La Voce 73 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - marzo 2023

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Per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato

Sulla dittatura del proletariato e il movimento comunista dei paesi imperialisti

Premessa di questo articolo è che l’imperialismo è l’epoca 1. della rivoluzione proletaria, cioè della guerra del proletariato contro la borghesia imperialista per instaurare il socialismo e 2. della decadenza della società borghese. La decadenza della società borghese si esprime nel fatto che la borghesia 1. è impegnata a distogliere le masse popolari dalla rivoluzione socialista (abbrutimento delle menti e dei cuori, manipolazione dell’informazione, delle idee e dei sentimenti, devastazione della natura approfittando del dominio che la specie umana ha raggiunta su di essa) e a reprimere le forze della rivoluzione socialista, 2. deve far fronte alla sovrapproduzione assoluta di capitale e sviluppa la guerra tra gruppi e Stati imperialisti dato che ogni capitalista deve comunque accrescere il suo capitale.

Obiettivo di questo articolo è mostrare al livello più concreto che l’attuale situazione generale del nostro paese richiede, cosa significa che siamo nell’epoca della guerra del proletariato contro la borghesia per instaurare il socialismo: dittatura del proletariato (potere delle masse popolari organizzate con alla testa il partito comunista), gestione pubblica pianificata delle attività economiche, accesso crescente delle masse popolari alle attività specificamente umane e alla gestione del potere.(1) In particolare si tratta di mostrare cosa noi comunisti intendiamo per dittatura del proletariato. A questo scopo mi servo dell’esperienza dei primi paesi socialisti europei, in particolare dell’esperienza sovietica: è quella che possiamo conoscere meglio, stante gli scritti di Lenin e di Stalin. Lenin si è occupato molto della dittatura del proletariato, in particolare a partire dal 1917 (è mentre guida il partito verso la costituzione del governo sovietico che Lenin scrive Stato e rivoluzione) e finché rimase viva la fiducia che fosse imminente l’instaurazione di governi sovietici in paesi europei come la Germania, l’Italia e altri, cioè grosso modo fino al 1921. Stalin se ne è occupato, con la chiarezza e il dettaglio per cui si distingue, negli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Lenin, quando in Unione Sovietica era oramai all’ordine del giorno la costruzione del socialismo in un paese solo. Per maggiori dettagli in proposito rimando all’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo (Edizioni Rapporti Sociali).

Per quanto riguarda l’opera di Lenin nel seguito mi rifaccio in particolare a Tesi e Rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato;(2) per quanto riguarda l’opera di Stalin al cap. IV La rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato e, per capire che la dittatura del proletariato non è la dittatura del partito comunista, al cap. V Il partito e la classe operaia nel sistema della dittatura del proletariato di Questioni del leninismo, opuscolo edito il 26 gennaio 1926.(3)


1. Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali 2008, nota 2 pagg. 249-250.

 

2. Discorso pronunciato da Lenin il 4 marzo al I Congresso dell’Internazionale Comunista (3-6 marzo 1919) e riportato [con alcuni gravi errori tipografici (pag. 462, 463 e, più grave di tutti, pag. 473] in Opere complete, vol. 28, Editori Riuniti 1967 pagg. 461-477.


3. Opuscolo di Stalin pubblicato nel gennaio 1926 in Opere complete, vol. 8, Edizioni Rinascita, oggi reperibile nella omonima raccolta Questioni del leninismo, Edizioni Rapporti Sociali - Red Star Press luglio 2022, pagg. 139-166.

 

Dei tre tratti distintivi del socialismo, la dittatura del proletariato è il presupposto: senza di essa non ci possono essere e tanto meno è possibile sviluppare gli altri due; allo stesso tempo, senza gli altri due tratti, la dittatura del proletariato non è tale. Senza il secondo (gestione pubblica pianificata dell’economia) e la distinzione tra esso e il capitalismo monopolistico di Stato e soprattutto senza il terzo (promozione del crescente accesso delle masse popolari alle attività specificamente umane con annessa partecipazione alla gestione della società), la dittatura del proletariato, anche se continua a essere capeggiata dal partito comunista, diventa contesto favorevole allo sviluppo della borghesia specifica dei paesi socialisti.(4)

Nei paesi imperialisti i vecchi partiti comunisti, nati con l’Internazionale Comunista e che si sono dimostrati incapaci di instaurare il socialismo nei rispettivi paesi, hanno trattato poco o nulla della dittatura del proletariato: i loro dirigenti o hanno eluso il tema o lo hanno trattato in termini dogmatici (come principio astratto, dichiarandosi “d’accordo ma…”). I revisionisti della II Internazionale (1879 - 1914) prima e poi i revisionisti moderni hanno ripudiato la dittatura del proletariato a favore della democrazia in generale, in realtà a favore della democrazia borghese senza tener conto neanche che nel passaggio all’epoca imperialista questa aveva cambiato forma: da attività governativa riservata alla minoranza economicamente dominante era diventata regime di controrivoluzione preventiva.(5)


4. Di essa tratta il terzo dei sei principali apporti di Mao Tse-tung al pensiero comunista, illustrati in L’ottava discriminante: La Voce 9, novembre 2001 pag. 54 e segg., La Voce 10, marzo 2002 pag. 19 e segg., La Voce 41, luglio 2012 pag. 48 e segg.

 

5. Manifesto Programma del (nuovo)Partito (già citato), cap. 1.3.3.


Nei paesi imperialisti ancora oggi gran parte degli organismi e partiti del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO), anche di quelli che si dicono marxisti-leninisti o addirittura marxisti-leninisti-maoisti, continuano a eludere o trattare in termini dogmatici la questione della dittatura del proletariato. Ai fini della rinascita del MCCO bisogna invece che ne trattiamo a fondo, perché è indispensabile per una avanzata comprensione della forma, delle condizioni e dei risultati della lotta di classe e dell’applicazione concreta ed efficace di essa in ogni situazione particolare.

