La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti

domenica 25 marzo 2007.
 

(nuovo)Partito comunista italiano
Commissione Provvisoria del Comitato Centrale
Sito: http://lavoce-npci.samizdat.net
Email: lavocenpci40@yahoo.com
Delegazione: BP3 4, rue Lénine
93451 L’Île St Denis (Francia)


Comunicato 25 marzo 2007

Zip - 106.1 Kb
Il testo del comunicato
del 25 marzo 2007
in formato Open Office

L’Europa sta vivendo una situazione rivoluzionaria che è aggravata dalla guerra e dal carovita
(Lenin, 1915)

La lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti offre alla sinistra dei sindacati, delle altre organizzazioni popolari e dei movimenti popolari condizioni favorevoli per assumere un ruolo dirigente. La sinistra può certamente isolare la destra (gli Epifani, i Bonanni, gli Angeletti e gli altri analoghi tristi figuri che oggi hanno la direzione dei grandi sindacati, delle altre organizzazioni delle masse popolari e del movimento delle masse popolari) e assumere la direzione. Il successo delle manifestazioni di Vicenza (17 febbraio) e di Roma (17 marzo) lo conferma. La mobilitazione della sinistra ad assumere la direzione è condizione indispensabile perché la lotta contro il governo PAB sia efficace e impedisca che la borghesia imperialista riesca a fare con questo governo quello che non è riuscita a fare con il governo Berlusconi-Bossi-Fini. Proprio a questo fine è importante che i comunisti promuovano nella sinistra un orientamento e un atteggiamento rivoluzionari.

La maggiore linea di demarcazione che oggi divide le FSRS nel lavoro di massa (cioè ai fini delle parole d’ordine lanciate nel lavoro di massa e dell’indirizzo che cerchiamo di dare al movimento delle masse) passa tra quelle che sono convinte che ci troviamo in una situazione rivoluzionaria e che si comportano coerentemente e quelle che sono convinte che stiamo attraversando un periodo di forza e stabilità dei regimi politici della borghesia imperialista.

Fin dal numero 1 di La Voce (marzo 1999) il nostro partito ha presentato e sostenuto la tesi che siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo (ossia di lungo periodo e che per sua natura si aggrava), prodotta dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Abbiamo più volte spiegato che “situazione rivoluzionaria” non significa che le azioni rivoluzionarie delle masse caratterizzano il nostro tempo. Significa che l’assetto politico interno e il sistema di relazioni internazionali sono precari, che sia la classe dominante sia le classi oppresse devono trovare un nuovo modo di essere. L’esito di questa ricerca sarà deciso dalla lotta politica, dallo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e mobilitazione reazionaria delle masse popolari: le uniche due matrici possibili della soluzione della crisi generale del capitalismo in cui siamo immersi. Su questa analisi della situazione si fonda tutta la nostra attività politica: essa è tesa a trasformare la situazione rivoluzionaria in rivoluzione. Infatti non è possibile fare una rivoluzione al di fuori di una situazione rivoluzionaria. Ma non tutte le situazioni rivoluzionarie danno luogo a una rivoluzione. Da una situazione rivoluzionaria nasce una rivoluzione solo grazie all’attività rivoluzionaria della classe operaia e in primo luogo del suo partito.

Alcuni di quelli che negano che ci troviamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo, si sono serviti di Lenin per sostenere le loro tesi. Hanno tirato fuori che “la situazione rivoluzionaria in sviluppo” è una categoria che non esiste nella dottrina di Lenin, che è un’invenzione di perfidi e sciocchi maoisti. A sentir loro Lenin parlerebbe di situazione rivoluzionaria solo in relazione all’insurrezione, alla valutazione se ci sono o no le condizioni perché l’insurrezione sia vittoriosa, alla scelta del momento e del luogo dell’attacco da portare per rovesciare il governo in carica, impadronirsi delle strutture fondamentali dello Stato e disperdere (imprigionare o sciogliere a seconda dei casi) gli organi decisivi del vecchio Stato.

Riportiamo qui di seguito un passo dello scritto di Lenin Il fallimento della II internazionale (maggio-giugno 1915, Opere vol. 21 pag. 190-194). In esso Lenin spiega che la guerra imperialista iniziata nel 1914 aveva creato una situazione rivoluzionaria di lungo periodo e che il compito dei veri comunisti era: mostrare alle masse l’esistenza di una situazione rivoluzionaria, mostrarne l’ampiezza e la profondità, svegliare le coscienze e l’energia rivoluzionaria dei proletari, aiutarli a passare all’azione rivoluzionaria, creare organizzazioni conformi alla situazione rivoluzionaria per lavorare in questa direzione, per adempiere questi compiti.

