APPROFONDIMENTI
L’epoca imperialista
è l’epoca della rivoluzione socialista e
della decadenza della società borghese

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Il Supplemento illustra 1. le caratteristiche principali che distinguono l’epoca imperialista dalla società borghese dei secoli precedenti e 2. le principali vicende dei circa 150 anni dell’epoca imperialista. L’importanza del Supplemento deriva dal fatto 1. che l’epoca imperialista è il contesto in cui i comunisti svolgono la loro opera, 2. che non solo gli avversari dichiarati del marxismo-leninismo (restando alle varianti presenti in Italia: anarchici, trotzkisti, bordighisti, operaisti, negriani e altri), ma anche dichiarati marxisti-leninisti concepiscono l’epoca imperialista come una delle fasi che compongono la storia della società borghese: la fase successiva all’ultima descritta da Marx in Il capitale (libro I, capitolo 13 e capitolo 23). Tale concezione, presente ancora anche nelle nostre file (esemplare in proposito l’articolo L’attuale società borghese e l’opera di Marx - Dall’ultimo piano del grattacielo, VO 58), ostacola una comprensione delle condizioni e dei risultati della lotta di classe, avanzata quanto necessario per guidare con successo la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Quindi dobbiamo portare a fondo la lotta tra le due concezioni.

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Indice del Supplemento a La Voce 72

 

PARTE PRIMA - COS’È L’IMPERIALISMO

1. Introduzione

Approfondimento 1 - Il nocciolo economico delle relazioni sociali capitaliste

2. L'imperialismo e le precedenti fasi della società borghese

Approfondimento 2 - Glossario

3. Dalla democrazia borghese al regime di controrivoluzione preventiva

Approfondimento 3 - Democrazia borghese e regime di controrivoluzione preventiva

4. Dalle crisi cicliche alle crisi per sovrapproduzione assoluta di capitali

Approfondimento 4 - La prima crisi generale

Approfondimento 5 - La seconda crisi generale

5. Lo sviluppo delle forme antitetiche dell'unità sociale (FAUS) a livello internazionale

Approfondimento 6 - Il capitalismo monopolistico di Stato

Approfondimento 7 - Il sistema monetario internazionale

Approfondimento 8 - Le due vie al comunismo

6. La caratteristica basilare dell'imperialismo

 

PARTE SECONDA - SVILUPPO STORICO DELL’IMPERIALISMO DAL 1916 IN POI

1. Introduzione

2. Le tappe principali della storia dell'epoca dell'imperialismo

3. I primi paesi socialisti nella prima, seconda e terza fase

Approfondimento 9 - L’URSS e l’accesso crescente delle masse popolari alle attività specificamente umane

Approfondimento 10 - Ucraina: l’invasione del capitale

Approfondimento 11 - Scheda su IDE RPC e Import/Export Federazione Russa

Approfondimento 12 - L’era di Eltsin

Approfondimento 13 - Per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese

4. Il ruolo assunto dai gruppi imperialisti USA

5. Le tipologie di paesi attuali

Approfondimento 14 - Scandinavia e imperialismo

6. La globalizzazione e la sua rottura (sanzioni, pandemia, guerra in Ucraina)

Approfondimento 15 - L’Italia non ha materie prime

7. Conclusioni

 

L’epoca imperialista è l’epoca della rivoluzione socialista e della decadenza della società borghese

Approfondimenti


Approfondimento 1 - Il nocciolo economico delle relazioni sociali capitaliste

Il nocciolo economico delle relazioni sociali capitaliste consiste nel capitalista che assolda il lavoratore in cambio di un salario, lo fa lavorare e vende il prodotto del suo lavoro, prodotto costituito prevalentemente di beni nei primi tempi - quando a partire dal secolo XIV il capitalismo sorse in Europa occidentale - e ora costituito in larga misura di servizi. Questo è il nocciolo del sistema capitalista. Quando l’attività dei primi capitalisti ha incominciato a essere un aspetto rilevante nell’ambito dell’attività economica della società (in Italia nel secolo XIV), la produzione di merci era ancora un aspetto limitato dell’intera attività economica. Solo una piccola parte dei beni e meno ancora dei servizi erano prodotti come merci, cioè come prodotti destinati ad essere liberamente scambiati con altri prodotti o con denaro. La maggior parte dei beni e dei servizi venivano prodotti nell’ambito di relazioni feudali o familiari o di altri rapporti di dipendenza personale (schiavistici, clericali o altri), non erano destinati allo scambio. Per l’essenziale le relazioni tra persone e il complesso delle relazioni sociali erano basate su rapporti di dipendenza personale: dal signore feudale, dal clero, dal mastro della corporazione, dal capofamiglia o ancora dal padrone di schiavi.

Il capitalismo ha rovesciato radicalmente questa situazione, benché per difendersi dal movimento comunista a un certo punto della sua vita abbia frenato la dissoluzione dei rapporti di dipendenza personale e abbia conservato o ridato un ruolo sociale soprattutto al clero, in particolare alla Chiesa Cattolica (Leone XIII, papa dal 1878 al 1903). La quantità dei beni materiali e dei servizi è enormemente aumentata e la quasi totalità sono prodotti come merci. Le relazioni economiche da locali sono diventate dapprima nazionali (è su questa base che in Europa occidentale si sono formate le nazioni moderne) e poi mondiali, come risposta alla Grande Depressione (1870-1893) e tramite il colonialismo moderno (spartizione del mondo tra le grandi potenze, Conferenza di Berlino 1884-1885). I lavoratori sono diventati in larghissima misura lavoratori salariati di capitalisti che li impiegano nella produzione o nel commercio di beni o servizi, quindi salariati di capitalisti che impiegano i propri capitali nella produzione e commercio di beni o servizi. Sono i lavoratori che denominiamo operai. Nei paesi imperialisti oggi i lavoratori che denominiamo lavoratori autonomi sono tra il 10 e il 30% del totale dei lavoratori. Una larga parte di essi però sono in realtà lavoratori dipendenti dal capitale bancario o dal capitale finanziario, pagano affitti e interessi e devono far fronte a scadenze di rate. È un aspetto che noi comunisti dobbiamo studiare meglio. Esso condiziona anche il comportamento dei lavoratori autonomi nella lotta politica e le relazioni tra essi e il resto del proletariato, compresi gli operai. Quindi gli operai e il loro partito devono tener conto di esso.

Finché il capitalismo aveva intorno a sé relazioni economiche di tipo feudale, la produzione di merci su piccola scala fatta da lavoratori autonomi, la produzione familiare di autosussistenza e altre simili, la produzione per il profitto (impiegare denaro per far lavorare salariati e ricavare dalla vendita dei loro prodotti una quantità maggiore di denaro) ha avuto un ruolo progressista, in termini di aumento della quantità e della varietà dei prodotti (beni e servizi) e della distruzione dei rapporti di dipendenza personale e di sviluppo generale della civiltà e della personalità umana. Fu una trasformazione progressista nella storia della specie umana, benché condotta con il ferro e il fuoco. D’altronde, sulla base di procedimenti certo non più feroci, oppressivi e sanguinari di quelli su cui si svolgeva la vita nelle società che il capitalismo veniva distruggendo. Quando nelle società in cui il capitalismo era prevalso, nei paesi dove aveva assoggettato a sé le istituzioni politiche e culturali, le leggi e il complesso delle relazioni sociali, i capitalisti ebbero trasformato in salariati la grande maggioranza dei lavoratori, il capitale si imbatté nel suo limite: se i capitalisti avessero continuato a investire nella produzione di merci tutto il capitale-denaro che venivano accumulando, la massa del plusvalore e quindi la massa del profitto (*) estorto ai lavoratori sarebbe diminuita anziché aumentare. Era la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che Marx aveva previsto e illustrato in Il capitale, libro III cap. 13, 14 e 15 (ripresa e illustrata nel n. 0 della rivista Rapporti Sociali, ottobre 1985 - La crisi attuale: crisi per sovrapproduzione di capitale e nel n. 8 della rivista Rapporti Sociali, novembre 1990 - Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale).


(*) Non bisogna confondere la massa del profitto con il saggio del profitto.

La massa del profitto è la quantità complessiva di profitto (plusvalore, pluslavoro) che i capitalisti ricavano sfruttando i lavoratori e vendendo le merci che essi producono; il saggio del profitto è il rapporto tra la quantità di plusvalore (pluslavoro) e l’intero capitale (costante [materie prime e mezzi di produzione] e variabile [salari]) anticipato dal capitalista.


La contraddizione implicita nel capitalismo è che esso per sua natura crea un sistema economico collettivo. Questa espressione riassume svariati aspetti della realtà che abbiamo attorno a noi. Vediamone alcuni. Una parte (un lavoratore, un’azienda) della società funziona solo se le altre funzionano anch’esse. Ogni azienda si avvale dell’opera organizzata e coordinata di decine, centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di lavoratori. Ognuno di essi deve contribuire con una certa iniziativa e collaborazione. Ogni lavoratore oltre che salariato da sfruttare è per i capitalisti anche cliente da conquistare. Il crollo della produzione in un punto della società (lavoratore, azienda, zona) provoca un crollo maggiorato (secondo un moltiplicatore caratteristico di ogni determinata società) in tutto il tessuto economico e viceversa: l’aumento della produzione in un punto della società provoca un aumento maggiorato nel complesso del tessuto produttivo. Le aziende hanno bisogno di lavoratori formati secondo determinati criteri che non trovano se il sistema educativo non li forma. Di contro le relazioni economiche sono rimaste quelle degli inizi del capitalismo: ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale. Ogni venditore e compratore di merci deve arrangiarsi.

Come acquirente di forza-lavoro il capitalista cerca di pagare il meno possibile e, a pari produzione, di impiegare meno salariati possibile.

Come venditore di merci il capitalista cerca persone dotate di potere d’acquisto il più elevato possibile. Le relazioni economiche fanno di ogni persona adulta una entità autonoma che si contrappone per i propri interessi agli altri, come acquirente di merci e come venditore di merci (compresa la forza-lavoro). Le relazioni tra capitalisti e salariati sono per loro natura antagoniste: a parità di altre condizioni, maggiore è il salario percepito dal lavoratore, minore è il profitto del capitalista e viceversa. Tali condizioni di appropriazione privata del prodotto si contrappongono al carattere collettivo della produzione che richiede un piano nazionale e mondiale di produzione e di impiego del prodotto. Un piano nazionale di produzione e di distribuzione per cui esistono

- le condizioni materiali sufficienti: siamo in grado di produrre in quantità tale che ogni persona abbia quanto necessario a una vita dignitosa,

- le condizioni morali sufficienti: nella concezione corrente è accettato che ogni persona che fa la sua parte di lavoro abbia diritto a quanto le serve per una vita dignitosa (in piccolo, negli alberghi a colazione ogni persona si serve da sola nella quantità che vuole senza che succedano grossi inconvenienti): inoltre l’educazione delle nuove generazioni farà miracoli in questo campo,

- le condizioni intellettuali sufficienti: sappiamo pianificare, fare previsioni a lungo termine, abbiamo scoperto che con adeguati piani di ricerca possiamo risolvere ogni problema di qualche rilevanza pratica. In Italia nell’epoca del capitalismo dal volto umano (1945-1975) le autorità pubbliche hanno gestito grandi imprese industriali, bancarie e di servizi, il sistema sanitario nazionale, il sistema scolastico, mille altre istituzioni (trasporti, musei, biblioteche, ecc.).

Benché le autorità pubbliche fossero investite dal Vaticano, dagli imperialisti USA, dalle Organizzazioni Criminali, dai gruppi sionisti, dalle Associazioni Padronali, benché fossero per la maggior parte composte di uomini educati alla mentalità individualista e avida dei capitalisti, benché tutte quelle istituzioni fossero sottoposte alla pressione dei capitalisti che volevano usarle per fare profitti, tuttavia finché il movimento comunista cosciente e organizzato è stato abbastanza forte (a conferma che per ricostruire nella mente la storia del XX secolo bisogna tenere conto della lotta tra forze della rivoluzione proletaria e borghesia imperialista), esse hanno funzionato per le masse popolari meglio di quanto funzionino oggi che i capitalisti infine le hanno privatizzate.



Approfondimento 2 - Glossario


1. Produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza

L’“economia reale” è l’insieme delle attività con cui gli uomini producono e riproducono le condizioni materiali dell’esistenza (quello che usano per vivere). La produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza è l’attività intorno alla quale si è sviluppato il resto della civiltà umana: questa è in sintesi la teoria del materialismo storico, la concezione della storia elaborata da Marx ed Engels (trascuriamo qui la marea di considerazioni che sono state fatte successivamente sulla natura, deterministica o dialettica, della relazione tra le attività economiche e le altre attività umane).

Gli uomini si differenziano dagli animali perché oltre a produrre quanto usano per vivere, creano anche le condizioni per riprodurlo: non si limitano a prendere dalla natura quanto occorre loro per sopravvivere. È questa caratteristica che ha permesso all’uomo di differenziarsi sempre di più dagli altri animali e di sviluppare la civiltà umana.

Le condizioni materiali dell’esistenza mutano di epoca in epoca, esprimono il grado di civiltà raggiunto, i bisogni che le classi dominanti elaborano e quelli che inducono nelle classi oppresse (attualmente la borghesia crea spasmodicamente bisogni per estendere i campi per valorizzare il suo capitale), ecc. Le condizioni materiali dell’esistenza sono quindi “storicamente definite” e non fisse, immutabili nel tempo (ad es. gli uomini nel Medioevo non avevano il riscaldamento centralizzato della casa, il frigo, la TV, il computer, l’auto, ecc.).


2. Modi di produzione

Sulla spinta della lotta per la produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza, nella storia dell’umanità si sono susseguiti vari modi di produzione (i principali sono stati: comunismo primitivo, modo di produzione schiavistico, asiatico, feudale, borghese). Nei modi di produzione si combinano due aspetti: 1. l’attività che il lavoratore svolge (il lavoro che fa) e 2. i rapporti in cui entra con le altre persone nell’ambito della produzione (i “rapporti di produzione”, caratteristici di ogni modo di produzione).


3. Contenuto e forma del processo produttivo

Nella produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza (dunque nel processo lavorativo) bisogna distinguere tra contenuto e forma.

Il contenuto del processo produttivo è il lavoro che viene svolto (ad es. il contadino che ara il campo, semina, irriga, raccoglie i frutti, ecc.).

La forma del processo produttivo sono i rapporti nell’ambito dei quali il lavoratore svolge la sua attività. Ad esempio (se consideriamo il corso della storia) un contadino può svolgere lo stesso lavoro, ma: 1. per autoconsumo (quindi unicamente per il consumo suo e della sua famiglia), 2. come schiavo, 3. al servizio di un nobile feudale, 4. per un capitalista.


4. Sussunzione formale e sussunzione reale delle attività economiche nel capitale

Il capitalismo ha inglobato attività produttive che esistevano nei modi di produzione precedenti e ne ha create di nuove, produce cose che si producevano anche prima (cibo, vestiti, abitazioni, ecc.) e cose che prima non si producevano (radio, servizi sanitari, trasporti, internet, ecc.). Le attività produttive che già esistevano hanno subito un processo di sussunzione formale o di sussunzione reale.

La sussunzione formale consiste nell’assenza di variazione del contenuto del processo lavorativo ma nella trasformazione del rapporto tra i lavoratore e il resto della società: ad es. il contadino passa da lavorare il suo pezzo di terra per l’autoconsumo a lavorare per un capitalista, quindi diventa un lavoratore salariato, un bracciante. Il suo lavoro però al momento rimane invariato.

La sussunzione reale consiste nella trasformazione da parte del capitalista del contenuto del processo lavorativo: introduce nuovi ritmi di lavoro, aumenta o riduce anche il numero di lavoratori, li riunisce in aziende, li fa lavorare insieme alla catena, adotta nuovi macchinari, cambia cosa si produce, ecc. per incrementare la valorizzazione del capitale (per aumentare la produttività del lavoro). Ad es. il contadino in questo caso passa dal lavoro senza macchinari, con un uso ridotto di fertilizzanti, con una coltivazione non intensiva, ecc. ad un lavoro con strumenti moderni, uso di agenti chimici, maggiore produttività, minori pause, ecc.


Approfondimento 3 - Democrazia borghese e regime di controrivoluzione preventiva (Estratti da pag. 17 a pag. 25 dall’articolo Democrazia e socialismo di Rapporti Sociali n. 7, maggio 1990, pagg. 16-37)

Nel periodo in cui nei paesi europei ha lottato contro il mondo feudale e i suoi residui, la borghesia ha lottato non solo per la libertà dell’iniziativa individuale in campo economico, ma anche per la libertà dell’iniziativa individuale in campo politico. Essa ha lottato per la creazione di uno Stato conforme alle esigenze della libera iniziativa economica individuale e la cui volontà e il cui indirizzo fossero determinati dal libero concorso delle iniziative individuali. Questa fu la democrazia borghese. Il periodo di ascesa della borghesia fu il periodo della democrazia borghese come regime politico a cui ogni società borghese tendeva.

Come nel mercato i liberi proprietari contrattavano e concorrevano e arrivavano all’equilibrio momentaneo del prezzo, così in campo politico i liberi proprietari cercavano ognuno di far valere le proprie ragioni coordinando i propri interessi con quelli affini e rappresentando ognuno il proprio interesse come interesse generale; gli opposti interessi trovavano l’equilibrio (momentaneo) nell’indirizzo impresso all’attività delle pubbliche autorità.

La creazione di associazioni culturali e politiche, dai club ai circoli ai partiti, la diffusione pubblica della cultura e della scienza, la formazione di un sistema di istruzione generale, il miglioramento delle condizioni igieniche pubbliche, la creazione di organi di stampa, le campagne di informazione e di denuncia furono istituzioni per la formazione di una volontà comune tra gruppi di borghesi e per far valere questa volontà come volontà popolare nella determinazione dell’indirizzo delle pubbliche autorità.

La regolamentazione dell’attività delle pubbliche autorità, degli individui e delle associazioni tramite leggi e un sistema di diritto, l’attribuzione del potere di stabilire leggi ad assemblee di delegati eletti come loro prerogativa esclusiva, il voto segreto per mettere al riparo da pressioni e ritorsioni, la divisione del potere statale in istituzioni distinte e indipendenti (potere esecutivo, legislativo, giudiziario) furono conquiste con cui la nuova classe sorgente compose il regime politico della nuova società.

Finché la borghesia fu impegnata nella lotta contro il feudalesimo, essa lottò con passione ed energia per estendere la partecipazione alla vita politica, per la diffusione dell’istruzione, della cultura e dell’informazione, per l’abolizione delle istituzioni in cui si concretava il privilegio delle caste, degli ordini e del sangue. Si trattava di conquistare, di contro al vecchio mondo feudale, nuovi e più estesi diritti per i proprietari delle nuove forze produttive. Di contro al privilegio ereditario e di sangue, nell’ardore della lotta contro il feudalesimo, questi diritti vennero persino proclamati diritti universali, di tutti gli uomini. Formulazioni tipiche ne furono la Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1776 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (Rivoluzione francese). In realtà il compito che allora si poneva e quello che di fatto si veniva risolvendo era la conquista del potere politico da parte dei proprietari delle nuove forze produttive con l’abolizione dei privilegi politici e civili dei nobili per nascita o nomina regia.