La dittatura del proletariato è il regime politico della società nella fase socialista, transizione dal capitalismo e dalla società borghese che su di esso si basa, al comunismo, società senza più divisione in classi sociali e in particolare senza Stato. Lo Stato è nato con la divisione della società in classi sociali di sfruttatori e sfruttati, di oppressori e oppressi e in tutto il corso della storia di tali società è stato l’istituzione che deteneva il monopolio della violenza organizzata e il suo ruolo essenziale è stato assicurare la sottomissione delle classi sfruttate.

Una buona comprensione di cosa è la dittatura del proletariato è indispensabile per una giusta ed efficace applicazione nel presente, già ora, nel nostro lavoro quotidiano, della linea generale che abbiamo adottato per far avanzare la rivoluzione socialista: è indispensabile già ora, nella creazione delle quattro condizioni per instaurare il Governo di Blocco Popolare.(6)


6. Governo di Blocco Popolare, Avviso ai naviganti n. 7, 16 marzo 2012.

 

Di essa il CC del (n)PCI ha trattato in molti documenti: raccomando la lettura del Comunicato CC 4/2016 del 20 marzo 2016 e del Comunicato CC 15/2016 del 26 agosto 2016, ancora più dettagliato.

 I revisionisti moderni ripudiano la dittatura del proletariato. Nel migliore dei casi si dichiarano a favore della via democratica al socialismo e del socialismo danno una definizione che, se non si riduce a quella di “società migliore”, si limita a quella comunque vaga di società che soddisfa i bisogni delle masse popolari e dà una soluzione positiva ai problemi generalmente avvertiti e denunciati. In sostanza si limita ai diritti universali che la Costituzione del 1948 della Repubblica Italiana dichiara e che, non a caso, non sono stati neanche applicati. Quanto al regime politico, quindi alla dittatura del proletariato, né la destra né la sinistra del vecchio PCI sono andati oltre. Economicismo (rivendicazioni sindacali e politiche) e parlamentarismo sono state le tare principali che hanno impedito l’instaurazione del socialismo i Italia. A queste tare, in alcuni periodi si è aggiunto il militarismo.

Consideriamo la storia del nostro paese. La democrazia borghese si afferma con la fondazione del Regno d’Italia (1861). Il diritto di voto era riconosciuto al 2% della popolazione.(7) La borghesia lo allargò progressivamente, ma il proletariato, i contadini e la massa degli altri lavoratori arrivarono alla Prima guerra mondiale (1915-1918) del tutto privi di un orientamento politico giusto e non a caso il “Biennio Rosso” (1919-1921) finì nel Fascismo. Con gli scioperi del marzo 1943 e poi con la Resistenza le masse popolari assunsero un ruolo politico importante, al punto che gli esponenti politici delle classi dominanti chiesero al PCI di entrare nel loro governo. Il PCI accettò (svolta di Salerno, 1944 con i successivi governi Badoglio, Bonomi e, tra giugno e novembre 1945, il governo con alla testa il comandante partigiano Ferruccio Parri, presto sostituito con il governo De Gasperi). Ma invece di approfittare del ruolo governativo per allargare nelle città e nelle campagne il potere degli operai e dei contadini organizzati, di escludere e sostituire nella Pubblica Amministrazione, nelle Forze Armate, nella Polizia e nei Carabinieri i ministri e i funzionari irriducibilmente contro le masse popolari e affidare la ricostruzione industriale e civile alle masse popolari con il pieno impiego, il PCI promosse il disarmo dei Partigiani e la ricostruzione diretta dalla borghesia, tollerò la repressione delle masse popolari che protestavano e infine si lasciò escludere dal governo (nel 1947 con De Gasperi al governo). Era la “via democratica al socialismo” promossa da Togliatti: il tragitto di tutti i governi di Fronte Popolare costituiti in Europa prima e dopo la Seconda guerra mondiale, sotto la spinta delle indicazioni dell’Internazionale Comunista e delle protesta e della mobilitazione delle masse popolari, da partiti comunisti che si attenevano al principio paralizzante “tutto attraverso il Fronte”.

Per far avanzare la guerra popolare che promuove, il (n)PCI attua la tattica del GBP. Al centro di essa vi è la costituzione di organismi operai e popolari (OO e OP che agiscono come nuove autorità pubbliche). Ma l’obiettivo e il punto d’arrivo della nostra opera è l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Sergio F.



7. Corso di storia, Capra, Chittolini, Della Peruta, Ed. Le Monnier, vol. 3 pag.865.


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Da Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato - Lenin

Inizio del discorso di Lenin al I Congresso dell’IC (1919)

Dalla democrazia borghese alla dittatura del proletariato

 1. Lo sviluppo del movimento rivoluzionario del proletariato in tutti i paesi ha suscitato gli sforzi convulsi della borghesia e dei suoi agenti nelle organizzazioni operaie al fine di trovare gli argomenti politici e ideologici per difendere il dominio degli sfruttatori. Tra questi argomenti vengono messi in particolare rilievo la condanna della dittatura e la difesa della democrazia. La falsità e l’ipocrisia di quest’argomentazione, ripetuta in tutti i toni sulla stampa capitalista e alla conferenza dell’Internazionale gialla, tenutasi a Berna nel febbraio 1919, sono evidenti per chiunque non voglia tradire i postulati fondamentali del socialismo.