Ma non può darsi che i socialisti sinceri fossero per la risoluzione di Basilea nella previsione che la guerra avrebbe creato una situazione rivoluzionaria, e che i fatti li abbiano smentiti e che la rivoluzione si sia dimostrata impossibile?

Precisamente con tale sofisma Cunow (nell’opuscolo Fallimento del partito? e in una serie di articoli) tenta di giustificare il suo passaggio nel campo della borghesia. In forma allusiva, in forme meno chiare incontriamo “argomenti” simili in quasi tutti i socialsciovinisti, in Kautsky prima che negli altri. Le speranze nella rivoluzione si sono dimostrate illusorie e non è da marxisti difendere delle illusioni: ecco come ragiona Cunow. Ma questo struvista [Struve era un economista russo che usava in funzione antisocialista un’interpretazione oggettivista, determinista e fatalista del marxismo simile a quella diffusa ancora oggi da alcuni gruppi bordighisti come ad esempio la redazione della rivista n + 1 di Torino, ndt] non dice parola riguardo alle “illusioni” di tutti i firmatari del manifesto di Basilea e, da vero gentiluomo come egli è, tenta di scaricarne la colpa sui rappresentanti dell’estrema sinistra, del genere di Pannekoek e Radek!

Esaminiamo la sostanza di quest’argomento, secondo il quale gli autori del manifesto di Basilea presupponevano sinceramente lo scoppio della rivoluzione e sono poi stati smentiti dai fatti. Il manifesto di Basilea dice: 1. che la guerra creerà una crisi economica e politica; 2. che i lavoratori considereranno la partecipazione alla guerra come un delitto e riterranno criminoso “sparare gli uni sugli altri per il profitto dei capitalisti, per l’orgoglio delle dinastie e per la stipulazione di trattati segreti”; e che la guerra provocherà tra gli operai “l’indignazione e la collera”; 3. che i socialisti hanno il dovere di utilizzare quella crisi e quello stato d’animo degli operai per “fare agitazione tra gli strati popolari” e “affrettare la caduta del dominio capitalista”; 4. che “i governi”, nessuno escluso, non possono scatenare la guerra “senza pericolo per loro stessi”; 5. che i governi “hanno paura della rivoluzione proletaria”; 6. che i governi “devono ricordare” la Comune di Parigi (cioè la guerra civile), la rivoluzione del 1905 in Russia, ecc. Tutte queste sono idee assolutamente chiare; in esse non vi è la garanzia che la rivoluzione avverrà; ma in esse si mette l’accento sulla precisa caratterizzazione dei fatti e delle tendenze. Chi dice, a proposito di questi argomenti e di questi ragionamenti, che prevedere lo scoppio della rivoluzione è stata un’illusione, dimostrano di avere, verso la rivoluzione stessa, un atteggiamento non marxista, ma struvista, poliziesco, da rinnegato [come se la rivoluzione dovesse scoppiare senza che i partiti rivoluzionari intervengano a “fare agitazione” e ad “affrettarne” lo scoppio, ndt].

Per il marxista non v’è dubbio che la rivoluzione non è possibile senza una situazione rivoluzionaria e che non tutte le situazioni rivoluzionarie sboccano nella rivoluzione. Quali sono, in generale, i segni di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliare a indicare questi tre segni come i segni principali: 1. le classi dominanti non riescono più a conservare il loro potere senza modificarne la forma; una crisi negli “strati superiori”, una crisi nel sistema politico della classe dominante, che apre una fessura nella quale si incuneano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Per lo scoppio della rivoluzione non basta ordinariamente che “gli strati inferiori non vogliano più” continuare a vivere come prima, ma occorre anche che “gli strati superiori non possano più” vivere come per il passato; 2. un aggravamento, maggiore del solito, dell’oppressione e della miseria delle classi oppresse; 3. in forza delle cause suddette, un rilevante aumento dell’attività delle masse, le quali in un periodo “pacifico” si lasciano depredare tranquillamente, ma in periodi burrascosi sono spinte, sia da tutto l’insieme della crisi, che dagli stessi “strati superiori”, ad un’azione storica indipendente.

Senza questi cambiamenti oggettivi, indipendenti dalla volontà non soltanto di singoli gruppi e partiti, ma anche di singole classi, la rivoluzione - di regola - è impossibile. L’insieme di tutti questi cambiamenti oggettivi si chiama situazione rivoluzionaria. Una tale situazione si presentò nel 1905 in Russia e in tutte le epoche rivoluzionarie in Europa occidentale; ma essa si presentò anche nel 1860 in Germania e nel 1859-1861 e 1879-1880 in Russia, sebbene in questi casi non vi sia stata alcuna rivoluzione. Perché? Perché la rivoluzione non nasce da ogni situazione rivoluzionaria, ma solo nei casi in cui, alle trasformazioni oggettive sopra indicate, si aggiunge una trasformazione soggettiva, cioè la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da spezzare (o almeno incrinare) il vecchio governo, il quale, anche in un periodo di crisi, non “cadrà” mai se non lo “si fa cadere”.