Le lotte erano condotte in nome dei “diritti universali dell’uomo”, ma tutte le misure pratiche cui esse approdarono furono libertà ed eguaglianza civili e politiche per le “persone degne e capaci”, ossia per i proprietari in generale e per i borghesi in particolare. Non erano mai per tutti. Il voto idealmente esprimeva la pari dignità, l’eguaglianza sociale di ogni cittadino. In realtà esprimeva la pari dignità, l’eguaglianza di ogni capitalista e degli altri proprietari ad essi assimilabili. Erano escluse dal potere politico le donne che non erano proprietarie anche se di famiglia ricca. Ne erano esclusi i membri delle classi della vecchia società feudale (servi della gleba, coloni, servi, ecc.) e i membri delle classi della nuova società borghese (proletari e tra essi gli operai,contadini, mezzadri, artigiani, venditori, ecc.) nullatenenti o con proprietà così piccole da non consentire ai titolari autonomia e indipendenza personali sul piano economico. Erano cioè esclusi dal potere politico quelli che non erano individualmente capaci di iniziativa economica autonoma. Queste esclusioni non erano ancora il risultato di un’imposizione contro rivendicazioni di senso contrario. Erano l’ovvia conseguenza dei rapporti economici. Il proletariato non esisteva ancora come classe in sé. Da una parte esso si confondeva con i lavoratori del vecchio sistema (servi, contadini dei feudi e dei possedimenti ecclesiastici e dinastici, garzoni di bottega), dall’altra si confondeva con il produttore autonomo di merci, il lavoratore autonomo che con altrettanta facilità e frequenza assumeva salariati o diventava lui stesso un salariato. Le altre classi lavoratrici erano composte di individui la cui esistenza restava precaria e che non assursero mai, salvo i contadini in alcuni paesi e per brevi periodi, ad alcun ruolo politico autonomo. Il voto attivo e passivo (eleggibilità) secondo il censo (oppure secondo il contributo fiscale dato da ognuno al finanziamento dell’attività statale) fu una forma universale in cui si espresse il nuovo regime politico. Occorrerà aspettare il secolo XIX e l’inizio dell’azione politica autonoma di una delle classi escluse, il proletariato e in esso la classe operaia, perché il voto per tutti (nullatenenti, quasi-nullatenenti e donne) e l’esercizio delle altre attività politiche dell’epoca siano avanzate come rivendicazioni e proposte politiche, cessando l’eguaglianza e la libertà universali di restare confinate nel campo delle enunciazioni filosofiche e delle dichiarazioni di principio per entrare nel campo degli obiettivi politici e delle rivendicazioni politiche.

La democrazia borghese è il regime della libertà politica, dell’eguaglianza politica e del potere politico riservati ai depositari dell’iniziativa economica; è il potere politico riservato ai borghesi; è l’esclusione dal potere politico di quelle classi che sono escluse dalla libera iniziativa economica individuale, sono escluse dalla proprietà individuale delle condizioni della produzione. In questo senso la democrazia borghese è il regime della dittatura (*) della borghesia, del potere politico come prerogativa esclusiva della sola classe borghese.

(*) Con il termine dittatura indichiamo il monopolio del potere politico. Il termine non deve essere inteso nel senso corrente di regime dispotico e terroristico di un individuo o di un piccolo gruppo.Gli strumenti con cui una classe conserva per sé ed esercita il potere politico su tutta la società variano con l’opposizione e la resistenza che incontra e non hanno direttamente nulla a che vedere con l’estensione del gruppo dominante. qualunque siano le forme di governo e le istituzioni costituzionali.

La democrazia borghese è dittatura della borghesia perché è nell’ambito di questa classe e delle sue organizzazioni e in coerenza ai suoi interessi che vengono elaborate le linee che presiedono all’attività dello Stato,

Nel 1947 in Italia toccò al democristiano A. De Gasperi ricordare al “marxista” P.

Togliatti che in Italia esisteva un quarto partito (oltre a DC, PCI e PSI) “che non ha voti, ma senza del quale non si può governare” uno Stato borghese: i capitalisti.


Il limite insuperabile della democrazia borghese: i membri di una classe fondamentale e ineliminabile della società borghese, il proletariato, sono esclusi dal potere politico perché il loro ruolo nel sistema sociale della produzione esclude che essi vi possano partecipare. Gli istituti proclamati universali, diritti di tutti gli uomini, si rivelano anche storicamente, non appena il proletariato arriva ad uno sviluppo sufficiente per iniziare a rivendicarli anche per sé, diritti solo dei capitalisti e delle classi da essi derivanti (titolari di rendite, banchieri, commercianti all’ingrosso, ecc.). Man mano che la borghesia sarà costretta ad estendere per legge gli istituti della democrazia borghese (voto passivo, eleggibilità, associazione, ecc.)(*) ai membri delle classi nullatenenti, non solo non saranno create le condizioni materiali e culturali perché tramite quegli istituti essi potessero partecipare al potere politico, ma saranno prese al contrario misure via via più articolate ed efficaci per impedire, nonostante quegli istituti, la loro partecipazione.


(*) La democrazia borghese costituì in tutti i paesi europei un enorme progresso rispetto ai regimi politici che soppiantò. Non a caso tutti i rivoluzionari comunisti hanno in una certa misura riallacciato i compiti politici delle rivoluzioni proletarie a quelli delle rivoluzioni borghesi. Non a caso i primi movimenti proletari (dal Cartismo in poi) in Europa si svilupparono sulla lotta per la “riforma sociale” ma anche per l’estensione “a tutti” degli istituti della democrazia borghese.

I primi partiti nei quali il proletariato si costituì come “classe per sé” furono chiamati socialdemocratici, con una scelta meditata che riuniva in un sol termine i due compiti che essi perseguivano.


L’ingresso del proletariato nell’area politica come forza autonoma segnò la fine della democrazia borghese. Ma fu lo sviluppo della democrazia borghese, non la sua soppressione, che ne segnò la fine. Man mano che il suffragio divenne universale, il diritto di associazione e propaganda fu riconosciuto a tutti, ecc. la democrazia borghese si tramutò nell’autoritarismo imperialista (regime di controrivoluzione preventiva).

Quando la borghesia si avvicinava al suo trionfo definitivo sul mondo feudale e di conseguenza il proletariato era oramai una parte consistente della forza-lavoro della società e ben distinta dalle altre classi nullatenenti o quasi nullatenenti, il proletariato iniziò a rivendicare la partecipazione al potere politico e l’uso di esso per tutelare i propri interessi economici. A partire da quel momento, che per i paesi europei più avanzati si colloca nella prima metà del secolo XIX, la borghesia toccò con mano concretamente l’impossibilità di lasciare partecipare il proletariato al potere politico, l’incompatibilità tra il ruolo che esso svolgeva nel meccanismo sociale della produzione e la sua partecipazione al potere politico. La borghesia divenne conservatrice. Nei programmi di tutti i partiti della borghesia l’elemento costitutivo principale cessò di essere la repressione delle forze feudali; la repressione delle forze proletarie prese il suo posto. A questo nuovo fine la borghesia trovò varie forme di composizione, accordo e integrazione con le residue istituzioni feudali (istituzioni nobiliari, monarchie, chiese, ordini, caste militari, congreghe, ecc.). L’estensione degli istituti della democrazia borghese da allora cessò di essere elemento rilevante dell’azione politica della borghesia e divenne un elemento del programma politico del proletariato. La democrazia borghese, in quanto tensione ad allargare la partecipazione al potere politico, quindi ad estendere il possesso degli strumenti materiali e personali a ciò necessari, poteva rimanere tale solo fin tanto che la lotta tra le classi della nuova società borghese rimaneva latente o si manifestava solo sporadicamente.

Gli avvenimenti europei del 1830 - 1848 impressero una svolta decisiva. La borghesia aveva conquistato il potere politico nei due paesi più importanti d’Europa, la Francia e 1’Inghilterra. Da quel momento la lotta tra le classi della nuova società, la borghesia e il proletariato, assunse forme via via più pronunciate e minacciose.

In campo politico, per la borghesia non si trattava più di sottrarre seguito popolare agli aristocratici e di svegliare alla cultura e alla politica le masse popolari per farsene forza contro l’aristocrazia feudale e i suoi governi; si trattava invece oramai di studiare i modi per impedire che la classe operaia acquistasse unità politica e riuscisse a coalizzare le altre masse popolari sotto la sua direzione. Tutti i mezzi efficaci a questo fine, diventano leciti e furono praticati. Quanto agli altri grandi paesi della stessa Europa, la borghesia non aveva ancora regolato definitivamente i conti con l’aristocrazia feudale, i suoi governi e le sue chiese né li regolò più. Il processo dell’affermazione borghese “giungeva a maturazione troppo tardi, dopo che il suo carattere antagonistico si era fragorosamente rivelato in Francia e in Inghilterra”. In questi altri paesi la democrazia borghese ebbe quindi uno sviluppo più stentato e limitato che si rifletté negli avvenimenti successivi: l’aristocrazia russa fu spazzata via solo dalla Rivoluzione d’Ottobre, la casta degli Junker prussiani fu eliminata solo con la Seconda Guerra Mondiale e la costituzione della Repubblica Democratica Tedesca, la nobiltà italiana venne assimilata definitivamente alla borghesia solo dopo la Seconda Guerra Mondiale lasciando però in benaccetta eredità sue istituzioni come la mafia, ecc.

Il nuovo regime politico che si andò affermando nei paesi borghesi con l’inizio della fase del declino della borghesia non fu tuttavia la soppressione della democrazia borghese, ma il suo sviluppo. Le sue caratteristiche si forgiano nel rapporto conflittuale capitalisti - operai, anche se si estendono a tutta la società. La razionalità di queste caratteristiche emerge quindi solo studiando il rapporto capitalisti – operai.

Il meccanismo sociale della produzione creato dal capitalismo è un meccanismo collettivo; esso ha bisogno della collaborazione ordinata, organizzata, attiva e volontaria di masse di lavoratori e nello stesso tempo deve escluderli dalla partecipazione alla sua gestione. Proprio in ciò trovano la loro origine i tratti specifici dell’autoritarismo imperialista.

A differenza delle altre merci, la capacità lavorativa è parte della persona del lavoratore. Egli può venderla solo vendendo una parte costitutiva di sé. Quindi ove la capacità lavorativa è merce, una parte costitutiva dell’individuo è prodotta per il mercato, è comperata e venduta, è usata o distrutta dal mercato, come qualsiasi altra merce.

Il rapporto di lavoro salariato implica l’intervento crescente dei capitalisti nella formazione della coscienza, del carattere, della cultura, del corpo e delle conoscenze ed esperienze dei proletari. Esso implica anzi un intervento tanto più necessario e profondo quanto più la sussunzione dei proletari è reale (e non solo formale), ossia quanto più ci si allontana dalla fase storica in cui il capitale “usa quello che trova” e ci si è addentrati nella fase in cui il capitale forma, in conformità alla sua propria natura, le forze produttive che usa, le produce egli stesso. La capacità lavorativa dei proletari, quindi le persone dei proletari, sono la prima tra tutte le forze produttive.

Ma proprio perché il capitale forma forze produttive, ivi comprese le persone degli operai, in conformità a se stesso, esso, che è la contraddizione in divenire, forma forze produttive che ad un certo punto del loro sviluppo diventano inevitabilmente antagoniste al rapporto di produzione nell’ambito del quale sono cresciute. Esso che è proprietà individuale delle forze produttive crea forze produttive collettive che rendono storicamente sorpassata la proprietà individuale. Il proletariato formato dal capitale ad un certo punto del suo sviluppo diventa antagonista al capitale.

La borghesia non può formare al potere un proletariato che le è ostile, essa non può che limitare l’accesso degli operai a tutto ciò che li mette in grado di accrescere la propria capacità di azione politica: la scuola, la cultura, la capacità organizzativa, il carattere, la capacità militare, ecc. La limitazione che il capitale pone all’impiego delle forze produttive, diventa in questo caso direttamente limitazione che il capitale pone all’accesso delle masse al patrimonio culturale e scientifico della società (contro la scolarizzazione di massa, per il numero chiuso, per la selezione economica degli studenti, per la limitazione dell’esperienza organizzativa, politica, militare, statale, ecc.). Le istituzioni in senso contrario che vengono eventualmente strappate, sono sabotate dall’interno al pari di quanto avviene per tutte le istituzioni che diminuiscono l’importanza del salario diretto e quindi lo rendono meno efficace come mezzo di disciplina e organizzazione sociali (assistenza sanitaria, misure previdenziali, politiche della casa, minimi di reddito garantiti, ecc.).

La contraddizione che la borghesia vive in campo economico (proprietà individuale di forze produttive collettive), si riproduce negli ordinamenti politici e civili (asservimento di lavoratori liberi).

Il regime politico delle società imperialiste è contraddittorio come lo è la loro struttura economica. Non può prescindere dalla collaborazione delle masse e nello stesso tempo deve mantenere le masse fuori dal potere. Da questa contraddizione la società borghese non esce! Essa è un suo elemento costitutivo. I modi in cui la borghesia tratta la contraddizione insita nel suo regime sono vari secondo le caratteristiche peculiari di ogni formazione economico-sociale e secondo l’andamento dello scontro tra le classi. Dall’inizio dell’epoca imperialista si sviluppano e succedono l’uno all’altro

- regimi terroristici che fanno fronte a situazioni d’emergenza e hanno durata relativamente breve scomparendo (il “ritorno alla democrazia”) quando hanno assolto al loro compito storico;

- regimi “democratici” in cui il suffragio universale e il riconoscimento legale dei diritti di organizzazione, associazione, propaganda, ecc. per i proletari e il resto dei lavoratori si accompagna all’esautoramento sostanziale delle assemblee elettive, alla crescita del ruolo di quegli organismi dell’attività statale che sono sottratti agli occhi indiscreti delle assemblee elettive e degli individui non amici (la diplomazia segreta, servizi segreti di polizia, le operazioni sporche, le operazioni extra-legali, lo squadrismo, il complesso militare-industriale-finanziario, ecc.), alla predisposizione di una serie di misure preventive atte ad impedire che la forza politica del proletariato cresca al punto che questo possa prendere il potere, all’adozione di misure straordinarie ogni volta che le misure preventive si rivelano insufficienti.

Quando il capitalismo era entrato da alcuni decenni nell’epoca imperialista, nel 1895, F. Engels, nella Introduzione alla prima ristampa dello scritto di K. Marx Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, affermava che i borghesi avrebbero dovuto “spezzare essi stessi questa legalità divenuta loro così fatale”. Di fatto già da anni la borghesia, dove aveva dovuto allargare il suffragio e cedere sul diritto di organizzazione, propaganda, ecc. aveva messo in opera una serie di misure per evitare di essere soffocata dalla sua stessa legalità: proprio nell’Impero Germanico, cui Engels si riferisce nella sua Introduzione, dal 1878 al 1890 erano state in vigore le “leggi eccezionali contro le associazioni operaie e il partito socialdemocratico”.

La serie di misure che la borghesia metterà in atto per non essere soffocata dalla sua legalità è vasta e variegata, dalle più primitive e rozze (leggi antisocialiste, divieto di organizzazione) alle più sofisticate (persecuzioni selettive contro attivisti e dirigenti): ostacoli all’attività politica e alla formazione politica dei socialisti, mobilitazione del voto di tutta quella vasta parte della popolazione che in ogni paese borghese vive estranea alla vita politica del paese, creazione di organizzazioni di massa promosse e guidate da reazionari, promozione di campagne d’opinione pubblica diversive e provocatorie, sottrazione al dibattito e alla conoscenza pubblica dei problemi politici ed economici rilevanti, persecuzione dei movimenti politici proletari e dei loro esponenti di rilievo, infiltrazione di agenti statali nelle organizzazioni proletarie, corruzione ed arruolamento in apparati polizieschi di dirigenti delle organizzazioni proletarie, eliminazione di dirigenti ed attivisti e campagne di linciaggio morale contro di loro, creazione di clientele politiche, misure discriminatorie nell’assunzione al lavoro e nel rapporto di lavoro contro gli aderenti alle associazioni sindacali e politiche (nel “paese più democratico del mondo” una legge del 1970 - lo Statuto dei lavoratori - doveva ancora proibirle espressamente tanto erano e sono merce corrente!), giuramenti di fedeltà allo Stato ed esclusione da determinate carriere degli elementi politicamente non affidabili (dal Federal Employee Loyalty Program di Truman al Berufverbote della Repubblica Federale Tedesca),(*) terrorismo selettivo o diffuso contro le organizzazioni proletarie e i suoi membri, retate e confinamento di sospetti (il piano Solo del governo italiano aveva avuto molti predecessori: dagli arresti in massa del 1919 negli USA al McCarran Act con cui sempre negli USA nel 1950 furono creati sei campi di concentramento per prigionieri politici), campagne terroristiche di massa, colpi di Stato, scioglimento delle assemblee elettive, boicottaggio economico di governi non graditi, ecc.


(*) Federal Employee Loyalty Program: disposizioni adottate dall’Amministrazione Truman nel 1945 per “rimuovere dall’impiego statale gli elementi sovversivi”.

Berufverbote: disposizioni adottate dal governo della Repubblica Federale Tedesca negli anni ‘70 per escludere dai pubblici impieghi le persone la cui lealtà politica era dubbia.

Piano Solo: piano predisposto nel 1964 dal Comando Centrale dei Carabinieri (capeggiato dal generale De Lorenzo) per incarico dell’allora Presidente della Repubblica Segni per internare ed eliminare i dirigenti politici avversari.


Più vastamente la legge e la prassi garantiscono alla massa dei lavoratori i diritti politici, più la massa della popolazione deve essere privata delle condizioni materiali necessarie, nel contesto concreto, per esercitarli. I proclamati diritti politici possono al più essere usati come strumenti di opposizione, come remora ed ostacolo al governare di altri; allora nei momenti di crisi lo stato delle cose viene rovesciato contro le masse stesse come prodotto dell’impossibilità di governare e quindi nella ricorrente “necessità” di un “governo forte”, di una “rivoluzione politica”.

Più correntemente, i diritti riconosciuti alle masse acquistano un ruolo nella vita politica del paese come strumento delle lotte interne alla classe dominante. Ogni gruppo o coalizione di essa cerca di usare il “consenso popolare” contro i gruppi concorrenti. Quindi si procura il “consenso popolare” con ogni mezzo: dalle scarpe di Lauro, alle Madonne Pellegrine, alla lupara, alla clientela, agli spot pubblicitari.

Il dato costante è l’eliminazione sistematica dalla vita corrente delle masse di quanto è necessario al formarsi di convincimenti sull’andamento reale delle cose e sulle sue cause e a farlo valere. Il mondo concreto dei processi politici appare sempre più misterioso e governato da forze ignote. L’abbrutimento delle masse, la diversione della loro attenzione dai processi reali, la demagogia diventano una necessità permanente di ogni società imperialista. La cultura d’evasione diventa uno strumento di politica interna. Il reale funzionamento della pubblica amministrazione e del mondo economico-finanziario traspare dal velo di mistero che lo circonda solo sporadicamente, a sprazzi, quando qualche gruppo interno alla classe dominante, messo in difficoltà, si “appella alle masse”, denuncia lo scandalo o monta la campagna scandalistica e cerca di giovarsi a suo vantaggio, contro i gruppi concorrenti, del movimento delle masse e del meccanismo elettorale.