2. Prima di tutto, in quest’argomentazione, si opera con i concetti di “democrazia in generale” e di “dittatura in generale”, senza che ci si domandi di quale classe si tratta. Impostare così il problema, al di fuori o al di sopra delle classi, come si trattasse di tutto il popolo, significa semplicemente prendersi gioco della dottrina fondamentale del socialismo, cioè appunto della dottrina della lotta di classe, che viene riconosciuta a parole ma dimenticata nei fatti da quei socialisti che sono passati alla borghesia. In effetti, in nessun paese civile capitalista esiste la “democrazia in generale”, ma esiste soltanto la democrazia borghese, e la dittatura di cui si parla non è la “dittatura in generale”, ma la dittatura della classe oppressa, cioè del proletariato, sugli oppressori e sugli sfruttatori, cioè sulla borghesia, allo scopo di spezzare la resistenza che gli sfruttatori oppongono nella lotta per il loro dominio.

3. La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta e ha potuto accedere al dominio senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della resistenza più furiosa, più disperata, che non arretra dinanzi a nessun delitto, quale è quella che hanno sempre opposto gli sfruttatori. La borghesia, il cui dominio è difeso oggi dai socialisti che si scagliano contro la “dittatura in generale” e si fanno in quattro per esaltare la “democrazia in generale”, ha conquistato il potere nei paesi progrediti a prezzo di una serie di insurrezioni e guerre civili, con la repressione violenta dei re, dei feudatari, dei proprietari di schiavi e dei loro tentativi di restaurazione. I socialisti di tutti i paesi, nei loro libri e opuscoli, nelle risoluzioni dei loro congressi, nei loro discorsi d’agitazione, hanno illustrato al popolo migliaia e milioni di volte il carattere di classe di queste rivoluzioni borghesi, di questa dittatura borghese. E pertanto, quando oggi si difende la democrazia borghese con discorsi sulla “democrazia in generale”, quando oggi si grida e si strepita contro la dittatura del proletariato fingendo di gridare contro la “dittatura in generale”, non si fa che tradire il socialismo, passare di fatto alla borghesia, negare al proletariato il diritto alla propria rivoluzione proletaria, difendere il riformismo borghese nel momento storico in cui esso è fallito in tutto il mondo e la guerra ha creato una situazione rivoluzionaria.

4. Tutti i socialisti, chiarendo il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno espresso la stessa idea che già Marx ed Engels avevano esposto con il massimo rigore scientifico, dicendo che la repubblica borghese più democratica è soltanto una macchina che permette alla borghesia di schiacciare la classe operaia, che permette a un pugno di capitalisti di schiacciare le masse lavoratrici. Non c’è un solo rivoluzionario, non c’è un solo marxista, tra coloro che oggi strepitano contro la dittatura e a favore della democrazia, che non ha giurato e spergiurato dinanzi agli operai di accettare questa fondamentale verità del socialismo. Ma proprio ora, mentre il proletariato rivoluzionario è in fermento e si muove per distruggere questa macchina di oppressione e per conquistare la dittatura del proletariato, questi traditori del socialismo presentano le cose come se la borghesia avesse regalato ai lavoratori la “democrazia pura”, come se la borghesia, rinunciando a resistere, fosse disposta a sottomettersi alla maggioranza dei lavoratori, come se nella repubblica democratica non ci fosse stata e non ci fosse alcuna macchina statale per l’oppressione del lavoro da parte del capitale.

 5. La Comune di Parigi, che tutti coloro i quali desiderano passare per socialisti onorano a parole, poiché sanno che le masse operaie nutrono per essa una simpatia appassionata e sincera, ha mostrato con singolare evidenza il carattere storicamente convenzionale e il valore limitato del parlamentarismo e della democrazia borghesi, istituzioni sommamente progressive rispetto al medioevo, ma che richiedono inevitabilmente una trasformazione radicale nell’epoca della rivoluzione proletaria. Proprio Marx, che ha valutato meglio di ogni altro la portata storica della Comune, ha mostrato, nel farne l’analisi, il carattere sfruttatore della democrazia borghese e del parlamentarismo borghese, in cui le classi oppresse si vedono concesso il diritto di decidere, una volta ogni qualche anno, quale esponente delle classi abbienti dovrà “rappresentare e reprimere” (ver und zertreten) il popolo in parlamento. Proprio oggi, mentre il movimento dei soviet, abbracciando il mondo intero, prosegue l’opera della Comune sotto gli occhi di tutti, i traditori del socialismo dimenticano l’esperienza e gli insegnamenti concreti della Comune di Parigi, riprendendo il vecchio ciarpame borghese sulla “democrazia in generale”. La Comune non è stata un’istituzione parlamentare.

6. Il significato della Comune sta inoltre nel fatto che essa ha tentato di spezzare, di distruggere dalle fondamenta l’apparato statale borghese, burocratico, giudiziario, militare, poliziesco, sostituendolo con l’organizzazione autonoma delle masse operaie, che non conosceva distinzioni tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Tutte le repubbliche democratiche borghesi contemporanee, compresa quella tedesca, che i traditori del socialismo a disprezzo della verità definiscono proletaria, mantengono questo apparato statale. Viene così confermato ancora una volta, e con assoluta evidenza, che gli strepiti in difesa della “democrazia in generale” sono di fatto una difesa della borghesia e dei suoi privilegi di sfruttatrice.

7. La “libertà di riunione” può essere presa a modello delle istanze della “democrazia pura”. Ogni operaio cosciente, che non abbia rotto con la sua classe, capirà subito che sarebbe assurdo permettere la libertà di riunione agli sfruttatori in un periodo e in una situazione in cui gli sfruttatori oppongono resistenza per non essere abbattuti e difendono i propri privilegi. La borghesia, quando era rivoluzionaria, sia in Inghilterra nel 1649 che in Francia nel 1793, non ha mai concesso “libertà di riunione” ai monarchici e ai nobili, che avevano chiamato gli eserciti stranieri e che si “radunavano” per organizzare un tentativo di restaurazione. Se la borghesia odierna, che è divenuta già da tempo reazionaria, esige dal proletariato che esso garantisca preventivamente la “libertà di riunione” agli sfruttatori, qualunque sia la resistenza opposta dai capitalisti per non essere espropriati, gli operai possono soltanto ridere di questa ipocrisia borghese.