Questa è la concezione marxista della rivoluzione. Essa è stata molte e molte volte esposta e accettata come irrefutabile da tutti i marxisti. Per noi russi essa è stata confermata, in modo particolarmente evidente, dall’esperienza del 1905. La questione allora sta nel domandarsi che cosa presupponeva a questo riguardo il manifesto di Basilea del 1912 e che cosa è avvenuto nel 1914-1915.

Il manifesto presupponeva una situazione rivoluzionaria brevemente definita con l’espressione di “crisi economica e politica”. Si è determinata questa situazione? Sì, senza dubbio. Il socialsciovinista Lensch (che difende lo sciovinismo più apertamente, francamente, onestamente degli ipocriti Cunow, Kautsky, Plekhanov e soci) ha persino detto che “assistiamo a quella che potremmo chiamare una rivoluzione” (pag. 6 del suo opuscolo La socialdemocrazia tedesca e la guerra, Berlino, 1915). La crisi politica è evidente: non v’è un governo sicuro del proprio domani, non un governo che sia libero dal pericolo d’un fallimento finanziario, di perdere il suo territorio, di esser cacciato dal proprio paese (così come il governo belga è stato cacciato dal suo). Tutti i governi vivono sopra un vulcano e fanno appello essi stessi all’iniziativa e all’eroismo delle masse. Il sistema politico dell’Europa è tutto sconvolto, e nessuno, certo, oserà negare che siamo entrati (e sprofondiamo sempre più: scrivo questo nel giorno della dichiarazione di guerra dell’Italia) in un periodo di grandissimi sconvolgimenti politici. Se Kautsky, due mesi dopo lo scoppio della guerra, ha scritto (nella Neue Zeit del 2 ottobre 1914) che “mai un governo è forte e mai i partiti sono deboli come all’inizio di una guerra”, questo è uno degli esempi del modo in cui Kautsky falsifica la scienza storica per compiacere i Südekum e gli altri opportunisti. Mai il governo ha tanto bisogno del consenso di tutti i partiti delle classi dominanti e della “pacifica” sottomissione delle classi oppresse a questo dominio, quanto in tempo di guerra. Questo in primo luogo. Secondariamente, se “all’inizio della guerra”, specialmente in un paese in cui si attende una rapida vittoria, il governo sembra onnipotente, nessuno, mai, in nessun luogo, ha legato l’attesa di una situazione rivoluzionaria esclusivamente all’“inizio della guerra” e, ancora meno, ha identificato ciò “che sembra” con ciò che è in realtà.

Tutti sapevano, vedevano e riconoscevano che la guerra europea sarebbe stata ben più grave delle guerre precedenti. L’esperienza della guerra lo conferma sempre più. La guerra si estende. Le basi politiche dell’Europa sono sempre più sconvolte. Le difficoltà in cui si trovano le masse sono terribili e tutti gli sforzi dei governi, della borghesia e degli opportunisti per fare il silenzio su queste difficoltà, falliscono sempre più frequentemente. I profitti di guerra di certi gruppi di capitalisti sono inauditi, scandalosamente grandi. Enorme è l’aggravamento delle contraddizioni. La sorda indignazione delle masse, la confusa aspirazione degli strati oppressi e arretrati a una pace di compromesso (“democratica”), il brontolio che comincia a farsi sentire “negli strati più umili” delle masse, tutto questo è incontestabile. E quanto più la guerra si trascina e s’inasprisce, tanto più fortemente gli stessi governi sviluppano e sono costretti a sviluppare l’attività delle masse, spronandole a una straordinaria tensione delle loro forze e al sacrificio di se stesse. L’esperienza della guerra, come l’esperienza di qualsiasi crisi nella storia, come qualsiasi grande disastro o qualsiasi svolta nella vita d’una persona, mentre istupidisce e abbatte gli uni, educa e tempra gli altri, e in complesso, se si considera la storia di tutto il mondo, il numero e la forza di questi ultimi superano il numero e la forza dei primi, ad eccezione di singoli casi di decadenza e di sfacelo di un qualche Stato.

La conclusione della pace non solo non può metter fine “di colpo” a tutte queste calamità e a tutto questo aggravamento delle contraddizioni, ma, al contrario, per molti aspetti, li renderà più sensibili e particolarmente evidenti alle masse più arretrate della popolazione.