Le menzogne di Stato e la disinformazione, l’intossicazione dell’opinione pubblica diventano strumenti normali di governo. Parimenti la corruzione degli esponenti politici, dei dirigenti e degli elettori, l’infiltrazione nelle organizzazioni avversarie e le manovre di provocazione.

È rimasto il simulacro della democrazia borghese, tanto più vuoto quanto più le istituzioni del regime politico restano vicine a quelle della democrazia borghese “pura”. Le elezioni non servono a decidere la linea da seguire, ma a far ratificare e legittimare dal voto popolare le scelte e le persone della classe dominante. I personaggi che nella vita del paese contano mille volte più dei più votati senatori e deputati, non sono eletti da nessuno, a nessuno devono spiegare e far accettare le loro decisioni e i loro piani: Agnelli, Cuccia, Pirelli, Berlusconi, De Benedetti, Calvi, Romiti, ecc. Diventa sempre più netto il contrasto tra le “appassionate” campagne di opinione pubblica su questioni secondarie o su cui comunque le masse nulla possono e la permanente estraneità delle stesse masse alle questioni del movimento politico i cui risultati ricadono su di esse.

I livelli inferiori della pubblica amministrazione sono “posti di lavoro” (quando addirittura non clientelari), quelli superiori sono occupati per cooptazione: in conclusione la partecipazione di massa alla pubblica amministrazione è esclusa. Dove la borghesia ha ceduto in parte alle masse le assemblee elettive, essa ha mantenuto il potere sottraendolo ad esse. Quando la situazione politica diventa difficile e il regime politico instabile, le assemblee elettive vengono “mandate a casa” per il tempo necessario.

Le istituzioni create dalla borghesia nella sua fase di ascesa si sono trasformate da strumento per accrescere la partecipazione al potere politico, in strumenti per gestire le rivendicazioni delle masse impedendo che diventino linea dirigente, cioè in strumenti per escludere le masse dal potere politico.

Le vecchie forme si sono riempite di contenuto conservatore.

L’autoritarismo imperialista o la limitazione della democrazia consistono sostanzialmente in due elementi:

1. nel cambiamento di tendenza nello sviluppo del regime politico delle società borghesi: la cessazione dell’estensione progressiva della partecipazione al potere e lo sviluppo di “immagini del potere” (partecipazione a organismi di potere nominale privi di potere reale);

2. nella limitazione della libera iniziativa dei capitalisti, nella limitazione della democrazia per i borghesi, nella subordinazione dei piccoli capitalisti ai grandi e la scomparsa della loro autonomia economica a causa della dipendenza dal credito, della dipendenza per la commercializzazione dei prodotti, per la fornitura delle materie prime, per gli ordini e le commesse e, in complesso, la trasformazione in senso monopolistico della struttura economico-sociale.

Il regime politico delle società imperialiste non è un regresso rispetto alla democrazia borghese. Si tratta al contrario del fatto che lo sviluppo della società borghese ha fatto sorgere un contrasto (proletari - capitalisti) che la democrazia borghese non può recepire nelle sue forme ed istituzioni.

La politica urta contro i limiti posti dallo sviluppo della struttura economica, in barba ai teorici della supremazia del politico sull’economico.

Il regime politico della società borghese, la democrazia borghese, non può trattare una contraddizione che la supera e che può essere risolta solo nella rivoluzione socialista, quando il proletariato arriva ad affermare praticamente che esso può fare a meno della borghesia.


Approfondimento 4 - La prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (da VO 61 - marzo 2019, Le origini e la natura della crisi generale del capitalismo pagg. 38-41)

Engels, nella Prefazione dell’edizione inglese del libro I di Il capitale scritta nel 1886, delinea già chiaramente l’inizio della prima crisi generale, anche se non ne comprende ancora l’origine, la natura e il ruolo storico. Riferendosi al complesso dei paesi nei quali il rapporto di capitale dominava già in campo economico (detto nel linguaggio marxista: nei quali il capitale aveva già sussunto formalmente il complesso delle attività economiche) scrive: “Mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica, l’ampliamento dei mercati procede, nella migliore delle ipotesi, in proporzione aritmetica. Il ciclo decennale di ristagno, prosperità, sovrapproduzione e crisi, che dal 1825 al 1867 si era regolarmente riprodotto, sembra, è vero, esaurito; ma solo per farci approdare nella palude senza speranza di una depressione duratura e cronica. L’agognato periodo di prosperità stenta a venire; ogni qualvolta crediamo di intravederne i segni premonitori, eccoli andare nuovamente in fumo [pag. 56 di Le Idee 93 Ed. Riuniti, VIII ed. giugno 1974].

Oggi noi ci gioviamo della conoscenza della storia dei decenni successivi a quando Engels scrisse queste righe.

Risulta oggi evidente che in quella palude che Engels constata nel 1886, la società borghese è cresciuta dimenandosi per far fronte ai suoi guai (ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale e si scontra con i proletari che assolda e con i capitalisti concorrenti nella gara ad essere competitivi: chi perde muore; la classe dei capitalisti deve mantenere sottomesse le classi oppresse e far funzionare l’intera società) sviluppando già negli ultimi decenni del secolo XIX a livelli crescenti e su scala via via più ampia le caratteristiche economiche, politiche e culturali dell’epoca imperialista del capitalismo. In L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (scritto nel 1916 e pubblicato per la prima volta nel settembre 1917) Lenin illustra in dettaglio anche nel loro sviluppo cronologico le cinque principali caratteristiche economiche dell’imperialismo. Questo corso delle cose sfocerà nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918) ed essa darà inizio alla prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). L’esaurimento della prima ondata darà inizio al quarantennio della seconda crisi generale con la quale siamo ora alle prese.

Engels però nella Prefazione del 1886, non connette la lunga depressione e le vie già imboccate dalla borghesia per farvi fronte con la sovrapproduzione assoluta di capitale che Marx aveva trattato nei capitoli 13, 14 e 15 del libro III di Il capitale, che Engels consegnerà alle stampe nel 1894.

In quei capitoli Marx aveva illustrato sia la tendenza intrinseca del capitalismo alla sovrapproduzione (sovraccumulazione) assoluta (cioè non limitata ad alcuni settori, ma estesa all’intera economia) di capitale (dovuta a sua volta alla caduta tendenziale del saggio del profitto (*) connaturata al modo di produzione capitalista delle merci) che prima o poi sarebbe diventata un fattore determinante del corso delle cose, sia le misure a cui per loro natura i capitalisti ricorrevano per ritardare lo sbocco catastrofico di esso.


(*) Il saggio del profitto è il rapporto tra la quantità di plusvalore (pluslavoro) e l’intero capitale (costante [materie prime e mezzi di produzione] e variabile [salari]) anticipato dal capitalista. Il saggio diminuisce perché ogni capitalista deve aumentare la produttività dei suoi operai. Di conseguenza il numero di operai (e quindi il pluslavoro che il capitalista può loro far fare) aumenta proporzionalmente sempre meno di quanto cresce la quantità delle materie prime e dei mezzi di produzione (quindi il capitale costante).


La connessione non venne fatta da Engels, ma neanche dai dirigenti comunisti negli anni successivi alla pubblicazione del libro III di Il capitale, neanche da Lenin,nonostante l’intenso dibattito che si svolse tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX sul corso delle cose. In esso intervennero, oltre a Lenin, anche R. Hilferding (Capitale finanziario, 1910), Rosa Luxemburg (L’accumulazione del capitale, 1913), N. Bukharin (L’imperialismo e l’economia mondiale, 1916) e altri marxisti.

Questa lacuna nella comprensione delle condizioni della lotta di classe rientra in quella incomprensione del marxismo a mezzo secolo dalla morte di Marx a cui Lenin accenna nei suoi appunti del dicembre 1914 (Quaderni filosofici,vol. 38 delle Opere pag. 167 Ed. Riuniti, 1969) e ha contribuito a quei limiti nella comprensione del corso delle cose che impedirono che il movimento comunista cosciente e organizzato instaurasse il socialismo nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). Nei paesi imperialisti il maggior teorico comunista del periodo della prima ondata è stato Antonio Gramsci e neanche lui fece la connessione tra le manifestazioni politiche e culturali della crisi generale e il processo economico della società capitalista. Per approfondimenti, rimandiamo al Supplemento a La Voce 61 Gramsci e la crisi generale del capitalismo - marzo2019.

Engels e dopo di lui Lenin e Stalin hanno 1. capito che il capitalismo era entrato in una fase nuova e 2. individuato le sue caratteristiche economiche e politiche. Non hanno però compreso che l’origine della nuova fase era la sovrapproduzione assoluta di capitale pronosticata da Marx. Sono quindi stati come medici brillanti che, a fronte di un’epidemia sconosciuta, analizzando la situazione hanno 1. capito che non si trattava di una delle epidemie già note e 2. individuato le sue caratteristiche principali, ma non sono risaliti alla causa fondamentale.


Approfondimento 5 – La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e il suo decorso (dalle Tesi del III Congresso del P.CARC, 2012)

1. La crisi attuale è la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Il nostro paese, come tutto il mondo, è coinvolto e sconvolto dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, iniziata a metà degli anni ’70 del secolo scorso e dal 2008 entrata nella sua fase acuta e terminale. È una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale: a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci (beni e servizi), estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. Quindi la crisi attuale ha la sua fonte nelle attività produttive (l’economia reale), cioè nella struttura della società (in questo senso è una “crisi strutturale”). Siccome il capitale esiste sotto forma di denaro, condizioni della produzione (tecnologie, materie prime, reti di comunicazione e scambio, ecc.), mezzi di produzione, merci e forza lavoro, sovrapproduzione assoluta di capitale significa che tutte queste forme di capitale esistono in quantità superiore a quella che la borghesia può impiegare con profitto nella produzione di merci, quindi restano inutilizzate, cioè vi è sovrapproduzione di ognuna di esse.

È una crisi generale: comprende la crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale, che è il suo aspetto dirigente, la crisi politica (degli istituti, degli ordinamenti e delle relazioni politiche interne e internazionali) e la crisi culturale (intellettuale, morale) che sono gli aspetti derivati, dialetticamente legati all’aspetto dirigente; la crisi ambientale (inquinamento chimico, acustico, luminoso, radioattivo, ecc., devastazione del territorio, esaurimento delle risorse, riscaldamento climatico, ecc.), generata anch’essa dal capitalismo, si è aggiunta alla crisi generale e ne è diventata una componente e un’aggravante.

Quindi la crisi attuale riguarda tutto il sistema di relazioni sociali e il sistema delle relazioni internazionali (in questo senso è una “crisi sistemica”).

È la seconda crisi generale del capitalismo: l’umanità si è già trovata una volta in una situazione simile all’inizio del secolo scorso - nel periodo 1900-1945 - e ne è uscita con la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha portato alla creazione dei primi paesi socialisti e con due Guerre mondiali, cioè con una combinazione di eliminazione del capitalismo in alcuni paesi e distruzione delle forze produttive in quantità tali da permettere la ripresa dell’accumulazione capitalista in altri (e non, come sostengono illusi e imbonitori vari, con le riforme economiche keynesiane o con il New Deal di Roosevelt).

2. Il decorso della crisi nei trent’anni che abbiamo alle spalle. Non potendo investire tutto il capitale accumulato nella produzione di merci, la borghesia ha ricercato freneticamente altri campi di investimento del capitale.

a)Negli anni ’70 e ’80 il capitale accumulato in eccesso è stato riversato principalmente in prestiti imposti ai paesi oppressi e poi, di fronte all’impossibilità da parte di questi ultimi di pagare interessi, rate e commissioni (che complessivamente è chiamato “servizio del debito”), nelle concessioni sullo sfruttamento delle risorse naturali e nell’acquisto di industrie e servizi pubblici di questi paesi (piano Brady e simili), quindi nella ricolonizzazione in particolare dei paesi africani e asiatici. Combinati con questo principale campo di sfogo del capitale in eccesso, ve ne sono stati altri ausiliari e complementari, tra cui particolarmente importante è stata la privatizzazione delle industrie, dei servizi e dei beni pubblici nei paesi imperialisti. Questo periodo è stato segnato dalle crisi economiche del 1973, 1979, 1985, 1987 e 1992 e dalla bolla dell’economia giapponese terminata nel collasso del 1989. b) Negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo secolo il capitale in eccesso ha trovato sfogo principalmente nella globalizzazione (creazione di una struttura produttiva integrata a livello internazionale, con cui i paesi oppressi e i primi paesi socialisti nella seconda o nella terza fase, in particolare la Cina, sono stati trasformati in officina mondiale per la produzione di manufatti con bassi salari e con vincoli di sicurezza, igiene sul lavoro e antinquinamento di basso livello), nelle fusioni e aggregazioni che hanno creato grandi imprese produttive monopolistiche mondiali, nello sviluppo della finanziarizzazione, nelle grandi opere speculative e, soprattutto e infine, nello sviluppo gigantesco delle attività speculative con cuiil denaro crea nuovo denaro.

Questo secondo periodo è segnato dalle crisi economiche del 1997, del 1999 e del 2001 (scoppio della bolla della “new economy” costituita dalle imprese dell’informatica), dall’intensificarsi del riarmo, dall’espansione della rete di basi militari USA, NATO e sioniste, dalle operazioni di destabilizzazione e promozione di guerre civili (in particolare in Africa), da varie guerre di aggressione imperialista: prima guerra del Golfo (1991), prima guerra di Jugoslavia (1992- 1995), Somalia (1992-1994), seconda guerra di Jugoslavia (1999), Afghanistan (dal 2001), seconda guerra del Golfo (dal 2003).

Contemporaneamente la borghesia ha ridotto (è uno degli aspetti della sua decadenza) le conquiste di civiltà e di benessere che i lavoratori e le masse popolari dei paesi imperialisti le avevano strappato nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria e trasformato in imprese finanziarie le istituzioni connesse a quelle conquiste (pensioni, assicurazioni, assistenza sanitaria, istruzione, ecc.). Ha spostato a vantaggio del capitale produttivo di merci e del capitale finanziario i termini della ripartizione del valore prodotto (la parte attribuita alle masse popolari è diminuita, mentre è aumentata la parte attribuita al capitale produttivo di merci e ancora più quella attribuita al capitale finanziario). Ha finanziato in misura crescente le spese pubbliche con il debito pubblico anziché con le imposte, ampliando il campo di attività del capitale finanziario. Parallelamente ha eliminato le misure (i “lacci e laccioli”) prese nel corso della prima crisi generale per limitare le manovre monetarie (come gli Accordi di Bretton Woods del 1944) e la speculazione finanziaria (come la separazione tra banche d’affari e banche di deposito e prestito, introdotta nei primi anni della presidenza Roosevelt iniziata nel 1933) e ha concesso a se stessa libertà illimitata di muovere da un angolo all’altro del mondo denaro, capitale finanziario e capitale produttivo di merci (liberalizzazione).

In questo modo la borghesia imperialista ha rimandato e attenuato la caduta delle attività produttive di merci e, nello stesso tempo, ha creato le circostanze e le forme della crisi attuale.

3. La fase terminale della crisi. Nel 2008, con la crisi finanziaria iniziata negli USA a seguito dell’esplosione della bolla dei prestiti immobiliari subprime (cioè con garanzie inferiori a quelle correnti), la seconda crisi generale è entrata nella sua fase terminale. Questa è caratterizzata dalla combinazione permanente della crisi finanziaria con la crisi economica. Le attività finanziarie e speculative si sono gonfiate a un punto tale che sono in uno stato convulsivo cronico, lo sconvolgimento sistematico delle istituzioni finanziarie e monetarie si riversa sulle attività produttive di merci provocandone la riduzione rapida e catastrofica (paralisi e crollo) con conseguente aumento dei disoccupati, fallimento degli artigiani e dei lavoratori autonomi, aumento della precarietà, riduzione dei salari, esaurimento dei risparmi e indebitamento crescente, riduzione delle entrate della pubblica amministrazione (imposte, tasse, tariffe, ecc.), riduzione delle prestazioni sociali (assistenza sanitaria, istruzione, servizi pubblici, sussidi, ecc.) e, per le imprese, caduta delle vendite, aumento delle giacenze di magazzino, perdite (indebitamento), taglio dei salari, licenziamenti, delocalizzazioni.

Le misure prese dalle istituzioni finanziarie e politiche internazionali (BCE, FMI, G20, UE, ecc.) e dai governi dei singoli paesi dal 2008 a oggi non solo non hanno messo fine alla crisi finanziaria, ma hanno aggravato la crisi economica, peggiorato pesantemente le condizioni di vita e lavoro della massa della popolazione e accresciuto la devastazione dell’ambiente. Il grosso di queste misure hanno riguardato le manifestazioni della crisi in campo finanziario, in particolare a partire dal 2010 la speculazione sui titoli dei debiti pubblici della Grecia, poi dell’Italia, della Spagna, del Portogallo e dell’Irlanda (i cosiddetti PIIGS) e sono consistite in crescenti e ripetute iniezioni di soldi alle banche, alle società finanziarie, alle borse, ai loro clienti e agenti. Allo stesso modo di chi cerca di spegnere un incendio buttando benzina sul fuoco, queste misure non hanno fatto che accrescere la massa di denaro in mano a gente che non ha altro obiettivo che aumentarlo sempre di più, che quanto più ne ha, tanto più ne pretende, che più ne ha e più cerca di accrescerlo moltiplicando le attività speculative.


Approfondimento 6 - Il capitalismo monopolistico di Stato (da VO 65, luglio 2020 - Il ruolo dello Stato nell’economia pagg. 45-55)

Il capitalismo monopolistico di Stato è una specificazione dell’imperialismo, è l’imperialismo che ha assunto tratti che non erano rilevanti ai suoi inizi: negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi del secolo XX.