D’altra parte, gli operai sanno bene che la “libertà di riunione” è una frase vuota persino nella repubblica borghese più democratica, perché i ricchi dispongono di tutti i migliori edifici pubblici e privati, hanno abbastanza tempo per riunirsi e godono della protezione dell’apparato borghese del potere. I proletari della città e della campagna e i piccoli contadini, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, non hanno nessuna di queste tre cose. E, fino a quando la situazione rimarrà immutata, l’“uguaglianza”, cioè la “democrazia pura”, è un inganno. Per conquistare l’uguaglianza effettiva, per realizzare di fatto la democrazia per i lavoratori, bisogna prima togliere agli sfruttatori tutti gli edifici pubblici e i lussuosi edifici privati, bisogna prima assicurare ai lavoratori tempo libero, bisogna fare in modo che la libertà delle loro riunioni sia difesa dagli operai armati e non dai nobili e dagli ufficiali capitalisti con i loro soldati abbrutiti.

Solo dopo questo cambiamento si potrà parlare di libertà di riunione e di uguaglianza, senza che ciò suoni come un insulto agli operai, ai lavoratori, ai poveri. Ma nessuno potrà realizzare questo cambiamento, se non l’avanguardia dei lavoratori, il proletariato, che abbatte gli sfruttatori, la borghesia.

 8. Anche la “libertà di stampa” è una delle parole d’ordine fondamentali della “democrazia pura”. Tuttavia, gli operai sanno, e i socialisti di tutti i paesi hanno riconosciuto milioni di volte, che questa libertà è un inganno fino a quando le migliori tipografie e le immense provviste di carta rimangono nelle mani dei capitalisti, fino a quando permane sulla stampa il potere del capitale, che si manifesta nel mondo intero in forma tanto più evidente, brutale e cinica, quanto più sono sviluppati la democrazia e il sistema repubblicano, come ad esempio in America. Per conquistare l’uguaglianza effettiva e la democrazia reale per i lavoratori, per gli operai e i contadini, bisogna prima togliere al capitale la possibilità di assoldare gli scrittori, di comprare le case editrici e di corrompere i giornali, e, per fare questo, bisogna abbattere il giogo del capitale, rovesciare gli sfruttatori, schiacciare la loro resistenza. I capitalisti hanno sempre chiamato “libertà” la libertà di arricchirsi per i ricchi e la libertà di morire di fame per gli operai. I capitalisti chiamano libertà di stampa la libertà per i ricchi di corrompere la stampa, la libertà di usare le loro ricchezze per fabbricare e contraffare la cosiddetta opinione pubblica. In realtà i difensori della “democrazia pura” sono i difensori del più immondo e corrotto sistema di dominio dei ricchi sui mezzi d’istruzione delle masse, essi ingannano il popolo, in quanto lo distolgono, con le loro belle frasi seducenti e profondamente ipocrite, dal compito storico concreto di affrancare la stampa dal suo asservimento al capitale. L’effettiva libertà e uguaglianza si avrà nel sistema costruito dai comunisti e in cui non ci si potrà arricchire a spese altrui, in cui non ci sarà la possibilità oggettiva di sottomettere direttamente o indirettamente la stampa al potere del denaro, in cui niente impedirà a ciascun lavoratore (o gruppo di lavoratori di qualsivoglia entità) di godere in linea di principio e nei fatti dell’uguale diritto di usare le tipografie e la carta appartenenti alla società.

9. La storia dei secoli XIX e XX ha mostrato ancor prima della guerra che cosa sia nei fatti la famigerata “democrazia pura” in regime capitalistico. I marxisti hanno sempre sostenuto che, quanto più la democrazia è sviluppata e “pura”, tanto più diventa palese e implacabile la lotta di classe, tanto più il giogo del capitale e la dittatura della borghesia appaiono nella loro “purezza”. L’affare Dreyfus nella Francia repubblicana, le sanguinose repressioni di scioperanti ad opera di squadre assoldate e armate dai capitalisti nella libera e democratica repubblica americana, questi e migliaia di altri fatti del genere mettono a nudo quella verità che la borghesia si sforza con ogni cura di nascondere, la verità che nelle repubbliche più democratiche regnano di fatto il terrorismo e la dittatura della borghesia, i quali si manifestano apertamente ogni volta che agli sfruttatori comincia a sembrare vacillante il potere del capitale.


Conclusione del discorso di Lenin al I Congresso dell’IC

Il potere dei soviet e la dittatura del proletariato

20. La soppressione del potere dello Stato è il fine che tutti i socialisti, e Marx per primo, si sono posti. Se non si raggiunge questo obiettivo, non si può realizzare la vera democrazia, cioè l’uguaglianza e la libertà. Ma verso questa meta può condurre nella pratica soltanto la democrazia sovietica, o proletaria, poiché essa, facendo partecipare in modo permanente e necessario le organizzazioni di massa dei lavoratori alla gestione dello Stato, comincia a preparare immediatamente la completa estinzione di ogni Stato.