In una parola, per la maggioranza dei paesi sviluppati e delle grandi potenze d’Europa la situazione rivoluzionaria è evidente. E a questo riguardo la previsione del manifesto di Basilea è stata pienamente confermata. Negare direttamente o indirettamente questa verità, oppure tacerla, come fanno Cunow, Plekhanov, Kautsky e soci, significa proferire la più grande menzogna, ingannare la classe operaia e servire la borghesia. Nel Sotsial-Demokrat (nn. 34, 40, 41) abbiamo fornito dati comprovanti che coloro i quali temono la rivoluzione, i preti ipocriti cristiani, gli stati maggiori, i giornali dei milionari sono stati costretti a constatare che in Europa esistono i segni di una situazione rivoluzionaria.

Questa situazione si protrarrà ancora a lungo? In quale misura si aggraverà? Condurrà essa alla rivoluzione? Non lo sappiamo e nessuno può saperlo. Questo potrà mostrarlo soltanto l’esperienza dello sviluppo dello stato d’animo rivoluzionario e del passaggio alle azioni rivoluzionarie della classe avanzata, del proletariato. Qui non si tratta né di “illusioni” di nessun genere né della confutazione di esse, perché nessun socialista, mai e in nessun luogo, ha garantito che la rivoluzione sarà generata precisamente dall’attuale guerra (e non dalla prossima), precisamente dall’attuale situazione rivoluzionaria (e non da quella di domani). Qui si tratta del più indiscutibile e fondamentale obbligo di tutti i socialisti: dell’obbligo di mostrare alle masse l’esistenza della situazione rivoluzionaria, di mostrarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza rivoluzionaria e la risolutezza rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare alle azioni rivoluzionarie e a creare organizzazioni corrispondenti alla situazione rivoluzionaria, per lavorare in questa direzione.

Nessun socialista influente e responsabile si è mai permesso di dubitare che tale, appunto, sia il dovere dei partiti socialisti, e il manifesto di Basilea, senza diffondere né alimentare la benché minima “illusione”, parla proprio di questo dovere dei socialisti: incitare e “agitare” il popolo (e non addormentarlo con lo sciovinismo, come fanno Plekhanov, Axelrod e Kautsky), “utilizzare” la crisi per “affrettare” il crollo del capitalismo, seguire l’esempio della Comune e dell’ottobre-dicembre 1905. Il fatto che i partiti attuali non adempiono questo dovere costituisce appunto il loro tradimento, la loro morte politica, il ripudio della loro funzione e il loro passaggio dalla parte della borghesia.

Da questo brano risulta inequivocabilmente che il concetto, la categoria di situazione rivoluzionaria in sviluppo, elaborata compiutamente da Mao Tse-tung, è già ben presente il Lenin, a conferma della tesi che il maoismo è il terzo superiore stadio del pensiero comunista.

È ovvio che per ogni comunista è d’importanza decisiva dare una risposta chiara e inequivocabile, basata sull’esame di tutti i principali aspetti della nostra epoca, su un esame condotto sulla base del materialismo dialettico, alla domanda: siamo o no in una situazione rivoluzionaria?

Che la seconda crisi generale del capitalismo iniziata negli anni 70 abbia determinato e continui ancora a mantenere una situazione rivoluzionaria è cosa che noi abbiamo mostrato e dimostrato, sul piano dell’analisi, più e più volte. Non ci soffermiamo qui ulteriormente. Crediamo che possa oramai essere cosa chiara a chi studia l’evoluzione economica, politica e culturale della società mondiale nel corso degli ultimi 30 anni.

Proprio questa situazione rivoluzionaria di lungo periodo è alla base della nostra linea per accumulare forze rivoluzionarie e adempiere gli altri compiti che costituiscono la prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, premessa necessaria per passare alla seconda fase.

Allo scopo di illustrare con un esempio concreto quali sono i compiti dei comunisti in una situazione rivoluzionaria in sviluppo, abbiamo riunito gli scritti in cui Lenin espone analiticamente e “nel fuoco della lotta” quale doveva essere il lavoro di massa dei comunisti in un paese imperialista (la Svizzera - coinvolta (anche se non impegnata militarmente) nella situazione rivoluzionaria in sviluppo generata dalla prima guerra mondiale) per realizzare il compito che sopra abbiamo indicato nelle sue linee generali.

Questi scritti sono riuniti nell’opuscolo “La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti nei paesi imperialisti” reperibile nella sezione Supplementi del sito Internet

Il nocciolo della linea rivoluzionaria nell’epoca imperialista, nei paesi imperialisti, consiste nel rivolgersi alle ampie masse: esse non sono comperate dalla borghesia, privilegiate. Al contrario subiscono le conseguenze più atroci, sul piano economico, intellettuale e morale, della dominazione economica, politica e culturale dei gruppi imperialisti.

Soltanto la lotta deciderà quanta parte del proletariato e delle masse popolari continuerà a seguire la destra (gli Epifani, i Bonanni, gli Angeletti e altri tristi figuri del loro genere) che oggi dirige i sindacati di regime, le altre organizzazioni delle masse popolari, il movimento delle masse popolari.