A partire da Lenin i comunisti, adottando un termine entrato casualmente nel loro vocabolario per l’uso che ne aveva fatto un economista inglese (John Atkinson Hobson 1858-1940, autore di Imperialism pubblicato nel 1902 a Londra e a New York) a conferma che i nomi sono effettivamente puri, purissimi accidenti, chiamano imperialismo il regime economico-politico che è prevalso nei paesi capitalisti negli ultimi decenni del secolo XIX.(1)

Con l’ingresso del capitalismo nell’epoca imperialista la base della vita economica del paese è rimasta la compravendita della forza lavoro dei proletari, che mette una di fronte all’altra non solo per la ripartizione del reddito e la qualità della vita, ma anche per il ruolo che hanno in ogni campo della società le due classi fondamentali: la gran massa di uomini e donne che hanno di che vivere solo se ognuno vende la sua forza-lavoro ai capitalisti che sono titolari della libertà d’iniziativa economica perché proprietari dei mezzi e delle condizioni della produzione di merci (mezzi e condizioni che complessivamente costituiscono il capitale) e che gestiscono ognuno il suo capitale allo scopo di valorizzarlo, cioè di aumentare la sua quantità (il suo valore) grazie al profitto (plusvalore) che ricavano dalla produzione e vendita di merci. Bando alle dottrine e alle chiacchiere che sarebbe nato un nuovo modo di produzione non più capitalista. Chi usa il materialismo dialettico come principio guida per conoscere il mondo vede la continuità del vecchio mondo sotto la crosta brulicante di nuove relazioni. Ma 1. alla libera concorrenza di un gran numero di capitalisti produttori di merci sono subentrati, nei settori decisivi, pochi grandi monopoli, 2. il capitale finanziario e bancario ha preso il dominio del capitale industriale, 3. l’esportazione di capitali è diventata per la valorizzazione del capitale più importante dell’esportazione di merci, 4. alcune poche grandi potenze imperialiste (alcuni paesi europei, gli USA e il Giappone) si sono spartite tutta la terra in zone (colonie e semicolonie) di esclusiva o predominante influenza, 5.

in alcuni settori industriali alcuni monopoli si sono avviati a diventare monopoli mondiali.


1. La confusione tra imperialismo nel significato di fase del capitalismo e imperialismo nel significato limitato di politica estera aggressiva è una caratteristica di alcuni esponenti e gruppi della sinistra borghese, come di altri lo è la tesi che l’imperialismo è un modo di produzione nuovo rispetto al capitalismo che Marx ha illustrato nei 3 volumi di Il capitale.


Con il capitalismo monopolistico di Stato l’imperialismo assume un ulteriore tratto specifico.

Tratto caratteristico del capitalismo monopolistico di Stato è il ruolo che lo Stato assume nell’economia.

In ogni paese i grandi gruppi e centri finanziari e bancari (che già dominano i capitalisti industriali: le aziende industriali sono diventate società per azioni e sono quotate in Borsa, ecc.) si fondono in organismi formali (comitati e commissioni di produzione e d’altro genere) e informali con le autorità politiche del paese e gestiscono in modo unitario, per quanto possibile fin tanto che le forze produttive restano proprietà privata dei capitalisti e questi godono della libertà d’iniziativa, l’intera vita economica: la produzione e la distribuzione di merci (beni e servizi) fatte da imprese capitaliste. Ma la gestiscono tramite:

1. una pianificazione che però è solo orientativa (cioè fatta non assegnando a ogni impresa compiti definiti (pianificazione amministrativa), ma stimolando il capitalista tramite incentivi finanziari e fiscali, tramite ordinativi pubblici e facilitazioni legislative,

2. la creazione in alcuni settori di aziende di proprietà pubblica che producono anch’esse merci,

3. l’intervento dello Stato a regolare le relazioni tra lavoratori e padroni,

4. l’aiuto e il sostegno dello Stato per l’espansione internazionale degli investimenti finanziari e del commercio di gruppi capitalisti nazionali,

5. l’espansione della spesa pubblica: aumento del numero dei dipendenti pubblici, acquisto di beni e servizi da parte dello Stato, sviluppo su grande scala della produzione militare, della vendita di armi e della vendita e gestione di sistemi d’arma, espansione dei servizi pubblici (istruzione, sanità, manutenzione del territorio, vie di comunicazioni, reti di distribuzione, ecc.) e della previdenza sociale (pensioni di invalidità e vecchiaia, maternità e infanzia, ecc.).

Il capitalismo monopolistico di Stato si afferma nel corso della Prima Guerra Mondiale, a partire dalla Germania che è il paese in cui questo sistema si realizza più radicalmente e prima che negli altri paesi imperialisti proprio a causa della guerra, quando lo Stato distoglie dalla produzione e arruola nella guerra una parte considerevole dei lavoratori, regola il lavoro nelle aziende importanti ai fini della guerra (divieto di cambiare lavoro e altri regolamenti), gli ordinativi dello Stato (in armi ed esplosivi, divise, vie di comunicazione, opere edilizie, bare, medicinali, alimenti e altro) si moltiplicano.

Sopravvenuta la rivoluzione nell’impero russo, anello debole della catena imperialista e paese capitalisticamente arretrato, Lenin già nel 1917, tra la rivoluzione di febbraio e la Rivoluzione d’Ottobre, aveva affermato che il capitalismo monopolistico di Stato è “la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo” e aveva indicato come esempio proprio la Germania.(2)

Nel 1921, dopo la vittoria contro l’aggressione di tutte le potenze imperialiste e nella guerra civile scatenata da agrari e capitalisti russi, nell’URSS rimasta isolata come unico paese socialista ma diventata base della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, Lenin fece valere, contro alcuni dei suoi stessi compagni di Partito, la linea che il capitalismo monopolistico di Stato, ma con lo Stato oramai saldamente in mano agli operai mobilitati nel movimento comunista cosciente e organizzato con alla testa il Partito comunista,(3) era il contesto economico-politico più adatto per avviare la ricostruzione della produzione industriale e delle vie di comunicazione.(4) E in effetti lo Stato sovietico creò le premesse sufficienti per iniziare pochi anni dopo la parte economica della costruzione del socialismo: piani (amministrativi) quinquennali e collettivizzazione delle campagne.(5)

Il fascismo di Benito Mussolini, il nazismo di Adolf Hitler e il New Deal di Franklin Delano Roosevelt affermeranno definitivamente nei rispettivi paesi il capitalismo monopolistico di Stato scimmiottando, quanto alle istituzioni messe in opera, l’Unione Sovietica per quanto era possibile farlo finché restavano ferme la proprietà capitalista delle forze produttive e la libertà d’iniziativa economica privata dei capitalisti. Processi analoghi si produrranno in Francia, Giappone e Gran Bretagna, paesi che differivano dai primi principalmente per gli imperi coloniali di cui disponevano e per le specifiche condizioni della lotta di classe.


2. Lenin, La catastrofe imminente e come lottare contro di essa (settembre 1917), in Opere vol. 25 Editori Riuniti (1967), reperibile anche nel sito www.nuovopci.it.


3. A proposito del sistema politico sovietico si veda l’illustrazione fattane in Marco Martinengo, I primi paesi socialisti, Edizioni Rapporti Sociali (2018) e da Stalin nei due rapporti e discorsi a conclusione dei relativi dibattiti al XII Congresso del PCR(b) 17-25 aprile 1923 in Opere vol. 5 Edizioni Rinascita (1952).


4. Lenin, Sull’imposta in natura (1921) in Opere vol. 32, Editori Riuniti (1967).


5. Stalin, Ancora sulla deviazione socialdemocratica nel nostro partito (1926) in Opere vol. 9 Edizioni Rinascita (1955), reperibile anche nel sito www.nuovopci.it.


Approfondimento 7 - Il sistema monetario internazionale e la moneta fiduciaria internazionale (da VO 65 - luglio 2020 Il ruolo dello Stato nell’economia pagg. 45-55)

Uno dei tratti dell’epoca imperialista del capitalismo, portato a termine nell’ambito del capitalismo monopolistico di Stato e importante per comprendere il corso attuale delle cose e per dirigere o almeno orientare l’attività di OO e OP, è l’affermazione in ognuno dei paesi imperialisti e a livello mondiale del denaro fiduciario. Esso è un aspetto del “superamento storico” della legge del valore-lavoro (lo scambio di merci a parità di tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione) e dell’affermazione dell’autonomia dei prezzi dai valori.(1) Il denaro cessa di essere una merce (un oggetto frutto di un lavoro e quindi con un suo proprio valore) assurta al ruolo di equivalente generale di tutte le altre merci, ognuna frutto di un lavoro e quindi valore oggettivato: ruolo di fatto storicamente svolto principalmente da metalli preziosi (oro, argento e, in misura minore, rame). Il denaro diventa semplicemente un biglietto o una scritta nei registri bancari che assegna al suo proprietario (al suo portatore se si tratta di banconote) il diritto (specificato quanto a quantità sulla banconota o nella scrittura bancaria) di appropriarsi di merci altrui, compresa la forza lavoro altrui, di saldare risarcimenti in denaro e soddisfare altri obblighi di pagamento (imposte, multe, pene pecuniarie, affitti e altro), per l’ammontare della quantità di denaro di cui è proprietario: in breve il denaro è potere sociale riconosciuto al proprietario del denaro. Diritto che ovviamente deve essere garantito da un’autorità che ha i mezzi per farlo rispettare.


1. A proposito del superamento della legge del valore-lavoro, rimando a VO 41, luglio 2012 (La legge del valore-lavoro è storicamente superata - resta da superarla anche di fatto), VO 44, luglio 2013 (Con la lanterna di Diogene. Alla ricerca della legge del valore-lavoro), VO 62, luglio 2019 (La legge del valore-lavoro è storicamente superata).


Il garante di questo rapporto di fiducia è anche il reale sovrano del paese, almeno per un aspetto determinante e basilare della vita sociale. Per questo affidare la creazione del denaro a un ente gestito dai gruppi imperialisti europei (la creazione dell’euro gestito dalla Banca Centrale Europea) ha voluto dire la cessione ad essi della sovranità nazionale.

Dall’oro e dalla banconota di cui chiunque può chiedere la conversione in oro al tasso dichiarato e garantito dallo Stato (il governo USA guidato da F.D. Roosevelt negli anni ’30 fissò il tasso di 35$ per oncia d’oro quale che fosse il prezzo dell’oro sul mercato), il sistema imperialista mondiale è passato al denaro completamente fiduciario a livello di ogni paese e infine anche a livello internazionale (prima con gli Accordi di Bretton Woods (1944) che mantenevano il diritto al cambio fisso con l’oro solo per le banche centrali e poi con la sua abolizione anche per esse nel 1971 per decisione unilaterale USA sotto la presidenza Nixon). Quanto alle monete fiduciarie dei singoli paesi aderenti al sistema del dollaro, dagli Accordi di Bretton Woods al 1971 per ognuna di esse era garantito un cambio in dollari concordato dal governo del paese (e la sua banca centrale) con le istituzioni del sistema di Bretton Woods (FMI e Banca Mondiale); dopo il 1971 ogni moneta ebbe cambi stabiliti dagli attori del mercato dei cambi monetari, sui quali vigila ogni banca centrale.

Giunti a questo punto in campo monetario, nell’ambito del capitalismo monopolistico di Stato ogni governo è in grado di intervenire sull’andamento dell’economia del paese o creando per sua decisione nuovo denaro che mette in circolazione tramite il sistema bancario (2) o al contrario riducendo la quantità del denaro in circolazione tramite imposte e l’emissione di titoli con un tasso di rendimento tale da rendere per i detentori di denaro l’acquisto di essi in cambio di denaro conveniente rispetto ad altri usi.(3)


2. La banca apre un conto corrente dal quale il governo paga fornitori e dipendenti. In proposito vedi Minibot - I nodi vengono al pettine in La Voce 62, luglio 2019.


3. Vedi Misure per far fronte al catastrofico corso delle cose e ruolo OO e OP in VO 63, novembre 2019.


Quindi uno Stato sovrano dispone di tutto il denaro che vuole, fermo restando che variando la quantità di denaro in circolazione produce una serie di effetti sull’attività di altri attori della vita economica: il livello dei prezzi, la disponibilità di credito bancario, la convenienza dell’iniziativa economica, ecc. crescono e si riducono a secondo della quantità di denaro in circolazione. Per uno Stato sovrano non esiste motivazione del tipo: “non ci sono i soldi”.

Stante questo meccanismo, uno Stato che rinuncia al diritto di emettere denaro, a corso forzoso nell’ambito dei suoi confini,(4) rinuncia a una parte decisiva della sua sovranità nazionale: quella di regolare l’andamento dell’economia del paese, la base di tutta la vita sociale. È quello che ha fatto lo Stato della Repubblica Pontificia nel 1981, per rafforzare le posizioni della borghesia contro le rivendicazioni economiche delle masse popolari italiane a fronte dell’attuazione del “programma comune” della borghesia imperialista e per ampliare per ogni capitalista il campo di valorizzazione del suo capitale (investimenti in titoli del Debito Pubblico oltre che in produzione di merci e in altre attività).(5)


4. Corso forzoso nell’ambito dei propri confini significa che chiunque mette in vendita beni o servizi nell’ambito dei confini è tenuto per legge a dichiarare nella moneta del paese il prezzo che chiede e cederli a chiunque gli corrisponde nella moneta del paese il prezzo dichiarato.


5. Vedi Crisi per sovrapproduzione di capitale, in Rapporti Sociali 0, novembre 1985 - reperibile nel sito www.nuovopci.it.


Di soppiatto, quindi con la complicità di “tutti quelli che non potevano non sapere” (compresi ovviamente il segretario nazionale del PCI, Enrico Berlinguer e il segretario nazionale della CGIL, Luciano Lama), il Ministro del Tesoro (Beniamino Andreatta, DC) con lettera datata 12 febbraio 1981 (eravamo nell’epoca dei governi CAF, capo del governo era Arnaldo Forlani DC) al Governatore della Banca d’Italia (il “benemerito” Carlo Azeglio Ciampi che diventerà nel 1993 capo del governo, ruolo che nel 1994 cederà a Berlusconi e nel 1999-2006 Presidente della Repubblica), esentava la Banca d’Italia dall’obbligo di creare denaro su richiesta del governo stesso in cambio di titoli del Debito Pubblico depositati presso la BdI. Questa decisione del governo obbligava il governo a recuperare denaro (per far fronte alle proprie spese) vendendo, al prezzo che riusciva a spuntare in vendite all’asta, ai detentori di patrimoni in denaro, cioè in sostanza ai gruppi finanziari italiani e stranieri, titoli di Debito Pubblico produttori d’interessi che il governo alla scadenza indicata nel titolo avrebbe rimborsato al valore nominativo, quale che fosse stato il prezzo al quale lo aveva venduto. Nel frattempo i titoli erano circolati nelle Borse e in transazioni private alimentando il mercato finanziario e speculativo. Fu questo l’atto di cessione della sovranità nazionale che verrà più tardi completata dalla stessa cricca alla testa della Repubblica Pontificia con il Trattato di Maastricht (1992), la creazione della Banca Centrale Europea e l’introduzione dell’euro. Titolari della sovranità nazionale italiana diventano le istituzioni dell’Unione Europea, quindi i circoli informali di gruppi imperialisti dei quali esse sono espressione.

Tutti quelli che oggi parlano e scrivono di sovranità nazionale, ripetendo le sacrosante argomentazioni espresse da Lenin nel periodo della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) contro i socialdemocratici passati dall’internazionalismo proletario alla “difesa del proprio paese” e divenuti fautori della “guerra nazionale”, non solo travisano Lenin ma nascondono la reale rinuncia dei vertici della Repubblica Pontificia alla sovranità nazionale in campo economico a favore dei gruppi imperialisti. Per il nostro paese questa rinuncia alla sovranità nazionale in campo economico si è aggiunta alla rinuncia (anch’essa camuffata con belle parole) alla sovranità nazionale nel campo delle relazioni politiche internazionali, degli affari militari e della guerra consacrata nell’adesione alla NATO (1949). Da qui segue che la rottura della soggezione all’UE (gruppi imperialisti europei) e alla NATO (gruppi imperialisti USA e sionisti) e il darsi i mezzi per farla sono parte inderogabile di ogni realistico e onesto programma di rinnovamento del paese e di assunzione del potere per realizzarlo. Ho scritto sopra che il capitalismo monopolistico di Stato con i relativi istituti e istituzioni venne introdotto in Italia dal regime fascista di Benito Mussolini. È infatti durante il fascismo che venne fondata la Banca d’Italia e il sistema bancario venne riorganizzato con il contorno delle “banche di interesse nazionale”, venne creato il settore pubblico dell’economia (IRI, ENI e altri) e una serie di enti pubblici previdenziali (INPS, ONMI, ecc.) e altri analoghi istituti e istituzioni che la Repubblica Pontifica erediterà sopraffacendo (tra il 25 aprile 1945 e il terzo governo De Gasperi del 31 maggio 1947) il movimento dei Partigiani che contro i nazifascisti avevano vinto la Resistenza e farà funzionare con la collaborazione del primo PCI fino agli anni ’70, nell’ambito del “capitalismo dal volto umano” e della “via pacifica e parlamentare al socialismo tramite le riforme di struttura”.

L’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917- 1976) e l’inizio della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale darà inizio a partire dalla fine degli anni ’70 anche alla liquidazione di questi istituti e delle connesse istituzioni. La loro liquidazione è un aspetto dell’opera compiuta dai vertici della Repubblica Pontificia e dai suoi governi (prima i governi del CAF (6) e poi i governi delle Larghe Intese) nella quarantennale “epoca della più nera reazione” che in Italia è durata fino a quando le masse popolari con le elezioni del 4 marzo 2018 hanno aperto una breccia nel sistema politico borghese delle Larghe Intese tra la coalizione raccolta da Berlusconi (nella quale, a partire dal 2014, la Lega di Matteo Salvini aveva assunto un ruolo preminente) e il PD.


6. I governi del CAF (Craxi - Andreotti - Forlani) coprono il periodo 1976 - 1994. Il 10 maggio 1994 all’ultimo governo CAF (il governo Ciampi) succedette il primo governo Berlusconi, il primo governo delle Larghe Intese.

Questo fu frutto dell’accordo Stato-Mafia patrocinato dalla cricca di Giorgio Napolitano (ex PCI) che nel 2006 diventerà Presidente della Repubblica e nel 2013 neutralizzerà la prima affermazione elettorale del M5S negando a Bersani, capo del partito di maggioranza relativa, l’incarico di formare il governo: decisione che aprì al M5S la via verso l’affermazione elettorale del 2018 e la formazione dei “governi della breccia” Conte I e Conte II.


Approfondimento 8 - Le due vie al comunismo (brani estratti da articolo omonimo di VO 15 novembre 2003 pagg. 47-59)

La borghesia imperialista mantiene nelle sue mani la direzione della società, ma è costretta dall'azione combinata 1. delle lotte della classe operaia e del resto delle masse popolari, 2. del carattere sempre più collettivo delle forze produttive e della complessiva attività economica, 3. del carattere sempre più organico della società costituita dalla popolazione dell'intero pianeta, a creare istituti e istituzioni che tengono conto delle nuove condizioni sociali in cui oggi vivono gli uomini e le donne conciliandole in qualche modo con la sopravvivenza della proprietà capitalista delle forze produttive, con la direzione della borghesia imperialista sulla società intera e con l'antagonismo di interessi proprio della società borghese. Marx ha intravisto la nascita di quegli istituti e di quelle istituzioni studiando la dialettica del modo di produzione capitalista e della società borghese e li ha chiamati Forme Antitetiche dell'Unità Sociale (FAUS). Il grande ruolo svolto dal modo di produzione capitalista nello sviluppo dell'umanità consiste nell'aver portato alle estreme conseguenze il carattere mercantile dell'attività economica degli individui, nell’avere, in più, espropriato i singoli individui delle condizioni e dei mezzi necessari per svolgere la loro attività produttiva e nell’averle concentrate paese per paese e infine anche a livello mondiale nelle mani di pochi individui (i membri della borghesia) e, infine, nell’aver reso sociale anche il processo diretto di lavorazione: le merci (beni e servizi) non sono più prodotti del lavoro di singoli individui (artigiani), ma prodotti di un lavoro suddiviso tra i componenti di collettivi (di stabilimento o di società). La divisione sociale del lavoro (per cui unità distinte e indipendenti producono beni e servizi come merci) è duplicata dalla divisione tecnica del lavoro (per cui più salariati dello stesso capitale contribuiscono ognuno con una sua mansione alla produzione della stessa merce che quindi non è più per nessun verso un prodotto individuale di nessuno dei lavoratori che ha contribuito a produrla).