22. (…) Durante tutta la conferenza di Berna non è stata detta una sola parola sul significato del potere sovietico. Sono ormai due anni che dibattiamo questo problema in Russia. Nell’aprile del 1917, alla conferenza del partito, avevamo già posto, sul piano teorico e politico, il problema: “Che cos’è il potere sovietico, quale ne è il contenuto, in che cosa consiste la sua portata storica?”. Da circa due anni ormai dibattiamo questo problema e il congresso del nostro partito [il VII Congresso, 6-8 marzo 1918, ndr] ha già approvato al riguardo una risoluzione.

 La Freibheit berlinese ha pubblicato l’11 febbraio un appello al proletariato tedesco, sottoscritto non solo dai leaders dei socialdemocratici indipendenti in Germania, ma anche da tutti i membri della frazione degli indipendenti. Nell’agosto del 1918, Kautsky, che è il teorico più autorevole di questi indipendenti, nell’opuscolo intitolato La dittatura del proletariato si è proclamato fautore della democrazia e degli organi sovietici, soggiungendo che questi ultimi devono svolgere una funzione esclusivamente economica e non essere affatto riconosciuti come organizzazioni statali. Kautsky ripete la stessa tesi nella Freibheit dell’11 novembre e del 12 gennaio. Il 9 febbraio appare un articolo di Rudolf Hilferding, che è anch’egli considerato uno dei maggiori teorici della II Internazionale. Hilferding propone di unificare legislativamente, per mezzo della legislazione statale, il sistema dei soviet e l’Assemblea nazionale. Questo accade il 9 febbraio. L’11 dello stesso mese la proposta viene approvata da tutto il partito degli indipendenti e pubblicata sotto forma di appello.

Ma, sebbene l’Assemblea nazionale già esista, persino dopo che la “democrazia pura” è diventata una realtà, dopo che i più autorevoli teorici dei socialdemocratici indipendenti hanno dichiarato che le organizzazioni sovietiche non devono essere organizzazioni statali, nonostante tutto questo, si hanno di nuovo esitazioni! Ciò dimostra che questi signori non hanno capito un bel niente del nuovo movimento e delle condizioni in cui si svolge la sua lotta. Ma ciò dimostra anche un’altra cosa, dimostra cioè che devono esistere condizioni e motivi da cui le esitazioni sono provocate! Dopo tutti questi fatti, dopo circa un biennio di rivoluzione vittoriosa in Russia, nel momento in cui ci vengono proposte risoluzioni nelle quali non si parla affatto dei soviet e del loro significato, risoluzioni come quelle approvate alla conferenza di Berna, dove nessun delegato ha detto una sola parola a questo proposito, possiamo affermare con pieno diritto che tutti questi signori sono morti per noi come socialisti e come teorici.

 Ma sul piano pratico, sul terreno politico, si ha qui, compagni, la riprova che tra le masse si sta operando un grande spostamento, se è vero che gli indipendenti, già contrari in linea teorica e di principio a queste organizzazioni statali, propongono d’improvviso una stoltezza come la “pacifica” combinazione dell’Assemblea nazionale con il sistema dei soviet, cioè la combinazione della dittatura della borghesia con la dittatura del proletariato. Noi vediamo come essi abbiano fatto fallimento sul terreno del socialismo e della teoria, noi vediamo quale immenso cambiamento si stia operando tra le masse. Le masse arretrate del proletariato tedesco vengono a noi, sono già venute a noi! L’importanza del partito indipendente dei socialdemocratici tedeschi, cioè della parte migliore della conferenza di Berna, è quindi pari a zero sotto il profilo della teoria e del socialismo; a esso rimane tuttavia una qualche importanza nel senso che gli elementi esitanti sono un indice degli stati d’animo degli strati arretrati del proletariato. Sta qui, a mio giudizio, la grande importanza storica di questa conferenza. Abbiamo sperimentato qualcosa di analogo nella nostra rivoluzione. I nostri menscevichi hanno percorso quasi lo stesso itinerario seguito dai teorici degli indipendenti in Germania. Dapprima, quando nei soviet avevano la maggioranza, erano favorevoli ai soviet. Allora si sentiva gridare soltanto: “Viva i soviet!”, “Siamo per i soviet!”, “I soviet sono la democrazia rivoluzionaria!”. Ma, quando in seno ai soviet la maggioranza è passata a noi bolscevichi, allora essi hanno intonato altre canzoni: i soviet devono coesistere con l’Assemblea costituente. E i diversi teorici menscevichi hanno formulato proposte come quella di fondere il sistema dei soviet con l’Assemblea costituente e di inserire i soviet nell’organizzazione statale. Qui si manifesta ancora una volta che il corso generale della rivoluzione proletaria è identico in tutto il mondo. Si ha all’inizio la costituzione spontanea dei soviet, viene poi la loro estensione e il loro sviluppo, si pone quindi nella pratica il problema: soviet o Assemblea nazionale, soviet o Assemblea costituente, soviet o parlamentarismo borghese; allo smarrimento completo dei leaders segue, infine, la rivoluzione proletaria. Ritengo tuttavia che dopo circa due anni di rivoluzione non dobbiamo impostare così il problema, ma presentare soluzioni concrete, poiché la diffusione del sistema dei soviet è per noi, e in particolare per la maggior parte dei paesi europei occidentali, il compito più importante (…).

Voglio formulare una proposta pratica: che si approvi cioè una risoluzione in cui devono essere specificamente sottolineati tre punti.

