobilitazione reazionaria delle masse popolari reggine contro la città di Catanzaro, dunque in una protesta funzionale alla guerra per bande all’interno del regime DC e al riequilibrio dei suoi assetti interni.

 

Questo estratto del libro di Perrotta, sintesi di conclusioni tratte da SiP a seguito dell’epilogo della rivolta di Reggio Calabria, conferma una volta di più i limiti precedentemente descritti. Essa fu l’occasione mancata per SiP, ma per coglierla occorrevano a SiP una strategia e tattiche rivoluzionarie che non possedeva, tali da sviluppare il movimento dei Consigli di Fabbrica di quegli anni in una trincea rivoluzionaria e surclassare l’azione del PCI revisionista non solo e non principalmente sul piano della fedeltà ai principi della concezione comunista del mondo che i revisionisti andavano tradendo, ma sul piano della linea politica rivoluzionaria messa in campo.

 

Da esperienze di questo genere venne il riflusso di SiP in tentativi di concorrere con il PCI sul terreno elettorale (in alcune circostanze presentarono proprie liste, in altre dando indicazioni di voto per il PCI) e nella partecipazione alla guerra per bande tra le organizzazioni allora sorte a sinistra del vecchio PCI (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Il Manifesto, Autonomia Operaia, ecc.) a chi dimostrava maggiori capacità e forze nell’intervento nelle lotte rivendicative, nel radunare folle ai comizi, nella capillarità, tiratura e frequenza dei propri organi di stampa, nella forza militare dei propri servizi d’ordine.

Perché SiP non ha saputo e non ha potuto essere lo Stato Maggiore della rivoluzione socialista che pure i suoi fondatori si erano candidati ad essere? Essi si fermarono ad una comprensione limitata del maoismo come opposizione ideale al revisionismo moderno, ma non ne compresero il lato propositivo, cioè i suoi apporti ulteriori al marxismo e al leninismo.(4) Emblematico che SiP, che pure proclamava la propria fedeltà al maoismo, nella campagna elettorale per le amministrative del 1971 chiamò a votare per le sue liste con la parola d’ordine “esprimere un voto per l’insurrezione”. La parola d’ordine conferma che SiP era lungi dall’aver compreso uno degli apporti fondamentali del maoismo e cioè che la rivoluzione socialista non è un’insurrezione nel corso della quale i comunisti conquistano il potere, ma una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che il partito comunista promuove passo dopo passo con l’obiettivo di consolidare il nuovo potere delle forze rivoluzionarie riunite attorno ad esso.

Ad aggravare il quadro vi fu la mancanza di un bilancio dell’esperienza sia del primo PCI che del PCdI (ml), causa scatenante della sostanziale continuità di SiP con queste esperienze: SiP ripercorse l’elettoralismo e l’economicismo del primo PCI, sia pur declinato in modo più combattivo e il dogmatismo del PCdI (ml), verbalmente rivolto al contributo di Mao ma senza comprenderne, come detto, gli apporti principali e decisivi.


 4. Sugli apporti del maoismo alla teoria rivoluzionaria rimando il lettore a L’ottava discriminante, in La Voce 9 (novembre 2001), 10 (marzo 2002) e 41 (luglio 2012).


 La conseguenza pratica fu che SiP, nella sostanza, non riuscì a innovare nel movimento comunista italiano (lo scopo per cui era sorto) e a lungo andare finì con il rattrappirsi seguendo una linea politica che era un insieme eclettico di dogmatismo m-l, richiami al maoismo come ideale cui adattare la realtà italiana più che come scienza con cui elaborare una via alla rivoluzione socialista, ricopiatura con tratti rivoluzionari della linea d’intervento del PCI revisionista di marca elettoralista ed economicista.

La storia di SiP è un patrimonio importante per tutti quanti oggi vogliono contribuire alla rinascita del MCCO nel nostro paese e al consolidamento e rafforzamento del suo Stato Maggiore, il (nuovo)PCI. Chiunque ha a cuore le sorti delle masse popolari e del nostro paese deve combattere la denigrazione della sua esperienza, da sempre fatta oggetto di scherno sia in seno al MCCO che da parte delle correnti più assoggettate all’anticomunismo proprio della sinistra borghese. Queste deformano e pongono sotto una luce ridicola aspetti invece giusti e avanzati del lavoro di SiP come l’attenzione dedicata alla formazione ideologica dei quadri, la collettivizzazione delle risorse economiche dei suoi membri e sostenitori, la sua attività di proselitismo per radicare il partito in ambiti oltre le fabbriche, il suo ricco lavoro per la promozione dell’arte e della cultura rivoluzionarie per le masse popolari, le sperimentazioni nell’organizzare e orientare la vita collettiva, i sentimenti, la mentalità delle comunità di militanti (matrimoni comunisti, colonie per i figli, ecc.). Un genere di attività di cui chiunque è oggi all’opera per la rinascita del MCCO ben comprende l’utilità. In particolare la conoscenza dell’esperienza di SiP con i suoi successi, limiti ed errori è utile per la costruzione di organizzazioni comuniste di quadri e di massa che, come il P.CARC, contribuiscono oggi alla nostra lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Armando R.