Quanto all'andamento di questo processo sociale, ogni capitalista si arroga la padronanza su parti ed aspetti più o meno importanti di esso. Ognuno dei membri della classe borghese svolge con la sua personale iniziativa un ruolo più o meno importante nell'animarlo e orientarlo. Ma per quanto le condizioni e i mezzi necessari all'intera società per produrre siano concentrati (a livello di paese e a livello mondiale e) in poche mani, nessun capitalista individualmente domina in modo completo e duraturo il loro impiego, né lo domina alcuna associazione di capitalisti, neanche la più comprensiva, estesa e vincolante che è lo Stato, nonostante tutti i suoi poteri e strumenti coercitivi. L'impossibilità del dominio completo e duraturo sorge da due lati. Da un lato ogni capitalista (e i capitalisti singoli o associati non sono altro che “funzionari del loro capitale”) per valorizzarsi - cioè per produrre e accumulare capitale - deve produrre e vendere merci, quindi deve contrapporsi come venditore e compratore ad altri capitalisti rispettivamente compratori e venditori.

Dall'altro lato ogni capitale deve contrapporsi ai proletari come compratore della forza-lavoro di cui quelli sono venditori liberi da vincoli personali con alcun singolo capitalista; in più una parte importante dei capitali devono contrapporsi anche come venditori ai proletari in quanto questi sono compratori di merci anche in questa veste liberi da vincoli personali con alcun singolo capitalista.

I membri della classe dominante sono i funzionari, gli amministratori, i portavoce e i tutori di un processo sociale, del relativo ordinamento sociale e delle leggi di funzionamento che gli sono proprie. Ma nessuno di essi può indirizzarlo a suo arbitrio né lo può la loro unione o associazione, neanche lo Stato, perché - come sopra visto - esso ordinamento sociale è per sua natura, costituzionalmente, basato su interessi antagonisti e inconciliabili e le sue leggi si fanno valere tramite lo scontro di interessi contrapposti, impersonati da individui che le ignorano e che comunque non possono sottrarsi alle leggi loro proprie, come il clero non può cessare di essere clero finché non scompare la chiesa, quali che siano il disagio e il comportamento dei singoli preti. Si tratta, come già visto, del contrasto di interessi della borghesia rispetto a quelli del proletariato e del contrasto tra gli interessi dei singoli borghesi (o delle loro “private” associazioni).

Uomini e donne sono così venuti a dipendere non da altri uomini o donne, ma da un processo sociale che nessuno domina pienamente, che per sua natura non può essere dominato pienamente (la cultura borghese esprime questo con “leggi naturali dell'economia”) né impedirsi di procedere per successive deviazioni di segno opposto (le vecchie crisi cicliche e gli attuali cicli ripresa/recessione), che obbedisce a una legge generale (l’accumulazione illimitata di capitali) che per sua natura prima o poi entra in contrasto inconciliabile con le sue condizioni materiali e sociali (il numero limitato di lavoratori, la devastazione dell'ambiente, l’esaurimento delle risorse naturali, ecc.) e con le stesse leggi particolari della sua attuazione: ciò che dà luogo alle “crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale”. La classe dominante - la borghesia imperialista - impedisce di sostituire da cima a fondo il processo sociale che essa impersona con un processo sociale meditato, pensato, deciso e quindi consapevolmente realizzato. Un nuovo processo sociale che affida la riproduzione della società a una attività economica della società che si sviluppa secondo un piano e che distribuisce secondo un piano i suoi prodotti: il comunismo appunto. La borghesia ha creato le premesse e le condizioni di esistenza di questo nuovo processo sociale. Gli uomini e le donne hanno bisogno di questo nuovo processo sociale. I presupposti per dare vita a questo nuovo processo sociale già esistono in larga misura. Ma esso può essere imposto contro di interessi costituiti e i loro difensori solo dalla lotta della classe operaia alla testa del resto delle masse popolari. Una lotta che da una parte neutralizzi e soffochi l’opposizione accanita e senza limiti della borghesia imperialista e dall'altra diriga il processo di apprendimento e di invenzione che la stessa classe operaia e il resto delle masse popolari devono compiere per trovare e mettere a punto gli istituti e istituzioni adeguati al nuovo processo sociale e rendere le proprie idee, i sentimenti, i comportamenti e le relazioni degli individui adatti e conseguenti con esso, superando le idee, i sentimenti, i comportamenti e le relazioni ai quali la borghesia nell’epoca dell’imperialismo educa e forma le masse.

I primi paesi socialisti sono stati per circa 40 anni (1917-1956) il primo cantiere su grande scala, su scala planetaria, di questa trasformazione dell’umanità; il primo passo del passaggio dalla preistoria alla storia, dal regno della necessità (dell'asservimento senza appello a un'entità astratta da ogni singolo individuo, da ogni associazione di individui, ma tremendamente reale e irresistibile almeno quanto il Dio delle vecchie religioni) al regno della libertà: dell'associazione degli uomini e delle donne che, associati, decidono delle proprie azioni e del proprio avvenire.

Ma forse che la società ancora dominata dalla borghesia imperialista non ha compiuto, a sua maniera, alcuni passi verso l'ordinamento futuro dell'umanità? La società borghese dell'epoca imperialista ha effettivamente compiuto passi di questo genere. Ovviamente ognuno di essi, stante il perdurante dominio della borghesia e la sopravvivenza dell'ordinamento sociale capitalista, si presenta principalmente “negativo”: come costrizione e limitazione alla tendenza e agli spiriti vitali dell'ordinamento borghese, anziché come avvio e come germe del nuovo e superiore ordinamento sociale. Ognuno di essi ovviamente, stanti i limiti dello sviluppo intellettuale e morale a cui lavoratori possono accedere nell'ambito della società borghese e senza l'ausilio dell'esperienza diretta del ruolo che eserciteranno nella nuova società e stante il dominio sociale della borghesia che riverbera la luce sinistra della sua barbarie in ogni campo della vita individuale e sociale, si presenta principalmente come licenza irresponsabile della massa dei lavoratori, anziché come iniziazione al nuovo ordinamento sociale. Ciò premesso, quali sono questi passi?

1. Si tratta degli istituti e delle misure, con il connesso apparato istituzionale, che attenuano e in qualche modo regolano i contrasti tra i singoli capitalisti e tra le loro “private associazioni” (tra i gruppi capitalisti), impongono alle attività volte ad accumulare capitali di mantenersi entro determinate regole e cercano di renderle congruenti con interessi e obiettivi di interesse pubblico: con la sopravvivenza delle condizioni naturali e sociali dello stesso processo di accumulazione del capitale.

2. Si tratta degli istituti e delle misure, con il connesso apparato istituzionale, che attenuano i contrasti tra l'insieme della borghesia e le masse popolari (in particolare la classe operaia) e in qualche misura tutelano le masse popolari dalle manifestazioni più estreme delle tendenze distruttive del modo di produzione capitalista sulla loro vita e favoriscono il loro sviluppo culturale e morale e la diffusione dell'esperienza a organizzarsi e dirigersi.

Tutte queste misure, istituti e istituzioni da una parte favoriscono la centralizzazione dei capitali, dall'altra si presentano ai capitalisti come limitazioni del loro diritto di proprietà, della loro libertà individuale di disporre dei mezzi e delle condizioni individuali e sociali della produzione e delle fonti della ricchezza, come condizioni sfavorevoli al successo della competizione con i capitalisti che ne sono esenti. In linea generale esse sono loro imposte dalla lotta della classe operaia e del resto delle masse popolari che in ogni paese capitalista avanzato e a livello internazionale sono largamente orientate dalla classe operaia che anche per questa via conferma di essere la classe dirigente della marcia verso il comunismo. La prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976) - che è coincisa ed è stata l’altra faccia della prima crisi generale del capitalismo - ha causato la nascita di un gran numero di FAUS in ogni campo. Questo sviluppo è proseguito, sulla spinta che quell’ondata aveva impresso alle masse popolari di tutto il mondo, fino grosso modo la metà degli anni ‘70. La borghesia imperialista ha “subìto”, a livello nazionale e internazionale, queste limitazioni alla sua libertà sia a causa dei movimenti nazionali delle masse popolari sia a causa della minaccia che il campo socialista e il movimento comunista internazionale facevano pesare su tutta la borghesia imperialista. Ogni “concessione” fatta dalla borghesia imperialista di singoli paesi in quel periodo va vista, da chi vuole capire la ragione e la legge che la governa, alla luce dei rapporti di forza a livello internazionale tra la borghesia imperialista e il movimento comunista. Sia la differenza delle “concessioni” da paese a paese sia il movimento universale di eliminazione o almeno ridimensionamento di quelle “concessioni” che la borghesia imperialista ha iniziato da quando il movimento comunista non la incalza più, mostrano chiaramente che quelle “concessioni” non provenivano dal cambiamento della natura del capitalismo (come varie “teste d’uovo” sdottorano), ma dalle costrizioni cui la borghesia imperialista è stata sottoposta. Quelle “concessioni” erano in realtà conquiste strappate dalle masse popolari che lottavano (o minacciavano di scendere in lotta) sotto la direzione di comunisti. “Impedire l’avvento del comunismo” è stato per circa 60 anni (1917-1975) l’imperativo supremo della borghesia imperialista cui essa ha subordinato anche le mosse scomposte dei singoli membri della sua classe. Per circa 60 anni il movimento comunista è stato una potenza mondiale che ha condizionato la vita di ogni paese, anche di quelli ancora diretti dalla borghesia imperialista e le relazioni internazionali.

Tutte quelle misure, istituti e istituzioni sono stati invece per le masse popolari e in particolare per gli operai, conquiste minime di civiltà e di benessere strappate alla borghesia imperialista a favore della loro classe, delle altre classi delle masse popolari, dei popoli oppressi e delle donne delle masse popolari. Sono state misure che hanno creato condizioni materiali, intellettuali e morali migliori per le masse popolari, posizioni più avanzate e più solide da cui portare una guerra più forte e su più grande scala alla borghesia imperialista e al suo ordinamento sociale. Esse hanno introdotto e radicato abitudini e attitudini all’organizzazione e all’autorganizzazione, hanno reso “naturale” che ogni individuo disponesse di assistenza sanitaria, di corsi scolastici, di alcuni altri servizi sociali “secondo i suoi bisogni”. Contraddittoriamente, stante la sopravvivenza e anzi la preminenza del capitalismo, esse sono anche diventate nuovi terreni per lo sviluppo di sistemi clientelari, per condurre operazioni di corruzione su larga scala, per fomentare l’opportunismo nella classe operaia e nelle masse popolari; terreni da cui la borghesia ha fatto leva sull’arretratezza delle masse popolari per promuovere la rassegnazione alla sopravvivenza dell’ordinamento sociale borghese. Le conquiste strappate si sono quindi combinate con gli errori e i limiti del movimento comunista come fattori che ne hanno arrestato la marcia in avanti, hanno determinato il suo ripiegamento e la sua regressione fino al crollo, nel 1989-91, di gran parte dei paesi socialisti, dei partiti comunisti e delle altre istituzioni che la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria aveva creato.


Approfondimento 9 - URSS e l’accesso crescente delle masse popolari alle attività specificamente umane

Negli anni 1924-1941 i sovietici realizzarono con successo quello che era il compito decisivo per il futuro, ineludibile: dotare il primo paese socialista di forze produttive moderne e di un sistema scientifico avanzato. La dittatura del proletariato fece in modo che questo compito fosse adempiuto con una grande mobilitazione delle masse popolari e creò un sistema di organizzazioni di massa e di istruzione pubblica che promuoveva nella misura maggiore consentita dalle circostanze interne e internazionali la partecipazione attiva, organizzata e consapevole delle masse popolari alle attività politiche e un largo accesso alle attività specificamente umane. Grazie a questo l’URSS uscì vittoriosa dalla terza aggressione promossa da tutte le potenze imperialiste e attuata militarmente dalla Germania nazista e da alcuni (il Giappone non partecipò perché impegnato contro gli USA) dei suoi dichiarati alleati. La borghesia imperialista USA e di Gran Bretagna parteciparono alla preparazione dell’aggressione contro l’URSS iniziata dalla Germania nel 1941 (investimenti e collaborazione diplomatica, guerra di Spagna, Trattato di Monaco, guerra di Finlandia) ma non poterono partecipare apertamente all’attacco finale dell’URSS grazie alla mobilitazione popolare promossa nei due paesi dall’Internazionale Comunista (vedasi Un libro e alcune lezioni, VO 24 - novembre 2006) e all’abile sfruttamento dei contrasti tra i gruppi imperialisti da parte del governo sovietico (vedasi il Trattato Molotov-Ribbentropp del 1939). Anche la ricostruzione dell’apparato produttivo distrutto dalla guerra 1941-1945 in URSS venne compiuta rapidamente ma non diede una risposta adeguata ai due compiti che allora erano divenuti principali: 1. promuovere in URSS l’accesso crescente delle masse popolari alle attività specificamente umane e 2. sostenere in tutti i terreni il movimento comunista internazionale, in particolare in Cina, in Indocina e nell’Asia meridionale. Il XIX Congresso e lo scritto Problemi economici del socialismo in URSS di Stalin del 1952 mostrano i limiti del PCUS nella comprensione delle condizioni della lotta di classe in URSS dopo la vittoria del 1945. Per esempio, nel cap. VII di questo scritto Stalin indica come obiettivo del socialismo “la soddisfazione dei bisogni materiali e culturali crescenti delle masse popolari”, ma non il loro crescente accesso alle attività specificamente umane.

In definitiva, questi limiti consentirono l’avvento al potere in URSS dei revisionisti moderni che diedero il via alla corrosione del socialismo in URSS e in Europa orientale fino alla dissoluzione del 1991.


Approfondimento 10 - L’esempio dell’Ucraina

https://contropiano.org/documenti/2022/08/15/ucraina-linvasione-del-capitale-0151730

Ucraina: l’invasione del Capitale di *Michael Roberts

La scorsa settimana, i creditori privati stranieri dell’Ucraina hanno accolto la richiesta del Paese di congelare per due anni i pagamenti di circa 20 miliardi di dollari di debito estero. Ciò consentirebbe all’Ucraina di evitare l’insolvenza sui prestiti contratti all’estero.

A differenza di altre “economie emergenti” in difficoltà sul fronte del debito, sembra che gli obbligazionisti stranieri siano felici di aiutare l’Ucraina, anche se solo per due anni. La mossa farà risparmiare all’Ucraina 6 miliardi di dollari nel periodo, contribuendo a ridurre la pressione sulle riserve della banca centrale, che sono diminuite del 28% da un anno all’altro, nonostante gli ingenti aiuti esteri.

L’economia ucraina, non a caso, è in condizioni disperate. Si prevede che il PIL reale diminuirà di oltre il 30% nel 2022 e il tasso di disoccupazione è del 35% (Constantinescu et al., 2022; Blinov e Djankov, 2022; Banca Nazionale Ucraina, 2022).

Siamo grati per il sostegno del settore privato alla nostra proposta in tempi così terribili per il nostro Paese”, ha risposto Yuriy Butsa, viceministro delle Finanze ucraino, “vorrei sottolineare che il sostegno che abbiamo ricevuto durante questa transazione è difficile da sottovalutare”.“Rimarremo pienamente impegnati con la comunità degli investitori anche in futuro e speriamo nel loro coinvolgimento nel finanziamento della ricostruzione del nostro Paese dopo la vittoria della guerra”, ha detto Butsa.

Qui Butsa rivela il prezzo da pagare per questa limitata generosità da parte dei creditori stranieri: l’accelerazione della richiesta delle multinazionali e dei governi stranieri di assumere il controllo delle risorse dell’Ucraina e di portarle sotto il controllo del capitale straniero senza alcuna restrizione e limitazione. In un post recente, avevo delineato il piano per privatizzare e consegnare le vaste risorse agricole dell’Ucraina alle multinazionali straniere. Da diversi anni, una serie di rapporti dell’Istituto di osservazione economica di Oakland documentano l’acquisizione di capitali stranieri. Gran parte di ciò che segue proviene da quei rapporti.

L’Ucraina post-sovietica, con i suoi 32 milioni di ettari coltivabili di ricca e fertile terra nera (nota come “cernozëm”), possiede l’equivalente di un terzo di tutta la terra agricola esistente nell’Unione Europea.

Il “granaio d’Europa”, come viene chiamato, ha una produzione annuale di 64 milioni di tonnellate di cereali e semi, tra i maggiori produttori mondiali di orzo, grano e olio di girasole (per quest’ultimo, l’Ucraina produce circa il 30% del totale mondiale).

Come ho spiegato nel mio precedente post, l’acquisizione pianificata delle risorse dell’Ucraina ha in parte provocato il conflitto: la guerra semi-civile, la rivolta di Maidan e l’annessione della Crimea da parte della Russia.

Come ha sottolineato l’Oakland Institute, per limitare la privatizzazione sfrenata, nel 2001 era stata imposta una moratoria sulla vendita di terreni agli stranieri. Da allora, l’abrogazione di questa norma è stata uno dei principali obiettivi delle istituzioni occidentali. Già nel 2013, ad esempio, la Banca Mondiale ha concesso un prestito di 89 milioni di dollari per lo sviluppo di un programma di atti e titoli di proprietà fondiaria necessari per la commercializzazione delle terre di proprietà dello Stato e delle cooperative. Nelle parole di un documento della Banca Mondiale del 2019, l’obiettivo era quello di “accelerare gli investimenti privati in agricoltura”.

Quell’accordo, denunciato all’epoca dalla Russia come una porta di servizio per facilitare l’ingresso delle multinazionali occidentali, include la promozione della “produzione agricola moderna… incluso l’uso delle biotecnologie”, un’apparente apertura verso le colture OGM nei campi ucraini.

Nonostante la moratoria sulla vendita di terreni agli stranieri, nel 2016 dieci multinazionali agricole erano già arrivate a controllare 2,8 milioni di ettari di terreno. Oggi, alcune stime parlano di 3,4 milioni di ettari nelle mani di società straniere e di società ucraine con fondi stranieri come azionisti. Altre stime arrivano a 6 milioni di ettari.

La moratoria sulle vendite, che il Dipartimento di Stato statunitense, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale avevano ripetutamente chiesto di rimuovere, è stata infine abrogata dal governo Zelensky nel 2020, prima di un referendum finale sulla questione previsto per il 2024.