Primo punto: uno dei compiti più importanti per i compagni dei paesi europei occidentali è quello di chiarire alle masse il significato, la portata e la necessità del sistema dei soviet. Si registra al riguardo una comprensione inadeguata. Se Kautsky e Hilferding, come teorici, hanno fatto fallimento, i più recenti articoli della Freiheit dimostrano tuttavia che essi esprimono esattamente gli stati d’animo dei reparti arretrati del proletariato tedesco. Anche da noi è accaduta la stessa cosa: nei primi otto mesi di rivoluzione il problema dell’organizzazione sovietica era da noi molto dibattuto, e gli operai non vedevano con chiarezza in che cosa consistesse il nuovo sistema e se con i soviet si potesse costituire l’apparato statale. Nella nostra rivoluzione non siamo andati avanti sul piano teorico ma sul terreno della pratica. Per esempio, noi non avevamo posto prima teoricamente il problema dell’Assemblea costituente e non avevamo dichiarato che non avremmo riconosciuto tale Assemblea. Solo più tardi, quando le organizzazioni sovietiche si sono diffuse in tutto il paese e hanno conquistato il potere politico, abbiamo deciso di sciogliere l’Assemblea costituente. Oggi vediamo che in Ungheria e in Svizzera la questione è diventata molto più acuta. Da una parte, è un gran bene: noi ricaviamo di qui il saldo convincimento che la rivoluzione avanzerà più rapidamente e ci recherà vittorie più grandi negli Stati europei occidentali. Dall’altra parte, è qui racchiuso un pericolo, il pericolo cioè che la lotta si svolga con tanto impeto che la coscienza delle masse operaie non potrà tener dietro a quel ritmo di sviluppo. Il significato del sistema dei soviet è tuttora poco chiaro per grandi masse di operai tedeschi politicamente preparati, poiché essi sono stati educati nello spirito del parlamentarismo e dei pregiudizi borghesi.

 Secondo punto: la diffusione del sistema dei soviet. Quando apprendiamo con quale rapidità si stia diffondendo l’idea dei soviet in Germania e anche in Inghilterra, questa è per noi la dimostrazione più importante del fatto che la rivoluzione proletaria trionferà. Solo per breve tempo se ne potrà frenare l’avanzata. È però diverso quando i compagni Albert e Platten ci dicono che da loro, nelle campagne, fra gli operai agricoli e i piccoli contadini, i soviet quasi non esistono. Ho letto nella Rote Fahne un articolo contro i soviet contadini, ma del tutto giustamente favorevole ai soviet di salariati agricoli e contadini poveri [Lenin si riferisce all’articolo di Rosa Luxemburg Der Anfang, pubblicato nel n. 3 del giornale Die Rote Fahne, 18 novembre 1918, ndr]. La borghesia e i suoi valletti, come Scheidemann e soci, hanno già lanciato la parola d’ordine dei soviet contadini. Ma a noi occorrono soltanto i soviet di salariati agricoli e contadini poveri. Purtroppo, dai rapporti dei compagni Albert, Platten e altri possiamo rilevare che, se si eccettua l’Ungheria, si fa ancora molto poco per estendere il sistema dei soviet nelle campagne. È forse qui racchiuso un pericolo pratico abbastanza grave per il proletariato tedesco nel conseguimento di una vittoria sicura. La vittoria può considerarsi assicurata solo quando verranno organizzati non soltanto gli operai di città, ma anche i proletari agricoli, e solo quando essi saranno organizzati, non in sindacati e cooperative, come prima, ma in soviet. La nostra vittoria è stata più facile perché, nell’ottobre del 1917, ci siamo mossi insieme con i contadini, con tutti i contadini. In questo senso la nostra rivoluzione era allora borghese. Il primo atto del nostro governo proletario è consistito nel riconoscere, in una legge emanata dal nostro governo il 26 ottobre (secondo il vecchio calendario) 1917, l’indomani della rivoluzione, le vecchie rivendicazioni di tutti i contadini, già espresse ancora sotto Kerenski dai soviet e dalle assemblee dei contadini. Ecco in che cosa è consistita la nostra forza, ecco perché ci è stato tanto facile conquistare la stragrande maggioranza. Per la campagna la nostra rivoluzione continuava a essere borghese, e solo più tardi, dopo sei mesi, siamo stati costretti a iniziare, nel quadro dell’organizzazione statale, la lotta di classe nelle campagne, a costituire in ogni villaggio i comitati di contadini poveri, semiproletari, e a combattere metodicamente la borghesia agricola. Da noi ciò è stato inevitabile, a causa dell’arretratezza della Russia. In Europa occidentale le cose andranno diversamente, e pertanto noi dobbiamo sottolineare che l’estensione del sistema dei soviet anche tra la popolazione agricola, in forme adeguate e forse nuove, è assolutamente necessaria.

Terzo punto: dobbiamo dire che la conquista della maggioranza da parte dei comunisti nei soviet è il compito principale in tutti i paesi in cui il potere sovietico non ha ancora vinto. La nostra commissione per le risoluzioni ha esaminato ieri questo problema. Forse altri compagni si soffermeranno ancora su questo tema, ma io vorrei proporre di approvare questi tre punti in una risoluzione speciale. Ovviamente, non siamo in condizione di prescrivere una via di sviluppo. È assai probabile che in molti paesi dell’Europa occidentale la rivoluzione si realizzi molto presto. Ma noi, come reparto organizzato della classe operaia, come partito, tendiamo e dobbiamo tendere a conquistare la maggioranza nei soviet. Allora la nostra vittoria sarà assicurata, e nessuna forza sarà capace di prendere iniziative contro la rivoluzione comunista. In caso contrario [vittoria della rivoluzione, cioè presa del potere da parte dei soviet o organismi analoghi, senza che in essi i comunisti abbiano raggiunto la maggioranza, ndr], la vittoria non sarà né facile né durevole. Vorrei quindi proporre di approvare questi tre punti in una risoluzione a sé stante.


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Da Questioni del leninismo - Stalin

Il partito comunista è un’istituzione indispensabile, ma solo una delle istituzioni della dittatura del proletariato

Quali sono i tratti caratteristici che distinguono la rivoluzione proletaria dalla rivoluzione borghese?