Ora, con la guerra in corso, i governi e le imprese occidentali stanno intensificando i loro piani per incorporare l’Ucraina e le sue risorse nelle economie capitalistiche dell’Occidente. Il 4 e 5 luglio 2022, alti funzionari di Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna, Giappone e Corea del Sud si sono incontrati in Svizzera per la cosiddetta “Conferenza sulla ripresa dell’Ucraina” (Ukraine Recovery Conference, da qui URC).

L’agenda dell’URC era esplicitamente incentrata sull’imposizione di cambiamenti politici al Paese, ovvero “rafforzamento dell’economia di mercato”, “decentralizzazione, privatizzazione, riforma delle imprese statali, riforma fondiaria, riforma dell’amministrazione statale” e “integrazione euro-atlantica”.

L’ordine del giorno era in realtà un seguito alla Conferenza sulla riforma dell’Ucraina del 2018, che aveva sottolineato l’importanza di privatizzare la maggior parte del settore pubblico ucraino rimanente, affermando che “l’obiettivo finale della riforma è quello di vendere le imprese statali agli investitori privati”, insieme alla richiesta di ulteriori “privatizzazioni, deregolamentazione, riforma energetica, riforma fiscale e doganale”.

Lamentando che “il governo è il più grande detentore di beni dell’Ucraina”, il rapporto afferma: “La riforma delle privatizzazioni e delle aziende di Stato è stata a lungo attesa, poiché questo settore dell’economia ucraina è rimasto in gran parte invariato dal 1991”.

L’ironia è che i piani dell’URC per il 2018 sono stati osteggiati dalla maggior parte degli ucraini. Un sondaggio dell’opinione pubblica ha rilevato che solo il 12,4% era favorevole alla privatizzazione delle imprese statali (SOE), mentre il 49,9% si opponeva (un ulteriore 12% era indifferente, mentre il 25,7% non ha risposto).

Tuttavia, la guerra può fare la differenza. Nel giugno 2020, l’FMI ha approvato un programma di prestito di 18 mesi e 5 miliardi di dollari con l’Ucraina. In cambio, il governo ucraino ha revocato la moratoria di 19 anni sulla vendita di terreni agricoli di proprietà statale, dopo le forti pressioni esercitate dalle istituzioni finanziarie internazionali.

Olena Borodina, della Rete ucraina per lo sviluppo rurale, ha commentato che “gli interessi del settore agroalimentare e gli oligarchi saranno i primi beneficiari di questa riforma… Questo non farà altro che emarginare ulteriormente i piccoli agricoltori e rischia di separarli dalla loro risorsa più preziosa”.

E ora l’URC di luglio ha ribadito i suoi piani di acquisizione dell’economia ucraina da parte del capitale, con la piena approvazione del governo Zelensky. Al termine dell’incontro, tutti i governi e le istituzioni presenti hanno approvato una dichiarazione congiunta denominata Dichiarazione di Lugano. Questa dichiarazione è stata integrata da un “Piano di ripresa nazionale”, a sua volta preparato da un “Consiglio di ripresa nazionale” istituito dal governo ucraino.

Il Piano prevede una serie di misure a favore del capitale, tra cui la “privatizzazione delle imprese non critiche” e la “finalizzazione dell’aziendalizzazione delle SOE”, come ad esempio la vendita della società statale ucraina di energia nucleare EnergoAtom.

Per “attrarre capitali privati nel sistema bancario”, la proposta chiedeva anche la “privatizzazione delle banche statali (SOB)“. Cercando di aumentare “gli investimenti privati e di stimolare l’imprenditorialità a livello nazionale”, il Piano di ripresa nazionale ha sollecitato una significativa “deregolamentazione” e ha proposto la creazione di “progetti catalizzatori” per sbloccare gli investimenti privati nei settori prioritari.

In un esplicito invito a ridurre le tutele del lavoro, il documento ha attaccato le rimanenti leggi a favore dei lavoratori in Ucraina, alcune delle quali sono un retaggio dell’era sovietica. Il Piano lamenta una “legislazione del lavoro obsoleta che porta a complicare i processi di assunzione e licenziamento, la regolamentazione degli straordinari, ecc.”.

Come esempio di questa presunta “legislazione del lavoro obsoleta”, il piano sostenuto dall’Occidente lamenta il fatto che ai lavoratori ucraini con un anno di esperienza viene concesso un “periodo di preavviso per il licenziamento” di nove settimane, rispetto alle sole quattro settimane della Polonia e della Corea del Sud.

Nel marzo 2022, il Parlamento ucraino ha adottato una legislazione d’emergenza che consente ai datori di lavoro di sospendere i contratti collettivi. Poi, a maggio, ha approvato un pacchetto di riforme permanenti che di fatto esenta la stragrande maggioranza dei lavoratori ucraini (quelli delle aziende con meno di 200 dipendenti) dal diritto del lavoro ucraino.

I documenti trapelati nel 2021 mostrano che il governo britannico ha istruito i funzionari ucraini su come convincere un’opinione pubblica recalcitrante a rinunciare ai diritti dei lavoratori e ad attuare politiche antisindacali.

I materiali di formazione lamentavano il fatto che l’opinione popolare nei confronti delle riforme proposte fosse in gran parte negativa, ma fornivano strategie di messaggistica per indurre gli ucraini a sostenerle.

Mentre i diritti dei lavoratori saranno eliminati nella “nuova Ucraina”, il Piano di ripresa nazionale mira invece ad aiutare le imprese e i ricchi riducendo le tasse. Il piano si lamenta del fatto che il 40% del PIL ucraino provenisse dal gettito fiscale, definendolo un “onere fiscale piuttosto elevato” rispetto all’esempio della Corea del Sud.

Il piano chiede quindi di “trasformare il servizio fiscale” e di “rivedere il potenziale per diminuire la quota del gettito fiscale sul PIL”. In nome della “integrazione nell’UE e dell’accesso ai mercati”, ha proposto anche la “rimozione delle tariffe e delle barriere non tariffarie non tecniche per tutti i beni ucraini”, chiedendo al contempo di “facilitare l’attrazione degli IDE [investimenti diretti esteri] per portare in Ucraina le più grandi aziende internazionali”, con “speciali incentivi agli investimenti” per le società straniere.

Oltre al Piano di ripresa nazionale e al briefing strategico, la Conferenza sulla ripresa dell’Ucraina del luglio 2022 ha presentato un rapporto preparato dalla società Economist Impact, una società di consulenza aziendale che fa parte del Gruppo Economist.

L’Ukraine Reform Tracker spinge ad “aumentare gli investimenti diretti esteri” da parte delle società internazionali, e non a investire risorse in programmi sociali per il popolo ucraino. Il rapporto del Tracker sottolinea l’importanza di sviluppare il settore finanziario e chiede di “rimuovere le regolamentazioni eccessive” e le tariffe.

Chiede di “liberalizzare ulteriormente l’agricoltura” per “attrarre gli investimenti stranieri e incoraggiare l’imprenditoria nazionale”, nonché “semplificazioni procedurali” per “rendere più facile per le piccole e medie imprese[…] espandersi acquistando e investendo in beni di proprietà dello Stato”, rendendo così “più facile per gli investitori stranieri entrare nel mercato dopo il conflitto”.

L’Ukraine Reform Tracker ha presentato la guerra come un’opportunità per imporre l’acquisizione da parte del capitale straniero. “Il momento postbellico può rappresentare un’opportunità per completare la difficile riforma fondiaria estendendo il diritto di acquistare terreni agricoli a persone giuridiche, anche straniere”, si legge nel rapporto.

L’apertura della strada al capitale internazionale per l’agricoltura ucraina probabilmente aumenterà la produttività del settore, incrementando la sua competitività nel mercato dell’UE”, ha aggiunto.

Una volta terminata la guerra, il governo dovrà anche prendere in considerazione la possibilità di ridurre in modo sostanziale la quota delle banche statali, privatizzando Privatbank, il più grande istituto di credito del Paese, e Oshchadbank, che si occupa di pensioni e pagamenti sociali”.

Altrove le politiche pro-capitale offerte dagli economisti occidentali semi- keynesiani sono meno esplicite. In una recente raccolta del Center for Economic Policy Research (CEPR), diversi economisti hanno proposto Politiche macroeconomiche per l’Ucraina in tempo di guerra.

In questo documento gli autori “sottolineano all’inizio che la crisi ucraina non è un contesto per un tipico programma di aggiustamento macroeconomico, cioè non le solite richieste di austerità fiscale e privatizzazione del FMI”.

Ma dopo molte pagine, diventa chiaro che le loro proposte sono poco diverse da quelle dell’URC. Come dicono loro stessi, “l’obiettivo dovrebbe essere quello di perseguire un’ampia e radicale deregolamentazione dell’attività economica, evitare il controllo dei prezzi, facilitare l’incontro tra lavoro e capitale e migliorare la gestione dei beni russi sequestrati e di altri beni sottoposti a sanzioni”.

L’acquisizione dell’Ucraina da parte del capitale (principalmente straniero) sarà così completata e l’Ucraina potrà iniziare a ripagare i suoi debiti e a fornire nuovi profitti all’imperialismo occidentale.

*Tradotto dal suo blog thenextrecession


Approfondimento 11 - Scheda informativa su IDE (Investimenti Diretti Esteri) Cina e import/export Russia IDE Cina Nuovo record degli investimenti diretti esteri (Ide) nella Cina continentale.

Nei primi 11 mesi dell'anno scorso (2021) i cosiddetti Ide hanno superato la soglia di 1 trilione di yuan (156,85 miliardi di dollari), valore superiore a quello registrato nell'intero 2020 e che titola il paese del Dragone come prima destinazione di investimento a livello globale. I dati sono del China Center for International Economic Exchanges.

In particolare, gli Ide nel settore terziario hanno rappresentato circa l'80% degli investimenti totali nei primi 11 mesi dell’anno, una conseguenza secondo gli osservatori, dell'accelerazione dei processi di apertura del settore finanziario, con la rimozione dei limiti alla proprietà straniera in diverse attività, dal trading azionario alla gestione dei fondi, dei contratti a termine e per le compagnie di assicurazione sulla vita. Anche l'accesso al terziario nelle zone di libero scambio commerciale ha contribuito in modo significativo al dato sugli Ide.

Più di un terzo delle quasi 1.700 imprese finanziarie autorizzate a Shanghai l'anno scorso sono ad investimento estero e il numero continua a crescere. Nel 2005, il settore terziario occupava solo il 24,7% degli Ide totali in Cina: questo è aumentato a più del 50% nel 2011 e al 77,7% nel 2020, rendendo il terziario la scelta principale per gli investitori stranieri.

Il settore terziario, che sta diventando il perno per attirare investimenti stranieri, rispecchia le caratteristiche dell'attuale sviluppo economico della Cina”, ha affermato Wang Xiaohong, vicecapo del dipartimento di informazione del China Center for International Economic Exchanges.”

(…) Anche se il flusso in espansione degli investimenti stranieri nel settore terziario è stato molto rilevante, gli analisti del China Center for International Economic Exchanges affermano che il settore manifatturiero, una tradizionale miniera d'oro per gli investitori stranieri, non sta affatto soffrendo.

Nel manifatturiero, gli investitori stranieri stanno ponendo più attenzione all’area Ricerca e Sviluppo”, ha spiegato Fang Aiqing, vicedirettore del Comitato economico del Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese.

https://www.classxhsilkroad.it/news/azienda-finanza/record-nel-2021-di-investimenti-esteri-in-cina-grazie-alla-finanza-202201051328545888


Gli investimenti cinesi diretti all'estero (Ide) sono aumentati del 12,3% su base annua, attestandosi a 153,7 miliardi di dollari nel 2020, facendo della Cina il primo investitore all'estero nel mondo.

È quanto emerge da un rapporto ufficiale pubblicato oggi congiuntamente a Pechino da Ministero del Commercio, Ufficio statistico nazionale e l'authority cinese per il commercio estero (Administration of Foreign Exchange).

L'influenza cinese negli investimenti diretti globali all'estero ha continuato ad aumentare fino a toccare nel 2020 il 20,2% del flusso globale di Ide. Alla fine del 2020, lo stock di investimenti diretti verso l'estero era di 2.580 miliardi di dollari. L'anno scorso, gli investimenti della Cina hanno finanziato 45.000 imprese d'oltremare in 189 Paesi e regioni diversi, coprendone oltre l'80% a livello globale. Nel rapporto si legge che sempre nel 2020 gli investimenti nei Paesi lungo la Belt and Road sono aumentati costantemente e il loro importo totale ha mostrato un'espansione del 20,6% su base annua attestandosi a 22,54 miliardi di dollari. Inoltre più del 70% degli investimenti esteri cinesi sono confluiti nel leasing e nei servizi alle imprese, nella produzione, nel commercio all'ingrosso e al dettaglio e nei settori finanziari e hanno tutti beneficiato di oltre 10 miliardi di dollari dalla Cina. Nel 2020 le imprese finanziate dalla Cina all'estero hanno impiegato circa 2,18 milioni di personale locale, pari al 60,6% del numero totale dei dipendenti di queste aziende.

(ANSA-XINHUA - PECHINO, 29 SET 2021, responsabilità editoriale XINHUA)


Riepilogo sugli IDE della Cina

Nel 2020 (anno della pandemia da Covid-19) la Cina è stata il primo investitore al mondo, generando un volume di IDE di 153,7 miliardi di dollari, pari al 20,2% del flusso globale di IDE.

Nel 2021 (meno dicembre) gli IDE nella Cina “continentale” hanno raggiunto la cifra record di 156,85 miliardi di dollari, qualificandola come prima destinazione di investimento a livello globale.

In conclusione, due record a livello mondiale: quello degli IDE in ingresso e quello degli IDE in uscita, con volumi analoghi. Anche queste “aride” cifre contribuiscono a spiegare perché gli USA considerano la Cina come il loro avversario strategico.


Import/export Russia Le esportazioni della Russia nei primi dieci mesi del 2021 sono state pari a 388,4 miliardi di dollari.

I primi 7 partner commerciali della Russia sono:



Miliardi $ US

%

Cina

112,4

28,9

Germania

46,1

11,9

Paesi Bassi

37,0

9,5

USA

28,8

7,4

Turchia

25,7

6,6

Corea del Sud

24,4

6,3

Italia

23,7

6,1

Tot. primi 7 Paesi

298,1

76,8

Altri Paesi

90,3

23,2

Totale export

388,4

100


Nota.

Elaborazione dei dati riportati nell’articolo.


Fondamentalmente, la Russia fornisce a questi Paesi combustibili e prodotti energetici, metalli e prodotti chimici.

Circa il 13% viene esportato invece nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), soprattutto in Bielorussia e Kazakistan, con cui il giro d’affari è rispettivamente di 13,4 e 11,4 miliardi $.

Le principali forniture in area CSI sono materie prime, carburante e cibo.

Ecco i sei principali prodotti di esportazione della Russia in termini di valore del prodotto.


%

Combustibile ed energia

53,8

Metalli e prodotti in metallo

11,2

Prodotti dell’industria chimica

7,6

Prodotti alimentari e materie prime per la loro produzione

7,2

Macchinari e attrezzature

6,3

Legname e prodotti di cellulosa e carta

3,6

Tot. primi 6 prodotti

89,7

https://it.rbth.com/economia/86756-cosa-ha-esportato-la-russia Russia Beyond The Headlines (Legion media; Ufficio stampa di GAZ)


Il modo più semplice di descrivere l’economia russa è quella di una nazione che, come altre a medio livello di sviluppo, esporta soprattutto materie prime e con il ricavato in valuta pregiata – dunque meno soggetta alle fluttuazioni del rublo – acquista prodotti lavorati e semilavorati.

L’export russo è poi particolarmente concentrato in un settore, ovvero quello che include le forniture energetiche di petrolio, gas naturale e carbone. Secondo quanto mostrano i dati dell’Economic Complexity Observatory, che compila informazioni dettagliatissime su acquisti e vendite in moltissime nazioni del mondo, nel 2019 il 60% del valore complessivo di quanto esportato è ricaduto in questa categoria, per un ammontare totale di circa 240 miliardi di dollari. Per dare un’idea, il solo export di questa categoria di materie prime finanzia (persino con un piccolo avanzo) l’intero import russo.

Anche al di là dell’energia la Russia si concentra in larghissima parte sempre sulle materie prime, vendendo per esempio oro, platino, oppure anche grano per un ammontare che in ciascun caso va grosso modo dai 6 agli 8 miliardi di dollari.

I primi flussi significativi di prodotti lavorati o semilavorati rappresentano invece una parte ben più piccola dell’interscambio russo verso l’estero e, per citare qualche caso, troviamo 2,3 miliardi in turbine a gas, oltre 6 miliardi in fertilizzanti, 2,2 miliardi in aerei, 1,6 miliardi in veicoli e loro parti. Valori dunque che contano soltanto un’unghia rispetto alle vendite di materie prime.

Come anticipato, la Russia usa i proventi del proprio export per acquistare soprattutto prodotti lavorati, spesso ad alta tecnologia, che non è in grado di produrre internamente. Parliamo tra l’altro di computer (3,3 miliardi), parti di macchinari da ufficio (2,4 miliardi), macchine pesanti (2 miliardi), oppure equipaggiamento per la trasmissione (6,7 miliardi), vari tipi di prodotti elettrici per diversi miliardi di euro. Oltre a questo troviamo auto per 11 miliardi e relative parti per 8, 10 miliardi di dollari in prodotti farmaceutici e così via.

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/03/08/come-si-misura-leconomia- russa-limport-export-settore-per-settore/


Approfondimento 12 - L’era Eltsin(*)

(*) Alessandro Di Battista (senza rendersene conto) dice come negli anni ’90 nell’epoca Gorbaciov-Eltsin si avviò e si svolse la terza fase attraversata dai primi paesi socialisti che in Russia è ancora in corso nell’era Putin: serve a mettere con i piedi per terra anche il dibattito franco e aperto (DFA) sulla natura della Russia attuale.


Da il Fatto Quotidiano del 01.08.2022

Il sangue degli ultimi per Kiev e Putin che flirta con Buddha di Alessandro Di Battista


Tra Mongolia e lago Bajkal - Le relazioni con il Lama dell’Ivolginskij Datsan in nome della “Patria” e i risarcimenti per i soldati morti. “Abbiamo lavoro e sicurezza, non come negli anni 90”


Nel grande tempio dell’Ivolginskij Datsan, il monastero più importante del Paese, è appesa, in bella mostra, una lettera di Putin indirizzata a Pandito Khambo Lama, il leader spirituale dei buddisti russi. Ogni giorno, centinaia di pellegrini, dopo aver pregato di fronte ad una delle statue del Buddha nella classica posizione del loto, leggono queste parole: “Egregio Pandito Khambo Lama, mi congratulo con Lei per il Giorno della Russia. Questa festa è cara a tutti coloro che sono orgogliosi della loro Patria”. Questo sì che è soft-power. D’altro canto curare le relazioni con i cittadini sparsi in tutto gli angoli dell’impero, a cominciare dalla Buriazia, è un lavoro che gli uomini di Putin portano avanti con molta diligenza. La Buriazia è una delle Repubbliche che formano la Federazione Russa. Incastonata tra il lago Bajkal, l’oblast di Irkutsk, il territorio della Transbajkalia e la Mongolia, la Buriazia è abitata da poco meno di un milione di persone nonostante sia più grande dell’Italia. Proprio in Mongolia, dopo aver attraversato la Buriazia, passerà il nuovo immenso gasdotto che porterà il gas siberiano in Cina. Sebbene il buddismo sia una religione che predica pace e perdono molti buriati sono partiti per il fronte ucraino. A volte si guarda più alle ristrettezze economiche che alla propria fede.

La Buriazia è una delle regioni più povere della Russia. Poche fabbriche e molta terra. Una terra difficilmente coltivabile in inverno, quando i venti gelidi sferzano la steppa. Fuori città i buriati allevano cavalli, mucche e pecore. La vita non è facile ma qui sono abituati ad affrontare le difficoltà. Agli abitanti del Paese, siano essi russi, buriati o tatari, basta un cetriolo, qualche patata ed un paio di pomodori per resistere a lungo. Anche per questo le sanzioni non sortiranno l’effetto che chi le ha pensate si è prefissato. Le sanzioni non fiaccheranno una popolazione che ha attraversato, incolume, gli anni ’90, il “periodo nero” come lo chiama Alessandro Orsini.

Le sanzioni colpiscono i più deboli, coloro che non abitano i quartieri cool di Mosca, dove i giovani sorseggiano un cappuccino sotto gli alberi degli Stagni del Patriarca tra i luoghi descritti da Bulgakov ne Il Maestro e Margherita. E sono proprio i più deboli, coloro che spesso sono cresciuti schivando le botte di un padre ubriaco ad arruolarsi nell’esercito. E magari sono proprio loro i primi a morire in guerra. È accaduto anche ai buriati, ragazzi nati e cresciuti a migliaia di km dal Donbass, ragazzi poveri che, anche in virtù di un’educazione scadente, più che pensare, sanno obbedire.

Ad Ulan Ude i giovani sfrecciano sui monopattini davanti ad un’immensa testa di Lenin. I più piccoli chiedono lo zucchero filato alle mamme. Gruppi di turisti mongoli ridono a crepapelle mentre si scattano fotografie intorno ad un pianoforte rivestito con tessuto sintetico. È estate e si possono finalmente vivere le strade e le piazze della città. Sulla destra, sopra uno dei palazzi comunali dove le coppie vanno a sposarsi uno striscione con scritto Buriazia Za Pravdu (“La Buriazia per la verità”, con la Z simbolo dell’invasione in evidenza) ricorda che il Paese è in guerra. Il fronte è lontano. Mariupol dista da Ulan Ude 6.147 km. Eppure di bare con dentro i corpi di giovani soldati morti in Ucraina ne sono arrivate a centinaia, soprattutto nei primi due mesi di guerra. Qui nessuno vuole parlare dei buriati caduti morti in Donbass. Ferite ancora aperte sì, ma anche paura. Dopo aver perso un figlio in guerra difficilmente si vuole correre il rischio di perdere anche il risarcimento destinato ai familiari dei soldati uccisi in Ucraina. Anche perché si tratta di molto denaro. Putin, lo scorso marzo, ha dichiarato che i familiari dei militari morti avrebbero ottenuto 7,5 milioni di rubli. Più o meno 127.000 euro con il cambio attuale. Soldi che in alcuni quartieri di Mosca non bastano per un monolocale ma ad Ulan Ude consentono di comprare un paio di appartamenti in centro. Per non parlare dei villaggi più sperduti della Buriazia, dove si sopravvive con un paio di vacche e qualche pecora.

Nel 2020 il regista Spike Lee, presentando Da 5 Bloods ricordava i neri morti in Vietnam. Una percentuale spropositata in relazione al numero di afroamericani che viveva in USA. Anche allora i più poveri, i meno istruiti, i figli degli alcolizzati si trasformavano in carne di cannone. Con una sola differenza. La vita in Buriazia è dura ma oggi si vive infinitamente meglio di quanto non si vivesse negli anni ’90. Mi domando come sia possibile, soprattutto in relazione ai servizi disponibili nei quartieri alti di Mosca o Pietroburgo, non assistere ad oceaniche manifestazioni antigovernative ad Ulan Ude. Ma basta parlare con loro per capirlo. Victor lavora nel business della giada e la giada più pregiata la comprano i cinesi. “Qui negli anni ’90 la giada era uno dei tanti business in mano al crimine organizzato. La polizia al posto di proteggere i cittadini si comportava come una banda. I mafiosi taglieggiavano tutti i negozianti, persino gli studenti delle scuole erano obbligati a versare al crimine la tassa mensile. Nessuno ha dimenticato quegli anni e nessuno vorrebbe riviverli”. Sergej è un imprenditore, ha un ristorante ed una discoteca in città. “Oggi posso lavorare tranquillamente, negli anni ’90 non me l’avrebbero permesso”.

Il paradosso russo è tutto qui. Sono le persone in difficoltà i principali sostenitori di Putin. D’altronde a stomaco vuoto si pensa meno a libertà e democrazia. Negli anni ’90 erano molti a sognare un pasto caldo al giorno. Oggi nessuno muore di fame in Russia. Negli anni ’90 mancavano garze e siringhe, oggi ad Ulan Ude, finalmente, c’è una clinica specializzata nel trattamento del cancro. È stato Alexey Tsydenov, governatore della Buriazia, ad inaugurarla. È stato Putin a nominarlo. A settembre ci saranno le elezioni. In città tutti sanno che sarà a lui a vincere. C’è chi lo voterà perché soddisfatto del suo operato e chi perché teme che se dovesse vincere un altro candidato da Mosca arriverebbero meno soldi. Tsydenov è uomo di Putin, è stato viceministro ai trasporti, conosce i dirigenti di Russia Unita – il partito del Presidente – e sa come ottenere rubli per la sua terra. “La differenza tra noi e voi” dice Victor, “è che voi quando votate non sapete chi vincerà, noi lo sappiamo sempre”. Ulan Ude è migliorata negli ultimi 10 anni. Ponti, centri sportivi, ospedali. Tutto grazie ai denari del gas. L’allontanamento dall’Europa ed il conseguente rafforzamento delle relazioni politico- commerciali con la Cina, da queste parti vengono visti come opportunità. I cinesi già comprano gas, carbone, giada. La pandemia, prima o poi, finirà e qui tutti si augurano che i cinesi si riverseranno in massa sulla costa buriata del lago Baijkal, il gioiello della Siberia. E poi sperano che la costruzione del nuovo gasdotto porterà migliaia di posti di lavoro. Piaccia o meno per molti è stato Putin a condurre il Paese fuori da quei maledetti anni ’90. Un Presidente che scrive direttamente al Lama dell’Ivolginskij Datsan tanto che i primi a indignarsi, quando qualcuno lo paragona a Stalin, sono i buddisti più anziani. Quelli che hanno dovuto ricostruire i templi fatti abbattere nell’epoca stalinista.


Approfondimento 13 - Per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese

Non basta che il partito al potere si chiami comunista: bisogna vedere come seleziona i suoi membri, come li forma, le classi a cui appartengono, che ruolo hanno nella vita sociale (nelle aziende, nelle istituzioni, nelle scuole, nei villaggi, ecc.).

Bisogna vedere quali sono le misure attuate per promuovere e accrescere la partecipazione della popolazione alle attività propriamente umane. Bisogna vedere come sono gestite le aziende: la gestione delle aziende è fatta per il profitto dei capitalisti, quindi secondo il criterio “rende o non rende” (*) oppure per soddisfare i bisogni individuali e collettivi della popolazione, quindi secondo il criterio “cosa serve”. Bisogna vedere in quali condizioni si lavora nelle aziende in termini di sicurezza, di rapporto tra quadri tecnici e amministrativi e operai semplici, di direzione del Partito (attraverso un suo Comitato all’interno dell’azienda o altri organismi) sul personale, ecc.

(*) Questo era il quesito già dominante tra i dirigenti sovietici dell’epoca Breznev: erano oppressi dal fatto che i soldi che loro investivano nelle aziende sovietiche rendevano meno di quanto rendevano i soldi che i capitalisti occidentali investivano nelle proprie aziende.


Bisogna considerare che ci sono errori e c’è la linea. Per esempio, concentrare la produzione del cotone nell’area del lago Bajkal (URSS) negli anni ‘30 è stato un errore della direzione bolscevica: non era stato fatto per fare maggiori profitti ma convinti che fosse il modo migliore per soddisfare il bisogno di cotone (vestiti, ecc.). La concentrazione della produzione in alcune zone ha effetti deleteri sull’ambiente e di riflesso sulla gente che ci abita, ma gli effetti negativi di alcune lavorazioni (come la combustione del carbone) non si conoscevano ancora. Ci si è resi conto solo a un certo punto che l’urbanesimo era dannoso. Se la Cina non avesse un’industria aerospaziale sviluppata, come sarebbe messa di fronte all’aggressività degli imperialisti USA?

Nella RPC il PCC regola l’autonomia dei gruppi imperialisti stranieri in Cina e l’autonomia dei gruppi industriali cinesi nel mondo e le esportazioni di capitali cinesi all’estero ha superato negli ultimi anni l’importazione di capitali stranieri in Cina, ma in misura modesta. In che misura, sarebbe utile individuarlo: molto probabilmente la RPC esporta molto più merci che capitali. Quanto alla Federazione Russa, essa è soprattutto un paese che esporta materie prime e derrate agricole. Qui è necessaria una premessa. La storia della specie umana si è sviluppata sulla base della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza individuale e sociale, di quello di cui gli individui e la loro società avevano bisogno. È la tesi base del materialismo storico. Le condizioni materiali dell’esistenza, sia quelle individuali che quelle sociali, sono state in ogni epoca e località storicamente date, ben definite.

Con il loro modo di produzione, i capitalisti hanno dato alla produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza individuale e sociale la forma dell’accumulazione di capitale. Essa ha prevalso sulle forme precedenti perché comportava che gli individui e la loro società dedicassero la loro energia e intelligenza alla produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza individuale e sociale. Gli uomini avevano sempre sofferto dei limiti della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza individuale e sociale. Il nuovo modo di produzione mostrava che essi erano in grado di superare ogni ostacolo al suo allargamento. Quindi esso prevalse e non poteva non prevalere sui modi di produzione precedenti. Inutilmente preti e saggi delle civiltà fino allora create predicarono l’astinenza e il digiuno, il culto di dio e degli eroi. Porre fine alle carestie e alle malattie e proteggersi dalle intemperie era un obiettivo ben più allettante dell’ascesi mistica, della letteratura e dell’arte.

Ma la nuova forma (l’accumulazione, ossia la valorizzazione del capitale) della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza individuale e sociale per sua natura è illimitata (contraddizione tra forma e contenuto).

Nell’articolo PIL mondiale e capitale finanziario (VO 69) l’autore spiega che stando alle stime del FMI già nel 2013 il capitale accumulato era più di un milione (1.068.000) di miliardi di dollari a fronte di un insieme di merci (beni e servizi) prodotte che nel 2013 era (al prezzo corrente) inferiore a centomila (75.000) miliardi di dollari. E ogni capitalista si dà da fare per aumentare la massa del suo capitale, quindi dell’insieme del capitale accumulato.

Limitato è per sua natura anche il lusso del ricco e del potente. Ogni faraone al massimo sognava e faceva costruire qualche piramide, fabbricare un po’ di gioielli, preparare un po’ di leccornie e si attorniava di un po’ di ministri, di preti, di schiavi e di amanti. Nessun faraone andava con la sua immaginazione oltre una quantità storicamente definita. Inoltre aveva difficoltà a procurarsi schiavi, mentre il capitalista ha sempre a sua disposizione un esercito industriale di riserva, di postulanti a entrare al suo servizio, alla sola condizione, per lui ovvia, che le condizioni materiali dell’esistenza siano beni e servizi prodotti e ceduti come merci. Oggi neanche il grande capitalista USA, l’oligarca (o magnate) russo o il concessionario cinese in RPC vanno oltre qualche villa di lusso, qualche panfilo, qualche puttana e qualche servo addetto a prestazioni intellettuali o manuali.

Ma il concessionario cinese è soggetto ai limiti imposti dal PCC e dallo Stato della RPC. Le loro alterne vicissitudini sono fatti di cronaca. Il magnate russo ha certamente maggiore libertà dei concessionari cinesi, ma gli Stati nati nel 1991 dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica furono sagomati, negli anni di Gorbaciov e ancora più insindacabilmente negli anni di Eltsin, dagli agenti dei gruppi imperialisti USA. Sostanzialmente essi li ridussero a paesi fornitori di materie prime e di prodotti agricoli, in una certa misura addirittura tramite aziende proprietà di capitalisti europei o americani. Industria militare, istituti di ricerca e attrezzatura spaziale a parte, tale è ancora anche la Federazione Russa.

Putin e la sua Russia Unita all’inizio del secolo hanno salvato la Federazione Russa dalla immediata colonizzazione USA, ma non di più.(*)

(*) Putin è l’esponente politico di quegli oligarchi che si sono resi conto che, con la dissoluzione dell’URSS e la mano libera lasciata da Eltsin ai gruppi imperialisti USA, la Russia andava in malora ed essi non sarebbero stati cooptati tra l’oligarchia imperialista occidentale ma sarebbero diventati manutengoli dei gruppi imperialisti USA e si sarebbero trovati in difficoltà con le masse popolari russe. Quindi hanno imboccato una strada loro propria (mutatis mutandis, come fece l’oligarchia giapponese nel secolo XIX).



L’insediamento di istituzioni USA e NATO in Ucraina fa parte di questo processo di colonizzazione.

Non occorre dire degli altri raggruppamenti nazionali o statali di potenti e dei relativi Stati (stile Iran) per mettere in risalto che nell’ambito del modo di produzione capitalista non sono concorrenti della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti ed europei per il dominio del mondo. Oggi “guerra imperialista” (checché ne dicano gli scimmiottatori di Lenin) non è guerra tra Stati o coalizioni di Stati imperialisti per ripartirsi diversamente il mondo, ma guerra dei gruppi imperialisti USA (che presiedono la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti) per arrestare la decadenza del loro dominio sul mondo. La NATO è lo strumento istituzionale (militare e politico) che ereditano dal passato: con esso cercano di agire, ma non hanno nulla da concedere ai gruppi imperialisti (europei, giapponesi, australiani, sudcoreani, ecc.) di altri paesi ad essi asserviti. Repubblica Popolare Cinese, Federazione Russa e altri paesi resistono all’asservimento, quindi sono bersaglio della guerra USA-NATO.

Il movimento comunista cosciente e organizzato rinasce. Alcuni Stati e paesi (RPC, RPD di Corea, Vietnam, Laos, Cuba e altri) si richiamano ad esso. Pullulano nel mondo partiti, organismi, gruppi e individui che si richiamano ad esso. Gli Stati di vari paesi dell’America Latina e dell’Africa sono insofferenti del dominio USA e francese. I movimenti islamisti sono sempre meno docili all’imperialismo USA. Le masse popolari dei paesi imperialisti e i popoli oppressi non sono quello che erano prima dell’ondata di rivoluzione proletaria (socialista e di nuova democrazia) e del suo esaurimento sollevata nel mondo intero dalla vittoria dell’Ottobre 1917 e dalla costruzione del socialismo in Unione Sovietica. L’eliminazione delle conquiste (economiche, sociali e politiche) strappate dalle masse popolari alla borghesia imperialista è una delle linee di attacco della borghesia imperialista. La resistenza spontanea, il malcontento, il malessere delle masse popolari e dei popoli oppressi sono ampiamente diffusi. Si combinano con le contraddizioni tra i gruppi imperialisti nel determinare la decadenza del dominio dei gruppi imperialisti USA sul mondo.

Oggi né un’altra coalizione di gruppi imperialisti né la rivoluzione socialista sono a livello mondiale una forza che si contrappongono alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti e europei capeggiata dai gruppi imperialisti USA.


Approfondimento 14 - Capitalismo senza imperialismo?

Da Nuove Resistenti n. 837 del 21.07.2022

Scandinavia e imperialismo - 17.07.2022

di *Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy.in

Circolano molte idee sbagliate sul capitalismo scandinavo. Una, molto comune, è la convinzione che, poiché i Paesi scandinavi hanno sviluppato economie capitalistiche floride senza aver mai acquisito colonie proprie, costituiscano una chiara confutazione dell'affermazione che lo sviluppo capitalistico richieda necessariamente l'imperialismo. Si tratta di un'argomentazione che ho sentito ripetere per decenni, ma si basa su un'idea sbagliata, non solo sulla Scandinavia, quanto soprattutto sull'imperialismo stesso.

In effetti, si possono dire molte cose positive riguardo le concessioni strappate al capitalismo dalla socialdemocrazia scandinava (anche se molte di queste sono minacciate nell'attuale epoca neoliberista), ma è una lettura totalmente errata del capitalismo affermare che la Scandinavia costituisca un esempio di capitalismo non imperialista. I Paesi scandinavi non avranno avuto colonie, ma hanno cavalcato l'imperialismo di altre potenze, sia prima che dopo la Seconda Guerra Mondiale. Analizziamo perciò l'assetto imperialista nel dettaglio.

Ogni Paese capitalista di successo non ha bisogno di avere un proprio impero. Esiste un sistema imperiale generale all'interno del quale si verifica lo sviluppo capitalistico e i diversi Paesi capitalisti avanzati beneficiano di tale sistema anche quando non hanno un impero proprio. Nel periodo di massimo splendore dell'imperialismo britannico, ad esempio, il suo mercato era aperto alle merci dell'Europa continentale; quest'ultima non doveva trovare mercati esclusivi per conto proprio, perché poteva entrare liberamente nel mercato britannico per vendere i suoi prodotti; e riusciva a farlo perché la “partenza anticipata” della Gran Bretagna significava che la sua produttività del lavoro era più bassa rispetto ai nuovi [Paesi] industrializzati, quindi (con salari più o meno uguali) il suo costo unitario di produzione era più alto. Allo stesso modo, le materie prime fondamentali estratte dall'imperialismo britannico dalle sue colonie e semicolonie potevano essere accessibili all'Europa continentale e agli altri Paesi capitalisti di recente sviluppo dell'epoca, senza che questi ultimi dovessero prendere accordi esclusivi per ottenere tali forniture.

In effetti, questo è un ruolo che tutti i Paesi imperialisti principali svolgono in qualsiasi momento: è una componente essenziale del loro ruolo di comando, che permette la diffusione del capitalismo nei Paesi rivali e non provoca alcuna seria sfida alla loro guida da parte dei nuovi industrializzati. I “leader” assorbono effettivamente i beni delle potenze rivali impegnate a sviluppare i propri capitalismi industriali, evitando di incorrere in deficit insostenibili delle partite correnti proprio grazie all'accordo imperiale. La Gran Bretagna ha evitato tali deficit insostenibili grazie al “drenaggio” che ha imposto alle sue colonie, la cui entità è stata grande abbastanza non solo per coprire questo deficit, ma anche per realizzare sostanziose esportazioni di capitali verso gli stessi Paesi con cui aveva tali deficit, ossia i Paesi emergenti di origine europea. Gli Stati Uniti, che sono succeduti alla Gran Bretagna alla guida del mondo capitalista, non avevano possedimenti coloniali del tipo di quelli della Gran Bretagna, ma hanno gestito il loro deficit delle partite correnti stampando dollari, che nell'ambito del sistema di Bretton Woods sono stati decretati “buoni quanto l'oro” (essendo convertibili in oro a 35 dollari l'oncia). Anche in seguito, dopo il crollo dell'accordo di Bretton Woods e della convertibilità dell'oro, i dollari sono stati accettati de facto validi come l'oro dai detentori di ricchezza del mondo, che non hanno esitato a tenerli.