La differenza tra la rivoluzione proletaria e la rivoluzione borghese potrebbe essere riassunta in cinque punti fondamentali.

 1) La rivoluzione borghese inizia, di solito, quando le forme della struttura capitalista, sorte e maturate in seno alla società feudale prima ancora di una rivoluzione aperta, sono già più o meno pronte; mentre invece la rivoluzione proletaria inizia quando mancano del tutto, o quasi del tutto, le forme già pronte della struttura socialista.

2) Il compito fondamentale della rivoluzione borghese si riduce a conquistare il potere e a metterlo in accordo con l’economia borghese esistente; mentre invece il compito fondamentale della rivoluzione proletaria consiste, dopo la conquista del potere, nell’edificare un’economia nuova, socialista.

3) La rivoluzione borghese si conclude, di solito, con la conquista del potere; mentre invece per la rivoluzione proletaria la conquista del potere è soltanto l’inizio, e il potere viene utilizzato come leva per la trasformazione della vecchia economia e l’organizzazione di un’economia nuova.

4) La rivoluzione borghese si limita a soppiantare al potere un gruppo di sfruttatori con un altro gruppo di sfruttatori: perciò non ha bisogno di demolire la vecchia macchina statale; mentre invece la rivoluzione proletaria caccia dal potere tutti i gruppi di sfruttatori, senza eccezione, e porta al potere la classe dirigente di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati, il proletariato; perciò non può fare a meno di demolire la vecchia macchina statale e di sostituirla con una nuova.

5) La rivoluzione borghese non può raccogliere attorno alla borghesia, per tutto un periodo, masse di milioni di lavoratori e di sfruttati, appunto perché essi sono lavoratori e sfruttati, mentre invece la rivoluzione proletaria, se vuole assolvere il suo compito essenziale, che è quello di consolidare il potere proletario ed edificare una nuova economia socialista, può e deve legare i lavoratori e gli sfruttati al proletariato, in un’alleanza duratura, appunto perché essi sono degli sfruttati e dei lavoratori. (…)

Da qui tre aspetti fondamentali della dittatura del proletariato.

1) Utilizzo del potere del proletariato per schiacciare gli sfruttatori, per difendere il paese, per consolidare i legami con i proletari degli altri paesi, per sviluppare la rivoluzione e assicurarne il trionfo in tutto il mondo.

2) Utilizzo del potere del proletariato per allontanare definitivamente dalla borghesia le masse lavoratrici e sfruttate, per consolidare l’alleanza del proletariato con queste masse, per attrarre queste masse all’edificazione del socialismo, per assicurare la direzione di queste masse da parte del proletariato al potere.

3) Utilizzo del potere del proletariato per organizzare il socialismo, per abolire le classi, per passare a una società senza classi, a una società senza Stato.

La dittatura del proletariato è l’insieme di questi tre aspetti. Nessuno di questi aspetti può essere presentato come tratto caratteristico unico della dittatura del proletariato e, viceversa, basta l’assenza di uno solo di questi caratteri perché, in un paese circondato dal capitalismo, la dittatura del proletariato cessi di essere dittatura. Perciò nessuno di questi tre aspetti può essere messo in disparte senza correre il rischio di snaturare il concetto di dittatura del proletariato. Soltanto tutti e tre questi aspetti, presi insieme, ci rendono il concetto completo e ben definito della dittatura del proletariato.

 La dittatura del proletariato ha i suoi periodi, le sue forme particolari e metodi di lavoro diversi. Nel periodo della guerra civile salta agli occhi in maniera particolare il lato violento della dittatura. Ma da questo non deriva che nel periodo della guerra civile non si compia nessun lavoro costruttivo. Senza un lavoro costruttivo è impossibile condurre la guerra civile. Nel periodo dell’edificazione del socialismo, al contrario, salta agli occhi principalmente il lavoro pacifico, organizzativo, culturale della dittatura, la legalità rivoluzionaria, ecc. Ma da ciò, a sua volta, non deriva che il lato violento della dittatura sia sparito, o possa sparire durante il periodo costruttivo. Gli organi di repressione, esercito e altre organizzazioni, sono necessari ora, nel periodo dell’edificazione, allo stesso modo in cui lo erano durante il periodo della guerra civile. Senza questi organi non si può garantire la sicurezza di nessun lavoro di edificazione da parte della dittatura. Non bisogna dimenticare che la rivoluzione ha vinto per ora in un solo paese. Non bisogna dimenticare che, finché esiste l’accerchiamento capitalista, esisterà anche il pericolo dell’intervento, con tutte le conseguenze che ne derivano. (…)

Ora dobbiamo parlare della dittatura del proletariato dal punto di vista della sua struttura, dal punto di vista del suo “meccanismo”, dal punto di vista della funzione e dell’importanza delle “cinghie di trasmissione”, delle “leve” e della “forza dirigente”, il complesso delle quali costituisce il “sistema della dittatura del proletariato” (Lenin) e con l’aiuto delle quali si svolge il lavoro quotidiano della dittatura del proletariato.

Cosa sono queste “cinghie di trasmissione”, queste “leve” nel sistema della dittatura del proletariato? Cos’è questa “forza dirigente”? Qual è la loro utilità?

Le leve o cinghie di trasmissione sono le stesse organizzazioni di massa del proletariato, senza l’aiuto delle quali è impossibile realizzare la dittatura.

La forza dirigente è il reparto avanzato del proletariato, la sua avanguardia, che è la forza essenziale di direzione della dittatura del proletariato.