L'intero mondo capitalista, in breve, è chiamato a portare sulle spalle il Paese capitalista leader; è vero che alcuni Paesi avanzati possono trovare ciò troppo limitante e tentare di ritagliarsi un proprio impero, ma quelli che non lo fanno, come i Paesi scandinavi, non possono essere considerati come se stessero costruendo un proprio capitalismo senza ricorrere all'imperialismo: accedono ai benefici dell'imperialismo della potenza capitalista leader.

Ci sono due ulteriori punti da notare qui. In primo luogo, le potenze capitaliste emergenti rivali godono del libero accesso al mercato del Paese capitalista leader, anche se esse stesse impongono nei propri mercati tariffe protezionistiche contro le importazioni, incluso quest'ultimo. Così, la Germania e gli Stati Uniti hanno imposto tariffe nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale per isolare i mercati nazionali a favore dei propri capitali, sebbene avessero invaso il mercato britannico. È questa asimmetria che ha permesso loro di industrializzarsi nonostante il vantaggio ottenuto dalla Gran Bretagna; lo stesso vale per altri Paesi dell'Europa continentale. In secondo luogo, queste potenze rivali non solo avevano accesso al mercato britannico, ma anche ai mercati delle sue colonie, almeno fino agli anni Venti e Trenta.

L'introduzione della “preferenza imperiale” nel periodo tra le due guerre, che comportava tariffe differenziate, cioè tariffe più alte contro i beni prodotti al di fuori dell'impero britannico rispetto ai beni prodotti al suo interno, segnò una rottura in questo accordo. Fu progettato principalmente contro la massiccia spinta giapponese volta a catturare i mercati delle colonie asiatiche della Gran Bretagna; ma anche se il Giappone fu l'obiettivo principale della “preferenza imperiale” e della successiva campagna “Buy Empire”, le tariffe differenziate significarono un cambiamento generale nel sistema imperialista e furono sia una causa che un sintomo della rivalità inter-imperialista innescata dalla Grande depressione. Ma per tutto il periodo precedente a questa rottura, ossia prima dell'espansionismo economico giapponese che sconvolse l'assetto precedente la Prima Guerra Mondiale e che si trasformò, quando fu contrastato da queste azioni difensive della Gran Bretagna, in espansionismo militare giapponese, i mercati coloniali britannici erano aperti alle merci non solo della Gran Bretagna, ma anche delle potenze capitalistiche rivali.

Quindi, lo sviluppo del capitalismo scandinavo, nonostante il fatto che i Paesi scandinavi non avessero colonie proprie, non è una confutazione della necessità dell'imperialismo per la crescita del capitalismo; sottolinea solo la complessità dell'accordo imperiale. Ne consegue che i Paesi scandinavi hanno lo stesso interesse a preservare l'accordo imperiale di qualsiasi altro grande Paese capitalista. Non si tratta solo di ragioni politiche, vale a dire che un crollo dell'accordo di “sicurezza” imperiale rende la sopravvivenza del capitalismo in un particolare Paese avanzato molto più difficile, incoraggiando il suo accerchiamento politico; si tratta anche di una necessità economica, per garantire la disponibilità di un'intera gamma di beni tropicali e semi-tropicali che non sono producibili nella metropoli capitalista, i cui rifornimenti verrebbero interrotti con un indebolimento dell'accordo imperiale. Molti sono stati sorpresi di recente dalla decisione di Svezia e Finlandia di richiedere l'adesione alla NATO e dalla loro disponibilità a stipulare un accordo con la Turchia per superare l'obiezione di quest'ultima alla loro adesione, in base alla quale avrebbero ritirato la protezione ai rifugiati politici curdi, che il governo turco vuole perseguitare. Senza dubbio, la guerra tra Russia e Ucraina ha fornito lo sfondo immediato in cui il Paese ha espresso il desiderio di aderire alla NATO, ma il suo cambiamento di posizione è indicativo di qualcosa di più profondo, ossia di un cambiamento fondamentale che sta avvenendo nel mondo capitalista.

L'argomentazione avanzata dall'imperialismo per spiegare il cambiamento di posizione sottolinea la minaccia rappresentata dallo “espansionismo russo”; ma questo argomento non regge all'esame. Anche ammettendo che la Russia sia decisa ad essere “espansionista”, finora si è ipotizzato che il suo “espansionismo” riguardasse i territori che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica, ma né la Svezia né la Finlandia rientrano in questa categoria. Inoltre, al culmine della Guerra fredda, quando le potenze europee gridavano allo scandalo per la minaccia sovietica e i popoli europei venivano quotidianamente bombardati dall'antisovietismo, questi Paesi erano rimasti lontani dalla NATO. Perché allora dovrebbero improvvisamente richiedere l'adesione alla NATO ora che l'Unione Sovietica è crollata e la sfida ideologica all'egemonia imperialista si è allontanata?

La risposta sta nel fatto che l'imperialismo occidentale sta implodendo sotto l'impatto della crisi prolungata in cui è entrato il neoliberismo. Essere afflitti da una crisi prolungata non favorisce l'esercizio dell'egemonia; il mondo sembra essere sull'orlo di un cambiamento che le potenze occidentali stanno disperatamente cercando di evitare assumendo una posizione ultra-aggressiva. È la paura di questo possibile cambiamento imminente, con il declino dell'egemonia occidentale e l'emergere di Cina e Russia come centri di potere alternativi, che sta unendo i Paesi occidentali come mai prima d'ora, compresi i Paesi scandinavi. Il cambiamento di posizione dei Paesi scandinavi, quindi, lungi dal mostrare l'ultra-aggressività della Russia, è sintomatico dell'ultra-aggressività delle potenze occidentali in una situazione in cui la loro egemonia è minacciata a causa di una crisi economica prolungata.

(*) Prabhat Patnaik è un economista indiano.


Approfondimento 15 - Ma l’Italia non ha materie prime

(da VO 62 – luglio 2019 Una volta costituito il GBP, le masse popolari italiane faranno fronte con successo alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti ed europei e avanzeranno verso l’instaurazione del socialismo)

Ma l’Italia non ha materie prime, risorse energetiche sufficienti per mantenere un livello civile di vita”, ha obiettato alla nostra linea del GBP, alla via al socialismo che pratichiamo, un’operaia del Nuovo Pignone di Massa intervenuta in gennaio 2019 al V Congresso Nazionale del P.CARC.

L’obiezione è seria e vale anche per altri campi oltre quello dell’energia. In particolare vale per il campo alimentare, per alcuni altri prodotti di prima necessità (il Venezuela insegna) e per alcune materie prime. Qui ci limitiamo a esaminare la questione nel campo dell’energia.(1) Come le masse popolari italiane con il GBP faranno fronte al bisogno di risorse energetiche?

1. Per la trattazione esauriente della questione, vedere l'Avviso ai naviganti 35 del 15.11.2013 pagg. 12-13.


L’Italia importa dall’estero gas naturale, petrolio e carbone per vari usi, alcuni diretti, altri previa raffinazione (raffinerie di petrolio per produzione di benzine e gasoli), altri previa produzione di energia elettrica (centrali termoelettriche): per cottura di alimenti e produzione acqua calda, per il riscaldamento degli ambienti, per i trasporti su strada, ferroviari, aerei e marittimi, per usi industriali finali di altro genere.

Per fissare i ragionamenti, prendiamo in esame i dati del 2017.

Li attingiamo dalla pubblicazione La situazione energetica nazionale nel 2017, giugno 2018, del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). La tabella storica 2012-2017 del MISE [Tabella BE-1, pag. 79 dell’Allegato A della pubblicazione citata] conferma che i dati del 2017 sono analoghi a quelli degli anni precedenti e quindi significativi.

Nel 2017 l’Italia ha impiegato all’incirca 170 Mtep (2) di prodotti energetici ed energia elettrica. Di essi 120 Mtep sono prodotti energetici importati (al netto delle esportazioni): 54 Mtep di petrolio (proveniente in gran parte da Azerbaijan 30%, Iraq 25%, Arabia Saudita 20% e Libia 20%), 57 Mtep di gas che arriva come gas o come gas liquefatto (in gran parte da Russia 40%, Algeria 28%, Qatar 10% e Libia 7%), 10 Mtep di combustibili solidi (provenienti in gran parte da Russia 35%, Colombia 20%, USA 20%, Sudafrica 7%).

2. Cosa è un milione di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep)? Con gli apparati (dispositivi, impianti) di cui dispongono, gli uomini trasformano il calore (energia termica) solare e quello ottenuto bruciando combustibili (carbone, petrolio, gas, legna, ecc.), in energia elettrica e, viceversa, trasformano energia elettrica in calore.

Trasformano il calore e l’energia elettrica in energia meccanica dei veicoli e delle macchine operatrici (torni, trapani, ventilatori e altre) e all’inverso trasformano energia meccanica (del vento e delle eliche, dell’acqua e delle turbine) in energia elettrica o in energia termica. Trasformano quindi ognuna delle tre forme di energia (termica, elettrica, meccanica) l’una nell’altra. Da una data quantità di una di esse ricavano una certa quantità di un’altra, in proporzioni ben definite una volta fissato l’apparato di trasformazione che usano. È quindi possibile e utile usare un’unica unità di misura per le tre forme di energia, una volta stabiliti quali apparati usiamo per la trasformazione. La tonnellata equivalente di petrolio è una delle unità di misura correntemente usate dai professionisti del ramo per le tre forme di energie: fissato un apparato standard per ognuna delle trasformazioni, da una tonnellata di petrolio si ricava una data quantità di calore (kilocalorie) o una data quantità di energia elettrica (kilovattora) e viceversa. Mtep è la quantità di energia ricavabile da un milione di tonnellate di petrolio.


In Italia esistono raffinerie di petrolio sufficienti per raffinare tutto il petrolio che consumiamo e centrali elettriche sufficienti a produrre tutta l’energia elettrica (combinando impianti termoelettrici dipendenti dai prodotti importati e impianti idroelettrici, geotermici, eolici, solari e da altre fonti rinnovabili). L’importazione diretta di energia elettrica (da Francia e Svizzera) è complementare alla produzione nazionale e dettata da convenienza finanziaria (importare a basso prezzo energia elettrica prodotta in eccesso in determinati periodi da centrali nucleari basate in Francia e in Svizzera e ridurre la produzione o accumulare le potenzialità di centrali termiche e idroelettriche basate in Italia).

Come si vede molti dei paesi di provenienza dei prodotti energetici di cui abbiamo bisogno (a parte economie e l’accelerazione del passaggio a fonti rinnovabili, sole, vento e altre fonti ecocompatibili), sono paesi non completamente proni agli ordini della CI. Mancano dall’elenco paesi (come Iran, Venezuela e altri) che, in ossequio alle sanzioni decise dalla CI contro di essi,(3) le attuali autorità italiane persistono ad escludere come fonti di importazioni. Il GBP invece è impegnato a stabilire rapporti di solidarietà, collaborazione e scambio tra l’Italia e tutti i paesi disposti a stabilirne con noi. Qui abbiamo già un’ampia gamma di possibilità per aggirare le sanzioni commerciali decise dalla CI.

3. L’interscambio Italia-Russia è passato da 54 miliardi di € nel 2013 a 27 miliardi di € nel 2018; il governo italiano ha obbedito alle sanzioni imposte dal governo USA.


Quanto ai pagamenti, riportiamo da Paolo Selmi, Riportando tutto a casa-Appunti per un nuovo assalto al cielo, parte terza, appendice a Nuove Resistenti n. 698 del 24.01.2019) le vie a cui ha fatto ricorso un paese bersaglio della CI.

Paesi come l’Iran dal 1979 aggirano le sanzioni economiche armonizzando tra loro i seguenti metodi:

- semplice baratto, eliminando quindi totalmente il denaro, soprattutto con l'India;

- vendita nella valuta del Paese compratore: esporto, per esempio, petrolio in Cina, apro un conto corrente in una banca dove confluiscono i RMB cinesi derivati dalla vendita e li uso, successivamente, per fare acquisti in Cina; capita lo stesso con l'India, la Corea del Sud, il Giappone, la Turchia e alcuni Paesi arabi;

- vendita di idrocarburi contro oro: una riserva senza tema di invecchiamento che, all'occorrenza, può essere fatta “pervenire” sulle maggiori piazze mondiali, passando in genere per l'India, la Malesia o Dubai, dove la conversione in valuta è praticamente immediata;

- contrabbando di valuta estera, passata in contanti attraverso il confine afgano, per esempio;

- trasferimenti di denaro tramite sistemi tanto antichi quanto efficaci (impiegati per ovvi motivi anche dai trafficanti di droga e dai terroristi), come lo hawala (hundi in India), una via di mezzo fra una lettera di cambio e un'assicurazione: parte un ordine di pagamento dalla località x e qualcuno paga qualcun altro nella località y, senza passaggio di denaro fra mandante ed esecutore. (…) Oggi, a differenza dei pizzini del passato, gli ordini avvengono via chat, con un broker all'origine e un broker a destino (in genere in Medio Oriente e poi, da lì, una volta ripulita l'origine, in giro per il mondo), una commissione dell’1-1,5% e un pagamento immediato, in genere con un massimale intorno ai centomila dollari (anche se si sono verificati importi ben più alti di almeno uno zero). Il regolamento di conti fra i due broker avviene in regime di compensazione e la differenza a saldo è pagata tramite movimenti di valuta convertibile, oro o preziosi;

- impiego o acquisto, da parte di prestanome, di banche straniere per il riciclaggio dei proventi derivati dalla vendita degli idrocarburi; maggiori i passaggi intermedi o più insospettabili i prestanome, minore il rischio di vedersi bloccata la transazione. Negli Emirati Arabi Uniti gli iraniani hanno il maggior numero di partner affidabili per lo svolgimento di tali operazioni, così come attraverso servizi bancari turchi, che però sono meno a buon mercato, o altri Paesi centroasiatici. Schemi interbancari denominati inversioni a U, prevedono la vendita di petrolio a un Paese A, che paga in valuta locale su un conto di una banca terza, la quale si occupa anche della conversione in dollari, per un possibile poi prelievo per le necessità di acquisto iraniane o, eventualmente, per un possibile rientro su qualche banca iraniana: banche compiacenti in passato furono, in questo senso, Unicredit, HSBC, Royal Bank of Scotland, Deutsche Boerse, Société Générale e Crédit Agricole;

- intervento dei “cavalieri neri”, società di Paesi tradizionalmente vicini all'Iran (Bielorussia, Cuba, Venezuela, Siria e Corea del Nord) che si accollano il rischio di impresa in cambio tuttavia di commissioni molto alte (15-20%)”.

Combinando questi metodi e inventandone di nuovi,(4) saremo quindi in grado di soddisfare i consumi energetici della popolazione residente, dei turisti e delle persone in soggiorno temporaneo ad altri fini, delle persone in transito. Riusciremo ad aggirare ogni aggressione alle vie di comunicazione a cui la CI farà ricorso.

4. Nell’opuscolo Governo di Blocco Popolare del Settore Agitazione e Propaganda - Partito dei CARC (2011), allegato al nostro Avviso ai Naviganti 7 del 16.03.2012 sono indicate, ovviamente in termini generali, vie e operazioni alle quali fare ricorso per aggirare le misure alle quali la CI farà ricorso contro l’Italia del GBP.


Infine dobbiamo aver chiaro che tutta l’umanità attraversa un periodo di guerra, che abbiamo chiamato guerra di sterminio non dichiarata. Tutti i paesi vi sono coinvolti anche se ogni paese in modo diverso. Chi ha paura della guerra, la subisce. Il vento soffia anche se le foglie sono stanche e vorrebbero riposare. Noi comunisti dobbiamo portare le masse popolari a combattere e a costringere la borghesia a combattere la guerra sul terreno e con le armi alle masse popolari più convenienti. La rivoluzione socialista è per sua natura una guerra, la GPR (Guerra Popolare Rivoluzionaria). Il grande disordine che cresce attorno a noi, è la combinazione delle varie manifestazioni e dei molteplici effetti della guerra che si allarga. Noi dobbiamo promuovere la GPR, fomentare le divisioni in campo nemico, approfittare di ogni appiglio e fessura, raccogliere e organizzare le nostre forze, combattere e vincere. Non c’è altra via per farla finita con il capitalismo e lo sconvolgimento della nascita (i dolori del parto) del nuovo mondo. Che il parto si compia, che il nuovo mondo nasca.

L’Italia del GBP non sarà un paese isolato, né in Europa e tanto meno nel mondo. L’insofferenza e il malcontento delle masse popolari crescono spontaneamente in ogni paese, le autorità imperialiste sono instabili ovunque. Tutto il mondo è in subbuglio, lo scontro tra borghesia imperialista e masse popolari è universale, anche se in forme (che i comunisti devono imparare a comprendere) e con gradi (che è compito dei comunisti incrementare) differenti nei vari paesi.

Il primo paese che spezzerà le catene della CI mostrerà la strada e aprirà la via alle masse popolari degli altri paesi.

A sua volta si gioverà della solidarietà di esse, sia masse popolari con cui collaboreremo perché staranno seguendo un cammino analogo al nostro, sia masse popolari che limiteranno l’arbitrio del governo del loro paese con dimostrazioni, scioperi e altre forme di protesta.


In cosa consiste il socialismo?

Il socialismo che noi vogliamo instaurare, di cui la scienza comunista e l’esperienza ci insegnano che l’umanità ha bisogno, ha tre caratteristiche principali:

1. la direzione politica del paese è nelle mani degli organismi operai e popolari, cioè delle masse popolari organizzate con il pc alla loro testa: chiamiamo questo regime “democrazia proletaria” o “dittatura del proletariato”;

2. l’apparato produttivo è un’istituzione pubblica che svolge attività pianificate per soddisfare i bisogni della popolazione residente e delle sue relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con altri paesi;

3. e principale tra le tre, tutte le risorse del paese sono dedicate ad accrescere la partecipazione della popolazione alle attività specificamente umane dalle quali le classi dominanti hanno da sempre escluso la massa degli esseri umani e li escludono ancora oggi benché la produttività del lavoro sia cresciuta tanto che, se l’attività economica non fosse ancora dominata dai capitalisti, per produrre le condizioni materiali dell’esistenza basterebbe che l’intera popolazione dedicasse al lavoro una parte trascurabile del proprio tempo e della propria energia.

Il socialismo è la fase della creazione di una umanità nuova, quale non è ancora mai esistita proprio perché la grande maggioranza degli esseri umani doveva dedicare tempo ed energie a produrre le condizioni materiali dell’esistenza e per di più i membri delle classi dominanti da sempre, come ancora oggi, si appropriavano di gran parte di quelle che i lavoratori producevano.