Queste cinghie di trasmissione, queste leve e questa forza dirigente sono necessarie al proletariato, che senza di esse verrebbe a trovarsi, nella sua lotta per la vittoria, come un esercito disarmato di fronte al capitale organizzato e armato. Queste organizzazioni sono indispensabili al proletariato che, senza di esse, sarebbe sicuramente sconfitto nella sua lotta per l’abbattimento della borghesia, nella sua lotta per il consolidamento del proprio potere, nella sua lotta per l’edificazione del socialismo. L’aiuto sistematico di queste organizzazioni e la forza dirigente dell’avanguardia sono indispensabili, perché, senza queste condizioni, è impossibile una dittatura del proletariato di una certa durata e solidità.

Quali sono queste organizzazioni?

In primo luogo, i sindacati operai con le loro ramificazioni al centro e alla periferia, che prendono la forma di tutta una serie di organizzazioni di produzione, culturali, educative, ecc. Essi abbracciano gli operai di tutte le categorie. Non sono un’organizzazione di partito. I sindacati si possono chiamare l’organizzazione di tutta la classe operaia, che da noi è la classe dominante. Sono una scuola di comunismo. Da essi vengono fuori i migliori elementi per il lavoro di direzione di tutti i rami dell’amministrazione. Realizzano il collegamento fra gli elementi avanzati e gli elementi arretrati della classe operaia. Uniscono le masse operaie all’avanguardia della classe operaia.

 In secondo luogo, i Soviet, con le loro numerose ramificazioni al centro e alla periferia, che prendono la forma di organizzazioni statali amministrative, economiche, militari, culturali, ecc., oltre a una quantità innumerevole di altre associazioni spontanee di massa dei lavoratori che circondano queste organizzazioni e le collegano alla popolazione. I Soviet sono l’organizzazione di massa di tutti i lavoratori della città e della campagna. Non sono un’organizzazione di partito. I Soviet sono l’espressione diretta della dittatura del proletariato. Attraverso i Soviet passano tutte le misure di ogni genere che sono destinate al consolidamento della dittatura e all’edificazione del socialismo. Attraverso i Soviet si realizza la direzione statale dei contadini da parte del proletariato. I Soviet uniscono le masse di milioni di lavoratori all’avanguardia del proletariato.

In terzo luogo, la cooperazione di ogni specie, con tutte le sue ramificazioni. Si tratta di un’organizzazione di massa dei lavoratori, un’organizzazione non di partito, che unisce i lavoratori innanzitutto come consumatori e, col tempo, anche come produttori (cooperazione agricola). La cooperazione acquista un’importanza particolare dopo il consolidamento della dittatura del proletariato, durante il periodo di vasto lavoro costruttivo. Facilita il collegamento dell’avanguardia del proletariato con le masse dei contadini e permette di convogliare queste ultime nel fiume dell’edificazione socialista.

In quarto luogo, la Federazione giovanile, un’organizzazione di massa della gioventù operaia e contadina. Non è un’organizzazione di partito, ma sta accanto al partito. Essa ha il compito di aiutare il partito nell’educare la giovane generazione allo spirito del socialismo. Fornisce giovani leve a tutte le altre organizzazioni di massa del proletariato, a tutti i rami dell’amministrazione. La Federazione giovanile ha assunto un’importanza particolare dopo il consolidamento della dittatura del proletariato, nel periodo in cui si sviluppa ampiamente il lavoro educativo e culturale del proletariato.

Infine, il partito del proletariato, la sua avanguardia. La forza del partito consiste nel fatto che esso assorbe i migliori elementi del proletariato da tutte le sue organizzazioni di massa. La sua missione consiste nel coordinare il lavoro di tutte le organizzazioni di massa del proletariato senza eccezione e nel dirigere la loro attività verso un solo obiettivo, l’obiettivo della liberazione del proletariato. Coordinare e orientare queste organizzazioni verso un solo obiettivo è cosa assolutamente indispensabile, perché senza di essa è impossibile l’unità di lotta del proletariato, perché senza di essa è impossibile la direzione delle masse proletarie nella loro lotta per il potere, nella loro lotta per l’edificazione del socialismo. Ma soltanto l’avanguardia del proletariato, il suo partito, è capace di coordinare e orientare il lavoro delle organizzazioni di massa del proletariato. Solo il partito del proletariato, solo il partito dei comunisti è capace di assolvere questa funzione di dirigente fondamentale nel sistema della dittatura del proletariato. (…)

Dunque, i sindacati, in quanto organizzazione di massa del proletariato che collega il partito alla classe, soprattutto nel campo della produzione; i Soviet, in quanto organizzazione di massa dei lavoratori che collega il partito a questi ultimi, soprattutto nel campo dell’attività statale; la cooperazione, in quanto organizzazione di massa, principalmente dei contadini, che collega il partito alle masse contadine, soprattutto nel campo economico, facendo partecipare i contadini all’edificazione socialista; la Federazione giovanile, in quanto organizzazione di massa della gioventù operaia e contadina, chiamata a facilitare all’avanguardia del proletariato l’educazione socialista della nuova generazione e la preparazione di giovani leve; e, infine, il partito in quanto forza dirigente fondamentale nel sistema della dittatura del proletariato, forza chiamata a dirigere tutte queste organizzazioni di massa. Questo è, a grandi linee, il quadro del “meccanismo” della dittatura, il quadro del “sistema della dittatura del proletariato”.

 (…) Non si può contrapporre la dittatura del proletariato alla direzione (“dittatura”) del partito. Non si può farlo, perché la direzione del partito è l’elemento essenziale nella dittatura del proletariato, se questa è una dittatura completa e di una certa solidità e non una dittatura come fu, per esempio, la Comune di Parigi, che era una dittatura incompleta e fragile. Non si può farlo, perché la dittatura del proletariato e la direzione del partito si trovano, per così dire, su una stessa linea di lavoro, agiscono in una stessa direzione.